giovedì 1 maggio 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = CLAUDIA MANUELA TURCO


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Claudia Manuela Turco: “Biancabrina e le sette Nine” – Ed. Macabor 2023 – pag. 180 - € 16,00
“Storia di eterno stupore”, indica il sottotitolo, quasi a suggerire come e quando possiamo immergerci nelle sillabe, che con un ritmo serrato ed un accorto ricamo incidono nella pagina per raccontare e sorprendere ad ogni passo.
Una sosta nel grigiore quotidiano o un’effervescenza latente fra personaggi scintillanti, una confessione per gli anni interrotti da traumi o l’irruzione in un campetto di calcio, la voce di un paziente in attesa o il dogma opposto alla libertà interiore, una nube di schiuma bianca scintillante di fili d’argento o il dubbio penetrante per dimenticare il problema della verginità, sono soltanto alcuni dei cromatici interrogativi che la poetessa stende elegantemente sulla pagina bianca. Molti incisi possono sembrare concetti difficili da assimilare, ma la poesia per Claudia Manuela Torco rende onore alle numerose sfumature sapendo universalizzare una selezione tematica variegata e frastagliata, sia fra gli incontri di malinconia di sovente strappati alle ossessioni umane, sia nella esplosiva convinzione che l’armonia di ricerca è personalmente nascosta molto spesso nella cassaforte del nostro sub conscio.
“Cellule di isolamento, / cerniere sul corpo,/ cassetti nel ventre di Neraneve:/ la madre la umilia in pubblico,/ sostenendo che si vergogna/ delle proprie cicatrici./ L’attività fisica/ opposta alla vita intellettuale,/ il dogma opposto alla libertà interiore…”
Neraneve, Biancabrina, le sette Nine sono le figure che sostengono un lungo racconto, una “storia in bianconero” dice la poetessa, nella quale riusciamo a reincontrare sfumature di vicende, di accadimenti che sorprendono, materializzandosi come una magia. Brevissime favole, invitanti lampeggi, vividi fotogrammi che parlano con il ritmo serrato del verso, delle scansioni che formano variopinte armonie, sia nel sussurro delle frasi, sia nel fragore della parola.
Scrittura lineare, cucita sapientemente al disincanto e capace di inventare spazi nella combinazione della parabola e dell’immaginazione, dal tocco culturale che avvicina anche espressioni filosofiche.
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ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 29 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


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Antonio Spagnuolo e “la ricerca del Tempo ritrovato”*
Antonio Spagnuolo è un raffinato poeta, che da oltre mezzo secolo, è sulla scena nazionale e internazionale, con una sua cifra personale e inconfondibile: esordisce nel 1953-1954 con due plaquettes: Ore del tempo perduto/ (Milano, 1953) e Rintocchi nel cielo (Firenze, 1954). La linea di svolta nella poesia di Antonio Spagnuolo avviene nel 1980, quando il poeta cerca e trova uno snodo decisivo al suo linguaggio, nell’ambito della poesia post-sperimentale.
Le diverse aree della sua ricerca, venute alla luce tra i post-ermetici, si connotano, attraverso esiti psico-linguistici. "Attraversando due generazioni poetiche, scrive Mario M.Gabriele, ne La parola negata (Rapporto sulla poesia a Napoli) (2004), quella ermetico-neorealista e quella della Neoavanguardia, con qualche eccezione e partecipazione a mostre di poesia visiva, si è sempre tenuto nei limiti della chiarezza poetica e lontano dalla suggestione plurilinguistica degli avanguardisti, gestendo un proprio vocabolario medico-scientifico e novecentesco, per denunciare, metaforicamente, gli aspetti esistenziali, fino ad immettere la poesia in un probabile e ipotetico oltre".
La sua attitudine al “sezionamento sperimentale” della parola, che Mario Pomilio definirà “pre-logica”, dà vita a forti emozioni alla scena onirica.
Dopo le ultime suggestioni della stagione neorealistica e le audaci posizioni del Gruppo 63, Antonio Spagnuolo lascia alle sue spalle queste esperienze, per tentare una strada del tutto personale, senza subire influssi o condizionamenti di sorta. Distante da ogni sperimentalismo e dal simbolismo ermetico, Giovanni Raboni, scrivendo la prefazione a Graffito contro luce (1980), coglie le lacerazioni, che sono alla base del suo mondo poetico, i cui fermenti e la poetica della parola trasmigrano nel “difficile equilibrio tra i due estremi” del simbolismo e dell’ermetismo, "garantendone […] l’unità di senso – come oggetto segreto e profondo, come metafora delle metafore", come rileva Dante Maffia, ne La poesia italiana verso il nuovo millennio (2001).
