lunedì 22 luglio 2024

POESIA = FRANCESCA CASTELLANO


**"Cammina"
Ti regalo
un pezzo di vita,
cammina,
cavalca, sul dorso di questo cavallo,
ché nel ventre di un mondo
che ti ha concepito
era già scritto:
=
dovrai imparare a camminare due volte,
e la seconda
sarà più difficile.
***
"Memorie"
All'angolo di un letto
tremante, paurosa
mi faccio memorie
ricordi di un tempo
come foglie d'autunno
squassate dal vento.
Solco sentieri,
nuove gallerie lungo la strada,
mi faccio memorie
ricordi di un tempo
sbiaditi,
annebbiati,
affossati.
***
"Il volto del mio sentimento"
Non voglio imparare a ballare,
voglio imparare a camminare,
con la stessa cadenza della pioggia
nel turbolento temporale.
=
Fradicia e spoglia da ogni mascheramento
immagino una goccia scendere,
che danzando sul petto rivela il mistero:
eccolo, il volto del mio sentimento.
**
Francesca Castellano

domenica 21 luglio 2024

POESIA = NINO VELOTTI


"SONETTO DELLA SOLITUDINE"
Infissi rotti e dissociate cose
da levare, vivacchi ormai da solo
nella casa oltre il prato senza un volo
di voci umane tra irte care cose.
Le lampadine pulsano inesplose
- per sbalzi di corrente? Non sei solo.
Ci sono le tue gatte, c'è uno svolo
di luci dentro e fuori già le rose...
Sempre da solo tra questi scomparsi
cospetti nelle stesse ossa dislochi
la mente: pensi a una fossa comune
- con gli animali, in eterno! -, altre lune
desideri crescenti, altri füochi.
Cambiare casa oppure. Rinnovarsi.
**
"L’AMORE CHE PRESERVI"
Dalla stampante in disuso Nerina
La mia gatta allo schermo già s’affaccia
Della portafinestra, in una caccia
D’ali improbabile attende in panchina.
Tra grovigli di fili poi bambina
S’infratta sotto la scrivania, erbaccia
Finta, lucertole immagina. Impaccia
Il computer antico, qual rovina.
Si preserva l’amore, mentre suoni
Ovattati dal vetro nella stanza
Vanno come subacquei. In una boccia
Si è, come pesciolini rossi, e sboccia
La nostalgia al balcone della stanza.
Nostalgia del tuo prato e d’altri suoni.
*
Nino Velotti
********
Nino Velotti vive e lavora in provincia di Napoli. Docente di lettere, ha esordito giovanissimo con la raccolta di versi Giardino di Pésah (Edizione Del Giano, testi scelti da Dario Bellezza, 1991, Roma, Premio “Nuove Lettere” e Selezione Premio “Montale” 1992); sempre di poesia nel 1998 ha pubblicato Quadernetto d’amore (Il Laboratorio/Le Edizioni, Napoli), mentre di narrativa Pinocchio 2000 (Fabbri Editori, 1995, Milano) e La T-shirt bianca e altri racconti (Mondadori Education, 2003, Firenze). Cresciuto in una famiglia di musicisti, suona le tastiere e ha realizzato vari dischi. Nel gennaio del 2017 è ritornato alla poesia pubblicando con La Vita Felice di Milano Sonetti per immagini, una raccolta di cinquantadue componimenti nella struttura del sonetto classico accompagnati da immagini di vario tipo. Nel 2022 ha pubblicato con Armando Curcio Editore il libro fantasy Le magiche avventure di Ruggià, composto in terza rima. Attualmente continua a scrivere “sonetti per immagini”, che raccoglierà in una nuova silloge.

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


"Alessia e Venere"
Sottesa al lucore della notte di marzo
notte di pace occidentale
nel rasentare la mente azzurra il mare.
Alessia con le tasche piene di sogni
felici attende Giovanni
sulle ali del vento fino allo sguardo
all'isola che ancora esiste e resiste.
Alessia felice e ancora vergine
nel toccare Venere con gli occhi
ha scelto mutandine nere per piacergli
e profumo di fragola per il tempo
nel tempio della gioia.
*
Raffaele Piazza

