martedì 29 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


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Antonio Spagnuolo e “la ricerca del Tempo ritrovato”*
Antonio Spagnuolo è un raffinato poeta, che da oltre mezzo secolo, è sulla scena nazionale e internazionale, con una sua cifra personale e inconfondibile: esordisce nel 1953-1954 con due plaquettes: Ore del tempo perduto/ (Milano, 1953) e Rintocchi nel cielo (Firenze, 1954). La linea di svolta nella poesia di Antonio Spagnuolo avviene nel 1980, quando il poeta cerca e trova uno snodo decisivo al suo linguaggio, nell’ambito della poesia post-sperimentale.
Le diverse aree della sua ricerca, venute alla luce tra i post-ermetici, si connotano, attraverso esiti psico-linguistici. "Attraversando due generazioni poetiche, scrive Mario M.Gabriele, ne La parola negata (Rapporto sulla poesia a Napoli) (2004), quella ermetico-neorealista e quella della Neoavanguardia, con qualche eccezione e partecipazione a mostre di poesia visiva, si è sempre tenuto nei limiti della chiarezza poetica e lontano dalla suggestione plurilinguistica degli avanguardisti, gestendo un proprio vocabolario medico-scientifico e novecentesco, per denunciare, metaforicamente, gli aspetti esistenziali, fino ad immettere la poesia in un probabile e ipotetico oltre".
La sua attitudine al “sezionamento sperimentale” della parola, che Mario Pomilio definirà “pre-logica”, dà vita a forti emozioni alla scena onirica.
Dopo le ultime suggestioni della stagione neorealistica e le audaci posizioni del Gruppo 63, Antonio Spagnuolo lascia alle sue spalle queste esperienze, per tentare una strada del tutto personale, senza subire influssi o condizionamenti di sorta. Distante da ogni sperimentalismo e dal simbolismo ermetico, Giovanni Raboni, scrivendo la prefazione a Graffito contro luce (1980), coglie le lacerazioni, che sono alla base del suo mondo poetico, i cui fermenti e la poetica della parola trasmigrano nel “difficile equilibrio tra i due estremi” del simbolismo e dell’ermetismo, "garantendone […] l’unità di senso – come oggetto segreto e profondo, come metafora delle metafore", come rileva Dante Maffia, ne La poesia italiana verso il nuovo millennio (2001).
Il poeta rifiuta "una sintesi vincolante, sul piano del linguaggio come su quello del senso", scrive Alberto Asor Rosa, ed è vero che "si tratta di aggregati linguistici particolarmente sofferti e posti in uno stato di irreversibilità perenne rispetto alla fluidità delle ricordanze", così come rileva G.Battista Nazzaro. Ciro Vitiello, in modo illuminante, definisce la peculiarità di questa poesia nella dimensione della conoscenza e della sua “fonte originaria di bellezza”.
Umberto Saba, con una lettera del 1953, riprodotta in ristampa anastatica, in Ore del tempo perduto, La Valle del Tempo, 2025, scrive: "Le dirò che c’è davvero nei suoi versi una vena sottile di poesia e una attenta e collaudata ipotesi di ricognizione che si fa sentire ai quasi tutti i componenti di “Ore del tempo perduto”. Un tenue abbandono, a volte lucido e raziocinante, acquista la capacità di svelare anche la memoria dei simbolo". Questo testo anastatico è un antequem, della poesia di Spagnuolo, una precondizione ineludibile della sua declinazione successiva. Il poeta nel chiarire il suo concetto di poesia e, implicitamente, la sua poetica, scrive sapientemente: "Ritrovare il primo volume che più di settanta anni addietro, con l’inaspettato avallo del grande Umberto Saba, ha dato il via alla mia scalata affannosa verso le vette del Parnaso, è stato come inseguire nel sogno quelle ondulazioni che trasmettono trepidazione per la loro evanescenza, che dal palpabile si accosta al chimerico.
Sfogliare brani scritti all’età di ventidue anni e confrontarli con le pagine nelle quali oggi scorrono i miei versi è stato uno scoppiettare tinteggiato di incredulità, verificando l’evolversi della creatività per una scrittura che agognava sin dal principio una corretta ricerca della parola".
Così prosegue: "Nulla cambia nell’inconsapevole rivoluzione dell’inconscio, passo dopo passo nel rigore dell’esplorazione di quelle emozioni che tingono di rosso la parola, e non sopporta limiti o limitazioni, etichette o programmi, là dove viene ricreato l’ideale che aggrega e coinvolge in vertigine. Mentre il corpo nomina la propria presenza, sulla scena del mondo pur sempre densa di ombre, […] la mente evoca il tempo che trascorre, per rincorrere le sfumature di emozioni nell’incrociare il mistero delle pulsioni e sedurre indecisioni e turbamenti. I fantasmi che quotidianamente la memoria insegue sono improvvise illuminazioni che il nostro cervello accetta nel segreto dei ricordi, incasellati disordinatamente nel segreto scrigno del buon senso, o semplici armonie che ripetono il ritmo delle scansioni come coaguli della compartecipazione".
Il percorso emozionale della poesia di Spagnuolo ha un andamento di una riemersione inconscia; il magico soffio vitale della sua ispirazione disvela il rimosso, nel ritmo magico della musicalità del verso di una “tappa dell’informe che cerca la forma, del caos che cerca l’ordine, dell’impossibile che cerca il possibile”, nella speranza di un possibile dialogo, differito nel tempo. La valenza inconscia è confermata dal poeta stesso, quando scrive: "Io sono sicuro che la poesia nel suo germoglio è legata all’inconscio e l’inconscio è esso stesso il luogo della poesia, perché meraviglioso serbatoio di dettagli capaci di venire alla luce al solo accostamento del pensiero attivo. Luogo che attende il simbolo per urlare l’emersione di una serie indefinita di soggiacenze ed aggregare affioramenti che possono proiettare emozioni multicolori". Spagnuolo conferma quanto scrive Freud, ne Il poeta e la fantasia (1907); i veri interpreti dell’inconscio sono stati i poeti; io non ho fatto altro che studiare il metodo scientifico per interpretarlo . Freud definirà i poeti, "alleati preziosi degli psicoanalisti". Inoltre, spezza una lancia a loro favore sull’immortalità della poesia: "Potessimo almeno trovare in noi stessi, o in coloro che sono come noi, una qualche attività, di farci una prima idea approssimativa della creazione poetica. E in effetti, una qualche possibilità in questo senso sussiste: gli stessi poeti amano ridurre la distanza che li separa dai comuni mortali, e ci assicurano assai spesso che in ogni uomo è nascosto un poeta e che l’ultimo poeta scomparirà solo con l’ultimo uomo>> (S.Freud). Questa ricerca del “tempo perduto” ha una prospettiva proustiana nel “tempo ritrovato” e nella ricognizione della memoria; è il “tempo creativo” di Henri Bergson, quello delle “Ore del tempo perduto” di Antonio Spagnuolo. Solamente nella memoria il poeta può cogliere con un unico sguardo le incessanti trasformazioni alle quali il tempo sottopone il beffardo destino della condizione umana. Questa prima silloge poetica (1953) ha in nuce la grande stagione della poesia ultrasettantennale di Antonio Spagnuolo. Un percorso estremamente personale e dinamico, i cui dati esterni sono sempre cifre e simboli di episodi interiori. Il ritmo ha una precisa funzione di eleganza espressiva, di mitore, che fa riemergere echi di un Oltre inattingibile, emulsionato dal fantasma eidetico, nel metabolizzare l’interiorizzazione dello stato di grazia dell’ispirazione. Tutto afferisce al flusso continuo e dilagante del ricordo e all’obliquo attraversamento del rimosso: "Svaniva tutto, purificando il cuore,/ solo pensando a cose che non so>> (Pace). Il nescio quid pluris è nell sguardo magico della visionarietà creativa, che incanta e suggestiona la radialità di uno scenario onirico e di uno spazio inconscio di un “fluido vitale”: "Il raggio della luna/ avrà un sorriso,/ un dolce luccichio,/ che nella notte parla.// Il tutto avrà una voce,/ e troverai nel cuore il vero nome,/ che regna in tanta vita>>.Una vena neocrepuscolare correla il dettato poetico di Antonio Spagnuolo dilacerato da brandelli di ricordi, nel sortilegio dell’immaginazione e negli ascosi anfratti del rimosso. Dal sottosuolo della memoria traspare una pervasiva melanconia del sentimento del tempo e l’elaborazione del processo primario scompagina il “principio di realtà”, nell’intensità emotiva di un verso, carezzevole e icastico: "La carezza del verde è finita/ e lascia per terra/ un rosso ricordo di sole.// Negli umidi viottoli scoscesi,/ dove le sassaiole con la pioggia/ sembrano cascatelle,/ non c’è nulla:/ tante macchie di ruggine si infangano, /scompaiono.// Le dolci cose,/ come le rose i fiori/ tornano a terra quando non c’è il sole>> (Ottobre, 25/10/1952). Nel registro del ripiegamento introspettivo, la fruizione del verso apre a nuovi scenari del flusso generativo, monitorato dall’attraversamento dirompente del trasalimento, che è dietro la parola, nella profondità dell’Essere. La scrupolosa ricerca della parola in Spagnuolo ha attraversato le più diversificate esperienze, dall’ermetismo alla sperimentazione, dal verso classico all’avanguardia, dall’indefinibile alla concretezza oggettiva, inseguendo "la forza della necessità di comunicare sin nei minimi anfratti e di essere fedele al principio di “cercare la verità” nascosta tra le ombre della quotidianità>>. L’io poetante campeggia dal primo all’ultimo verso; la trama del discorso poetico si interiorizza con raffinata delicatezza di stile, coinvolgendo il passato, che collide con un presente umbratile e opaco: "Non so cosa gira/ in un turbinio di sguardi,/ affanno…/ Si nasconde,/ larva di un’ombra/ invisibile di fuoco.// Contorti, arsi dal sole,/ tronchi a sera,/ tetre visioni:/ vortice dell’ambascia/ nel tormento>> (Tormento). L’analisi dei moti dell’animo sostituisce il processo della rimozione e il disvelamento del perturbante diventa un principio attivo delle massime istanze psichiche: "Pensieri,/ pensieri lontani,/ sul sasso corroso dal vento,/ tre i muschi,/ nel freddo che ghiaccia le gote/ negli occhi.// Pensieri che vanno lontano,/ tra nuvole accese di sole,/ tra foglie cadute,/ tra rami.// […] Pensieri che vanno lontano,/ lontano nel mare,/ chissà, oltre il mare,/ laddove finisce/ la terra ed il cielo>> (Pensieri). Scrittura epifanica, dal forte disincanto, insegue un altrove interiore, che rimane sconosciuto ed insondabile, nel laboratorio ideativo del pre-logico: "Vorrei, si come il polline, sull’ali d’una farfalla correre nei campi,/ e tra i colori chiudere negli occhi/ dolci visioni d’una vita nuova.// Di fiore in fiore carpirei i profumi/ e porterei alle foglie un po’ appassite/ il nettare per credere alla vita (Un canto).
Il modulo di questi versi è contrassegnato da una forte tenerezza espressiva, dove la pulsione di vita ha l’effetto dello straniamento di un canto lirico con una forte autonomia del significante, direbbe Gian Luigi Beccaria.
La limpidezza del dettato poetico fa emergere echi e cifre di un “inquieto sentire”, emulsionati dal fantasma eidetico del “giovanile errore”: "Lacrime,/ piccole stille cadute leggiere.// Gocciole amare/ sulle tue guance,/ che il pianto arrossisce.// Pianto in cui il cuore si scioglie/ per dirmi singhiozzi,/ parole.// Lacrime,/ sulle mie labbra gocciole di miele>> (Lacrime). "Ed è così", scrive Spagnuolo, "che la forma poetica, rincorrendo le figure che si affacciano al nostro sguardo misterioso, è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, considerando la sillaba non solo come mezzo ortografico ma anche come suono, un ritmo che si sviluppa in crescendo, per agganciare i profili che ritornano alla mente>>. Lo sguardo magico della visionarietà creativa promuove un’aura di contaminazione tra il registro lirico e le profonde ragioni di un urto dirompente, che promana dall’inconscio: "Son fiori che non hanno il tuo profumo/ le rose che t’ho colte nel giardino.// Il fresco delle foglie/ non sa del tuo sorriso.// Carezzando i petali, / gli steli, / tra folte piante,/ evapora da terra come un alito/ di nuove sensazioni.// Io non ritrovo il brivido e le dita/ cercano il tuo profilo nella sera>> (Verde).
L’andamento delle “tracce mnestiche” indulgono al ricordo e a un “tempo ritrovato”, che rinverdisce il dettato poetico in un’aura crepuscolare. Il decentramento dell’io fa posto alla presenza salvifica ed angelicante della figura femminile, come approdo allegorico e liberatorio. È il “tu” idealizzato del varco montaliano di un divenire regressivo, che indulge all’Amore e alla Poesia: "Un profondo sospiro negli occhi: […] C’è nel buio un rintocco armonioso,/ mentre un tarlo tra i libri/ cerca invano una nuova parola.// Una voce racconta in silenzio,/ una lieve carezza,/ cinque dita disperse fra i crini>>. (Sera). È una “Poesia onesta”, quella di Spagnuolo, come quella di Umberto Saba: "Ormai trite parole che non uno/ osava.// M’incantò la rima fiore/ amore,/ […] Amai la verità che giace al fondo>>. (Amai), da Mediterranee, 1945-1946.
*= *Questa nota critica è stata letta il 1° Aprile 2025 a “Il Clubino”, Via Luca Giordano 73, Napoli. Sono intervenuti: Antonio Spagnuolo, Maurizio Vitiello, Carlo Di Lieto, Rita Felerico, Mario Rovinello, Piera Salerno.
Carlo Di Lieto

