giovedì 18 dicembre 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = CRISTINA SIMONCINI


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Cristina Simoncini: “Linea di mira” Ed. Pietre vive – 2025 – pag. 92 - € 12,00
Un lungo racconto si progetta attraverso il decantare dei versi, che nel ritmo sempre cadenzato delle sillabe riescono a mantenere quella musicalità necessaria al sussurro.
Ed il sussurro si fa voce narrante affondata nel ricordo degli anni passati, con la pennellata policromatica delle figure, incise nel testo con una precisione adamantina e arricchite da elementi particolari. Notizie che fanno riemergere le ore scavate con entusiasmo o gli appunti da ricostruire, in un avvicendarsi di accadimenti che sembrano essere ancora in atto.
“C’è stato un tempo in cui si nascondevano i fucili per paura che nostro padre potesse usarli contro se stesso», comincia a parti¬re da questa constatazione Linea di mira, lungo poema in versi – in parte memoir, in parte autofiction – che ripercorre cinemato¬graficamente la storia italiana di una fami¬glia borghese, chiusa nella propria fortezza, dalla metà degli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta, quando nel crollo del muro di Berlino si rispecchia il primo grande crollo economico che ha portato molte persone alla rovina e alla morte, polverizzando la fami¬glia d’origine dell’autrice e segnando così la fine della giovinezza.”
La madre (una fortezza) è ben presente:
“La bocca canterina e la parata bianca
dei denti richiamavano in basso
l’attenzione – gli occhi li vedevi
solo a tratti, uscivano dalle lacrime
già arresi – il resto del viso
lo incavava un vento di vendetta,
era l’istinto a baciarlo nelle pieghe:
due vite ci sarebbero volute
per decifrarla, e tutto il profilo in lei
pareva da salvare.”
Ricamando la silente meraviglia che della memoria sostiene le trafitture, l’amore come rivivificazione dell’essere, riappare nell’esercizio della quotidianità e nelle illusioni di un divenire molto spesso incognito. Dalle preghiere del mattino recitate con devozione al dominio della sera ella era fulcro di attenzioni:
“Certe sere in cucina dominava
il rumore delle sedie, il tempo sonnolento,
la sciatteria di tazze nel lavello,
parlavi e qualcosa, come un lampo di grazia,
sollevava anni di polvere dalle spalle
pigre e supponenti di tua madre.
A guardarla di sfuggita la attraversava
un’ombra, il vetro di un sorriso.”
Nel semplice rinnovamento della consapevolezza la poetessa ricuce frammenti, con particolare attenzione al fervore sei sentimenti, all’entusiasmo dei barlumi, alla totalità degli albori, anche quando tastoni e sospirando la testa bianca della mamma era il segno della vecchiaia.
Bene articolati i brandelli di un periodo post bellico, vissuto tra le necessità divoranti ed i limiti della ripresa, tra le sbavature dei fucili e il timore delle improvvisazioni, sino al tempo attuale che condivide fatiche e sogni, il tremolio di una sigaretta ed il diario del padre che rincorre quotidianamente le parole. In post fazione scrive Vincenzo Di Maro:
“Quando ho cominciato a leggere le tue poesie le ho trovate immediatamente molto narrative: ogni poesia era pienamente conclusa in sé stessa; tuttavia insieme rispecchiavano una riconoscibile serialità. Le tue poesie, insomma, delineano una storia: vi si riconoscono oggetti e atmosfere concretissime, quelle degli anni Settanta, Ottanta e Novanta del Novecento. Eppure sembra tu avessi un’urgenza, una serie di interrogativi cui rispondere. È così? Cosa nasce prima, l’urgenza di giungere a una risposta o la scrittura?”
Scrittura uniforme, ben modulata nelle sequenze che appaiono come inquadrature di un lungo film, la cui etichetta ben si propone come cronaca da recuperare.
ANTONIO SPAGNUOLO

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