SEGNALAZIONE VOLUMI = BONIFACIO VINCENZI
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Bonifacio Vincenzi : “La vita della parola” – Ed. Macabor – 2020 – pagg. 70
“Un piccolo canzoniere sulla pienezza del verbo, alla ricerca dell’Essere, in una società, assente, che recita, decanta e insegue i “bagliori”, le “illusioni”, come valori, come dispersione, invece, di crescita. – scrive Rocco Salerno nella prefazione- L’universo, infatti, che si dispiega in questo testo, sin dalla prima sezione, è quello del dissidio tra l’apparire e il vivere, il blaterare e il parlare, il virtuale e il reale, come voragine generazionale, come ossimoro incolmabile. Un viaggio, come viatico, nel tempo della catarsi, della coscienza del risveglio, attraverso l’insegnamento del mondo orientale…” Ed è un avvio alla lettura molto interessante, perché apre vivacemente l’attenzione alla scrittura, in poesie che sono pienezza controllata di realtà quotidiane e maglie oniriche, incisioni di figure e illusioni plasmate dal ricordo. Una molteplicità di gradazioni tende a variegare la stesura, nella quale fanno capolino la originalità del dettato e la urgente necessità di sussurrare.
“Non è la voce che torna/ né altro che riusciremo a riscrivere/ in questo bisogno muto di ricordare./ Ma un gesto è pur sempre anelito/ di mistero nel cavo di un rimpianto/ appena smosso.”
L’alito riconosce se stesso nei versi di Montale, nella “religione dell’apparire”, nelle “mille strade già percorse”, nella ingenua domanda del “come mai si è vivi”, o ancora “da dove nasce il furore di questi anni/ la folle corsa su un binario sbagliato/ l’illusione pericolosa…”
Rincorrere metafore in un “parlato” di rara profondità speculativa, nel problema irresoluto del tempo e della sopravvivenza, del rapporto tra l’uomo e le cose, nel valore del sogno in contrapposizione della luce/buio, diventa tema tutto avvolto nella musicalità del verso, quasi sempre concepito oltre l’endecasillabo. Mentre il gioco delle circostanze improvvisamente ci avvia alla terza parte del volume “La memoria dell’assenza”, ricca di suggestive tessiture nel ricordo del padre, per una risonanza fluttuante, in cui l’affondo emozionale coesiste assieme ad un disvelamento labirintico, fonte di ansiosa ricerca, con la quale “Saperti in un posto inimmaginabile, vederti passare dove le querce mutano con le stagioni. Guardare la salita degli affanni, gli specchi dei cambiamenti”. Qui il verso è breve, non più adagiato al discorsivo, ma nell’urgenza di riacchiappare i momenti che non sono più palpabili. Il padre è presente anche nella sua provocante assenza e il poeta “finalmente lo ritrova dietro le parole mai dette”. Rovistare dentro le pieghe dei sentimenti, annaspare fra i riflessi del ricordo, interrogare il fato nell’illusione di un riscontro, risvegliarsi fra le convulsioni del sogno, coinvolgere l’inconscio in una specie di affinità che possa identificarsi con la percezione prima e con la conoscenza poi.
ANTONIO SPAGNUOLO
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