giovedì 4 marzo 2021

POESIA = FRANCESCA LO BUE


**Pistis Sophia**
Come di consueto, la Lo Bue, in questa poesia gioca con il linguaggio in una semantica articolata tra mithos e logos. Ciò, in una situazione poetica nella quale la sincronia e la diacronia si incociano in un simbolismo che possiede le sue radici nella cultura classica e articola i suoi effetti nella nostra contemporaneità, aprendo, così, lo scrigno di significati nascosti che evocano la memoria di espressioni allusive, capaci di suscitare gli effetti delle metafore proiettate ad esplicitare i contenuti ineffabili ed emotivi del non dicibile.
La chiave di lettura di questo componimento poetico si colloca senz’altro nell’archeologia di un pensiero sommerso. Così, il linguaggio realizza il suo ruolo centrale in tutta la composizione immaginativa. Ciò manifesta la sintonia onirica di un rito arcano in cui le parole sono oggetti, immagini e sentimenti, suscettibili di una profonda penetrazione umana nel mondo della comunicazione interpersonale. Pertanto, l’itinerario poetico realizza un vero e proprio racconto simbolico composto di flash di luce e di sentieri interrotti, in modo tale che la poesia medesima esprime una musica di voci misteriose.
Tutto ciò apre il discorso ad una ermetica interrogazione che esige una risposta sperata e inattesa, che tuttavia trova il suo spazio immaginativo nel silenzio della meditazione.
Aurelio Rizzacasa
*
PISTIS SOFIA
I
Un solco di luce s’inchioda nel cuore anelante
quando la mente ama.
Tu sei freschezza e passione,
stille dal calice della luna nuova,
armonie cangianti di citazioni antiche.
Le maschere s’abbandonano nei poggi di pietra,
il tempo ritorna al tempo,
nella giara incrinata si disfà la giovinezza,
nell’eco di un sogno fuggente
repente sarà fumo di cera.
L’acqua parla e io canterò con la voce di tutti i giorni,
inseguirò il canto del povero,
le orme disperse nelle scalee delle nuvole.
Devono venire le api coi fiori a cavallo,
devono venire i pastori con la lama dei dromedari,
deve venire un cane fra portici di vetro e canali salmastri,
deve venire la Santa madre che sta sola,
che sta nuda.
II
Errano gli dei nelle tenebre del mare,
nel meriggio ardente delle strade.
Errano le chimere e gli amanti
Nei marciapiedi voraci,
arrivano a un santuario violaceo.
È Lei,
e sono le sue voci nelle sette ghirlande della carne,
soavi voci,
braci di gemme di alberi sonnolenti
che si impadroniscono di un mistero in cielo,
regno compatto avvolto di grigiore perlaceo.
Sei calore di desiderio,
mentre io sono albero vinto.
III
Madre addormentata in un torbido tappeto,
qual è la tua scienza?
Darai parole,
pucritudine di scienza senza fine,
il musicare dell’alloro di Lazzaro
che raddolcisce la carne di Sebastiano
nell’echeggiare di specchi allucinati.
L’epifania del cammino,
come fulgore di cometa nella notte dei tempi,
l’orma invisibile della tua voce silenziosa.
*
Francesca Lo Bue

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