SEGNALAZIONE VOLUMI = ADAM VACCARO


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Adam Vaccaro: “Percorsi di Adiacenza” – Ed. Marco Saya – 2025 – pag. 608 - € 30,00
Sostanzioso volume dalla elegante veste tipografica e dalle succose pagine di preziosa cultura, che compongono un itinerario scrupoloso attraverso il dipanarsi di numerosissimi saggi e di precise annotazioni critiche.
“Pur trattandosi di pensieri sull’arte e di saggi letterari, – scrive Donato Di Stasi nella introduzione- questi materiali critici contengono una precisa articolazione drammatico narrativa: rifiutano il tempo delle carogne e con coscienza storica indicano un bene possibile e comune, gridano di rabbia, stringono i pugni chiusi di denuncia. Adam Vaccaro frantume e ricostruisce la realtà (per dirla con Breton). In un processo di continua interazione osmotica travasa in suoi n grumi ideologici negli autori di cui si occupa e da cui si lascia attraversare, soprattutto quando ne sottolinea l’azione condivisa, a partire dalla forza eversiva del linguaggio, oppure quando individua meccanismi convergenti a proposito dell’impeto scardinante del pensiero creativo.”
In effetti ci troviamo difronte ad una consistente raccolta di interventi critici che immergono il lettore nella ricerca delle forme e dei percorsi poetici di numerosi autori, selezionati durante un ampio arco di tempo, che sin dagli indizi centellinati indicano mano a mano i fattori concorrenti alla elaborazione dei testi e alla creatività di ogni singolo autore.
L’indagine e lo scavo che Adam Vaccaro riesce ad elaborare è ampio e succoso insieme, toccando ed elaborando intorno alle pagine di Majorino, di Porta, Giampiero Neri, Gio Ferri, Gabriella Galzio, Eleonora Fiorani, Gilberto Finzi, Alda Merini, Domenico Cara, Cesare Ruffato, Giovanna Sicari, Mariella Bettarini, Domenico Cipriano, Gabriela Fantato, Massimo Pamio, Paolo Valesio, Antonio Spagnuolo, Sergio Gallo, Paolo Ruffilli, Dante Maffia, per citarne solo alcuni, oltre alle precise investigazioni che attraversano interventi sparsi nelle numerose pagine di riviste e pubblicazioni varie.
Lo stile di scrittura personale si distingue per quella accurata scelta del vocabolo che fanno della frase un ritmo delle sillabe particolarmente orecchiabile.
Una vigorosa ventata che attraversa conoscenze e approfondimenti pluridisciplinari, intrecciata alle possibili immagini di storicizzazione dei prescelti, si che tutta l’opera si allinea alla corposa esperienza della ricerca contemporanea.
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 27 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


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Uno sguardo acceso sulla intensa poesia di Antonio Spagnuolo (Napoli 1931) poeta da sempre, medico per quarant’anni
di Luciana Vasile
In questi giorni di aprile 2025, edita da La Valle del Tempo, torna disponibile “Ore del tempo perduto ristampa anastatica del 1953 con lettera di Umberto Saba”
prima silloge di Antonio Spagnuolo, allora giovane ventiduenne (nel 1953 pubblicata da Intelisano Editore, Milano).
“Caro Spagnuolo, sebbene nulla mi dispiaccia tanto come dover esprimere pareri sulle opere altrui, le dirò che c’è davvero nei suoi versi una vena sottile di poesia ed un’attenta e collaudata ipotesi di ricognizione. che si fa sentire in quasi tutti i componimenti di “Ore del tempo perduto”. Un tenue abbandono, a volte lucido e raziocinante, acquista la capacità di svelare anche la memoria del simbolo. E mi perdoni se le scrivo breve; sto molto male e parto domani per una clinica, sebbene sappia, nel mio caso, che ogni cura è vana. Le auguro buon lavoro e la saluto affettuosamente, suo”. Umberto Saba
La notizia di questa riedizione mi esorta a scrivere di questo straordinario e prolifico autore che ha pubblicato oltre quaranta sillogi, pluripremiate, più alcuni testi in prosa e per il teatro.
Conosciuto anche all’estero è stato tradotto in molte lingue (cinese compreso).
Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, collabora a periodici e riviste di varia cultura. Attualmente dirige la collana "Frontiere della poesia contemporanea" per le edizioni La Valle del Tempo e la rassegna “poetrydream” in internet.
Ultima nuova pubblicazione “Più volte sciolto” (La Valle del Tempo, novembre 2024)
___________________ Della vastissima produzione poetica di Antonio Spagnuolo ho qui analizzato tre sillogi lette nel tempo con vera emozione.
In una notte mi sono sprofondata nei versi di “Fugacità del tempo” (Lietocolle, 2007) e “Fratture da comporre” (Kairòs, 2009)
. Nella poesia di Antonio Spagnuolo le parole, così ricche multiformi, in continui contrasti, sembrano rincorrere l’impossibile da descrivere. Sono in costante pulsione e lotta. Pur nella loro profondità, sensibilità, pittoricità provano ad avvicinarsi, ma riconoscono in se stesse la fugacità e la frattura dalle emozioni, dai sentimenti e soprattutto da quello che suscita eros.
…/Forse il tremore che riempiva i tuoi capelli/non ha più senso in quegli attimi che riportano/ antiche ferite, sconnesse, beffarde,/…
Eros mi sembra che sia per l’Autore la parte per il tutto. Racchiude l’essenza dell’uomo che tenta disperatamente per tutta la sua esistenza di unirsi, compenetrarsi alla terra, all’Altro/a. Freme la pelle che racchiude quel corpo finito e limitato, quando l’immaginazione e i pensieri sono infiniti e illimitati. …/il bacio che satura gli amanti/per l’anima celata nello sguardo./…
Eppure, questo il mistero, quel cuore che batte incessantemente nelle vene, di un finito e di un limitato, è di una immensità e universalità che fugge e non si lascia prendere, che crea fratture e dissonanze se provi a sfiorarlo, o di più ad immergerti in esso con la mente e la ragione.
Allora la fiducia nelle parole, così importanti per Antonio Spagnuolo, e che sapientemente sa gestire, si sperde. Nel tormento si rende conto che non riescono ad aderire al mondo epidermico come vorrebbe, sono progetti fugaci.
Prende il sopravvento un eros cerebrale dove le parole cercano di sondare l’insondabile, lasciando l’uomo-poeta continuamente deluso e insoddisfatto. Nonostante, lui non è vinto, non sono vinti gli anni che passano negli squarci delle trasparenze per un sorriso di sillabe… nell’infinito sospetto dell’illusione…
È straordinaria e originale questa poesia, complicata e complessa, fra realtà e mistero, il mistero dell’Uomo. Parte dall’Uomo e torna all’Uomo anche solo nell’accendersi a un ricordo che risveglia mente e corpo.
Forse “Fratture da comporre” – che ho sentito l’esigenza di rileggere una seconda volta – fa un passo ancora più avanti nella maturità del poeta.
Un’altra cosa che mi colpisce dei versi di Antonio Spagnuolo è quella sensazione di capire, che si ha istintivamente, condotti per mano da una rara musicalità, dono che riesce a dare solo la vera poesia.
La malinconia che aleggia nella sua lirica, della quale anzi è impastata, è un sentimento sempre dolce. Non c’è rabbia. Non è mai contro qualcosa o qualcuno.
Ripiegato su se stesso, per venire fuori ‘per’ e ‘con’.
…/Bizzarra malinconia al di là dell’arcata,/dubbio di umide madreperle/al profilo rannicchiato nel cuore.
In un mondo dominato dalla lotta e dalla guerra, per distruggere, mai per costruire insieme, proporsi, come lui ci dice, di “capire e conoscere” è di grande aiuto per tutti noi.
E in quella notte, vinta, ho lasciato i due libri aperti, sparsi fra i cuscini e il letto arruffato. Mi sono addormentata fra le sue parole pronte ad entrare nei miei sogni. All’alba sono emersi fra le onde teta pianti e lamenti. Non vi erano parole, ma solo quello che esse avevano evocato. Erano suoni, composti in una melodia straziante, fatta di accordi di gemiti e singhiozzi, ora più forti, ora più lievi e dolci. Nel buio del sogno, il mondo della sofferenza, senza picchi disperati, sembrava raccontare con grande dignità di un dolore sommesso e continuo.
Anche l’Urlo di Munch è stato rappresentato, ma mai udito.
Antonio Sagnuolo quel dolore me lo ha fatto sentire.
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Il pianista quando si appresta a suonare un pezzo di rilievo artistico si prepara.
Lava accuratamente le mani. Si siede eretto sul tronco davanti alla tastiera.
Si concentra. Libero da altri pensieri dedica la sua totale attenzione al brano musicale.
In questa disposizione d’animo ho cominciato a leggere la raccolta “Polveri nell’ombra” (Oedipus, 2019).
Ho goduto della conoscenza di altre opere di Antonio Spagnuolo e, proprio per questo, ho deterso l’anima, mi sono svuotata per accogliere, ho attivato i sensi.
Non volevo perdermi il coinvolgimento emotivo che, per me, è il vero senso della scrittura: comunicare penetrando nel plesso solare, nostro sole interiore e centro di energia.
Ho declamato a voce alta tutta la silloge, senza mai interrompermi, dalla prima all’ultima pagina.
Ne è risultato un unico lungo spartito di Poesia.
Una singolare Elegia dedicata alla compianta amatissima moglie Elena.
Il tono delle oltre novanta pagine è meditativo e malinconico per una persistente condizione di infelicità dell’autore. Lontananza. Assenza. Abbandono. Ma è proprio lì che Elena continua la sua esistenza. Brevi e intense le liriche nella sintesi di una traccia.
Protagonisti: Vuoto e Silenzio, che disegnano “pieni” e “parole” di ricordi e mondo onirico.
.../e ritorna la piuma improvvisa del ricordo. (pag.14)
.../in questa solitudine perfettamente incisa/nel ricordo e nei segni, che permangono ancora./(pag.7)
…/al vuoto della stanza, in questa vecchia casa/dove tutto è memoria/…
/e chiudo gli occhi per sognare il tuo labbro./... (pag.47)
.../io prigioniero del sogno più crudele/sbrano nel vuoto tremando di illusioni. (pag.61)
.../lentissimo silenzio della notte, /che avvolge ogni sembianza/Ma tu ormai non sei più con me! (pag.44) …/e ripeto l’intreccio dei silenzi/del tuo svanire. (pag.45)
Solo per fare alcuni esempi. Perché i versi si rincorrono nell’inganno del non dimenticare che smarrisce il poeta nel dissolversi di attimi, di immagini, di vissuto, di desiderato, che si trasformano in ossessione indiscreta dove tutto è fermo nell’attesa.
Un altro fatto che stimola la mia curiosità nella lettura di un libro di poesie è il posizionamento effettivo delle liriche nelle pagine che si susseguono.
E così in “Polveri nell’ombra” ho trovato che non fosse una circostanza fortuita trovare proprio nel cuore, nel centro della sezione in versi, Amanti, dove c’è tutta quella sensualità-erotismo di cui è ricca la raccolta:
…/Inseguo la pelle, il sudore, il tuo profumo/che tra le cosce evapora al mio tocco/...
.../Ogni sussurro ti avvolge nel sogno/e mi componi realtà fuori dal mondo. (pag.35)
L’ultima parte titola NUOVO REGISTRO.
Leggo sul dizionario alla parola “registro”:
- Raccolta di annotazioni, quaderno di vario tipo in cui si scrive ciò di cui si vuole avere un’attestazione che si serve di un livello e stile espositivo a secondo del contesto -.
Infatti le pagine che concludono il testo sono in prosa poetica, dove anche la scarsità dell’uso degli articoli, con sostantivi incisivi, contribuisce ad avvolgere i corti brani in suggestioni enigmatiche e misteriche. Sicuramente criptica la prosa rispetto alla poesia avvalorata, pur nel verso libero, dall’armonia musicale spesso regalata dall’uso dell’endecasillabo.
Molto bella e significativa la chiusa di questo straordinario libro dove si celebra, con dolce sofferenza, la Vita nella Morte: Lascio riposare la mente ad occhi chiusi nello stupore di un fremito che cerca ancora di aggrapparsi alla vita.
Mi ha fatto tornare alla mente la frase che mi disse, diversi anni fa, l’allora novantenne pittore Francesco del Drago - l’inventore del rosso freddo e autore di straordinari, anche per dimensione, trittici astratti in acrilico dai colori che, in un turbinio di accenti, si ricompongono nell’unità della meraviglia -. Ecco l’anziano artista così si espresse:
- Non basta un’intera vita per recuperare lo stupore che avevamo da bambini -.
Antonio Spagnuolo lo ha recuperato quello ‘stupore’ e noi lo ringraziamo.
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LUCIANA VASILE