venerdì 19 luglio 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

ANTONIO SPAGNUOLO:“Futili arpeggi" Ed- La valle del tempo 2024 - pag. 120 - € 14,00
Ho tra le mani l’ultima raccolta di poesie del maestro Antonio Spagnuolo “Futili arpeggi “ il cui titolo mi ha suscitato fin dal primo momento una certa curiosità. Secondo me, è un paradosso furbescamente voluto dall’autore per costringere il lettore a leggerlo. L’aggettivo ‘futili,’ che solitamente si usa per definire qualcosa di poca rilevanza, se non inutile, si accompagna infatti al sostantivo ‘arpeggi’ che richiama invece alla maestosità e alla dolcezza del suono di un’arpa. Nulla di più sublime nel meraviglioso mondo della musica. Armonia pura prodotta da uno dei più antichi strumenti a corde, specie se viene suonato dalle mani leggere di una brava musicista. Introduce la raccolta lo stesso autore, non con una prefazione, ma con una serie di domande sulla poesia che pone a sé stesso e di conseguenza ai suoi lettori, cercando di dare delle risposte personali molto interessanti, sul perché ancora oggi, in un mondo così violento, superficiale e qualunquista, si continui a scriverla. Da millenni l’uomo si pone le stesse domande senza trovare però risposte esaustive ed universali. Le risposte che l’autore ci dà sono disarmanti, sincere ed estremamente semplici. Per lui la poesia è soprattutto musica. Ma non solo, perché la sua poesia è colore, è fuga da un presente che non appaga; è strumento per portare alla luce il mondo dei ricordi, per riaccendere sentimenti, per stimolare ancora una volta la creatività che urge nell’anima.
Quindi per Spagnuolo la poesia è musica! Una musica che nasce dall’anima e si fa canto per dire, per dirsi, per esprimere ciò che sente, per dare corpo alle emozioni, ai sentimenti, alle esperienze, ai ricordi di un vissuto che, come per ogni persona sensibile, è fonte inesauribile da cui attingere ispirazione. Una musica che non è fatta di note, ma di parole, di una moltitudine di parole che generano immagini. Si scrive poesia, perché per il vero poeta non è possibile un modo diverso per dire al mondo:” esisto con tutto il mio portato di sentimenti, di riflessioni, di conoscenze.” E’ infatti il suo mezzo elettivo per mettersi in sintonia con il mondo, per comunicare, per dare corpo e sostanza alle emozioni, per cercare al di là del tempo e dello spazio altri con cui condividere il suo pensiero, a prescindere che sia gioia o dolore, sia estasi o tormento. Un messaggio di speranza pertanto che supera i limiti della morte.
La poesia ha bisogno di accoglienza, di fusione, di comprensione e di completamento nelle emozioni che suscita nei suoi lettori. Ha bisogno in sostanza di completarsi nel sentire emozionale di un altro. Il poeta crea i suoi versi perché li vive interiormente. E’ infatti il suo Ego interiore che li produce, talvolta quasi inconsciamente. Nasce spontanea da un attimo emozionale che coglie: un tramonto, un sorriso, talvolta anche solo il riaffiorare di un ricordo, un brivido improvviso, capace però di obbligare i sentimenti a rivelarsi, a generare pensieri, riflessioni, parole, una moltitudine di parole che a loro volta creano immagini, colori, suoni, per mostrare al mondo l’universo che il poeta possiede. Non servono parole dotte, non servono roboanti citazioni, bastano la sincerità, la semplicità, la passione e quel quid creativo che è il dono stupendo che madre natura ha fatto ad alcuni eletti. Ecco allora che l’Ego poetico si rivela nella sua maestosa pienezza.
