giovedì 19 settembre 2024

POESIA = KUJTIM HAJDARI


**Kujtim Hajdari è nato a Hajdaraj il 10 aprile del 1956 nella città di Lushnje in Albania.
Ha completato gli studi universitari in lingua e letteratura albanese in Albania e ha lavorato come docente in materia di letteratura nelle scuole superiori.
Ha scritto poesie, racconti e dramma nella sua giovinezza, ma i suoi lavori non hanno visto la luce della pubblicazione per lo spirito dell’anticomunismo.
Per tanti anni, è stato in esilio in Italia, dove è diventato cittadino italiano e, negli ultimi anni ha ricominciato a scrivere poesie in lingua albanese e ultimamente in italiano. Attualmente vive in USA dove ha pubblicato le sue opere anche in inglese.
*****
"CON TE, O MARE!"
O mare, quante volte ho combattuto e dimenticato,
Con te il mondo amaro, la vita aspra, passata,
Quante volte nel cielo della felicità mi hai portato,
Quante volte l’oscurità mi hai fatto vedere.
Quante volte l’oscurità mi hai fatto vedere.
Come vicino al bicchiere di vino tinto, ubriaco.
Quando gli anni pesanti mi stavano uccidendo,
Quando il tempo mi buttava stormo e fango.
Sulle braccia della tristezza quando stavo sul bordo,
Dalle spalle mi hai preso e mi hai scrollato forte all’orlo,
E io, tra le onde, come un combattente leggendario,
Mi buttavo e un filo di speranza cercavo di nuovo.
Quante volte in lacrime ho visto il tuo nero fondo,
Quando sono stato trascinato negli abissi, orribilmente,
Ogni tanto mi mettevi la paura e vedevo la testa sul tronco,
Nella tua discesa quando guardavo l’Inferno imminente.
A volte mi schiantavi sulla riva come le immondizie,
A volte in cima alle onde mi davi la libertà,
Il segno della lotta, lungo la costa è ancora rimasto,
Come al sole l’immagine della mia faccia indurita.
Il bianco sulle creste delle onde che la lotta ha pitturato,
Le impronte simili, sui miei radi capelli, hanno lasciato,
Ma di nuovo, un combattente sulle onde voglio essere,
E altre sfide con te, per la mia libertà, voglio ancora avere.
***
"LA MIA GIOVENTÙ"
Quante volte ho pianto per te, la mia gioventù,
Con la mia sciarpa del cuore ti ho asciugato le lacrime,
Nel crepuscolo del tramonto, quando partivi con le ferite sul corpo,
Sulle strade amare, senza orizzonte, anni senza ritorno,
Ucciso dagli slogan comunisti,
Nell’avidità e nella lussuria di una politica viziosa ed egoista.
Le labbra stavano bruciando per un po’ di libertà,
La lingua terrorizzata si nascondeva nell’abisso della paura,
Con i denti del dolore mordevamo le leggende del tempo,
Nelle carceri di Enver abbiamo scritto Dante’s Hell,
Con lettere di sangue che colavano dal cuore spezzato.
Con gli occhi assetati di luce,
Misuravamo gli spazi inaccessibili dei cieli della conoscenza,
E abbiamo nutrito la speranza nella fonte dei sogni,
Desiderosi come sempre.
Piango ancora con lacrime calde,
I tuoi vestiti stracciati sulle strade e le foreste della Grecia,
Incantato dalla stanchezza e lacerati dalle bestie selvagge.
I tuoi stracci che il vento trema ancora negli alberi delle navi,
I tuoi stracci che compaiono e scompaiono tra le onde,
Tra le acque nere, profonde dei mari, che entrano e fanno rima,
Nelle canzoni e piante dell’emigrazione.
Il mondo di nuovo nel fumo del tempo,
La leggenda è per noi.
Per noi che cercavano una mano al mondo per sopravvivere,
Cercavamo nelle tasche forate della misericordia.
Per noi che siamo scappati da una collera,
Dal luogo e la culla che ci ha cresciuto.
Nei sogni barbaramente violati da un regime illusorio,
Nei sogni perduti negli orizzonti di una falsa democrazia,
La nostra giovinezza è stata ferita, bruciata, umiliata.
=
"NON CI SIAMO VISTI PIÙ DA ANNI"
Eravamo solo amici e come amici ci siamo separati,
Non ci siamo visti più, gli anni sono corsi veloci.
Chi vide le anime, i cuori così tanti amati
Dove ha iniziato a nascere qualcosa di dolce?
Dimenticati da anni in esilio, uno dall’altro nascosti,
La Nostalgia mordeva, i pensieri ci invecchiavano,
Volevo dimenticarti, cara mia, a tutti i costi,
Ma le tue fiamme d’amore ogni giorno mi bruciavano.
Sentivo sempre più vicino la tua voce, il tuo odore,
Non hanno smesso mai gli usignoli del dolore,
Anche lì lontano, ti chiamavano con tanta voglia,
E le fiamme avvolgevano a quattro lati il mio cuore.
Cos’era questa malattia, cos’era questa collera,
Come un prigioniero di guerra si sente così infelice?
Il mondo diminuì e divenne un punto, troppo piccolo,
Quando ricordo i tuoi occhi profondi, le tue ciglia.
Mi scrivevi spesso con la voce del dolore:
“Oh, quanto siamo lontani, quanto tempo è passato!”
Mi veniva come una ferita la tua voce oltre l’oriente,
“Quanto ci mancano le cose, i begli anni passati”.
In terre straniere, lontano, alla fine del mondo,
La disperazione mandavi giù con il caffè del giorno.
Sono corso subito come un figlio della tempesta
A portare la luce al tuo cuore ferito, un po’ di festa.
La tua dolce voce mi ha riempito pieno di canzoni,
Mi ha portato la primavera, sradicato ogni dolore,
La felicità infinita mi ha fatto tornare il bell’umore,
Quando ho visto l’anima tua gioire in silenzio.
Lasciami contemplare e sollevarti al sole,
La tua dolce faccia, il tuo sorriso come l’oro,
Fammi godere un pezzo di questo paradiso,
Lo splendore dei tuoi occhi..., come lo adoro!
Tutta questa tristezza, la malinconia, lascia,
Lascia che spieghi le onde dell’anima in rabbia,
Sulle rive della voglia che così tanto ci ha bruciato,
Il grande amore che è cresciuto e maturato.
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KUJTIM HAJDARI
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A cura di Angela Kosta Direttore Esecutivo della Rivista MIRIADE Accademica, giornalista, poetessa, saggista, editore, critica letteraria, redattrice, traduttrice, promotrice

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