sabato 26 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALFREDO SANTANIELLO


***Alfredo Santaniello: “Rinascita” – Ed. Aletti 2025 – pag. 92 - € 14,00
“Post fata resurgo” è il sottotitolo, quasi a voler anticipare il rotolare che il pensiero poetante cerca di inseguire, per afferrarle una ad una, quelle esperienze della quotidianità, le quali, corrodendo il nostro vissuto frugano fra i cocci di uno specchio per plasmare una possibile catarsi.
Con la semplicità di chi attinge tra i colori le poesie di questo volume si alternano nella scrittura e nel ritmo, proponendosi a volte come ininterrotti pensieri che volgono al filosofico, tra incisive proposizioni che accostano alla prosa, a volte nel salticchiare delle sillabe che fanno del verso un fotogramma nella sua massima elasticità, ricamando ogni tanto qualche rima da sospensione classicheggiante.
“Sorridi/ e ti saluto. / Ci vediamo: / a domani. / E mentre/ ti allontani/ già mi manchi.” Un fermoimmagine è scattato.
“Ho uno specchio, che in certi momenti/ cade a terra, in mille pezzetti. / Ma poi si rialza, tutto scassato/ brillando di nuovo, in ogni frammento.” L’urgenza di una tempesta si traduce nel risorgere.
Alfredo allora si racconta tra lo stupore del risveglio mattutino per le sorprese figurative dei genitori e tra i simboli di un libro disegnati con olio di china, tra la docile fedeltà di un cane e i mottetti dell’amica Alice, tra il sorriso di un bimbo e le inaspettate stranezze che offrono i numeri, tra la leggera ruga dei rimorsi e l’assordante silenzio delle notti insonni.
E proprio nella introduzione egli scrive: “Solo grazie al silenzio si smette di sentire e si inizia ad ascoltare quel riflesso nello specchio in cui non vogliamo più riconoscerci.”
Il poeta ha una concezione realistica capace di ritornare a credere in se stessi, specialmente in quei momenti simbolici che sono testimonianza di crisi e proposta di maturazione.
ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 25 aprile 2025

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

ANTONIO SPAGNUOLO DAL VOLUME "FRATTURE DA COMPORRE" (2009)

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE


=RECENSIONE PER “IL PELLEGRINO DELL’ALBA”, RACCOLTA POETICA BILINGUE, IN ITALIANO E SPAGNOLO, DI FRANCESCA LOBUE, SOCIETA’ EDITRICE DANTE ALIGHIERI, 2023.
A cura di Francesca Farina. Roma, 22/4/2025.
Sin dalla copertina, che reca il particolare di un affresco di San Clemente di Taüll (sec.XII) col muso di un cane dai molteplici occhi, la poeta vuole forse interrogarsi e interrogarci sulla complessità della comunicazione, come si evidenzia nella sua duplice patria, l’Argentina e l’Italia, e nella duplicità della sua lingua. La frase in incipit invece, riportando il frammento di una preghiera taoista del secolo XI, si volge a riflettere sulla pluralità e la diversità delle religioni, pur contenenti tutte i valori fondanti del sacro, dell’etica e della morale. L’introduzione, che non è firmata ma si presume redatta dalla medesima autrice dei testi, conduce immediatamente ad indagare sul senso stesso della Poesia, sulla sua natura ineffabile e inafferrabile, fatta di parole e di significati abissali, poiché, come disse una volta un poeta, “essa è resistenza al facile”, non tollerando la banalità dello stile e dell’espressione, ma sempre ricercando il nucleo magmatico da cui si origina e sorge il Libro per eccellenza, probabilmente quello stesso che è stato scritto con immensa acribia e vertiginosa dedizione, ovvero la Bibbia.
Leggendo quindi verso per verso le poesie di Francesca Lobue troviamo forti valenze metaforiche poiché ciascuna strofa, potremmo dire ciascun sintagma, con citazioni ancorate al reale, con paradigmi e sinestesie, oltreché allegorie e similitudini, introducono a un mondo che oscilla tra la Natura trionfante e lo spirito ricco di intuizioni o illuminazioni esaltanti. Nulla è come appare, ogni cosa citata rimanda ad altra cosa, il senso filosofico di ciascuna frase poetica spinge a riflettere sul detto e sul non detto, sull’esplicito e sull’implicito, a muovere la mente verso la meditazione dell’indicibile e dell’arcano. Ovunque tuttavia si esalta il potere immaginifico del linguaggio, mentre una vigorosa e tragica religiosità avanza lentamente tra le pagine. La ricerca inesausta di Dio e del divino è un anelito a cui tende l’intero universo come la stessa poeta, sconcertata di fronte all’enigma dell’Eterno.
Nulla di mediocre, di consueto, di vieto permea le strofe, tutto è scandito da una conoscenza quasi atavica, ancestrale del mondo, mentre l’autrice oscilla tra la classicità degli eroi e degli dei pagani, ispiratori del suo canto, e la fede cristiana. Il mito che rievoca Adone, Arianna, Medea o Medusa produce angoscia, genera sangue, “solitudine e inferno” dai quali pare non possa esistere scampo, poiché la carne, il corpo, l’essere umano “allibisce di terrore”. Tuttavia, nell’orrore che devasta i tempi e la Storia, la nostalgia preme sul cuore e sulla memoria e la sola salvezza risiede nella parola limpida, vitale, simile a “pioggia che ravviva i canneti delle rive dissecate”.
Ritorna di continuo il sentimento dell’estraneità nei confronti del reale, dal momento che emerge un potente “Te” che domina l’esistenza e che allude all’Essere supremo, innominato secondo il comandamento che ammonisce: “Non nominare il nome di Dio invano”, non allo scopo di evitare il peccato di omissione, ma piuttosto l’eccesso di menzione, unico soccorso nel baratro del nulla. Il male aleggia ovunque, nell’esilio a cui forse la poeta si sente destinata dalla duplicità della nascita, della lingua e della cultura, ma sovente ha il nome altisonante e atroce di Satana, verso l’ora suprema che conduce all’annichilirsi di ogni istante, nella previsione o premonizione della morte. Personaggi legati alla religione, quindi, tornano ovunque, come ad esempio un eroe biblico di enorme valenza quale Giona, che si salvò dal ventre della balena, il quale interroga “un albero ingiallito” quasi dialogasse con il cuore della Natura, per riportare il discorso su Colui che è “Signore di Giustizia” da cui sgorga ogni bene, la salute dell’anima soprattutto, malata di cecità. L’inconoscibile realtà del Tempo, di ogni istante del giorno, che genera afflizione e timore, si stempera al solo nome di Lui, “viatico della terra”, che accompagna la creatura lungo le vie dell’esistenza e la risana.
La poeta non smette di interrogarsi sull’inafferrabile dilemma del destino che oscilla tra paura e bellezza, tra dubbio e certezza, tra il demone e “il Dispensatore”, ovvero tra Colui che tutto concede a un solo cenno, essendo “El Maestro del Cielo”, secondo il titolo originale del testo, e si prende cura dei “prigionieri”, ossia presumibilmente di ogni essere umano racchiuso nel carcere della vita. Talvolta la meraviglia del cosmo concede momenti di serenità e “pace graziosa”, sebbene l’autrice non desista dall’interrogarsi su se stessa e sul suo prossimo, sempre nell’attesa di attingere a un luogo che è tuttavia “trono oscuro di colpa, pentimento e speranze”. A resistere contro il dilemma del Tempo, che domina ogni attimo tra il passato e l’eternità, perennemente intangibili ed intatti, è ancora la parola, “disegno dell’anima”, con i vocaboli che sono “recipienti di sale” e con la lingua che “ci possiede come grido dell’inconscio”.
Davvero la poesia “scende dal cielo” quando si impone alla mente nella perfezione del suo assunto e contiene in sé un intero universo ricco di significazioni, “un adesso perfetto” e “imperituro” che sconfigge la precarietà dei giorni, mentre “l’attesa di Dio” si identifica plausibilmente con la poesia stessa che da Lui proviene. La poeta non si stanca di ribadire che la parola è fondamento del tutto e per affermarlo ricorre a lancinanti metafore che rievocano l’intera essenza dell’individuo in tutte le sue declinazioni, da quelle più miserabili a quelle più sublimi. Il destino precario riporta di continuo a meditare sulla caducità dell’essere, sottoposto sovente al volere di crudeli dei, così il richiamo al mito torna a sancire l’essenzialità della cultura, mente ci si dibatte nell’angoscia del vivere, tra il caos e il caso, tra la tenebra e la luce. Il segreto della vita, che è “enigmatico trascorrere”, si scioglie talora grazie alle parole, che rappresentano il perno mobile ma fondamentale su cui ruota ogni pensiero, azione o emozione, annullando i tentennamenti dell’anima, mentre la religione, con il paradigma della “croce celeste”, si impone sui versi anche mercé la citazione del Libro, verosimilmente un riferimento al libro per eccellenza, la Bibbia, come detto.
Tutto però è immerso nel rigoglio della Natura lussureggiante e pressoché divina, poiché espressione diretta dell’Altissimo, esempio del quale è la semplice ma immortale, eterna “Rosa scarlatta”. Mille domande quindi si affollano alla mente nell’inconoscibilità del creato, senza che nessuna reale risposta concorra ad acquietare l’animo umano, il quale tenta appena di intuire che cosa si celi dietro la propria fragilità. Perfino la scienza pare impotente davanti al “libro disseminato”, che pure è colmo di poesia, vero atto salvifico, forse, nel dissidio delle incognite, ma non si può smettere di cercare la “pienezza…che danza silenziosa”, di indagare oltre il visibile, di spingersi fino a superare l’invisibile, di andare al di là del mare sfidando
“la tempesta nera”. Come il “pellegrino dell’alba”, ovvero con tutta probabilità essa stessa “pellegrina dell’alba”, l’autrice si interroga incessantemente sugli eterni quesiti posti da ogni filosofo all’umanità, sia sul senso dell’essere, sia sulla valenza del nome, e ancora sul potere dell’anima come sul mistero del corpo: nondimeno ogni cosa, creatura, pianta o terra, è ricondotta alla Dimora celeste dove si acquieta ogni domanda e si scioglie ogni dubbio.
Finanche quello che pare un semplice, povero mestiere, quello del vasaio, in realtà nasconde un patrimonio di sapienza e di capacità, non soltanto manuali ma del cuore, legato com’è alle zolle e alle sue “alchimie brillanti”, ai “lampi del sole”, agli “scintillii delle stelle”, immagine del Vasaio immortale che trae dalla terra ricchezze fatte di occhi e pelle di chi vi fu sepolto, come nei versi del poeta e matematico persiano Omar Khayyam (XI-XII secolo d.C.). Partendo poi da un antichissimo manoscritto, il “Pistis Sofia” o “Libro del Salvatore”, vangelo agnostico risalente presumibilmente al III secolo d.C. e redato in lingua copta, la poeta si confronta ancora con l’enigma della Fede e della Grazia, ricorrendo alla Madre di Dio. È una Lei identificata soltanto col pronome dall’iniziale maiuscola, degna della sua essenza celestiale, essendo “scienza senza fine”, è Colei che conobbe ogni arcano prima di tutti i secoli, mentre i nomi di Lazzaro e Sebastiano rievocano i sacri Vangeli cristiani quali esemplari di sublime santità.
Così la poeta procede nella sua instancabile indagine inseguendo i significati nascosti della Natura, delle creature e degli oggetti, appellandosi al Divino innominato ed innominabile, costantemente attenta a non tradire uno dei cardini dei Dieci Comandamenti per pervenire a risposte su domande eterne. In particolare, in una delle liriche, intitolata “Amore e Morte”, riproponendo uno degli assiomi già sigillati da Leopardi, ossia la connessione inesorabile tra i due estremi dell’esistenza, entrambi patrimoni inspiegabili dell’animo umano, che cerca invano di addentrarsi nel loro segreto, l’autrice si addentra nell’enigma dell’Amore chiedendogli, quasi fosse persona: “In quale stella errante fuggisti?” essendo “Re potente dei nimbi”, mentre “tuona la sua voce dal trono trasparente,/ lì tra le vette nelle cime dell’estasi”, ma restando nel dubbio crudele dell’inconoscibile.
Infine alla pagina 78 del ricchissimo volume, si perviene al “Poema alfabetico” che segna appunto, con le lettere dell’alfabeto, brevi poesie, quasi di ispirazione haiku, sebbene non rispettino la struttura di questa classica forma giapponese. In fulgenti bagliori di versi si scandiscono sensi arcani, interrogativi irrisolvibili, asserzioni pacate, quasi a suggello di un’intera silloge tutta tesa a svelare significati e significanti dell’intero universo, possesso perenne dell’umanità, tanto caro alla nostra autrice. Dal punto di vista strettamente stilistico ci sarebbe molto altro da aggiungere. Basti dire che le liriche di Francesca Lobue sono come ampie canzoni con un grande ritmo interno seppure non ritmate, poesie narrative di immensa suggestione.
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FRANCESCA FARINA