Il poeta rifiuta "una sintesi vincolante, sul piano del linguaggio come su quello del senso", scrive Alberto Asor Rosa, ed è vero che "si tratta di aggregati linguistici particolarmente sofferti e posti in uno stato di irreversibilità perenne rispetto alla fluidità delle ricordanze", così come rileva G.Battista Nazzaro. Ciro Vitiello, in modo illuminante, definisce la peculiarità di questa poesia nella dimensione della conoscenza e della sua “fonte originaria di bellezza”.
Umberto Saba, con una lettera del 1953, riprodotta in ristampa anastatica, in Ore del tempo perduto, La Valle del Tempo, 2025, scrive: "Le dirò che c’è davvero nei suoi versi una vena sottile di poesia e una attenta e collaudata ipotesi di ricognizione che si fa sentire ai quasi tutti i componenti di “Ore del tempo perduto”. Un tenue abbandono, a volte lucido e raziocinante, acquista la capacità di svelare anche la memoria dei simbolo". Questo testo anastatico è un antequem, della poesia di Spagnuolo, una precondizione ineludibile della sua declinazione successiva. Il poeta nel chiarire il suo concetto di poesia e, implicitamente, la sua poetica, scrive sapientemente: "Ritrovare il primo volume che più di settanta anni addietro, con l’inaspettato avallo del grande Umberto Saba, ha dato il via alla mia scalata affannosa verso le vette del Parnaso, è stato come inseguire nel sogno quelle ondulazioni che trasmettono trepidazione per la loro evanescenza, che dal palpabile si accosta al chimerico.
Sfogliare brani scritti all’età di ventidue anni e confrontarli con le pagine nelle quali oggi scorrono i miei versi è stato uno scoppiettare tinteggiato di incredulità, verificando l’evolversi della creatività per una scrittura che agognava sin dal principio una corretta ricerca della parola".
Così prosegue: "Nulla cambia nell’inconsapevole rivoluzione dell’inconscio, passo dopo passo nel rigore dell’esplorazione di quelle emozioni che tingono di rosso la parola, e non sopporta limiti o limitazioni, etichette o programmi, là dove viene ricreato l’ideale che aggrega e coinvolge in vertigine. Mentre il corpo nomina la propria presenza, sulla scena del mondo pur sempre densa di ombre, […] la mente evoca il tempo che trascorre, per rincorrere le sfumature di emozioni nell’incrociare il mistero delle pulsioni e sedurre indecisioni e turbamenti. I fantasmi che quotidianamente la memoria insegue sono improvvise illuminazioni che il nostro cervello accetta nel segreto dei ricordi, incasellati disordinatamente nel segreto scrigno del buon senso, o semplici armonie che ripetono il ritmo delle scansioni come coaguli della compartecipazione".
Il percorso emozionale della poesia di Spagnuolo ha un andamento di una riemersione inconscia; il magico soffio vitale della sua ispirazione disvela il rimosso, nel ritmo magico della musicalità del verso di una “tappa dell’informe che cerca la forma, del caos che cerca l’ordine, dell’impossibile che cerca il possibile”, nella speranza di un possibile dialogo, differito nel tempo. La valenza inconscia è confermata dal poeta stesso, quando scrive: "Io sono sicuro che la poesia nel suo germoglio è legata all’inconscio e l’inconscio è esso stesso il luogo della poesia, perché meraviglioso serbatoio di dettagli capaci di venire alla luce al solo accostamento del pensiero attivo. Luogo che attende il simbolo per urlare l’emersione di una serie indefinita di soggiacenze ed aggregare affioramenti che possono proiettare emozioni multicolori". Spagnuolo conferma quanto scrive Freud, ne Il poeta e la fantasia (1907); i veri interpreti dell’inconscio sono stati i poeti; io non ho fatto altro che studiare il metodo scientifico per interpretarlo . Freud definirà i poeti, "alleati preziosi degli psicoanalisti". Inoltre, spezza una lancia a loro favore sull’immortalità della poesia: "Potessimo almeno trovare in noi stessi, o in coloro che sono come noi, una qualche attività, di farci una prima idea approssimativa della creazione poetica. E in effetti, una qualche possibilità in questo senso sussiste: gli stessi poeti amano ridurre la distanza che li separa dai comuni mortali, e ci assicurano assai spesso che in ogni uomo è nascosto un poeta e che l’ultimo poeta scomparirà solo con l’ultimo uomo>> (S.Freud). Questa ricerca del “tempo perduto” ha una