mercoledì 22 luglio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIO FRESA

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Mario Fresa : “Bestia divina” – La scuola di Pitagora editrice – 2020 – pagg. 64 - € 8,00
Il rapporto che Mario Fresa stringe con la parola poetica è un vincolo stranamente vertiginoso, che riesce a sorprendere pagina dopo pagina per quella singolare capacità di coinvolgere in un rapporto semantico, che dalla frase sospesa sposta in una articolazione empirica, che gioca nella sospensione di polarizzazione degli opposti, o travalica ogni senso di concretezza logica.
Nel verso si affaccia prepotente il bagaglio multicolore che il sub conscio racchiude gelosamente tra le circonvoluzioni cerebrali, sempre accese da uno scintillio cromatico che cerca di espandersi nella interminabile evoluzione dell’onirico, divenendo improvvisamente amalgama inscindibile della creatività, sia mediante l’auto osservazione sia nel conflitto di indagine del territorio circostante.
“I versi di Fresa – scrive Andrea Corona nella prefazione – osano l’aporia, osano avventurarsi oltre le catene della sintassi per approdare a quel che la psicanalisi freudiana chiamava l’ombelico del sogno, nodo inaccessibile all’analisi. La poesia si fa allora estroflessione dell’inconscio, si fa condensazione e spostamento, si fa sogno stesso.”
“E qui dov’è il dolore? Sta giusto ai piedi del mese / e poi da solo si fa un enorme letto, quadi dal niente; / ma poi si sa…gambe magnolia che hanno corta memoria/ proprio di te, forno dolore; e chi dorme non è distante/ dal piccolo semino morto, dalla sua bianca/ vena di terrore.”
Il poeta traccia con segno spavaldo lo svelamento delle figure, le tensioni della storia quotidiana, l’abbozzo del paesaggio che circonda, le sospensioni della memoria, l’allarme improvviso di una metamorfosi, il confronto a volte ingiusto dei sentimenti. E per il poeta l’inconscio è lo psichico reale, nel vero senso della parola, per la sua natura intima e per la rappresentazione del mondo esterno, rinchiuso come in un cerchio, che costringe a sua volta nel contesto delle pulsioni.
“Avete visto com’è spettro e bicchiere, questo corpo? / Quando la noti, si fa destino intero;/ viaggio di lingua e orrendo viso di terrore./ Il nostro colloquio s’apre come un insetto male/ che ad ogni dolce notizia spara, dalla ringhiera, il due;/ s’ingoia proprio tutto, stomaco e sogno:/ fino al cervello celeste, possessivo.”
Il laboratorio dell’autore si fonde in un intreccio ingarbugliato della realtà, e la caratteristica polifonica ha senza tema richiami lirico drammatici, nella composizione della rivelazione che coglie la pienezza della “presenza”, e nella essenzialità del dettato tutto teso alla interpretazione istintiva della fantasia.
ANTONIO SPAGNUOLO

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