giovedì 17 aprile 2025

INTERVENTO CRITICO PER ANTONIO SPAGNUOLO


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Il “pensiero emozionale” di Antonio Spagnuolo: dal visibile all’Invisibile, dalla coscienza all’Inconscio.*
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Antonio Spagnuolo continua il suo diuturno discorso poetico con questa coinvolgente silloge dal titolo: Più volte sciolto, La Valle del tempo 2024. Si scioglie più volte il miracolo della poesia per Spagnuolo!
Il poeta stesso si sofferma a sottolineare l’importanza e l’utilità della poesia in questo momento storico: "Tramite la poesia è possibile esprimere quel fiume infinito di idee e di pensieri che investono la mente in maniera confusa e irrazionale, ma al contempo sublime, rivelando l’aspetto più genuino e introspettivo dell’io. È possibile offrire quel mistero incontrollabile che si propone quotidianamente come un abbraccio universale che traccia sospensioni di sentimenti e tenerezza di musica. Con la consapevolezza veramente genuina che ogni manifestazione vitale si trasformi miracolosamente nella necessità di amare!>>. Nella sua “dichiarazione di poetica”, Antonio Spagnuolo, in un’altra occasione, scrive, in modo illuminante: "La poesia è legata all’inconscio e l’inconscio è il luogo della poesia. Luogo che attende il simbolo per urlare l’emersione da una serie indefinita di soggiacenze ed aggregare affioramenti che possano proiettare emozioni multicolori. La poesia diviene nel ritmo la tappa dell’informe che cera la forma, del caos che cerca l’ordine, della speranza che cerca l’esperienza, dell’impossibile che cerca il possibile semplicemente un messaggio in bottiglia che vive della speranza di un possibile dialogo differito nel tempo. Nulla cambia nell’inconsapevole rivoluzione dell’inconscio, passo dopo passo nel rigore dell’esplorazione di quelle emozioni che tingono di rosso la parola, e non sopporta limiti o limitazioni, etichette o programmi, là dove viene ricreato l’ideale che aggrega e coinvolge in vertigine. […] I fantasmi che quotidianamente la memoria insegue sono improvvise illuminazioni che il nostro cervello accetta nel segreto dei ricordi, incasellati disordinatamente nelle circonvoluzioni, o semplici armonie che ripetono il ritmo delle scansioni come coaguli della compartecipazione. […] Ed è così che la forma poetica, rincorrendo le figure che si affacciano al nostro sguardo misterioso, è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, considerando la sillaba non solo come nezzo ortografico ma anche come suono, un ritmo che si svilupperà in crescendo, per agganciare i profili che ritornano alla mente>>.
“Il pensiero emozionale” di Antonio Spagnuolo ha un tracciato immaginario, la cui vertigine focalizza gli sconfinamenti dell’io, in una “fantasia di desiderio”, che va oltre la soglia della coscienza, per cogliere la sintesi magica delle feconde immagini poetiche: "Ogni giorno noi siamo il passato/ perché ognuno di noi è il passato!// Distante un cielo vuoto di speranze con le promesse che rimbombano a valle, contro la pietra di una folgore divina,/ fugando una speranza che protegge/ la mia stessa paura,/ ecco l’astuzia e il decorso di una misera/ rima ed il timore della cruna incrinata/ che accetta ancora un embolo di vocali>> (Ogni giorno noi siamo il passato).
Il profluvio delle immagini scorre sul proscenio della mente, inglobando la categoria del Tempo e dello spazio nel cono d’ombra della psiche del poeta. È il bisogno di un desiderio necessitante, che predispone alla ricerca dell’Invisibile, nel segno estraniante dell’inquietudine e della pulsione di morte. Il fantasma, nell’avvolgente intersezione del non-senso, avvalora quanto scrive Jung, ne La relazione fra l’ego e l’inconscio (1928): "Più si diventa consapevoli di noi stessi attraverso l’autocoscienza, e si agisce di conseguenza, più diminuirà lo strato di inconscio personale sovrapposto all’inconscio collettivo. In questo modo sorge una coscienza che non è più imprigionata nel mondo insignificante, sovrasensibile e personale degli interessi obietti. […] È, invece, una funzione di relazione con il mondo degli oggetti, che porta l’individuale nell’assoluto in comunione avvincente e indissolubile con il mondo intero>>. Il lato oscuro della mente viene alla luce ogni qual volta il simbolo e le immagini diventano luminose parole, ora scabre ed essenziali, ora suggestive e feeriche, per sfuggire alla disarmonia del reale. Spunti espressionistici coordinano l’intreccio dei ricordi, lungo lo scandaglio analitico di un Io, il cui rispecchiamento elabora l’attesa e l’assenza di un’alterità irraggiungibile in un sovramondo sconosciuto e lontano. La delicatezza e la musicalità del verso hanno una presa diretta con il pensiero emozionale e il registro poetico ha un intento essenziale, quello di vivere una forte tensione di una non-vita, in perfetta sintonia con la propria solitudine essenziale. Nel segno della caducità viene elaborato il lutto con l’edace sentimento del Tempo, declinato sul piano di un vorticoso sentire e lungo il crinale di una coazione a ripetere, che non dà segni di speranza: "Il tempo non si allenta per l’essenza/ che ha un suono suo nel buio,/ come punto distorto del respiro,/ o quando gli occhi vorrebbero rincorrere/ accenti ed aliti di antiche presenze//. […] Inutile conchiglia la sfida delle attese/ nel passo felpato della nostalgia,/ nella provvisoria prudenza/ delle ceneri, quando il fuoco/ di una lunga agonia ha sfigurato/ l’incerto sembiante>> (Il tempo non si allenta per l’essenza). Il fantasma eidetico dell’amore metabolizza la travolgente tensione del pensiero emozionale, trascorrendo dal visibile all’Invisibile, dalla coscienza all’inconscio. Le dilaceranti tracce mnestiche ripropongono una confessione autoanalitica, che elabora “i resti diurni” nel tessuto aureo dell’Invisibile ,per cercare un varco d’uscita. Nell’area sconfinata dell’Invisibile, la progressione verso l’Oltre comprova la rete associativa di un complesso diorama, che va dal rimosso alla pulsione di morte. L’energia fluttuante del rimosso propizia l’attraversamento verso l’Invisibile di una surrealtà, che è al di là del dolore umano e del “vago immaginar”.
"[…] Ad uno ad uno rinnovano ora calmi/ i cento passi che trovammo insieme/ nella mappa illusoria dell’abbraccio,/ ad aspettare il cancello che preciso/ apre al delirio" (Leggiadra o singolare o repentina). Folgorato dalle pulsioni di vita, il poeta, con raffinata delicatezza dispiega i temi fondativi, cari al canone del Novecento e non solo: amore e morte, lutto e melanconia, attesa e assenza, memoria e Tempo: "[…] Fiore di loto la tua letizia/esplodeva al mattino come albore,/ l’abbaglio dei colori in dubbiosa caduta/ replicava quel gioco di mola mancina,/ che nei vapori filtrava ancora amore […] (Così era l’abbraccio delicato). Sul versante delle “tracce mnestiche”, il percorso emozionale, per evadere dalla disappartenenza, induce il poeta alla ricerca dell’alterità; egli intraprende il viaggio à rebours della mente, attivando una diretta corrispondenza con la scena onirica, in attesa di un evento epifanico liberativo. Convergono energie pulsionali, che si trasformano in energie creative e simbologiche, lungo il declinio impervio del presente. L’effort lirico soggiace a formazioni di compromesso tra rimpianti e nostalgia; tenerezza e disillusione si correlano, come per un necessario contrappasso, ad un inconsolabile sentimento di lutto di un’assenza insostituibile. Osserva Bergson che "c’è nel profondo dell’animo della maggior parte degli uomini, qualcosa che, impercettibilmente, fa loro eco", come un altro da sé. L’energia irrefrenabile dell’ispirazione oltrepassa la visuale del déjà-vu e la poesia si configura come ricerca di un “altrove”, inteso come una dimensione altra".
