SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO
**SULLE ALI DELLA LIBELLULA. “RICAMI DALLE FRANE” DI ANTONIO SPAGNUOLO.**
I “Ricami dalle frane” (Oedipus, 2021), prezioso libro di poesia di Antonio Spagnuolo, poeta napoletano che ha superato ormai i 91 anni − di cui gran parte dedicati alla poesia, oltre che al suo lavoro ordinario di medico − ripetono nel solco della memoria, con variazioni sapienti, i temi della produzione più recente, nata da una perdita, quella dell’amata moglie, Elena. Assenza contro cui si pone l’antidoto della poesia, la rielaborazione creativa del lutto. Negli ultimi volumi (tra cui “Proiezioni al crepuscolo”, Macabor, 2022 e “Riflessi e velature”, La valle del tempo,2023), affiorano insistentemente i ricordi della vita familiare con Elena e il tessuto dei versi, che ripete il disegno del dolore, si riempie di motivi nuovi, di vari punti di vista a partire dal vissuto, dall’esperienza. “Il cervo” che “si nasconde dietro le siepi incolte” e si lamenta per le ferite (p. 7) richiama con un parallelismo l’io poetico che nasconde le sue di “ferite”. Il dolore, come la luce che entra in un prisma, si scompone in tutti i suoi colori nell’ultima produzione di Spagnuolo ed è frequente, infatti, nella raccolta il riferimento alle gradazioni dei colori, come a p. 55: la ruota del pavone dal “variopinto colore” simboleggia le illusioni umane. In Ricami dalle frane, la solitudine nelle mura domestiche (p. 5) corrisponde ad una gradazione tendente al grigio ed una nota costante, che affiora lungo questo canzoniere degli ultimi anni di Spagnuolo, è “il canto della [sua] solitudine” (p. 34), il “carezzare lentamente le ore della solitudine” (p. 40). Ma i baci dati (“E ancora baci! / Ancora più di mille”), con la citazione della celebre poesia del poeta latino Catullo al quale è intitolato il testo-omaggio, nello stesso componimento alimentano il rosso della passione, “il preludio del sogno”. Questi baci testimoniano la realtà che produce i suoi effetti ancora nell’oggi; subentra, però, la consapevolezza che si tratta di una realtà transitoria, illusoria, che si è separata dal contatto dalla carne, ormai fredda, per autoalimentarsi nelle ripetizioni delle immagini liriche e melodiche della poesia, che diventa una sorta di terapia: “E ancora baci, delicatamente a sfiorare / il freddo della tua magia / che modella di nuovo le dita all’illusione”. Dalla figura del “cervo” a “Catullo”, ad altri, vari specchi rifrangenti nella raccolta, il poeta tesse le variazioni dell’assenza e della perdita. Nella poesia seguente (p. 6) viene ribadito il tema dello “spettacolo illusorio, “la realtà / con tentacoli ardenti dell’errore”; se essa è maya, apparenza, è nel contempo impermanenza, come lo è anche l’amore di coppia, l’illusione più potente, che viene contrassegnata dalla parola petrarchesca “errore”. Ogni “desiderio” si riduce in “cenere” (p. 7) ma l’incantamento (“nuovo incanto”, p. 14) risorge. Nel rito medianico, che l’ultima produzione di Spagnuolo celebra e ripete, vengono evocati i “fantasmi” del passato (cfr. anche p. 24: “fantasmi / che ti ripetono gesti allucinati”), di “quando il tempo arrossava nelle sere”. Le “balze della memoria” inscrivono il libro in un’atmosfera “purgatoriale”: l’io lirico rimane perennemente sospeso, bloccato nel “rinverdire i ricordi”, nel richiamare “l’intreccio della fiaba e del timore”, l’inizio della “storia” con l’amata al tempo dei suoi “quindici anni” (p. 17), sorta di anniversario ancora petrarchesco.
