giovedì 17 aprile 2025

INTERVENTO CRITICO PER ANTONIO SPAGNUOLO


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Il “pensiero emozionale” di Antonio Spagnuolo: dal visibile all’Invisibile, dalla coscienza all’Inconscio.*
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Antonio Spagnuolo continua il suo diuturno discorso poetico con questa coinvolgente silloge dal titolo: Più volte sciolto, La Valle del tempo 2024. Si scioglie più volte il miracolo della poesia per Spagnuolo!
Il poeta stesso si sofferma a sottolineare l’importanza e l’utilità della poesia in questo momento storico: "Tramite la poesia è possibile esprimere quel fiume infinito di idee e di pensieri che investono la mente in maniera confusa e irrazionale, ma al contempo sublime, rivelando l’aspetto più genuino e introspettivo dell’io. È possibile offrire quel mistero incontrollabile che si propone quotidianamente come un abbraccio universale che traccia sospensioni di sentimenti e tenerezza di musica. Con la consapevolezza veramente genuina che ogni manifestazione vitale si trasformi miracolosamente nella necessità di amare!>>. Nella sua “dichiarazione di poetica”, Antonio Spagnuolo, in un’altra occasione, scrive, in modo illuminante: "La poesia è legata all’inconscio e l’inconscio è il luogo della poesia. Luogo che attende il simbolo per urlare l’emersione da una serie indefinita di soggiacenze ed aggregare affioramenti che possano proiettare emozioni multicolori. La poesia diviene nel ritmo la tappa dell’informe che cera la forma, del caos che cerca l’ordine, della speranza che cerca l’esperienza, dell’impossibile che cerca il possibile semplicemente un messaggio in bottiglia che vive della speranza di un possibile dialogo differito nel tempo. Nulla cambia nell’inconsapevole rivoluzione dell’inconscio, passo dopo passo nel rigore dell’esplorazione di quelle emozioni che tingono di rosso la parola, e non sopporta limiti o limitazioni, etichette o programmi, là dove viene ricreato l’ideale che aggrega e coinvolge in vertigine. […] I fantasmi che quotidianamente la memoria insegue sono improvvise illuminazioni che il nostro cervello accetta nel segreto dei ricordi, incasellati disordinatamente nelle circonvoluzioni, o semplici armonie che ripetono il ritmo delle scansioni come coaguli della compartecipazione. […] Ed è così che la forma poetica, rincorrendo le figure che si affacciano al nostro sguardo misterioso, è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, considerando la sillaba non solo come nezzo ortografico ma anche come suono, un ritmo che si svilupperà in crescendo, per agganciare i profili che ritornano alla mente>>.
“Il pensiero emozionale” di Antonio Spagnuolo ha un tracciato immaginario, la cui vertigine focalizza gli sconfinamenti dell’io, in una “fantasia di desiderio”, che va oltre la soglia della coscienza, per cogliere la sintesi magica delle feconde immagini poetiche: "Ogni giorno noi siamo il passato/ perché ognuno di noi è il passato!// Distante un cielo vuoto di speranze con le promesse che rimbombano a valle, contro la pietra di una folgore divina,/ fugando una speranza che protegge/ la mia stessa paura,/ ecco l’astuzia e il decorso di una misera/ rima ed il timore della cruna incrinata/ che accetta ancora un embolo di vocali>> (Ogni giorno noi siamo il passato).