La poesia di Antonio Spagnuolo attinge all’inesplicabile voce dell’inconscio. L’introspezione avviene nel profondo, per oltrepassare il varco del limite ultimo, che si protende al di là del nostro orizzonte mentale. Il viaggio estraniante del poeta è fondamentalmente una ricerca dell’identità; egli insegue un miraggio alla luce dei ricordi, che si slargano lungo un orizzonte indefinito di attese. Questo percorso visionario è orientato al di fuori della categoria spazio-tempo verso una “quinta dimensione”. "Il risveglio dell’infinito è un percorso/emozionale che gioca con i miei vent’anni,/ e corrompe le dimensioni oniriche/ liberando tensioni.// Prigioniero dell’orizzonte tento di acchiappare/ un nuovo giorno trattenendo negli occhi/ e ridestando il tuo grido di gioia,/ rubando tenerezze alla tua immagine/ proiettata nel futuro inutilmente" (Il risveglio dell’infinito è un percorso). Nel dettato poetico di Spagnuolo si resta turbati per il flusso emotivo che scaturisce dallo scenario onirico esondante; la cifra vera dell’originalità di questa poesia risiede nel coagulo stesso della sua visionarietà creativa, che va oltre la logica ordinaria. Egli monitora “gli stati d’animo” di questo vasto scenario fantasmatico, visto con la lente rinfrangente dell’introspezione: "Impastato di contraddizioni/ depongo il passo/ che accompagna ogni fuga,/ tirata fuori dall’eternità".
Con l’analisi dell’inconscio, si colgono le esperienze reali del poeta e l’epifania dei ricordi, correlati alle tracce mnestiche di un tempo pretèrito e contrassegnati dall’anestetico oblio. Il trasalimento rompe la rete analogica del visibile verso un inconoscibile illimite, che oblitera “il principio di realtà” in un “principio di piacere”, associandolo al travestimento del ricordo. Per comprendere, in modo radiale, la straordinaria e policentrica poesia di Spagnuolo, occorre perlustrare la cifra illuminante della sua Quinta dimensione: Il mistero ha fili di acciaio/ con sguardo fisso e avvolto dal crepuscolo,/ nel battito improvviso dell’immaginario,/ dove è sempre il vuoto e scorre l’esistenza/,/ che alla fine si compie troppo in fretta. […] Ma c’è un’inquietudine a nascondere/ il chiaroscuro/ prolungando distanze per dare forma/ e vaglio>> (Il mistero ha fili di acciaio). In uno scenario disincantato, tutto è calato nella levità di una limpidezza espressiva, che prosciuga la vertigine dell’ispirazione e coarta gli sconfinamenti dell’io, in una condizione psichica che va oltre la soglia della coscienza: Proporre un’offerta variegata/ decifrando proiezioni fantasiose/ nella solitudine di uno stralcio/ è una fascia che si posa leggera.// […] Una mia tela stemperata d’amore /sarà il fedele ricordo di questo dono,/ luce e torrente di piumaggi fantasiosi/ che affrontano un morbo irriducibile//. Ed è subito un passo che fiorisce>> (Dono). La coscienza inquieta del poeta nasce da un disagio, le cui ragioni evocano per associazioni d’immagini, la proiezione e la frammentazione, lo spostamento e la condensazione psicologica. È il bisogno inesausto di una presenza-assenza, che abita osmoticamente con il desiderio necessitante di un viaggio verso l’Oltre. Nell’acuto respiro di questi alati versi, il sentimento di immedesimazione proviene dalla specula dell’infinità dei mondi, dove la disappartenenza dell’uomo si coniuga con il mistero dell’Infinito e dell’Oltre, attivando una ricerca di una fuga da sé, da cui si può evadere inconsapevolmente con lo stato di grazia della scrittura poetica. È il volo libero dell’airone, che si libera sull’onda di un discorso amoroso, veicolando una sorta di trasnfert delle “ragioni del cuore”. Le immagini di “un percorso inutile” sono rivolte ad un luogo immaginario tutto rivolto altrove, non previsto/ nell’accogliere il sogno clandestino,/ lo spazio è aperto a scintille/ che sfrusciano sulla carta ingiallita/ giù per la ripida penna indecisa>>. “Sembianze evanescenti” trascorrono dinanzi allo sguardo attonito del poeta, quando il materiale rimosso riaffiora alla superficie di questo sfuggente universo psichico in espansione, la cui immagine viene trasfigurata dal ricordo e dal rimpianto di una perdita di una preziosa presenza: "Il disvelamento spoglia nullità in deriva […] Una rosa selvatica piena di spine/ è il canto proibito, perché/ quel che ci lascia un amore è proprio un sogno/ nella mente che pulsa solamente memorie>>. (Il disvelamento spoglia nullità in deriva). "Il regno dell’inconscio ha prospettive/ che comandano-volontà e potenze>>. "Disegnando lo scavo di memorie/ ed allineando cocci immaginari […] adesso oso tentare l’insensato/labirinto,/ come stupide ciocche di un pavone" (Pavone). La deflagrazione dell’implosione "ha distrutto ogni pensiero custodito nell’inconscio,/ cupi lampi a gridare una sintesi.// La vita ha trascinato in un ghigno,/ in un sobbalzo a frammenti, / tra fiabe di cenere ed alchimie,/ la nostra utopia che si allacciava/ al via vai di una storia.// Dondola misteriosa l’ossessione indiscreta!>> (Potreste svegliarla dal sonno maledetto).
La poesia di Spagnuolo attraversa il suo vissuto e ne riporta i segni e le cicatrici, ma tende ad un orizzonte di senso, che medianicamente evoca presenze inafferrabili, attraverso il flusso rigenerante dell’ispirazione ed elaborando il vuoto incolmabile di un’assenza: "L’abbandono sembra anello che non tiene/ e scroscia bruciando per non credere/ che ci sia un ritorno>> (Abbandono). Il tanto desiderato “oggetto del desiderio” riappare nel sogno: "Io con violenza la palpo/ per accettarmi che sei di nuovo viva,/ nuda tra i cuscini roventi>>. È la forza d’urto dei moti pulsionali; il disincanto lascia spazio alla concretezza del possesso lungo l’alveo di una soddisfazione, sublimata dal vigore di una presenza evanescente: "Aspettavo il momento in cui adornavi/ il crepuscolo malandrino e complice, ed accettavi il lento brusio dell’abbandono>> (Sogno). Il varco si apre per modellare l’animo del Poeta, che vive l’esperienza dell’Invisibile, non assimilabile a nessun’altra esperienza, se non a quella dell’afflato sincero della Poesia.
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CARLO DI LIETO ====
*Questa nota critica è stata letta il 10 Dicembre 2024 al “Clubino” di Napoli, via Luca Giordano 13. Sono intervenuti: Maurizio Vitiello, Antonio Spagnuolo, Rita Felerico, Mario Rovinello, Carlo Di Lieto. Cfr. N.Vitali, Spagnuolo l’Illuminismo amoroso, “la Repubblica”, 14 Aprile 2025.