prospettiva proustiana nel “tempo ritrovato” e nella ricognizione della memoria; è il “tempo creativo” di Henri Bergson, quello delle “Ore del tempo perduto” di Antonio Spagnuolo. Solamente nella memoria il poeta può cogliere con un unico sguardo le incessanti trasformazioni alle quali il tempo sottopone il beffardo destino della condizione umana. Questa prima silloge poetica (1953) ha in nuce la grande stagione della poesia ultrasettantennale di Antonio Spagnuolo. Un percorso estremamente personale e dinamico, i cui dati esterni sono sempre cifre e simboli di episodi interiori. Il ritmo ha una precisa funzione di eleganza espressiva, di mitore, che fa riemergere echi di un Oltre inattingibile, emulsionato dal fantasma eidetico, nel metabolizzare l’interiorizzazione dello stato di grazia dell’ispirazione. Tutto afferisce al flusso continuo e dilagante del ricordo e all’obliquo attraversamento del rimosso: "Svaniva tutto, purificando il cuore,/ solo pensando a cose che non so>> (Pace). Il nescio quid pluris è nell sguardo magico della visionarietà creativa, che incanta e suggestiona la radialità di uno scenario onirico e di uno spazio inconscio di un “fluido vitale”: "Il raggio della luna/ avrà un sorriso,/ un dolce luccichio,/ che nella notte parla.// Il tutto avrà una voce,/ e troverai nel cuore il vero nome,/ che regna in tanta vita>>.Una vena neocrepuscolare correla il dettato poetico di Antonio Spagnuolo dilacerato da brandelli di ricordi, nel sortilegio dell’immaginazione e negli ascosi anfratti del rimosso. Dal sottosuolo della memoria traspare una pervasiva melanconia del sentimento del tempo e l’elaborazione del processo primario scompagina il “principio di realtà”, nell’intensità emotiva di un verso, carezzevole e icastico: "La carezza del verde è finita/ e lascia per terra/ un rosso ricordo di sole.// Negli umidi viottoli scoscesi,/ dove le sassaiole con la pioggia/ sembrano cascatelle,/ non c’è nulla:/ tante macchie di ruggine si infangano, /scompaiono.// Le dolci cose,/ come le rose i fiori/ tornano a terra quando non c’è il sole>> (Ottobre, 25/10/1952). Nel registro del ripiegamento introspettivo, la fruizione del verso apre a nuovi scenari del flusso generativo, monitorato dall’attraversamento dirompente del trasalimento, che è dietro la parola, nella profondità dell’Essere. La scrupolosa ricerca della parola in Spagnuolo ha attraversato le più diversificate esperienze, dall’ermetismo alla sperimentazione, dal verso classico all’avanguardia, dall’indefinibile alla concretezza oggettiva, inseguendo "la forza della necessità di comunicare sin nei minimi anfratti e di essere fedele al principio di “cercare la verità” nascosta tra le ombre della quotidianità>>. L’io poetante campeggia dal primo all’ultimo verso; la trama del discorso poetico si interiorizza con raffinata delicatezza di stile, coinvolgendo il passato, che collide con un presente umbratile e opaco: "Non so cosa gira/ in un turbinio di sguardi,/ affanno…/ Si nasconde,/ larva di un’ombra/ invisibile di fuoco.// Contorti, arsi dal sole,/ tronchi a sera,/ tetre visioni:/ vortice dell’ambascia/ nel tormento>> (Tormento). L’analisi dei moti dell’animo sostituisce il processo della rimozione e il disvelamento del perturbante diventa un principio attivo delle massime istanze psichiche: "Pensieri,/ pensieri lontani,/ sul sasso corroso dal vento,/ tre i muschi,/ nel freddo che ghiaccia le gote/ negli occhi.// Pensieri che vanno lontano,/ tra nuvole accese di sole,/ tra foglie cadute,/ tra rami.// […] Pensieri che vanno lontano,/ lontano nel mare,/ chissà, oltre il mare,/ laddove finisce/ la terra ed il cielo>> (Pensieri). Scrittura epifanica, dal forte disincanto, insegue un altrove interiore, che rimane sconosciuto ed insondabile, nel laboratorio ideativo del pre-logico: "Vorrei, si come il polline, sull’ali d’una farfalla correre nei campi,/ e tra i colori chiudere negli occhi/ dolci visioni d’una vita nuova.// Di fiore in fiore carpirei i profumi/ e porterei alle foglie un po’ appassite/ il nettare per credere alla vita (Un canto).
Il modulo di questi versi è contrassegnato da una forte tenerezza espressiva, dove la pulsione di vita ha l’effetto dello straniamento di un canto lirico con una forte autonomia del significante, direbbe Gian Luigi Beccaria.