Il profluvio delle immagini scorre sul proscenio della mente, inglobando la categoria del Tempo e dello spazio nel cono d’ombra della psiche del poeta. È il bisogno di un desiderio necessitante, che predispone alla ricerca dell’Invisibile, nel segno estraniante dell’inquietudine e della pulsione di morte. Il fantasma, nell’avvolgente intersezione del non-senso, avvalora quanto scrive Jung, ne La relazione fra l’ego e l’inconscio (1928): "Più si diventa consapevoli di noi stessi attraverso l’autocoscienza, e si agisce di conseguenza, più diminuirà lo strato di inconscio personale sovrapposto all’inconscio collettivo. In questo modo sorge una coscienza che non è più imprigionata nel mondo insignificante, sovrasensibile e personale degli interessi obietti. […] È, invece, una funzione di relazione con il mondo degli oggetti, che porta l’individuale nell’assoluto in comunione avvincente e indissolubile con il mondo intero>>. Il lato oscuro della mente viene alla luce ogni qual volta il simbolo e le immagini diventano luminose parole, ora scabre ed essenziali, ora suggestive e feeriche, per sfuggire alla disarmonia del reale. Spunti espressionistici coordinano l’intreccio dei ricordi, lungo lo scandaglio analitico di un Io, il cui rispecchiamento elabora l’attesa e l’assenza di un’alterità irraggiungibile in un sovramondo sconosciuto e lontano. La delicatezza e la musicalità del verso hanno una presa diretta con il pensiero emozionale e il registro poetico ha un intento essenziale, quello di vivere una forte tensione di una non-vita, in perfetta sintonia con la propria solitudine essenziale. Nel segno della caducità viene elaborato il lutto con l’edace sentimento del Tempo, declinato sul piano di un vorticoso sentire e lungo il crinale di una coazione a ripetere, che non dà segni di speranza: "Il tempo non si allenta per l’essenza/ che ha un suono suo nel buio,/ come punto distorto del respiro,/ o quando gli occhi vorrebbero rincorrere/ accenti ed aliti di antiche presenze//. […] Inutile conchiglia la sfida delle attese/ nel passo felpato della nostalgia,/ nella provvisoria prudenza/ delle ceneri, quando il fuoco/ di una lunga agonia ha sfigurato/ l’incerto sembiante>> (Il tempo non si allenta per l’essenza). Il fantasma eidetico dell’amore metabolizza la travolgente tensione del pensiero emozionale, trascorrendo dal visibile all’Invisibile, dalla coscienza all’inconscio. Le dilaceranti tracce mnestiche ripropongono una confessione autoanalitica, che elabora “i resti diurni” nel tessuto aureo dell’Invisibile ,per cercare un varco d’uscita. Nell’area sconfinata dell’Invisibile, la progressione verso l’Oltre comprova la rete associativa di un complesso diorama, che va dal rimosso alla pulsione di morte. L’energia fluttuante del rimosso propizia l’attraversamento verso l’Invisibile di una surrealtà, che è al di là del dolore umano e del “vago immaginar”.
"[…] Ad uno ad uno rinnovano ora calmi/ i cento passi che trovammo insieme/ nella mappa illusoria dell’abbraccio,/ ad aspettare il cancello che preciso/ apre al delirio" (Leggiadra o singolare o repentina). Folgorato dalle pulsioni di vita, il poeta, con raffinata delicatezza dispiega i temi fondativi, cari al canone del Novecento e non solo: amore e morte, lutto e melanconia, attesa e assenza, memoria e Tempo: "[…] Fiore di loto la tua letizia/esplodeva al mattino come albore,/ l’abbaglio dei colori in dubbiosa caduta/ replicava quel gioco di mola mancina,/ che nei vapori filtrava ancora amore […] (Così era l’abbraccio delicato). Sul versante delle “tracce mnestiche”, il percorso emozionale, per evadere dalla disappartenenza, induce il poeta alla ricerca dell’alterità; egli intraprende il viaggio à rebours della mente, attivando una diretta corrispondenza con la scena onirica, in attesa di un evento epifanico liberativo. Convergono energie pulsionali, che si trasformano in energie creative e simbologiche, lungo il declinio impervio del presente. L’effort lirico soggiace a formazioni di compromesso tra rimpianti e nostalgia; tenerezza e disillusione si correlano, come per un necessario contrappasso, ad un inconsolabile sentimento di lutto di un’assenza insostituibile. Osserva Bergson che "c’è nel profondo dell’animo della maggior parte degli uomini, qualcosa che, impercettibilmente, fa loro eco", come un altro da sé. L’energia irrefrenabile dell’ispirazione oltrepassa la visuale del déjà-vu e la poesia si configura come ricerca di un “altrove”, inteso come una dimensione altra".
La poesia di Antonio Spagnuolo attinge all’inesplicabile voce dell’inconscio. L’introspezione avviene nel profondo, per oltrepassare il varco del limite ultimo, che si protende al di là del nostro orizzonte mentale. Il viaggio estraniante del poeta è fondamentalmente una ricerca dell’identità; egli insegue un miraggio alla luce dei ricordi, che si slargano lungo un orizzonte indefinito di attese. Questo percorso visionario è orientato al di fuori della categoria spazio-tempo verso una “quinta dimensione”. "Il risveglio dell’infinito è un percorso/emozionale che gioca con i miei vent’anni,/ e corrompe le dimensioni oniriche/ liberando tensioni.// Prigioniero dell’orizzonte tento di acchiappare/ un nuovo giorno trattenendo negli occhi/ e ridestando il tuo grido di gioia,/ rubando tenerezze alla tua immagine/ proiettata nel futuro inutilmente" (Il risveglio dell’infinito è un percorso). Nel dettato poetico di Spagnuolo si resta turbati per il flusso emotivo che scaturisce dallo scenario onirico esondante; la cifra vera dell’originalità di questa poesia risiede nel coagulo stesso della sua visionarietà creativa, che va oltre la logica ordinaria. Egli monitora “gli stati d’animo” di questo vasto scenario fantasmatico, visto con la lente rinfrangente dell’introspezione: "Impastato di contraddizioni/ depongo il passo/ che accompagna ogni fuga,/ tirata fuori dall’eternità".
