martedì 22 novembre 2022

NEL CENTENARIO DELLA NASCITA DI PIER PAOLO PASOLINI


Giovanni Cardone
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PIERPAOLO PASOLINI E L'ESPRESSIONE LINGUISTICA NELCENTENARIO DELLA SUA NASCITA
Pier Paolo Pasolini uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo il suo pensiero ancora attuale, nel festeggiare i cento anni dalla nascita e nel ricordare questo grande Poeta, volevo evidenziare attraverso una mia ricerca storiografica e scientifica la sua figura apro questo saggio dicendo: La complessa e articolata vicenda artistica e intellettuale di Pier Paolo Pasolini, l’ossessione per l’esprimere e l’esprimersi si pone come forza trainante della sua magmatica produzione, che spazia dalla poesia dialettale alla narrativa, dalla scrittura critica e giornalistica alle sceneggiature teatrali e cinematografiche, dalla pittura alla canzone, dagli interventi radiofonici e televisivi alla grande avventura del cinema. Per lo scrittore, infatti, il linguaggio rappresenta al contempo un elemento di estrema privatezza, che gli consente di instaurare un contatto immediato con le proprie diverse dimensioni di appartenenza, e un veicolo, eminentemente sociale, in grado di superare l’autoreferenzialità per farsi strumento d’azione nel mondo e sul mondo. La ricerca linguistica pasoliniana si inscrive allora in una più ampia concezione dell’esperienza artistica come forma di azione, inscindibile quindi dalla figura dell’autore, che in quanto tale entra a far parte, con ogni suo gesto, parola, presa di posizione, manifestazione pubblica, della totalità della propria opera. La sperimentazione linguistica incarna quindi una condizione necessaria di esistenza, in quanto riflette e al contempo garantisce il suo grado di partecipazione alla realtà circostante: allora, il suo furore comunicativo, al contempo gioioso e tormentato, non può evidentemente essere soddisfatto solo dal patrimonio espressivo del linguaggio verbale, nel quale egli scorge anzi il pericolo dell’impoverimento semantico, ovvero di un graduale scollamento dalla realtà delle cose, che egli rifugge volgendosi a una molteplicità di codici linguistici differenti, nell’ansiosa ricerca di strumenti comunicativi il più possibile autentici e trasparenti. Per tutta la sua vita, Pasolini vive in effetti una sorta di «sofferenza del linguaggio» dovuta alla reciproca estraneità dei differenti codici, i cui confini gli appaiono come barriere rispetto “alla cattura di una presunta realtà immanente» al di fuori di essi: è per questo che egli «non si è mai lasciato andare veramente e sino alle estreme conseguenze alla specificità dei vari linguaggi via via adottati e poi accantonati, per poi essere recuperati, mescidati, contaminati con altri”. In effetti, la pulsione del poeta verso l’universo linguistico incarna l’urgenza esistenziale del doversi esprimere per sopravvivere, il che richiama alla mente la concezione wittgensteiniana del linguaggio come «parte di un’attività, o di una forma di vita» e davvero, per Pasolini, i differenti linguaggi costituiscono altrettante forme di rapportarsi agli altri e al mondo, oltre che di entrare in connessione profonda con i diversi aspetti della propria identità. Il dialetto rappresenta in questo senso sicuramente uno strumento d’elezione, capace di suscitare nel poeta echi profondissimi, riconducendolo al Friuli della sua prima giovinezza e quindi a un’età in cui gioia, purezza, tormento e desiderio erano in lui ancora vivissimi e indistinti: nella visione pasoliniana, il dialetto coincide infatti con l’intero paesaggio naturale e umano delle campagne friulane, configurandosi come lingua dei desideri, della memoria e, soprattutto, come lingua per la poesia, una lingua «che più non si sa» e in cui egli invece scorge la straordinaria capacità di restituire alla Parola il suo potere primigenio, quello