lunedì 14 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


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Antonio Spagnuolo: "Ore del tempo perduto" Edizione anastatica per La valle del tempo editrice - (1953) = 2025 pag. 76 - € 12,00
(una riflessione di Rita Felerico)
Nel leggere Le ore del tempo perduto ho attraversato lo spazio e il tempo di Antonio senza imbattermi nei loro confini, roteando leggera nell’atmosfera della sua mente o fra le immagini che il suo stretto legame con la vita creano e anche fra quelle che suscitano le sue parole in chi legge.
Che sia poesia lo si sente e intuisce fin dall’inizio, per la musicalità che aleggia fra le pagine, per quell’armonia che coinvolge magicamente il corpo e la mente insieme, per quell’ascolto interiore che solo il ritmo delle sue parole poetiche è capace di generare, come in questi versi, dal titolo Zefiro : “Sospiro del verde / nel vento d’aprile i profumi./ Un colore, la luce,/ le gioie:/gaiezze sperdute nell’ansia. Sorrisi,/ boccioli di freschi pensieri,/trepidi occhi anelanti./E la vita,/ un coro d’amore,/ inni nel terso sognare,/ sobbalzi del petto :/sognare, sognare…”
Ho riscoperto la natura, la sua presenza ai sensi ormai sordi ai suoi richiami, vissuta così come Antonio la porge alla nostra sensibilità, con un legame trasparente , spontaneo , non calato da un pensiero strutturato ad hoc per spiegarla, Tra gli alberi è rimasto il tuo profumo - scrive in Solitudine - per ogni foglia fruscia / e negli orecchi/ risento lo strusciar della tua gonna/ fra tronco e tronco, quando rincorrevi/ pure visioni d’una tua sublime/ melodia d’amore… Non c’è differenza fra questi amanti e il mondo e tanto forte è il nodo che li lega allo spazio del loro amore che l’albero degli ultimi versi si china alla nostalgica sofferenza del poeta piegando la cima al vento.
La natura colora i risvegli, le ore dei giorni, le passeggiate romantiche, i baci appassionati, è una natura avvolgente, che si incarna nella sensualità e nel desiderio del corpo che vuole cantare l’amore : una poesia di gesti quella di Antonio, dei quali oggi abbiamo perso memoria. Correre nei campi come il polline sulle ali di una farfalla, suggerisce, raccogliere le dolci cose / come le rose e i fiori/ che tornano a terra quando non c’è sole..o rubare al mare i suoi segreti o raccontare agli uccelli il divenir del giorno.
Ci parla con la mente e il corpo Antonio, perché è così che si intreccia la relazione fra noi e l’altro, fra noi e la natura, fra noi e noi, un rapporto che Antonio non vive come conflittuale, bensì come momento dialogante; è serenamente in ascolto per ideare messaggi per nuove parole, per nuovi linguaggi di comunicazione, che trasformano nel gioco poetico le foglie, le pietre, la luna, il respiro che muove il seno dell’amata.
E’ qui che risiede la vena sottile di poesia riconosciuta da Saba , quei simboli che si materializzano nelle sillabe, come note di una musica che Antonio possiede e che desidera condividere con noi. Da qui il bisogno poetico, da qui la necessità della poesia. Nella prefazione – che considero un breve saggio - ritrovo tutta l’inquietudine del vivere e la risposta poetica che Antonio oppone. Chi siamo oggi non lo sappiamo, persi e dispersi in dimensioni virtuali cosparse di violenza, dove una ritrovata naturalezza costa fatica, come fatica è quando ci si incammina per ritrovarsi, mutare e compiere scelte.
Per me – per altri possono suonare altre note o atmosfere - leggere le sue ‘ore perdute’ mi ha fatto ritrovare immersa negli anni ’50 ’60, quando ancora la corsa verso un senso delle cose e della propria esistenza si intraprendeva con la consapevolezza di possedere alcuni valori da utilizzare come strumenti di sfida e di lotta per conquistare nuovi orizzonti. Oggi non è così. Ho respirato con Antonio tanti antichi amori, familiari, amicali, fraterni che reggevano in quegli anni opponendosi al conformismo di una società che già si stava avviando verso la sua fine, senza nessun paracadute di difesa. Sboccia tanta tenerezza e nostalgia per quel pizzico di umanità che non si possiede più, utile a non andare oltre, ovvero verso il confine di un vuoto nel quale si può sprofondare.
E allora la poesia è necessaria, incastonata in un contesto che fa dire ad Antonio: “Il poeta in effetti possiede le capacità per un’indagine speculativa che poggia sempre sulle esperienze del vissuto, quasi come ricostruzione del simbolo della rinascita, per sprofondare nelle spire dell’amore, negli inganni dell’illusione, nel terrore della guerra, nel sussurro dell’infinito, nel tentativo rovente di allontanare la morte, individuando in anticipo il rapporto fra eros e thanatos”.
In un libro - pubblicato da Neri Pozza - Perché i poeti- La parola necessaria, l’autore , Eugenio Mazzarella, inizia la sua riflessione a partire da una conferenza di Martin Heidegger del 1946, dal titolo Perché i poeti, dove il filosofo di Essere e Tempo si confronta con il dire dei poeti e questo segna il passaggio dall’analitica esistenziale alla riflessione sul senso dell’essere ,come evento del linguaggio custodito nella poesia.
La verità dell’essere come verità di parola e della poesia come istituzione linguistica del mondo. Oggi che assistiamo ad un perseverante distruzione della ragione giuridica che impedisce una protezione dei diritti umani e della dignità della persona, dobbiamo ricercare attraverso la poesia e l’ agire artistico quello che il nostro filosofo, Aldo Masullo, definisce un arcisenso. Ovvero un modo per affrontare e leggere, per superarla, la scissione, ineliminabile e dolorosa, fra eros e thanatos, fra desideri e realtà. Ovvero abbracciare uno stile di vita poetico che superi la ferita di una solitaria incomunicabilità, attraverso i gesti, la musicalità e il respiro della ritrovata parola, un modus di essere che Antonio ci suggerisce in queste ore, che indicano la strada che poi ha percorso per raggiungere la sua maturità poetica.
"Pensieri"
Pensieri,
pensieri lontani,
sul sasso corroso dal vento,
tra i muschi,
nel freddo che ghiaccia le gote,
negli occhi.
Pensieri che vanno lontano,
tra nuvole accese di sole,
tra foglie cadute, tra rami.
Pensieri,
che vengon da antiche visioni,
da ricordi del tempo,
da fiabe di piccoli bimbi,
da urla di guerre,
da teme di sangue.
Pensieri di vuoto,
Pensieri di gioia,
pensieri che il nulla sostiene,
che nulla distrugge.
Pensieri che vanno lontano,
lontano nel mare,
chissà oltre il mare,
laddove finisce
la terra ed il cielo.
C’è tutto l’io lirico di Antonio in questi versi, un io lirico che si affinerà nei suoi scritti successivi ma – per dirla con Leopardi – resterà fondativo, accompagnandolo nei suoi attraversamenti. Lo dice nella prefazione parlando delle sue ricerche linguistiche, di stile, che ha sperimentato ed esperito nei processi della sua vita da poeta. Questi versi di ore sembrano chiudere in un cerchio il senso della sua poesia, intesa come parola apprensiva del mondo, depurata, che nel cammino della sua verità ha perso inutili volute, lasciando andare il superfluo per ricongiungersi a quel battito interiore che custodisce la vita. Quel fenomeno – in senso greco – che appare, si fa vedere e che possiamo conoscere solo con i nostri sensi , con la poesia, che non è tecnica, costruzione, genere. Antonio in questa sapienza è Maestro.
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RITA FELERICO

giovedì 10 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = EDITH DZIEDUSZYCKA


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Marco Tabellione: Recensione a "Ritrovarsi" di Edith Dzieduszycka - Ed. Passigli
Si apre con un riferimento al tempo e al rapporto con il tempo, la raccolta "Ritrovarsi" di Edith Dzieduszycka, affidata ad un lungo prologo in versi dove emerge il senso dell'attesa e dell'approdo ad un limite. Un lungo poemetto dove l'attesa diventa in qualche modo una resa consapevole alla morte, e forse di più, allo svelamento del segreto che la morte detiene. Ma soprattutto ciò che si concretizza in queste battute inziali è un grande omaggio, tra rispetto e angoscia, all'inesorabilità del tempo che passa, al consumo letale dell'essere che non può impedirsi di correre verso il nulla. Quando alla fine del poemetto la poetessa si descrive mentre guarda "quel dito sul quale si è deposta, velo di polvere, un'ombra impercettibile”, non fa che ribadire definitivamente una sentenza inappellabile. Le poesie successive, brevi e incalzanti, nascondono una specie di ansietà, di tensione, il desiderio di nuove frontiere, di una liberazione, l'approdo a scenari mai visti, esperienze mai vissute. Oppure i versi aprono paesaggi dismessi, incerti, quasi lugubri, spazi che parlano di dubbi, di speranze fallite; tanto che viene da chiedersi come la poetessa riesca a tenere insieme sentimenti tanto contrastanti.
Così da un lato l'autrice impone a sé stessa di non illudersi, dall'altro si auspica di poter varcare confini e barriere. C'è un mistero che tormenta, un enigma da sciogliere che ricorre in ogni verso e che si accompagna con l'idea di un destino ineluttabile, e la scoperta che la strada che percorriamo non è il risultato di una scelta. Tuttavia rimane la meraviglia, lo stupore incantato, che mai viene meno di fronte al mondo e alle cose, come in questi versi: “Nel sogno evadi / passeggiate per boschi / foreste e valli / Nastri d’argento / slanciati verso mare / frementi fiumi / Paesaggi ignoti / meraviglia ‒ stupore / mute scoperte / Ad occhi chiusi / ti perdi ‒ ti ritrovi / all’infinito”.
Le liriche parlano di frontiere, limiti, orizzonti che però non chiudono, ma aprono a mondi che tuttavia restano segreti. In fondo a questi versi, tuttavia, una relazione emerge chiara e coraggiosa, il rapporto con la fine, che però non è mai una fine. Anzi, a volte, un desiderio di ribellione sembra percorrere i versi, come una rabbia incontenibile, magari trattenuta in un solo attimo, però energica, immediata. Poi, verso la fine della raccolta, le poesie, tutte rigorosamente di dodici versi che alternano trisillabi o quadrisillabi, cominciano a denunciare un affievolimento di intendimento, di ascolto, di comprensione.
Come la poetessa stessa riconosce in alcuni passaggi, tutto rimane sospeso tra veglia e sonno, in un sogno non ben distinguibile. E poi sul confine labile del conosciuto ecco che si profila l'altra voce, forse il compagno di una vita, un barlume di ritorno; tant'è che emerge in tutte le poesie l'immagine di un'anima stretta da due morse: da una parte la vita con le volgarità di una contemporaneità che si rivela sotto forma di immagini tetre a volte ripugnanti, dall'altra un oltre che ha di certo solo una fine, anche se non si sa se sarà l'unica. Eppure, come evidenzia l'ispirata lirica finale, l'orizzonte che si profila davanti, inevitabile, sembra poter diventare il limite di un sogno migliore: "Immota aspetti / dell’usignolo il canto / sull’alto ramo. / Qualcuno ha detto / che l’alba non è morta / spunterà ancora. / Dietro la linea / dell’orizzonte vuoto / sta la risposta. / Prima del varco / nessuno la conosce / segreta stanza".
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MARCO TABELLIONE

ROMANZO = CARMELA POLITI CENERE


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Carmela Politi Cenere: “Raccogliemmo more su per la collina”- Ed. Homo scrivens 2025- pag. 148 - € 15,00
Abile manovratrice della penna, ricca di per se di un bagaglio culturale policromatico, Carmela Politi Cenere stempera, con delicatezza e con appassionata ricognizione dei segreti del nostro inconscio, un romanzo che ha alcune sfaccettature variegate per incisioni nel quotidiano e incursioni nel sottofondo filosofico.
Angelina e Totonno sono i due personaggi principali di questa avventura che si stempera fra il verde della collina di Posillipo, un sito affascinante della Napoli lussureggiante, nei primi anni del trascorso novecento.
La fanciulla “custodiva nel suo cuore il segreto di un sentimento appena nato, puro, appassionato, che le permetteva di guardare la vita con la consapevolezza della totale realizzazione dei suoi sogni”.
Tenera, tra le prime pagine, la descrizione della incertezza mal celata dalla fanciulla per una discutibile “fuitina”, capace di mettere al sicuro il matrimonio contrastato con Totonno, ma acerbamente placata dai dubbi morali che affollavano il suo cervello.
La capacità dell’autrice di impossessarsi degli attimi che attraversano il quotidiano andazzo tra la madre Minicuzza e la giovane protagonista sono qui elaborati con la duttilità di chi sa porgere i fotogrammi di incontri, avvenimenti, suggestioni, improvvisazioni, discussioni, titubanze, nello svolgersi di comportamenti etici che nello scorso secolo erano inviolabile codice, e riferire tutti quei modelli che lasciavano vedere figure saldate alla tradizione e pur desiderosi tacitamente di svincolarsi.
Mentre la storia prosegue spedita sotto il sole di marzo, che gioca coi capelli splendenti dei due giovani, si alternano descrizioni di avvenimenti popolari come il frastuono del mercatino festivo in zona collinare e la rumorosa processione per Sant’Antonio o le diatribe e i dibattiti fra consanguinei, o ancora la compartecipazione ad un felice parto gestito dalla “vammana” amica.
Tratteggia con fervore la dolcezza che si sprigionava tra i due giovani innamorati, l’impegno di Don Gerardo per appianare i divieti, le promesse impensabili per realizzare l’impossibile, il trascorrere dei giorni che diventavano sempre più arditi, la dissenteria improvvisa per ‘Ngiulinella, lo stato sociale che al momento contava più dell’amore e della serenità, ed in fine una serena conclusione tra le mura di Milano, alle soglie di quella famosa guerra 15 - 18 .
Tra queste pagine di Carmela Politi Cenere il tocco della fede e della morale va interpretato emotivamente nel fervore che i personaggi elevavano nel tempo andato, qualcosa che dal linguaggio ordinario sfocia in risonanze realmente struggenti sia per sentimenti inespressi che per atmosfere che sembrano atti ipnotici.
Scrittura composta e meritevole di attenzione, sempre capace di cogliere quello stile che abbraccia un’ottica ritmata e concreta.
In appendice il volume si completa con l’aggiunta di undici pagine del capitolo “La stanza dello scrittore” in ricordo dell’amico romanziere Domenico Rea, nel ritmo di un sentimento caldissimo.
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 9 aprile 2025