Con l’analisi dell’inconscio, si colgono le esperienze reali del poeta e l’epifania dei ricordi, correlati alle tracce mnestiche di un tempo pretèrito e contrassegnati dall’anestetico oblio. Il trasalimento rompe la rete analogica del visibile verso un inconoscibile illimite, che oblitera “il principio di realtà” in un “principio di piacere”, associandolo al travestimento del ricordo. Per comprendere, in modo radiale, la straordinaria e policentrica poesia di Spagnuolo, occorre perlustrare la cifra illuminante della sua Quinta dimensione: Il mistero ha fili di acciaio/ con sguardo fisso e avvolto dal crepuscolo,/ nel battito improvviso dell’immaginario,/ dove è sempre il vuoto e scorre l’esistenza/,/ che alla fine si compie troppo in fretta. […] Ma c’è un’inquietudine a nascondere/ il chiaroscuro/ prolungando distanze per dare forma/ e vaglio>> (Il mistero ha fili di acciaio). In uno scenario disincantato, tutto è calato nella levità di una limpidezza espressiva, che prosciuga la vertigine dell’ispirazione e coarta gli sconfinamenti dell’io, in una condizione psichica che va oltre la soglia della coscienza: Proporre un’offerta variegata/ decifrando proiezioni fantasiose/ nella solitudine di uno stralcio/ è una fascia che si posa leggera.// […] Una mia tela stemperata d’amore /sarà il fedele ricordo di questo dono,/ luce e torrente di piumaggi fantasiosi/ che affrontano un morbo irriducibile//. Ed è subito un passo che fiorisce>> (Dono). La coscienza inquieta del poeta nasce da un disagio, le cui ragioni evocano per associazioni d’immagini, la proiezione e la frammentazione, lo spostamento e la condensazione psicologica. È il bisogno inesausto di una presenza-assenza, che abita osmoticamente con il desiderio necessitante di un viaggio verso l’Oltre. Nell’acuto respiro di questi alati versi, il sentimento di immedesimazione proviene dalla specula dell’infinità dei mondi, dove la disappartenenza dell’uomo si coniuga con il mistero dell’Infinito e dell’Oltre, attivando una ricerca di una fuga da sé, da cui si può evadere inconsapevolmente con lo stato di grazia della scrittura poetica. È il volo libero dell’airone, che si libera sull’onda di un discorso amoroso, veicolando una sorta di trasnfert delle “ragioni del cuore”. Le immagini di “un percorso inutile” sono rivolte ad un luogo immaginario tutto rivolto altrove, non previsto/ nell’accogliere il sogno clandestino,/ lo spazio è aperto a scintille/ che sfrusciano sulla carta ingiallita/ giù per la ripida penna indecisa>>. “Sembianze evanescenti” trascorrono dinanzi allo sguardo attonito del poeta, quando il materiale rimosso riaffiora alla superficie di questo sfuggente universo psichico in espansione, la cui immagine viene trasfigurata dal ricordo e dal rimpianto di una perdita di una preziosa presenza: "Il disvelamento spoglia nullità in deriva […] Una rosa selvatica piena di spine/ è il canto proibito, perché/ quel che ci lascia un amore è proprio un sogno/ nella mente che pulsa solamente memorie>>. (Il disvelamento spoglia nullità in deriva). "Il regno dell’inconscio ha prospettive/ che comandano-volontà e potenze>>. "Disegnando lo scavo di memorie/ ed allineando cocci immaginari […] adesso oso tentare l’insensato/labirinto,/ come stupide ciocche di un pavone" (Pavone). La deflagrazione dell’implosione "ha distrutto ogni pensiero custodito nell’inconscio,/ cupi lampi a gridare una sintesi.// La vita ha trascinato in un ghigno,/ in un sobbalzo a frammenti, / tra fiabe di cenere ed alchimie,/ la nostra utopia che si allacciava/ al via vai di una storia.// Dondola misteriosa l’ossessione indiscreta!>> (Potreste svegliarla dal sonno maledetto).
La poesia di Spagnuolo attraversa il suo vissuto e ne riporta i segni e le cicatrici, ma tende ad un orizzonte di senso, che medianicamente evoca presenze inafferrabili, attraverso il flusso rigenerante dell’ispirazione ed elaborando il vuoto incolmabile di un’assenza: "L’abbandono sembra anello che non tiene/ e scroscia bruciando per non credere/ che ci sia un ritorno>> (Abbandono). Il tanto desiderato “oggetto del desiderio” riappare nel sogno: "Io con violenza la palpo/ per accettarmi che sei di nuovo viva,/ nuda tra i cuscini roventi>>. È la forza d’urto dei moti pulsionali; il disincanto lascia spazio alla concretezza del possesso lungo l’alveo di una soddisfazione, sublimata dal vigore di una presenza evanescente: "Aspettavo il momento in cui adornavi/ il crepuscolo malandrino e complice, ed accettavi il lento brusio dell’abbandono>> (Sogno). Il varco si apre per modellare l’animo del Poeta, che vive l’esperienza dell’Invisibile, non assimilabile a nessun’altra esperienza, se non a quella dell’afflato sincero della Poesia.