Non mancano momenti in cui il tono sofferto prevale; il lettore assiste ad una discesa agli inferi (“fauci affamate dell’inferno”, p. 42) più marcatamente allucinata, ad uno psicodramma in cui l’io lirico presenta i mostri che gli sconvolgono la mente. L’irrazionalità sembra qui prevalere, così come quando viene evocato l’urlo del “lupo mannaro” nelle “circonvoluzioni cerebrali” (Il mostro, p. 30).
In altri testi il recupero dello spazio e tempo dell’adolescenza (“ragazzo impertinente”, p. 20) e della giovinezza è nel lavorio dell’inconscio quanto mai di conforto; rinasce una più positiva dimensione elegiaca che aiuta a vincere il grigio della solitudine della vecchiaia in un “lampo di colori” (ritorna quindi il riferimento alle diverse gradazioni sentimentali). La celebrazione della gioventù è legata al tripudio dei colori, alle “vertigini amorose / dai colori cangianti ad ogni bacio”.
Procedendo con la lettura si incontrano alcune spinte tematiche centrifughe che fanno da contorno al tema principale dell’assenza e della rielaborazione del lutto attraverso la scrittura, come la poesia di p. 23, La scienza, sul rapporto tra il primato attuale di essa (“il millennio incurvato alla ricerca”) e la poesia incardinata su una dimensione di eternità; oppure gli accenni qua e là alla pandemia, come l’isolamento (“Fuggo l’ombra di amici, ingenuamente / lontano dal contatto ”, p. 44) che si ricollegano alla vita solitaria della vecchiaia, o il desiderio di un monumento ai medici che hanno lottato negli ospedali contro il virus eroicamente per salvare vite (“Per il basamento del monumento ai medici”). Anche l’isolamento obbligato che il virus ha imposto è una “piaga”, una ferita che l’“incanto del progresso” globale “ha propagato alla coppa del sapere” (p. 44). In controcanto al tema scientifico si pone il testo di p. 45, una poesia preghiera ̶ uno dei momenti migliori, a mio avviso, del libro ̶ dedicata alla Vergine: “Maria , fanciulla dei Vangeli, / Illumina l’alito innocente”, testo che richiama le poesie sul Cristo e sulla fede di “Io ti inseguirò. Venticinque poesie intorno alla Croce”. Bellissimo volume quest’ultimo (con prefazione di Gennaro Matino, Luciano ed. 1999) che ho amato di più in tutta l’ampia produzione di Spagnuolo e che meriterebbe certamente un’attenzione critica maggiore per la felicità dell’ispirazione e delle immagini, del messaggio spiritualmente alto che consegna al lettore, cristiano e non. Il tema religioso, di nuovo l’evocazione della Vergine, è anche nella poesia dedicata a “Giuseppe”, personaggio che pur nel dubbio, contro cui si pone “il fulgore della parola divina”, abbraccia la sua donna “condivisa dal cielo nell’irreale stanza” (p. 51); dubbio che perseguita anche l’io lirico sull’“abitudine dell’inconsistenza” delle unioni mortali (p. 53), sull’ “inganno” della “eterna gioventù” (p. 57). Tenendo a mente “che quanto piace al mondo è breve sogno”, nell’ultima parte del libro il poeta ci mette davanti agli occhi il’“limpido inganno” (p. 59), la “pura illusione” dell’attesa di una “nuova primavera”, della giovinezza, dell’eros che si sono creduti eterni, ma non torneranno mai più.
“Il muro degli anni” passati si riduce ad un brevissimo “volo di libellula / nell’arcobaleno”, ora che incombe la “penombra” della “solitudine” e dell’“inverno” della vita, ora che “il verde abbandona l’umore del freddo” (p. 62) e l’io lirico è imprigionato in una “sala delle memorie”, sintagma che si può porre ad epigrafe di tutta l’ultima produzione di Spagnuolo. *
CARLANGELO MAURO
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