domenica 15 dicembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = AGOTA KRISTOF

Ágota Kristóf, Chiodi, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2018, pp.112, € 16,00, Prefazione di Fabio Pusterla. Traduzione di Vera Gheno e Fabio Pusterla

Goffredo Fofi commentando Chiodi di Ágota Kristóf sul domenicale del Sole 24 ore segnalava che i “chiodi” della raccolta poetica della Kristóf non possono che essere i chiodi di Cristo sulla Croce:«I “chiodi” che danno il titolo a questa raccolta di poesie evocano irresistibilmente quelli della Croce». L’evocazione deriva sia dai temi trattati (lo smarrimento, la perdita della lingua madre, il distacco, lo straniamento, la condizione dell’esilio, l’amore nel ricordo dell’amore, l’attesa, il desiderio di una patria linguistica, le sconfitte, le emarginazioni, il sentimento della povertà da vivere in una terra ricca), sia dallo stile asciutto dell’autrice. Nel 1956, poco più che ventenne, Ágota Kristóf fugge dall’Ungheria con la sua bambina di quattro mesi, fugge dal paese dell’infanzia ed è costretta a separarsi dai quaderni con le sue prime poesie. Una perdita crudele. E’ il dolore per la perdita di quei versi a spingere l’autrice a riscriverli sul filo della memoria, così come è in grado di ricordarli, e forse a reinventarli. Negli anni, Ágota Kristóf scrive altre poesie sia in ungherese sia in francese, la sua nuova lingua. E come ricorda Fabio Pusterla:«Poco prima di morire la Kristóf esprime il desiderio di vedere raccolte tutte queste poesie in un libro. Il desiderio si avvera nel 2017, quando le Éditions Zoé le pubblicano in un’edizione bilingue ungherese-francese[…]». Ora si avvera il desiderio della Kristóf anche in Italia, per le Edizioni Casagrande di Bellinzona.

Qui le persone sono così felici
che nemmeno amano
sono realizzate non hanno bisogno
l’uno dell’altro nemmeno di dio
la mattina si siedono davanti alle loro case inondate di luce
e fino a sera aspettano la morte.

Quasi in un rimprovero severo verso l’indifferenza delle società opulenti che gioiscono per le diseguaglianze sociali, ma anche un rimprovero verso il lettore, la Kristóf in questi versi parla dei privilegiati che ce l’hanno fatta mentre per i più che poi sono i tantissimi «la vita non è un regalo» ma una condanna senza nessun conforto. E che dire della lingua-coltello che taglia il dolore della migranza e dell’esilio, ma senza sprofondare nell’abisso del vivere per l’altrui indfferenza, quando la grande Storia si abbatte sul destino inerme degli uomini modificandone il corso, come in questi nudi versi:

«fratelli
voi non vi ha amato nessuno ma domani
metterete piede sui raggi
della luna
i vostri occhi si abbelliranno laverete via macchie di sangue
dalle vostre mani dalle vostre labbra
attorno a voi cresceranno gli alberi
si placherà anche la notte e il vento porterà
cenere tiepida sulle vostre terre sterili».

La questione linguistica è centrale per la Kristóf anche in poesia e ha una ben precisa origine suggellata in queste parole: «Non ho ancora trovato la parola per qualificare ciò che è capitato. Potrei dire dramma, tragedia, catastrofe, ma nella mia mente chiamo tutto questo semplicemente “la cosa” per la quale non c’è parola». E’ un caso emblematico e fortissimo di poesia del translinguismo l’esperienza poetica di Chiodi della Kristóf, questione che in una ermeneutica a lei rivolta su una pagina de L’Ombra delle Parole Giorgio Linguaglossa ricondusse a «zona spaesante» della poesia.