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CARLO DI LIETO ====
*Questa nota critica è stata letta il 10 Dicembre 2024 al “Clubino” di Napoli, via Luca Giordano 13. Sono intervenuti: Maurizio Vitiello, Antonio Spagnuolo, Rita Felerico, Mario Rovinello, Carlo Di Lieto. Cfr. N.Vitali, Spagnuolo l’Illuminismo amoroso, “la Repubblica”, 14 Aprile 2025.

lunedì 14 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


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Antonio Spagnuolo: "Ore del tempo perduto" Edizione anastatica per La valle del tempo editrice - (1953) = 2025 pag. 76 - € 12,00
(una riflessione di Rita Felerico)
Nel leggere Le ore del tempo perduto ho attraversato lo spazio e il tempo di Antonio senza imbattermi nei loro confini, roteando leggera nell’atmosfera della sua mente o fra le immagini che il suo stretto legame con la vita creano e anche fra quelle che suscitano le sue parole in chi legge.
Che sia poesia lo si sente e intuisce fin dall’inizio, per la musicalità che aleggia fra le pagine, per quell’armonia che coinvolge magicamente il corpo e la mente insieme, per quell’ascolto interiore che solo il ritmo delle sue parole poetiche è capace di generare, come in questi versi, dal titolo Zefiro : “Sospiro del verde / nel vento d’aprile i profumi./ Un colore, la luce,/ le gioie:/gaiezze sperdute nell’ansia. Sorrisi,/ boccioli di freschi pensieri,/trepidi occhi anelanti./E la vita,/ un coro d’amore,/ inni nel terso sognare,/ sobbalzi del petto :/sognare, sognare…”
Ho riscoperto la natura, la sua presenza ai sensi ormai sordi ai suoi richiami, vissuta così come Antonio la porge alla nostra sensibilità, con un legame trasparente , spontaneo , non calato da un pensiero strutturato ad hoc per spiegarla, Tra gli alberi è rimasto il tuo profumo - scrive in Solitudine - per ogni foglia fruscia / e negli orecchi/ risento lo strusciar della tua gonna/ fra tronco e tronco, quando rincorrevi/ pure visioni d’una tua sublime/ melodia d’amore… Non c’è differenza fra questi amanti e il mondo e tanto forte è il nodo che li lega allo spazio del loro amore che l’albero degli ultimi versi si china alla nostalgica sofferenza del poeta piegando la cima al vento.
La natura colora i risvegli, le ore dei giorni, le passeggiate romantiche, i baci appassionati, è una natura avvolgente, che si incarna nella sensualità e nel desiderio del corpo che vuole cantare l’amore : una poesia di gesti quella di Antonio, dei quali oggi abbiamo perso memoria. Correre nei campi come il polline sulle ali di una farfalla, suggerisce, raccogliere le dolci cose / come le rose e i fiori/ che tornano a terra quando non c’è sole..o rubare al mare i suoi segreti o raccontare agli uccelli il divenir del giorno.
Ci parla con la mente e il corpo Antonio, perché è così che si intreccia la relazione fra noi e l’altro, fra noi e la natura, fra noi e noi, un rapporto che Antonio non vive come conflittuale, bensì come momento dialogante; è serenamente in ascolto per ideare messaggi per nuove parole, per nuovi linguaggi di comunicazione, che trasformano nel gioco poetico le foglie, le pietre, la luna, il respiro che muove il seno dell’amata.
E’ qui che risiede la vena sottile di poesia riconosciuta da Saba , quei simboli che si materializzano nelle sillabe, come note di una musica che Antonio possiede e che desidera condividere con noi. Da qui il bisogno poetico, da qui la necessità della poesia. Nella prefazione – che considero un breve saggio - ritrovo tutta l’inquietudine del vivere e la risposta poetica che Antonio oppone. Chi siamo oggi non lo sappiamo, persi e dispersi in dimensioni virtuali cosparse di violenza, dove una ritrovata naturalezza costa fatica, come fatica è quando ci si incammina per ritrovarsi, mutare e compiere scelte.