Questo mi ha mostrato la sua colorata raccolta. Il poeta non può fingere, sarebbe come se mentisse a sé stesso. Si possono raccontare tante fandonie nella vita, ma mentire a sé stessi è impossibile, è un atto innaturale perché la poesia è verità. La verità del soggetto che la scrive, per questo ha una funzione catartica in chi la scrive e in chi la comprende, infatti riesce a sciogliere e superare i nodi gordiani del dolore che ognuno di noi vive.
La poesia è magia perché riesce a ridare vita a chi non c’è più fisicamente, ma che è ben presente nell’immenso bagaglio di memoria del poeta. La poesia si nutre del passato perché è consapevole che nulla è più effimero del presente. Infatti il presente, fatto di attimi, è solo il tempo fugace che provoca e accende l’emozione, quello che ha il potere di far tornare alla memoria ciò che è già stato ed è rimasto stratificato nell’anima. Ma quanto dura il presente? Troppo poco purtroppo. Superato l’attimo, subito dopo si trasforma in memoria. E il futuro? Il futuro è solo una speranza senza materia, specie se chi scrive poesia è avanti negli anni. La poesia è sincerità, ecco perché da sempre ha suscitato l’interesse degli psicanalisti. L’anima del poeta si mette a nudo e si rivela al mondo.
Le analisi dei dotti, degli specialisti, degli psicanalisti vengono sempre dopo e per quanto raffinati, puntuali, sottolineano e analizzano ciò che è già stato scritto, non creano, non aggiungono nulla alla poesia. Sembrano tanti anatomopatologi che con un bisturi sezionano parola per parola, alla ricerca di ciò che l’inconscio del poeta ha voluto dire. Non capisco, confesso, il perché di tutta questa fatica, quando, spontaneamente è il poeta stesso che si rivela al mondo con la pienezza delle sue immagini, con la ricchezza delle sue parole, con il pathos che i suoi versi hanno saputo creare e trasmettere. Chiedo scusa al grande critico Carlo di Lieto che nella raccolta è presente con un lunghissimo e complesso saggio critico sulla poetica dell’autore. Un trattato che analizza il rapporto poesia/ psicoanalisi. La bellezza di questo ultimo libro sta proprio in ciò che il maestro Spagnuolo apertamente dice con un’immediatezza ed una spontaneità quasi giovanile, in un tripudio di colori e di immagini che si ricorrono per dare corpo a quelle pulsioni che vive nel momento in cui scrive. Un momento magico per la sua creatività, quasi di stupore che trascende le capacità terrene. Ritengo pertanto che tutte le elucubrazioni dotte della psicanalisi siano molto lontane da lui. Tutt’al più la sua attenzione potrebbe essere rivolta alla scelta delle parole del verso perché nell’insieme la poesia deve suonare, produrre quegli arpeggi che solo i virtuosi dell’arpa sanno trarre dalle corde tese. Una ricerca di musicalità e di colore indispensabile per rendere ancora più vivi i suoi ricordi, per renderci tangibili le persone e i luoghi che ha amato e che ama, per renderci partecipi ancora una volta di un dolore che non riesce a trovare in lui un vero conforto, anche perché chi abbiamo amato veramente, resta e resterà dentro di noi vivo, e si avvarrà della nostra vita per parlare, per raccontare ciò che è stato, ciò che ha vissuto con chi ha amato e lo ha amato.
Non un fantasma, ma un essere vero con cui, in un monologo interiore possiamo ancora entrare in sintonia per narrare ciò che vediamo e che sentiamo e a cui dedichiamo le nostre gioie e i nostri incantamenti.
La poesia è proprio come la musica, deve essere letta in piena libertà, centellinando verso dopo verso come se fosse un’ambrosia preziosa, con l’animo disposto a ricevere la sua bellezza e la sua grandiosità.
**
Maria Luigia Chiosi