di ‘agganciare il mondo’ e contenerlo in sé. Così, non solo egli sceglie di conferire dignità letteraria al dialetto materno di Casarsa, privo di tradizione scritta, utilizzandolo per la sua prima raccolta poetica nel 1942, ma indaga e impiega il romanesco per i suoi romanzi degli anni Cinquanta, dedica numerosi articoli e saggi critici alla riflessione sul ruolo e l’importanza del dialetto fino all’ultimo intervento, a pochi giorni dalla morte, dedicato appunto al ‘volgar’eloquio’, e si impegna con passione e acribia filologica nella riscoperta sia delle opere, misconosciute, dei poeti dialettali novecenteschi, che dei canti popolari tradizionali. La lingua italiana, d’altro canto, agisce sullo scrittore come un irresistibile fulcro di riflessioni tanto stimolanti quanto problematiche, che vanno dalle considerazioni in merito alla consunzione della lingua letteraria, esprimibile dato anche le vicende storiche succedute, fino alla celebre denuncia nel saggio Nuove questioni linguistiche del 1964 della drammatica assenza di una lingua nazionale in Italia, cui fanno seguito il proclama dell’imminente avvento di una neo-lingua tecnologica e antiespressiva e i vari tentativi, teorici e narrativi, di individuare e sperimentare nuovi ambiti e nuovi usi dell’italiano, per giungere infine agli angosciati appelli degli ultimi anni in merito alla progressiva trasformazione della lingua italiana in uno strumento asservito al Potere borghese, e pertanto degradato, vacuo e menzognero. Parallelamente agli articolati sviluppi della riflessione pasoliniana sulle condizioni e le sorti della lingua italiana, lo scrittore non manca di sperimentarne le differenti varietà: non solo l’italiano colto e letterario, dunque, ma anche differenti linguaggi settoriali, come l’italiano scientifico dei suoi scritti critici, il linguaggio giudiziario si veda il volume Cronaca giudiziaria, persecuzione e morte: «in un paese orribilmente sporco e quello politico-ideologico da intellettuale impegnato, l’italiano giornalistico e quello delle sceneggiature teatrali e cinematografiche, oltre ai registri più bassi dell’italiano informale-trascurato e gergale, cui Pasolini, a partire dagli anni Cinquanta, si interessa particolarmente. Quest’ampia gamma di usi del linguaggio verbale non sembra però soddisfare la frenesia espressiva di Pasolini, che lavora con molti altri materiali diversi, da quelli grafico-pittorici ama disegnare e dipingere alla musica scrive versi che poi diverranno canzoni grazie a maestri quali Ennio Morricone o Piero Piccioni, e saranno interpretati da personaggi del calibro di Domenico Modugno e Sergio Endrigo, fino a quel grande «amalgama di linguaggi eterogenei» che dà vita e sostanza all’universo cinematografico. Il cinema rappresenta in effetti per Pasolini un’esperienza teorica e sperimentale particolarmente significativa, in grado di attrarre a lungo il suo interesse semiologico, dando origine a un’importante serie di riflessioni ispirate alla sua visione del cinema come «lingua scritta della Realtà» , o lingua scritta dell’azione, moderna proiezione del «primo e principale dei linguaggi umani», ovvero “l’azione stessa: in quanto rapporto di reciproca rappresentazione con gli altri e con la realtà fisica” . Egli scorge infatti nella realtà «che è sempre azione» la fisionomia di un vero e proprio linguaggio, in cui gli oggetti sono segni di se stessi, non certo scritti-parlati, ma “iconico-viventi, che rimandano a se stessi» di questo Linguaggio della Realtà, allora, le lingue verbali ‘scritto-parlate’ non sarebbero che un’integrazione, o meglio, delle «traduzioni per evocazione», mentre il cinema ne costituirebbe «il momento “scritto” , in quanto sarebbe in grado di riprodurre meccanicamente tale lingua, dotandola al contempo di una funzione estetico/espressiva. Secondo il regista, allora, «oltre a essere