Per me – per altri possono suonare altre note o atmosfere - leggere le sue ‘ore perdute’ mi ha fatto ritrovare immersa negli anni ’50 ’60, quando ancora la corsa verso un senso delle cose e della propria esistenza si intraprendeva con la consapevolezza di possedere alcuni valori da utilizzare come strumenti di sfida e di lotta per conquistare nuovi orizzonti. Oggi non è così. Ho respirato con Antonio tanti antichi amori, familiari, amicali, fraterni che reggevano in quegli anni opponendosi al conformismo di una società che già si stava avviando verso la sua fine, senza nessun paracadute di difesa. Sboccia tanta tenerezza e nostalgia per quel pizzico di umanità che non si possiede più, utile a non andare oltre, ovvero verso il confine di un vuoto nel quale si può sprofondare.
E allora la poesia è necessaria, incastonata in un contesto che fa dire ad Antonio: “Il poeta in effetti possiede le capacità per un’indagine speculativa che poggia sempre sulle esperienze del vissuto, quasi come ricostruzione del simbolo della rinascita, per sprofondare nelle spire dell’amore, negli inganni dell’illusione, nel terrore della guerra, nel sussurro dell’infinito, nel tentativo rovente di allontanare la morte, individuando in anticipo il rapporto fra eros e thanatos”.
In un libro - pubblicato da Neri Pozza - Perché i poeti- La parola necessaria, l’autore , Eugenio Mazzarella, inizia la sua riflessione a partire da una conferenza di Martin Heidegger del 1946, dal titolo Perché i poeti, dove il filosofo di Essere e Tempo si confronta con il dire dei poeti e questo segna il passaggio dall’analitica esistenziale alla riflessione sul senso dell’essere ,come evento del linguaggio custodito nella poesia.
La verità dell’essere come verità di parola e della poesia come istituzione linguistica del mondo. Oggi che assistiamo ad un perseverante distruzione della ragione giuridica che impedisce una protezione dei diritti umani e della dignità della persona, dobbiamo ricercare attraverso la poesia e l’ agire artistico quello che il nostro filosofo, Aldo Masullo, definisce un arcisenso. Ovvero un modo per affrontare e leggere, per superarla, la scissione, ineliminabile e dolorosa, fra eros e thanatos, fra desideri e realtà. Ovvero abbracciare uno stile di vita poetico che superi la ferita di una solitaria incomunicabilità, attraverso i gesti, la musicalità e il respiro della ritrovata parola, un modus di essere che Antonio ci suggerisce in queste ore, che indicano la strada che poi ha percorso per raggiungere la sua maturità poetica.
"Pensieri"
Pensieri,
pensieri lontani,
sul sasso corroso dal vento,
tra i muschi,
nel freddo che ghiaccia le gote,
negli occhi.
Pensieri che vanno lontano,
tra nuvole accese di sole,
tra foglie cadute, tra rami.
Pensieri,
che vengon da antiche visioni,
da ricordi del tempo,
da fiabe di piccoli bimbi,
da urla di guerre,
da teme di sangue.
Pensieri di vuoto,
Pensieri di gioia,
pensieri che il nulla sostiene,
che nulla distrugge.
Pensieri che vanno lontano,
lontano nel mare,
chissà oltre il mare,
laddove finisce
la terra ed il cielo.
C’è tutto l’io lirico di Antonio in questi versi, un io lirico che si affinerà nei suoi scritti successivi ma – per dirla con Leopardi – resterà fondativo, accompagnandolo nei suoi attraversamenti. Lo dice nella prefazione parlando delle sue ricerche linguistiche, di stile, che ha sperimentato ed esperito nei processi della sua vita da poeta. Questi versi di ore sembrano chiudere in un cerchio il senso della sua poesia, intesa come parola apprensiva del mondo, depurata, che nel cammino della sua verità ha perso inutili volute, lasciando andare il superfluo per ricongiungersi a quel battito interiore che custodisce la vita. Quel fenomeno – in senso greco – che appare, si fa vedere e che possiamo conoscere solo con i nostri sensi , con la poesia, che non è tecnica, costruzione, genere. Antonio in questa sapienza è Maestro.
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RITA FELERICO

giovedì 10 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = EDITH DZIEDUSZYCKA


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Marco Tabellione: Recensione a "Ritrovarsi" di Edith Dzieduszycka - Ed. Passigli
Si apre con un riferimento al tempo e al rapporto con il tempo, la raccolta "Ritrovarsi" di Edith Dzieduszycka, affidata ad un lungo prologo in versi dove emerge il senso dell'attesa e dell'approdo ad un limite. Un lungo poemetto dove l'attesa diventa in qualche modo una resa consapevole alla morte, e forse di più, allo svelamento del segreto che la morte detiene. Ma soprattutto ciò che si concretizza in queste battute inziali è un grande omaggio, tra rispetto e angoscia, all'inesorabilità del tempo che passa, al consumo letale dell'essere che non può impedirsi di correre verso il nulla. Quando alla fine del poemetto la poetessa si descrive mentre guarda "quel dito sul quale si è deposta, velo di polvere, un'ombra impercettibile”, non fa che ribadire definitivamente una sentenza inappellabile. Le poesie successive, brevi e incalzanti, nascondono una specie di ansietà, di tensione, il desiderio di nuove frontiere, di una liberazione, l'approdo a scenari mai visti, esperienze mai vissute. Oppure i versi aprono paesaggi dismessi, incerti, quasi lugubri, spazi che parlano di dubbi, di speranze fallite; tanto che viene da chiedersi come la poetessa riesca a tenere insieme sentimenti tanto contrastanti.