RIVISTA = KENAVO'


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E' in distribuzione il numero di Marzo della brillante rivista Kenavò, realizzata e diretta, con la severità dovuta alla ricerca di una scrittura limpida e aggiornata, da Fauta Genziana Le Piane. Firmano questo fasccolo: William Butler Yeats, Paolo Carlucci, Fausta Genziana Le Piane, Manuela Marziale, Antonio Spagnuolo, Clara Di Stefano, Giuseppe Toccanelli, Rosario Napoli, Maria Rosa Catalano, Massimo Pirozzi,Elisabetta Tassi,Riccardo Renzi,Aurelia Rosa Iurilli,Francesco Dall'Apa, Roberto Casati, Paolo Ruffilli, Mariagrazia Finocchi, Lidia Popa,Valerio Mattei, Damiano Rica, Elio Camilleri, Enrico Fincchiaro. Allegato un inserto firmato da Fausta Genziana Le Piane per la scrittrice Anna Gadalva, "recente fenomeno letterario francese". -- Per informazioni : faustagenzianalepiane@virgilio.it =

POESIA = LAURA ALTAMURA


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"I"
Opaco l’attorno delle viscere
nel corpo anoressico d’amore.
Le mie rovine a picco nella striatura
del muscolo si fanno ossa cave, senza volo. Adesso che il bisturi è rasoio, immediata
la parola si volge anemica.
Mi cammino più in là dalla mia testa, nel Purgatorio.
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"II"
M’appaiono angoli di primule
e portici
ronzii profondi di carezze.
Una malinconia muta, quasi una presenza incontenibile,
stupore d’ alba intrecciato tra i capelli,
laccio di fieno sottile: è la vertigine della fioritura.
Si vive impigliati tra corteccia e germoglio,
il tempo maturo, che è stato
il tempo che cresce, irrigato.
Le labbra d’erba umide del mattino.
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"III"
È una mano di medusa a rimestare
le conchiglie nel retino.
Pesci, alghe, salsedine, tutto fuori
fuoco.
I tentacoli riesco a vederli sgranati,
stringere gli occhi come si fa con le ferite suppurative,
a gocciolare pixel che presto il sale
avrà medicato.
Nel guscio il nacre del mio dolore si fa tondo, si fa perla, si fa pianto.
Dimmi tu dove trovo i tuoi resti,
se nello stomaco della balena
o nel flash d’un abbaglio.
Per scontare la pena c’è tempo.
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LAURA ALTAMURA

venerdì 4 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = PAOLO PARRINI


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“Un lunghissimo addio” di Paolo Parrini (peQuod, 2024 pp. 66 € 14.00) abbraccia il doloroso congedo e la prolungata accoglienza dell'esistenza, circonda, con uno stile maturo e consapevole, la profonda riflessione personale intorno al tema originario del distacco, alla ricorrenza crudele delle separazioni. Paolo Parrini innalza l'invocazione struggente che risuona lungo l'intensità discreta e raffinata dei suoi versi e diffonde la coscienza dell'addio, nella forma più rappresentativa, consolidata nella natura umana, oltrepassando la paura della perdita. Richiama alla memoria la ritualità inevitabile e imprevedibile dell'abbandono, la narrazione sfumata e indistinta dell'orizzonte dell'epilogo, raccomanda la vocazione affettiva a congiungere e conservare le relazioni emotive, come un'eredità spirituale e realistica orientata alla necessità di ricevere il dono della vicinanza, la protezione e il conforto dagli affetti più cari, amplifica il patrimonio struggente dell'autobiografia per analizzare la responsabilità immanente delle esperienze. Riveste la corrispondenza essenziale di ogni accompagnamento temporale di solitudine e di cambiamento, nella possibilità preziosa e ispiratrice, di raccogliere l'inclinazione unica e meravigliosa di ogni omaggio sentimentale salvifico e inestinguibile. L'autore definisce un tempo intimo e simbolico, utile per rafforzare la traiettoria evocativa di luoghi, ricordi e persone, contempla la capacità inattesa e miracolosa della transizione, nella realizzazione e nella conservazione dell'identità personale, l'attenzione commovente alla gratitudine delle radici. Comprende la necessità di assimilare la solidarietà sicura e rassicurante dell'equilibrio sensibile, nello sguardo infinito sulla dimensione pacifica e silenziosa della salvezza, nella presenza segreta e familiare, solida e positiva, in un contesto, sempre incantevolmente poetico, dove la fortezza dei legami stabilizza il confronto con il mondo e lascia alle spalle la vulnerabilità degli impulsi. La poesia di Paolo Parrini immerge il senso del vuoto e della fugacità nel coraggio di un persistente e immutabile insegnamento morale, lascia parlare la speranza e interrompe l'inquietudine delle aspettative con la beatitudine dell'anima, affronta l'ineluttabile e imprecisa oscurità delle incertezze, lo stupore brumoso del turbamento, l'inganno infranto della dimenticanza. “Un lunghissimo addio” arriva al lettore come una destinazione restituita al di là di ogni circostanza terrena, oltrepassa l'interminabile rinvio di ogni distanza fisica, rintraccia la scelta del cuore in ogni percorso della vita, adotta il vincolo del destino per accogliere la desolazione e gestire la malinconia della separazione. Paolo Parrini educa alla significativa e rispettosa bellezza della fine, all'accettazione estatica della sospensione, all'incolumità inattaccabile della consolazione, all'alleanza per una crescita umana e per la continuità. Accetta di cambiare sguardo sulla vita e sulla morte, di affrontare le avversità e non temere la dissolvenza, estende, con la delicatezza dei suoi versi, la ragionevolezza e la saggezza, promuove l'umanizzazione della cura e la dimensione spirituale di un linguaggio che accorda la debolezza e la sofferenza dei nostri affetti verso la rinascita, attraverso l'esempio di vita di chi, accanto a noi, restaura il bene, l'amore incondizionato che è misura di tutte le cose, il percorso interiore di rinnovamento di chi resta ad aspettare.
RITA BOMPADRE
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TESTI SCELTI
°
Ti ho visto scendere le scale
il marmo rosa scivoloso e freddo.
Alla vetrina la tua ombra
era bambina, lo sguardo
acceso dei giorni belli
poi d'improvviso ecco la sera
la tua poltrona vuota,
il passo non risuona.
Allora capire quanto tutto
si dilegui,
come sia bello stringerci forte
prima del niente,
prima della morte.
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°
In questo nero
che soffoca il celeste
mi basta un sorso d'acqua
un prato tagliato
da annusare.
Qui perdersi
scivolare.
Sono i segnali d'un amore
spento,
quello che resta graffia
come una spina di rosa.
E lascia ferite arrossate
e un battito malato
del cuore.
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°
Senti?
Suonano campane a festa
i fiori alzano la testa
e tacciono i grilli d'improvviso.
Quante sere come questa hai già vissuto
dentro coni di luce
e dolci melodie.
Ma oggi splende un sole nuovo,
il verde del campo è più verde.
Le nostre mani si intrecciano,
raccontano la vita passata,
sono splendide le dita
a indicare il tempo che verrà.
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°
Si muore rendendo il respiro
gravitando nell'aria
pieni di terra
e tra gli occhi
un solco fatto lieve.
Si muore per rinascere
diversi
persi tra un sospiro
stanco
e un cielo grigio
là dove migrano le rondini
e i rami degli alberi
si aggrappano alle nuvole.
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°
Chiudere gli occhi vorrei
tra il giallo dei fiori
e questo vento leggero
che porta gli odori del mare
e mi consola il cuore.
Giacere su questa panchina
odorosa di umanità
tra questi archi fatati
forse avrà pace il mio cammino.
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giovedì 3 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = MANUELA MORI


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Manuela Mori: “Chiaroscuro” – Ed. ETS – 2024 – pag. 64 - € 10,00
Nella delicatezza dell’improvvisazione, che rapisce per la sua scansione armoniosa, ecco che la poesia si offre come semplice accadimento dell’esistenza, e parlando in prima persona diviene spesso sospensione del pensiero alla ricerca di alcuni momenti che incidono per il diario in modulazioni: “Mi indicavi il sole mentre tramontava,/ lo raccontavi sempre alla tua maniera,/ come un’arancia che rotola/ per una strada in discesa./ “Perché ciò che davvero è alto”/ dicevi “sta dappertutto”-
Indaga tra le sfumature di un mondo rappresentato di nuovo in bianco e nero per rifugiarsi nei sussurri dell’amore che fa capolino tra le ali del cielo e le pinne del mare per avvolgere la pelle con un velo di malinconia. E la nostalgia ripete spesso: “Non siamo stati in guerra, da bambini/ non abbiamo avuto fame./ Le nostre sono state penurie non carnali/ che proteggiamo ancora/ fra i meandri tortuosi del cervello./ Si dimentica il coltello./ Si protegge la ferita, senza alcun senso.”
L’anello che congiunge l’afflato alla parola declamata con fervore è in queste pagine il vigoroso incedere del verso, libero da ogni metrica e pur armoniosamente ritmato nella musica delle sillabe, così come anela ogni componimento che perduri nella scrittura. Stesura che palesa il ricchissimo controllo del simbolo, ricamato com’è tra le figure, i fotogrammi colorati, le note della speranza, gli accenni delle visioni, il prezioso tessuto dei sentimenti.
Qualche pennellata riesce a tratteggiare accostamenti policromatici: “Aprile, nome limpido e brumale,/ lino disteso al sole ad asciugare./ Cresce l’ulivo nell’azzurro,/ nelle pinete svetta l’asparago./ All’improvviso eccolo l’inciampo!/ Il cielo sbatte fra le nuvole, si rompe/ roboando come la cupola di un tempio./ Tu non temere mai, terrà la rosa./ Anche la mala spina sarà salva,/ perché così dev’essere.”
Anche la solitudine dell’abbandono si affronta con squarci tracciati nel velo della preghiera: “Dite ai miei morti che non sono sola./ Mi fanno compagnia i loro oggetti,/ muti custodi delle presenze perse,/ degli istanti, di ruggine e diamanti,/ che vivemmo insieme./ Lo sappia il vento,/ che dalle terre del pensiero incalza/ decretando: avviene e non si ripete/ l’attimo, l’istante che viveste insieme.” Ed è purtroppo una realtà tangibile l’impossibilità di ripetere, di rivivere quei momenti, quelle azioni, quegli accadimenti che abbiamo rapidamente vissuto forse senza comprendere che l’oa fugge ( fugit hora! )-
Manuela Mori traccia con garbo, con disciplina, con saggezza una scrittura equilibrata e accattivante tra la storia personale e le vicende di personaggi consistenti così che il discorso, evocando lampeggi, mette in luce immaginazioni morali ed intellettuali, di certo sempre attuali nel presente.
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ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 2 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONELLA CAGGIANO