la lingua scritta di questo pragma, il cinema «è forse anche la sua salvezza, appunto perché lo esprime e lo esprime dal suo stesso interno: producendosi da esso e riproducendolo» di qui, la scelta del cinema come strumento d’elezione per una rappresentazione autentica all’immediatezza dell’esistere, che solo attraverso questo linguaggio è possibile, finalmente, trasformare in arte. Così, attraverso questo peculiare strumento comunicativo, l’esperienza artistica non è svincolata dal contatto con il reale, e può anzi realizzare l’eterna utopia pasoliniana di una forma espressiva che sia anche, e soprattutto, un mezzo di intervento nella vita sociale. Ecco quindi che nel cinema si sublima l’ideale pasoliniano dell’espressione come forma di vita, cioè presenza attiva nella realtà; Pasolini sa bene che il cinema non è solo un mezzo di riproduzione del reale, ma è anche, e soprattutto, un mezzo di espressione della propria soggettività più volte parla del ‘cinema di poesia’, inteso come possibilità di svincolarsi dalle tradizionali norme cinematografiche per attingere ai sotterranei aspetti onirici, barbari, irregolari, aggressivi, visionari, arricchendo quindi la lingua del cinema delle caratteristiche «irregolari» proprie di uno stile personale, ma ciò che scorge in questo strumento è soprattutto la possibilità di interagire direttamente con la realtà, ‘inseguendone la sacralità’ e rappresentandola in forma mitica, come manifestazione di energia vitale. Nell’ottica pasoliniana, infatti, è proprio grazie all’accumulo e al reciproco scambio tra linguaggi eterogenei come appunto avviene nel cinema che si può sperare in una rappresentazione sufficientemente complessa, vitale e dinamica della realtà, perché solo «la complessiva interazione tra linguaggi diversi, come nella realtà, garantisce la massima continuità fra la realtà e le sue rappresentazioni.» Questa volontà di «dizione totale della realtà» si realizza in Pasolini come “interscambio, contaminazione e fusione dei generi e dei linguaggi tradizionalmente e rigidamente separati” egli, infatti, non si limita a portare avanti una serrata ed appassionata sperimentazione multimediale, ma oltrepassa ogni confine fra linguaggi e materiali, trasgredisce le loro normali condizioni di utilizzo, le norme e i limiti, e già col giustapporli in tal numero li trasforma, li violenta. Allora, la sua smania comunicativa onnivora e insaziabile, connotata dalla giustapposizione di stili, generi e finalità espressive, dilata all’infinito gli universi del discorso, oppure esonda fino ad attribuire alla parola artistica finalità pratiche, come in una straordinaria performance di cui i testi costituiscono in fondo solo un residuo; così, l’arte di Pasolini finisce per identificarsi con la «disperata vitalità» della sua intera vicenda biografica, in un cortocircuito che ben esemplifica la sua acuta consapevolezza del «senso profondamente vitale e culturale delle scelte linguistiche». La bruciante volontà di esserci, di comunicare, che «fa del linguaggio il centro vitale e propulsore della sua sperimentazione multimediale» , di ogni sua opera artistica, dei suoi saggi critici e degli interventi giornalistici, è infatti la stessa che anima le sue scelte private, umane e civili: riprendendo una bel pensiero di Tullio De Mauro che, a proposito di Pasolini, cita Rilke e la sua formula ‘Gesang ist Dasein’ , nel caso dello scrittore-poeta-regista, si può certamente affermare che, per lui, esprimersi è esistere, nel duplice senso di una vita vissuta sempre sulla scena, fino a diventare parte integrante della propria arte, e di una voce che, con il suo canto, ma anche con le orazioni, i lamenti, le battaglie, coincide con la ragione stessa del proprio esistere.
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GIOVANNI CARDONE

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