Così da un lato l'autrice impone a sé stessa di non illudersi, dall'altro si auspica di poter varcare confini e barriere. C'è un mistero che tormenta, un enigma da sciogliere che ricorre in ogni verso e che si accompagna con l'idea di un destino ineluttabile, e la scoperta che la strada che percorriamo non è il risultato di una scelta. Tuttavia rimane la meraviglia, lo stupore incantato, che mai viene meno di fronte al mondo e alle cose, come in questi versi: “Nel sogno evadi / passeggiate per boschi / foreste e valli / Nastri d’argento / slanciati verso mare / frementi fiumi / Paesaggi ignoti / meraviglia ‒ stupore / mute scoperte / Ad occhi chiusi / ti perdi ‒ ti ritrovi / all’infinito”.
Le liriche parlano di frontiere, limiti, orizzonti che però non chiudono, ma aprono a mondi che tuttavia restano segreti. In fondo a questi versi, tuttavia, una relazione emerge chiara e coraggiosa, il rapporto con la fine, che però non è mai una fine. Anzi, a volte, un desiderio di ribellione sembra percorrere i versi, come una rabbia incontenibile, magari trattenuta in un solo attimo, però energica, immediata. Poi, verso la fine della raccolta, le poesie, tutte rigorosamente di dodici versi che alternano trisillabi o quadrisillabi, cominciano a denunciare un affievolimento di intendimento, di ascolto, di comprensione.
Come la poetessa stessa riconosce in alcuni passaggi, tutto rimane sospeso tra veglia e sonno, in un sogno non ben distinguibile. E poi sul confine labile del conosciuto ecco che si profila l'altra voce, forse il compagno di una vita, un barlume di ritorno; tant'è che emerge in tutte le poesie l'immagine di un'anima stretta da due morse: da una parte la vita con le volgarità di una contemporaneità che si rivela sotto forma di immagini tetre a volte ripugnanti, dall'altra un oltre che ha di certo solo una fine, anche se non si sa se sarà l'unica. Eppure, come evidenzia l'ispirata lirica finale, l'orizzonte che si profila davanti, inevitabile, sembra poter diventare il limite di un sogno migliore: "Immota aspetti / dell’usignolo il canto / sull’alto ramo. / Qualcuno ha detto / che l’alba non è morta / spunterà ancora. / Dietro la linea / dell’orizzonte vuoto / sta la risposta. / Prima del varco / nessuno la conosce / segreta stanza".
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MARCO TABELLIONE

ROMANZO = CARMELA POLITI CENERE


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Carmela Politi Cenere: “Raccogliemmo more su per la collina”- Ed. Homo scrivens 2025- pag. 148 - € 15,00
Abile manovratrice della penna, ricca di per se di un bagaglio culturale policromatico, Carmela Politi Cenere stempera, con delicatezza e con appassionata ricognizione dei segreti del nostro inconscio, un romanzo che ha alcune sfaccettature variegate per incisioni nel quotidiano e incursioni nel sottofondo filosofico.
Angelina e Totonno sono i due personaggi principali di questa avventura che si stempera fra il verde della collina di Posillipo, un sito affascinante della Napoli lussureggiante, nei primi anni del trascorso novecento.
La fanciulla “custodiva nel suo cuore il segreto di un sentimento appena nato, puro, appassionato, che le permetteva di guardare la vita con la consapevolezza della totale realizzazione dei suoi sogni”.
Tenera, tra le prime pagine, la descrizione della incertezza mal celata dalla fanciulla per una discutibile “fuitina”, capace di mettere al sicuro il matrimonio contrastato con Totonno, ma acerbamente placata dai dubbi morali che affollavano il suo cervello.
La capacità dell’autrice di impossessarsi degli attimi che attraversano il quotidiano andazzo tra la madre Minicuzza e la giovane protagonista sono qui elaborati con la duttilità di chi sa porgere i fotogrammi di incontri, avvenimenti, suggestioni, improvvisazioni, discussioni, titubanze, nello svolgersi di comportamenti etici che nello scorso secolo erano inviolabile codice, e riferire tutti quei modelli che lasciavano vedere figure saldate alla tradizione e pur desiderosi tacitamente di svincolarsi.