Scriveva Linguaglossa:«[…]Per Ágota Kristóf quella «zona spaesante» del mondo è stata l’Ungheria del comunismo sovietico, quel regime dispotico e capillare di controllo e di educazione delle coscienze, l’ideologia della felicità dispotica promulgata per decreto poliziesco, l’abbandono da parte della poetessa del suo paese e della sua lingua, il dover imparare un’altra lingua, il francese, come propria lingua madre, l’esperienza del trovarsi senza lingua, o meglio, spodestata «tra» due lingue, in quella «zona» oscura inospitale, spaesante… La poesia della Kristóf nasce da qui, da questa «zona» inospitale e spaesante, priva di lingua, dalla ricerca spasmodica di una lingua di significati stabili[…]».

Emblematici sotto questo aspetto di zona spaesante nel vasto tema del Grande Gelo linguistico e delle parole congelate appaiono questi versi di Ágota Kristóf:

«Tre anni fa mi sono persa in una città dove
Non avevo nessuno quindi non importava dove fossi
Pubblicità saltellavano si dondolavano come scimmie
Tram correvano a casaccio sulle rotaie Avrei potuto essere perfettamente libera e felice allora
Se avessi trovato almeno un po’ di soldi
Stavo sulla riva ferita da luci di un lago blu scuro
Un’ombra mi passò accanto mi diede un’occhiata».

Da una sintesi delle sue notizie Bio-bibliografiche si apprende che Ágota Kristóf è nata a Csikvánd, in Ungheria il 30 0ttobre del 1935 ed è morta in Svizzera nel 2011. Rifugiata nel Cantone svizzero francofono nel 1956, all’epoca dei moti di Ungheria, è stata cittadina svizzera ed ha vissuto a Neuchâtel fino alla sua morte. Ha avuto tre figli, una figlia dal primo marito ungherese e due maschi dal secondo, svizzero. La Kristóf è scrittrice notissima in Francia e ancor più nota nella Svizzera romanda, sua terra di adozione. Ha scritto, in francese, tra il 1986 e il ’91 tre romanzi: Il grande quaderno (1986); La prova (1988); La terza menzogna (1991), usciti in traduzione italiana con Einaudi nel 1998 sotto il titolo di La trilogia di K., seguiti da Ieri del 1995 (ed. italiana, Einaudi, 1997), da cui Silvio Soldini ha tratto il film Brucio nel vento, verso il quale la Kristóf espresse un giudizio negativo. Sono note anche le sue pièces teatrali: John et Joe del 1972; La chiave dell’ascensore (77), L’ora grigia o l’ultimo cliente (queste due edite da Einaudi 1999) e Un rat qui passe del 1984. La Trilogia è diventata presto un classico della letteratura francofona, e soprattutto la prima parte, Il Grande Quaderno, ha ispirato anche molti adattamenti scenici. È tradotta, in 33 lingue: La Kristóf, nella sua laconica riservatezza, ne sembra molto contenta: ha conservato pochissimi libri, dopo il divorzio, (il secondo a quanto si capisce), ma tiene con cura tutte le traduzioni del Grande Quaderno, o dei Gemelli, come le chiama la scrittrice.

E si possono stabilire legami stretti fra biografia e opera, sia in versi, sia in prosa,fra l’autrice ungherese e la sua lingua di scrittura in pieno fenomeno linguistico tipico del translinguilismo.

La poesia che se da un lato impone al libro poetico il titolo, dall’altro indica in Ágota Kristóf una delle più grandi interpreti dello straniamento europeo del ‘900 è proprio questa, Chiodi, che qui viene ri-proposta:

Ágota Kristóf

Chiodi

“Sopra le case e la vita
nebbia grigia lieve
con le foglie a venire
degli alberi nei miei occhi
aspettavo l’estate
più di tutto
dell’estate amavo la polvere la bianca
calda polvere
insetti e rane vi morivano soffocati
se non cadeva la pioggia
per settimane
un prato
e piume viola sul prato crescono
gli uccelli il collo dei pozzi
il vento stende sotto una sega
chiodi
puntuti e smussati
chiudono porte montano grate
tutt’attorno sulle finestre
così si edificano
gli anni così si edifica la morte”

Poesia nella quale, come in tutte le altre del libro, l’assenza di punteggiatura è un puro atto estetico ben studiato e voluto dalla Kristóf.
*
Gino Rago

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