giovedì 18 luglio 2024

RICORDO = LUCIO ZINNA


**Capitoli di riflessione dedicati al Poeta Lucio Zinna1
Molto spesso la storia (imponente nelle congiunture epocali) distorce la vista sulle essenzialità della ricerca coniugata nell’azione del vivere e passa nascostamente quelle che si disporrebbero a garanzia della continuità esistenziale. (…) In tal senso esorto la mente ad accelerare e a planare sulle retrovie delle azioni in grado di apportare sentenziali cambiamenti o, meglio, svolte che, pur nell’assunta in-obbediente mitezza, persistono a raccogliere elementi che rendono la storia della cultura un’incessante tensione di ribaltamenti cadenzati da riflessioni che non meccanizzino il processo evolutivo-evoluzionistico. La cultura non è negoziabile.
Sembrerebbe essere il territorio marcato da Lucio Zinna – uomo e poeta. Altresì potrebbe riguardare quanti hanno solcato in questi anni le scie silenti di zone sub-conosciute, che non hanno turbato e, anzi, subito il turbamento fino, talora, a strozzare (senza «elidere») la voce di un agitarsi perché la cultura del XX secolo si coniugasse con un osar osare (memoria di Barbey d’Aurevilly) come realizzazione del «saper vedere»2 di Zinna.
(...)
Protagonista tra quanti hanno inciso con una poesia consonantica sul percorso sommativo dell’ultimo quarantennio del XX secolo (spingendosi in là e divenendo presente), Lucio Zinna lascia alle spalle le congetture di una periodica e prosodica forma normativa nell’atto di spingere al familismo dove non riesce a deturpare con una vista affatto nuova le abnormità che escludono l’essere soggetto, sebbene portino in superficie una norma in nome del soggetto uomo. Ma dove trovarlo e, soprattutto, come recuperarlo, se non allungando il passo verso tempeste concitate e affabulate; dietro sussurri fossilizzati nella mal-interpretazione? Come riprodurne congeniali forme che non siano dogma contenutistico, nel cui brandello ci si nasconde per affermare la stortura del mondo, che tale in fondo non è nell’assoluto (se non nella «“certezza” del relativo»3 ) e che inneggia alla sopravvivenza quotidiana in nome di un ideale di concretezza. Un irrigidimento che scalfisce la roccia e placa la tempesta.
(...)
Antropica sostanzializzazione, la poesia di Zinna è in una mutevolezza che non socchiude le porte a nulla e dispone a un’esagerazione dei caratteri propri del «quanto camminare» papiniano, in cui insiste il giudizio inestricabile dagli enigmi che è il parlar converso di poeta: un trattar intorno alla posizione di astrattezza dell’uomo, della sconvolgente conquista del pascaliano concetto di nullità rispetto all’universo.
(...)
Nella poesia di Lucio Zinna tanti sono gli elementi che rimandano a una fenomenia dell’entropismo inteso nell’improbabilità di ritorno, ciò macchiando, in un certo senso, il desiderio innato di una ripresa finalizzata alla correzione. No. Tutto appare concluso, sebbene nell’interno si concimi la poderosa frantumazione ravvisabile in altro. Frantumazione o sbrindellamento occorrenti anche là dove il cesello appaia nella misura di compattezza e solidità, oltre che deciso e intellettualmente capace di coordinazione. E si tratta di una coordinazione che il poeta vive in schemi figurativi per nulla pregiudiziali, entro i quali le movenze sue confluiscono in una mobilità fatta di rimandi, di sinestesia e di sincretismo a collaborare nella complessità e a fertilizzare il campo concettuale, descrittivo, sintattico-semantico, al fine di alludere a una neo morfotonia, nella quale nulla va ad esaurirsi, ma che a occhi abituati a vivere di presenze di superficie sovente sfugge.
(...)
Metonimica nella facoltà comprensiva di presenze tattili e assenze ricorsive, la poesia di Zinna rilascia vitale esistenza nel perturbamento del figurato evocativo, che in genere assiste la comprensione e l’evoluzione stessa della poesia. Nel dato narrabile, al contrario, essa appare tracciato tropico (in svolgimento), sì da legarsi allo scompiglio dell’intelletto nel configurare l’immagine percepita di una realtà. E si tratta di una fermezza che non lascia nulla in trasparenza e che, attraverso la varietà di apallage, nientifica il tecnicismo sarcastico nel quale sovente l’ironia scivola. Di tal specie il rimando è nella struttura anti-fissativa di stile, che segue la vorticosità degli elementi, siano essi presentati o presenti sottoforma – pare assurdo! – di mancanze o eliminazioni: tutto ha valore accrescitivo, poiché nella poesia di Zinna l’elisione è carattere in sé, percezione ottica, appercezione gustativa e attesistica.
(...)
Addensante e moltiplicativa, la poesia di Zinna è compresa da rimandi e colta costantemente nel momento epifanico, quasi accidentale.
(...)
Qui
ove tutto appare accessibile
e vertiginosamente lontano
appare endogena la lateralità
fermenta nel verso
si fa zibibbo e inzòlia
qui
– ove si parte approdando
e salpando si torna –4
=
All’Amico nel sempre. Al Poeta del sempre
*
Carmen De Stasio
****
1 - I brani ivi riportati sono tratti dal Saggio realizzato dalla sottoscritta e intitolato Fattori endo/esogeni nell’Antropoetica di Lucio Zinna, pubblicato sulla Rivista Antologica «Letteratura e Società» n. 59, Anno XX, n. 2, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, maggio-agosto 2018, pp. 29 – 48.
2 - M. Barbaro, L. Benassi, G. Lucini (a cura di), Per il «transrealismo» del pittore Guadagnuolo (poesia inedita) tratto da «Poeti e poetiche 2», Ed. CFR, Piateda (So), 2013, p. 57
3 - Per il «transrealismo» del pittore Guadagnuolo, ibi, p. 56
4 - L. Zinna, Insolarità, in Poesie a mezz’aria, Segrate, LietoColle, 2009, p. 41
*****