Mentre la storia prosegue spedita sotto il sole di marzo, che gioca coi capelli splendenti dei due giovani, si alternano descrizioni di avvenimenti popolari come il frastuono del mercatino festivo in zona collinare e la rumorosa processione per Sant’Antonio o le diatribe e i dibattiti fra consanguinei, o ancora la compartecipazione ad un felice parto gestito dalla “vammana” amica.
Tratteggia con fervore la dolcezza che si sprigionava tra i due giovani innamorati, l’impegno di Don Gerardo per appianare i divieti, le promesse impensabili per realizzare l’impossibile, il trascorrere dei giorni che diventavano sempre più arditi, la dissenteria improvvisa per ‘Ngiulinella, lo stato sociale che al momento contava più dell’amore e della serenità, ed in fine una serena conclusione tra le mura di Milano, alle soglie di quella famosa guerra 15 - 18 .
Tra queste pagine di Carmela Politi Cenere il tocco della fede e della morale va interpretato emotivamente nel fervore che i personaggi elevavano nel tempo andato, qualcosa che dal linguaggio ordinario sfocia in risonanze realmente struggenti sia per sentimenti inespressi che per atmosfere che sembrano atti ipnotici.
Scrittura composta e meritevole di attenzione, sempre capace di cogliere quello stile che abbraccia un’ottica ritmata e concreta.
In appendice il volume si completa con l’aggiunta di undici pagine del capitolo “La stanza dello scrittore” in ricordo dell’amico romanziere Domenico Rea, nel ritmo di un sentimento caldissimo.
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 9 aprile 2025

RIVISTA = KENAVO'


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E' in distribuzione il numero di Marzo della brillante rivista Kenavò, realizzata e diretta, con la severità dovuta alla ricerca di una scrittura limpida e aggiornata, da Fauta Genziana Le Piane. Firmano questo fasccolo: William Butler Yeats, Paolo Carlucci, Fausta Genziana Le Piane, Manuela Marziale, Antonio Spagnuolo, Clara Di Stefano, Giuseppe Toccanelli, Rosario Napoli, Maria Rosa Catalano, Massimo Pirozzi,Elisabetta Tassi,Riccardo Renzi,Aurelia Rosa Iurilli,Francesco Dall'Apa, Roberto Casati, Paolo Ruffilli, Mariagrazia Finocchi, Lidia Popa,Valerio Mattei, Damiano Rica, Elio Camilleri, Enrico Fincchiaro. Allegato un inserto firmato da Fausta Genziana Le Piane per la scrittrice Anna Gadalva, "recente fenomeno letterario francese". -- Per informazioni : faustagenzianalepiane@virgilio.it =

POESIA = LAURA ALTAMURA


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"I"
Opaco l’attorno delle viscere
nel corpo anoressico d’amore.
Le mie rovine a picco nella striatura
del muscolo si fanno ossa cave, senza volo. Adesso che il bisturi è rasoio, immediata
la parola si volge anemica.
Mi cammino più in là dalla mia testa, nel Purgatorio.
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"II"
M’appaiono angoli di primule
e portici
ronzii profondi di carezze.
Una malinconia muta, quasi una presenza incontenibile,
stupore d’ alba intrecciato tra i capelli,
laccio di fieno sottile: è la vertigine della fioritura.
Si vive impigliati tra corteccia e germoglio,
il tempo maturo, che è stato
il tempo che cresce, irrigato.
Le labbra d’erba umide del mattino.
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"III"
È una mano di medusa a rimestare
le conchiglie nel retino.
Pesci, alghe, salsedine, tutto fuori
fuoco.
I tentacoli riesco a vederli sgranati,
stringere gli occhi come si fa con le ferite suppurative,
a gocciolare pixel che presto il sale
avrà medicato.
Nel guscio il nacre del mio dolore si fa tondo, si fa perla, si fa pianto.
Dimmi tu dove trovo i tuoi resti,
se nello stomaco della balena
o nel flash d’un abbaglio.
Per scontare la pena c’è tempo.
