giovedì 26 marzo 2020

POESIA = MARINA PETRILLO


Poesia contemporanea : Marina Petrillo

commentata da Gino Rago

-Marina Petrillo-

Irraggiungibile approdo tra diafanie prossime alla perfezione.
Digrada il mare all’estuario del sensibile
tra risacche e arse memorie.

Si muove in orizzonte il trasverso cielo.
Fosse acqua il delirio umano perso ad infranto scoglio…
Sconfinato spazio l’Opera in Sé rivelata.

Conosce traccia del giorno ogni creatura orante
ma antepone al visibilio il profondo alito se, ingoiato ogni silenzio,
ritrae a sdegno di infinito, il brusio della spenta agone.

E’ nuovo inizio, ameno ritorno alla Casa della metamorfosi.
Saprà, in taglio obliquo, se sostare assente o, ad anima convessa,
convertire il corpo degli eventi in scie amebiche.

Un soleggiare lieve, di cui non sempre appare l’ambito raggio.

*

Si traccia a sua somiglianza
il pallido sorgere del sole.

Tace della natura il lascito
lunare e inciampa raggi annichiliti da brividi albescenti.

Incerto sullo splendore, annida l’ombra
in emanante abbraccio e lì si abbandona.

Eterno è il suo momento
mai avvizzito dal ciclo delle divine stagioni.

*

Commento

Scrive Andrea Sangiacomo a proposito della «Civiltà della solitudine»: «All’uomo non è indifferente il luogo dove spende la propria esistenza, abitare è per lui il verbo dal significato più affine a quell’altro verbo, così austero e misterioso, Essere. L’uomo abita, è un abitatore di spazi. Ogni spazio è una campata di cielo e una fuga di sguardi, un’apertura inventata dall’orizzonte suo custode, una volta per tutte o forse ogni volta diversa. Abitare un luogo è imparare a pensare e a pensarsi in rapporto alla geografia del dove, all’ordine dello spazio che lì si dispiega, in relazione alla luce che in quella con-trada il giorno conosce. Esser nati tra colli tranquilli, o tra valichi montani, o sulle spiagge del mare senza fine, sono diverse domande a cui ciascuno dovrà rispondere esistendo. Ma l’uomo non abita solo gli spazi e i luoghi che la natura disegna, anzi, egli, forse, abita soprattutto quegli spazi ideali che sono le parole […]». Marina Petrillo si mette in viaggio alla ricerca di una “sua” patria, di una sua “patria-linguistica”, l’unica patria dove il poeta, per dirla con Brodskij, non avverte lo strazio della condizione dell’esilio. Per la Petrillo l’unica patria è la poesia, l’unico spazio di vita è il linguaggio della poesia che per l’autrice di materia redenta diventa il suo «cerchio del dire», la porzione di spazio in cui le “cose” sono in grado di prendere la parola e di andare incontro all’uomo-poeta per raccontarsi, per farsi comprendere. «Quando si pone la propria esistenza nel luogo del dire, nello spazio della parola, si incontrano le cose in modo diverso, non più come mute e indeterminate cose in sé, chiuse nel mistero del loro silenzio inviolato, ma come cose-per-me, voci che prendono ad abitare con me la mia esistenza».

Anche questa poesia di Marina Petrillo va interpretata come «Poetica delle parole abitate». Perché? La risposta la affido a Giorgio Linguaglossa: «Perché il poeta è colui che abita le parole e che si inoltra nella contrada del dire, che esplora gli Holzwege e gli Irrwege […]».

Alcune parole godono a restare come «parole scritte»; altre parole invece aspirano a esser dette, aspirano a farsi «voce», aspirano a uscire dalla bocca [una idea di Giovanni Testori, svelata da Letizia Leone su Il Mangiaparole, n.6, pag. 12] per poter dire e dare un qualcosa in più rispetto alla sola scrittura. Queste parole scelte da Marina Petrillo all’interno del «cerchio del dire» (eterno, stagioni, abbraccio, raggi, lascito, somiglianza, sole…) sono in grado di dire e di dare tutto ciò che semanticamente ed emotivamente è possibile esprimere , sia che si facciano «voce», sia che restino soltanto come parole scritte, perché queste della Petrillo sono le «parole giuste».

Vale per ogni poeta autentico il rimpianto di non poter dare ospitalità a tutte le parole che bussano alla porta della sua poesia. Vale anche per Marina Petrillo ciò che, come meglio non è possibile fare, ha scritto in una densità e intensità poetiche inconsuete proprio sulle parole «escluse» Tomas Tranströmer:«È cosí povero quanto vi ho scritto./ Ma quello che non ho potuto scrivere si è gonfiato come un vecchio dirigibile/scivolando via alla fine per il cielo notturno».

*

Gino Rago

Roma, marzo 2020

[Marina Petrillo vive a Roma dove è nata. Nel 1986 pubblica Normale astratto e, nel 2019, materia redenta con Progetto Cultura da cui è tratta la poesia]

1 Commenti:

Alle 29 marzo 2020 alle ore 00:07 , Blogger Unknown ha detto...

Una poetessa non comune che vive nella poesia ispirata dal suo animo sensibile e dalla sua divinità interiore.

 

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