martedì 16 luglio 2024

POESIA = MADDALENA STERPETTI

**
"Sospeso"
Millenni. Disordinato sciabordio
vento a ponente
sottile confine tra pace
o strano rimestio d'onda
non placa il cuore
e non vede la sua fine.
Nessuno sa le sue ragioni
nè il suo restare. E' vita
che non conosce morte
e tutto sta nella piega
d'un cuore
che passando accanto
trattiene un sangue d'ombra
d'assenza mai paga
di sè e del suo
selvaggio vivere.
***
"Ode"
Ha il sapore d'incanto
oltre uno stupore
la stella del mattino
che timida attende
il suo sole felice
lascia un cielo coperto
di luce. Ascende
un canto per lei da innammorati
ode sottile di rime
versi, violini
e sguardi che nessuno sa dire...
ma saprebbero cantare di lei
anche voci di amanti
persi nel fuoco
di occhi negli occhi
eppure il volto appagato
rivolgono a lei e lasciano
che sia un desiderio
ad addormentare la pelle
e le bocche mai sazie.
L'attesa di stella e d'amore
apre le porte
e un sogno finalmente
canterà la sua passione.
**
MADDALENA STERPETTI

venerdì 12 luglio 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA EROVERETI


**Maria Erovereti: “Faglie d’assenza” – Ed. Genesi – 2024 – pag. 68 - € 12,00
Minuziosa riflessione, tra riverberi di uno specchio, che molto simile ad una linfa rigeneratrice, compone il pensiero smarrito così come una rappresentazione policromatica nello sgomento della perdita. Un ricco registro di annotazioni che fa da sostegno morale ed emotivo contro il dolore che la perdita della persona cara accende nella spietata vertigine del nulla.
“E tesso parole/ per intrecciare fili/ da propagare intorno/ per ancorarmi al mondo/ per lenire l’assenza./ Tesso parole/ per soffocare la pena/ e alleviare il vuoto./ Parole come balsamo/ che respirino l’animo.” Così si compone una raccolta di poesie dedicate all’amica Adonella Marena, donna dal moltiforme ingegno che ha saputo legare a se centinaia di persone, in situazioni diverse e in occasioni culturali di notevole impegno.
Il grande dolore corrode per la perdita e suscita emozioni che si elevano superbe sino a toccare le corde più sensibili della poesia.
Nell’universo immenso del mistero Maria Erovereti affonda il suo sussurro, tra rami che sperimentano contemporaneamente la luce ed il buio, la caducità iniqua ed il tentativo di raggiungere tremori per comunicare con il cielo.
Ella rincorre ancora la figura confidente, la cui presenza non è più avvertita nel corpo senza vita, ma diffusa come energia ancora viva tra gli spazi che hanno dato vita all’intimità. In tal modo le liriche cuciono un tragitto che parte dall’improvvisa conoscenza della malattia e si stemperano nella condivisione del dolore attraverso gli scatti tinteggiati della memoria. L’impatto emotivo è disarmante perché il tutto è compreso nella finezza espressiva e musicale di questi versi, che rappresentano anche una sintesi di un percorso interiore maturato tra la solitudine, il silenzio, il raccoglimento.
“Coltivo la mia fragilità/ che smorza l’effluvio di glicine/ in questa primavera spenta/ punta dal ricordo/ di chi colmava giorni di sole/ di chi colmava giorni malati."
“Ma pur consapevole che la morte s’è presa Adonella- scrive Silvana Sonno in postfazione – la sente vibrare nell’aria, nelle cose che ama, nello sguardo che si posa su un paesaggio e ne fotografa la vita, ne raccoglie il messaggio, come una presenza. Per questo continua a scrivere per lei e di lei come chi sa che le parole curano i mali dell’anima e sono l’unico ponte che offre una possibilità di congiungersi allo spirito eterno che è soffio di vita e riscatto di morte.”
Scrittura decisamente omogenea per tematica e per stile, ricca di quei valori che oggi sfuggono al personaggio distratto ma che sono in queste pagine ben definiti in una esperienza poetica totalizzante.
*
ANTONIO SPAGNUOLO