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LAURA ALTAMURA

venerdì 4 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = PAOLO PARRINI


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“Un lunghissimo addio” di Paolo Parrini (peQuod, 2024 pp. 66 € 14.00) abbraccia il doloroso congedo e la prolungata accoglienza dell'esistenza, circonda, con uno stile maturo e consapevole, la profonda riflessione personale intorno al tema originario del distacco, alla ricorrenza crudele delle separazioni. Paolo Parrini innalza l'invocazione struggente che risuona lungo l'intensità discreta e raffinata dei suoi versi e diffonde la coscienza dell'addio, nella forma più rappresentativa, consolidata nella natura umana, oltrepassando la paura della perdita. Richiama alla memoria la ritualità inevitabile e imprevedibile dell'abbandono, la narrazione sfumata e indistinta dell'orizzonte dell'epilogo, raccomanda la vocazione affettiva a congiungere e conservare le relazioni emotive, come un'eredità spirituale e realistica orientata alla necessità di ricevere il dono della vicinanza, la protezione e il conforto dagli affetti più cari, amplifica il patrimonio struggente dell'autobiografia per analizzare la responsabilità immanente delle esperienze. Riveste la corrispondenza essenziale di ogni accompagnamento temporale di solitudine e di cambiamento, nella possibilità preziosa e ispiratrice, di raccogliere l'inclinazione unica e meravigliosa di ogni omaggio sentimentale salvifico e inestinguibile. L'autore definisce un tempo intimo e simbolico, utile per rafforzare la traiettoria evocativa di luoghi, ricordi e persone, contempla la capacità inattesa e miracolosa della transizione, nella realizzazione e nella conservazione dell'identità personale, l'attenzione commovente alla gratitudine delle radici. Comprende la necessità di assimilare la solidarietà sicura e rassicurante dell'equilibrio sensibile, nello sguardo infinito sulla dimensione pacifica e silenziosa della salvezza, nella presenza segreta e familiare, solida e positiva, in un contesto, sempre incantevolmente poetico, dove la fortezza dei legami stabilizza il confronto con il mondo e lascia alle spalle la vulnerabilità degli impulsi. La poesia di Paolo Parrini immerge il senso del vuoto e della fugacità nel coraggio di un persistente e immutabile insegnamento morale, lascia parlare la speranza e interrompe l'inquietudine delle aspettative con la beatitudine dell'anima, affronta l'ineluttabile e imprecisa oscurità delle incertezze, lo stupore brumoso del turbamento, l'inganno infranto della dimenticanza. “Un lunghissimo addio” arriva al lettore come una destinazione restituita al di là di ogni circostanza terrena, oltrepassa l'interminabile rinvio di ogni distanza fisica, rintraccia la scelta del cuore in ogni percorso della vita, adotta il vincolo del destino per accogliere la desolazione e gestire la malinconia della separazione. Paolo Parrini educa alla significativa e rispettosa bellezza della fine, all'accettazione estatica della sospensione, all'incolumità inattaccabile della consolazione, all'alleanza per una crescita umana e per la continuità. Accetta di cambiare sguardo sulla vita e sulla morte, di affrontare le avversità e non temere la dissolvenza, estende, con la delicatezza dei suoi versi, la ragionevolezza e la saggezza, promuove l'umanizzazione della cura e la dimensione spirituale di un linguaggio che accorda la debolezza e la sofferenza dei nostri affetti verso la rinascita, attraverso l'esempio di vita di chi, accanto a noi, restaura il bene, l'amore incondizionato che è misura di tutte le cose, il percorso interiore di rinnovamento di chi resta ad aspettare.
RITA BOMPADRE
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TESTI SCELTI
°
Ti ho visto scendere le scale
il marmo rosa scivoloso e freddo.
Alla vetrina la tua ombra
era bambina, lo sguardo
acceso dei giorni belli
poi d'improvviso ecco la sera
la tua poltrona vuota,
il passo non risuona.
Allora capire quanto tutto
si dilegui,
come sia bello stringerci forte
prima del niente,
prima della morte.
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°
In questo nero
che soffoca il celeste
mi basta un sorso d'acqua
un prato tagliato
da annusare.
Qui perdersi
scivolare.
Sono i segnali d'un amore
spento,
quello che resta graffia
come una spina di rosa.
E lascia ferite arrossate
e un battito malato
del cuore.
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°
Senti?
Suonano campane a festa
i fiori alzano la testa
e tacciono i grilli d'improvviso.
Quante sere come questa hai già vissuto
dentro coni di luce
e dolci melodie.
Ma oggi splende un sole nuovo,
il verde del campo è più verde.
Le nostre mani si intrecciano,
raccontano la vita passata,
sono splendide le dita
a indicare il tempo che verrà.
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°
Si muore rendendo il respiro
gravitando nell'aria
pieni di terra
e tra gli occhi
un solco fatto lieve.
Si muore per rinascere
diversi
persi tra un sospiro
stanco
e un cielo grigio
là dove migrano le rondini
e i rami degli alberi
si aggrappano alle nuvole.
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°
Chiudere gli occhi vorrei
tra il giallo dei fiori
e questo vento leggero
che porta gli odori del mare
e mi consola il cuore.
Giacere su questa panchina
odorosa di umanità
tra questi archi fatati
forse avrà pace il mio cammino.
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