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Antonella Caggiano: “Le vena delle viole” – Carta canta Ed. -2024 – pag. 92 - € 12,00
Policromatico viaggio nella quotidianità, mentre la vita intreccia parabole che hanno il filo ininterrotto dell’imprevisto, o quelle improvvise vertigini che coinvolgono nelle illusioni, nelle speranze, nelle lampeggianti rappresentazioni, nelle rincorse affannose del tempo che fugge.
L’io, che sussurra frasi scandite nei momenti in cui partecipa ai segreti del sub conscio, sembra esaltare le incertezze quali intense rappresentazioni del dicibile, sottese quasi sempre ad una elegiaca partecipazione lirico-sentimentale, ove vibra un frequente amor vitae.
Fortunatamente il linguaggio poetico di Antonella si scosta risolutamente dai vari tentativi di smembramento del verso, tra patafisica e sperimentalismi vari oggi imperanti in molti avanguardisti sprovveduti, e si presenta candidamente pulito, apprezzato come espressione del dicibile, alla scoperta di quel mondo che si vela tra la memoria e la ricerca del sogno. Il tempo e meglio la temporalità delle descrizioni, dei paesaggi, dei personaggi è in queste liriche contemporaneamente il tempo anteriore e quello interiore che va scoprendo di volta in volta la relazione del vissuto e del ricordo, tra idillio e sbandamento, tra urgenze di luce e cornici di dipinti, tra inciampi nel giorno e singhiozzo di assenza.
Diventa dominante la dimensione tra il passato ed un tempo senza attesa, tra il definitivo e la creazione momentanea, verso la figurazione dell’indeterminato con frequenti incisioni della memoria. Un tocco che plasma la materia avverte “tutta rossa la notte/ nel silenzio santo/ delle cose/ Tremulo blu, la bocca tua/ nella mia” così che un bacio si trasforma in eterea trepidazione, nel mentre la sosta indugia “Tutto grigio il mare stamattina/ solitario quel sorriso scaduto/ come quest’alba vecchia, vorrei avere/ l’audacia elegante di foglia di ottobre/ Lasciare poi che mi trascorra il vento/ cadere, nella calma della terra/ che mi faccia neve, che sia coperta/ pace dell’attesa, il sonno sazio.”
Più metafore completano la scrittura, che gioca tra le luci degli accadimenti personali e la tensione del pensiero poetante, capaci di ricamare un rilievo alle esperienze del remoto. Un abbraccio è il rapido passaggio di urgenze nelle pieghe che bruciano le assenze.
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ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 1 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANNI MARCANTONI


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“Sedime” di Gianni Marcantoni (Fara Editore, 2024 pp. 104 € 12.00) occupa la superficie dell'espressione emotiva su cui posa la fondazione poetica. L'autore deposita la traiettoria del tempo lungo i richiami della memoria, proietta le pieghe del sentire, impasta l'esistenza intorno all'archetipo dell'esperienza umana, affidata sul fondo della sospesa e irrequieta sensibilità. Lascia sedimentare, attraverso l'ineluttabile resilienza dei versi, l'elaborazione esistenziale, decanta lo scampolo delle occasioni, osserva la custodia delle esitazioni e delle incertezze, trattiene la consapevolezza di tutto ciò che non è afferrabile e accessibile lasciando registrare la profondità della trasformazione interiore nella direzione della conoscenza. La poesia di Gianni Marcantoni abbraccia l'autenticità della relazione con il mondo, rivela la percezione soggettiva e ne diffonde l'essenza universale, sperimenta i cambiamenti e le dinamiche di responsabilità morale, interagisce con la complessa corrispondenza dei sentimenti, spiega l'approccio lucido e realista verso l'atteggiamento sfuggente ed effimero, inclinato nell'obliqua interpretazione di ogni approssimazione della coscienza. Sprigiona il cammino evolutivo verso la difesa introspettiva dell'inconscio, esplora il vissuto e l'aspetto analitico del sé attraverso le sfide del quotidiano, la natura degli eventi, sottolineando l'unicità della forza trainante delle parole, utilizzate per derivare l'influenza dei ricordi e della struggente familiarità. Gianni Marcantoni affonda le proprie radici elegiache nella nobile capacità di far convivere la poesia con il profilo delle proprie vicissitudini, dipinge il ritratto delle assenze donando l'intensità descrittiva e interpretativa alle immagini evocative, attraversa l'inquietudine e gli interrogativi della disperazione modulando l'ampio respiro di un'anima in conflitto con l'inconsistenza e la vacuità e in affinità con la spontanea validità dei pensieri e della trasmissione di un messaggio eloquente e dialogante con l'altro. “Sedime” condensa l'impronta della fatalità del destino, consuma l'ispirazione del desiderio vago e inespresso, addensa il grumo del vertiginoso vincolo dell'imprevisto alla necessità di oltrepassare la paura e lo sconforto, assicurare la volontà di indagare l'imponderabile, intrecciare il nostro destino al modo di percepire l'intuizione delle possibilità. Il libro arricchisce il significato sincero e incisivo delle metafore che percorrono la simbologia intensa e incontaminata dell'incontro spirituale con la forza suggestiva della natura, con la celebrazione dei luoghi, con la lusinga malinconica del passato e la dura incognita del presente, coinvolge la sintonia delicata tra il poeta e il lettore, offre numerosi spunti di riflessione intorno alla commovente e preziosa ricerca di noi stessi, alla fragilità delle stagioni, all'accorata frammentazione del silenzio, all'imperturbabile condanna della mancanza. Gianni Marcantoni riesce a comunicare la compassione e l'ostilità del divenire, aggiunge alla cognizione della propria identità la sensazione di una prospettiva infranta tra l'accettazione della perdizione e della salvezza, in cui le illusioni scardinano l'equilibrio, attirano l'estraneità, rivelano le incrinature e le ferite, deformando l'inevitabilità del dolore, alterando la provvisorietà. Accetta il cambiamento con la maturità coraggiosa della scrittura e della sua confessione.
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RITA BOMPADRE
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TESTI SCELTI
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"PONTEGGI"
All'ultimo tanta amarezza rimane,
disillusione per cui tutto
sembra disgregarsi fra le numerose
evocazioni del passato,
sempre più vivide e pesanti.
Nello scolare del tempo
ognuno diventa residuo di sé stesso
sopra uno strato prosciugato.
-
Mi mancate, avrei dovuto
fare molto di più per voi,
ho provato con tutto me stesso,
ma crescono i tagli:
sono terreni acidi e lapidi,
sempre più fraterni ponteggi.
*
"MATTINO"
C'era il mattino chiaro,
il mattino in noi,
-
simile a una lama rinforzata
legata a uno straccio
fluiva scombinato un sudore dai fianchi.
-
Animata è la goccia
e libero il tuo braccio, il campo-contatto
che infrangi
-
tu subito sommergi.
*
"SEI"
Nel sesto cuore,
della sesta grinza,
sei note sono state trovate,
-
affinché in un'altra soglia,
e per noi,
rilucesse
l'altrui corpo.
*
"SOSTA"
Dunque avresti trovato un'altra vita,
la possibilità ulteriore che non ho avuto io.
L'uomo viene sempre trascinato
fin dove dovrà sostare – in definitiva.
-
Le sabbie e le acque sono mutate in oro
custodito in una teca;
ultimo lascito di saliva,
ultima conformazione sancita.
-
Sei solo un cuore di vaga interezza
che si
fa strada e ronza
paziente, sottacendo la pozza,
nell'insistente afrore.
*
"INTERVENTO"
Da un intervento
a mani e bocca
partirono
due occhiate di rossore
in un pacato mese luminoso
senza fioriere.
-
In avviata successione
di saluti
cominciammo l'incisione
da quel
che ogni cosa riduce,
un tacere, uno
spartire in dispersione.
***

SEGNALAZIONE VOLUMI = LAURA PIERDICCHI


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Laura Pierdicchi, "Mater", Poesie,- Ed. la Valle del Tempo, Napoli 2024
La raccolta "Mater" ripropone alcune delle tematiche caratterizzanti il percorso poetico di Laura Pierdicchi, dall’importanza attribuita ai ricordi dell’infanzia alla presa di coscienza dell’inesorabile fluire del tempo, al desiderio di ricongiungersi con quel Tutto che incarna il mistero che ci sovrasta, in precario equilibrio tra la rassegnata accettazione per la perdita di una persona amata e il dolore provocato da quella devastante assenza senza chiudere la porta alla speranza di ritrovarsi in un’altra dimensione. Anche in Mater il richiamo del passato è potente sin dall’incipit: “Tenera la neve si posava/ sull’altana dei rigidi inverni/ delle mia povera casa d’infanzia.” (Tenera la neve si posava). Il ricorso ai versi di Emily Dickinson (“Soltanto nella perdita/ cogliamo l’importanza di chi stava/ poco prima tra noi -/ un sole estinto”) suona come una dichiarazione di poetica: quella di Mater è lirica dell’assenza, canto doloroso di un vuoto (la perdita della madre), senso di solitudine simboleggiato dalla casa ove aleggia “tra le stanze/ un costante fruscio di ombre/ in successione.” (Il tempo ormai è un fremito).
La poetessa rievoca i primi mesi di vita con la scoperta degli occhi e delle mani materne, quando si instaura quel legame unico e meraviglioso tra una madre e la propria creatura: “Non ho mai detto di te/ perché il battito all’unisono/ fondeva il mio corpo/ con il tuo - un tutt’uno/ mai disgregato”(Non ho mai detto di te).
Ora che la natura ha fatto il suo corso separando l’inseparabile, Laura Pierdicchi può scrivere della figura materna e rievoca, nella poesia Quella sera, i tragici istanti quando: “Avrei voluto darti luce/ ma eri già oltre il velo/ io respinta/ il ghiaccio nelle vene -/ tornai con passo estraneo/ nella casa nuda.”. I ricordi si susseguono e in Ora torno indietro … la stufa accesa “mentre la nebbia saliva/ dal canale e la calle/ era fumo bianco/ a confondere i contorni” accompagna il ricordo della voce materna. “Chissà se l’altana esiste ancora” si domanda la poetessa nella lirica omonima ripensando alla casa dell’infanzia e ai capelli della madre “sempre scompigliati fino all’ora del desco/ quando per magia tornavi/ fata turchina e tutto/ riluceva del tuo amore.”. La lacerazione è assoluta, la poetessa si sente sradicata (“tu mia radice madre” scrive in Tu non sei più) e in Era l’ansia di crescere le pare ancora di respirarne il profumo: “dentro di me/ il puro frutto dell’immenso./ Era gioia inesprimibile/ un lampo nel cielo chiaro.”
La presa di coscienza di quanto tale vuoto sia incolmabile non è mitigata dalla consapevolezza che il mondo va comunque avanti, come attesta Non più risate: “Gira la giostra senza fine/ anche nello spegnersi della sera.” e ciò che rimane è “Solo il riflesso di un sogno/ che si perde nel rimpianto.” (Di tutta la magia). Se un barlume di luce si percepisce nel buio, consiste nella speranza di riuscire un giorno a ristabilire il contatto in una dimensione altra, ove sia possibile “oltrepassare la mia forma/ per un abbraccio incorporeo.” (Voglio pensare che lassù sia quiete) trovando la forza per proseguire come si evince dagli ultimi versi di Abbandonarsi al risveglio: “Ora mi vesto e mi sdoppio - / sposo la tua essenza … e continuo.”
In perfetta sintonia ci appaiono i versi della Dickinson inseriti in chiusura, riferiti all’anima che lascia il corpo al momento del trapasso “e si avvia col suo dolce passo etereo/ dove non è speranza di toccarla.”
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Roberto Tassinari