La limpidezza del dettato poetico fa emergere echi e cifre di un “inquieto sentire”, emulsionati dal fantasma eidetico del “giovanile errore”: "Lacrime,/ piccole stille cadute leggiere.// Gocciole amare/ sulle tue guance,/ che il pianto arrossisce.// Pianto in cui il cuore si scioglie/ per dirmi singhiozzi,/ parole.// Lacrime,/ sulle mie labbra gocciole di miele>> (Lacrime). "Ed è così", scrive Spagnuolo, "che la forma poetica, rincorrendo le figure che si affacciano al nostro sguardo misterioso, è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, considerando la sillaba non solo come mezzo ortografico ma anche come suono, un ritmo che si sviluppa in crescendo, per agganciare i profili che ritornano alla mente>>. Lo sguardo magico della visionarietà creativa promuove un’aura di contaminazione tra il registro lirico e le profonde ragioni di un urto dirompente, che promana dall’inconscio: "Son fiori che non hanno il tuo profumo/ le rose che t’ho colte nel giardino.// Il fresco delle foglie/ non sa del tuo sorriso.// Carezzando i petali, / gli steli, / tra folte piante,/ evapora da terra come un alito/ di nuove sensazioni.// Io non ritrovo il brivido e le dita/ cercano il tuo profilo nella sera>> (Verde).
L’andamento delle “tracce mnestiche” indulgono al ricordo e a un “tempo ritrovato”, che rinverdisce il dettato poetico in un’aura crepuscolare. Il decentramento dell’io fa posto alla presenza salvifica ed angelicante della figura femminile, come approdo allegorico e liberatorio. È il “tu” idealizzato del varco montaliano di un divenire regressivo, che indulge all’Amore e alla Poesia: "Un profondo sospiro negli occhi: […] C’è nel buio un rintocco armonioso,/ mentre un tarlo tra i libri/ cerca invano una nuova parola.// Una voce racconta in silenzio,/ una lieve carezza,/ cinque dita disperse fra i crini>>. (Sera). È una “Poesia onesta”, quella di Spagnuolo, come quella di Umberto Saba: "Ormai trite parole che non uno/ osava.// M’incantò la rima fiore/ amore,/ […] Amai la verità che giace al fondo>>. (Amai), da Mediterranee, 1945-1946.
*= *Questa nota critica è stata letta il 1° Aprile 2025 a “Il Clubino”, Via Luca Giordano 73, Napoli. Sono intervenuti: Antonio Spagnuolo, Maurizio Vitiello, Carlo Di Lieto, Rita Felerico, Mario Rovinello, Piera Salerno.
Carlo Di Lieto

SEGNALAZIONE VOLUMI = ADAM VACCARO


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Adam Vaccaro: “Percorsi di Adiacenza” – Ed. Marco Saya – 2025 – pag. 608 - € 30,00
Sostanzioso volume dalla elegante veste tipografica e dalle succose pagine di preziosa cultura, che compongono un itinerario scrupoloso attraverso il dipanarsi di numerosissimi saggi e di precise annotazioni critiche.
“Pur trattandosi di pensieri sull’arte e di saggi letterari, – scrive Donato Di Stasi nella introduzione- questi materiali critici contengono una precisa articolazione drammatico narrativa: rifiutano il tempo delle carogne e con coscienza storica indicano un bene possibile e comune, gridano di rabbia, stringono i pugni chiusi di denuncia. Adam Vaccaro frantume e ricostruisce la realtà (per dirla con Breton). In un processo di continua interazione osmotica travasa in suoi n grumi ideologici negli autori di cui si occupa e da cui si lascia attraversare, soprattutto quando ne sottolinea l’azione condivisa, a partire dalla forza eversiva del linguaggio, oppure quando individua meccanismi convergenti a proposito dell’impeto scardinante del pensiero creativo.”
In effetti ci troviamo difronte ad una consistente raccolta di interventi critici che immergono il lettore nella ricerca delle forme e dei percorsi poetici di numerosi autori, selezionati durante un ampio arco di tempo, che sin dagli indizi centellinati indicano mano a mano i fattori concorrenti alla elaborazione dei testi e alla creatività di ogni singolo autore.
L’indagine e lo scavo che Adam Vaccaro riesce ad elaborare è ampio e succoso insieme, toccando ed elaborando intorno alle pagine di Majorino, di Porta, Giampiero Neri, Gio Ferri, Gabriella Galzio, Eleonora Fiorani, Gilberto Finzi, Alda Merini, Domenico Cara, Cesare Ruffato, Giovanna Sicari, Mariella Bettarini, Domenico Cipriano, Gabriela Fantato, Massimo Pamio, Paolo Valesio, Antonio Spagnuolo, Sergio Gallo, Paolo Ruffilli, Dante Maffia, per citarne solo alcuni, oltre alle precise investigazioni che attraversano interventi sparsi nelle numerose pagine di riviste e pubblicazioni varie.
Lo stile di scrittura personale si distingue per quella accurata scelta del vocabolo che fanno della frase un ritmo delle sillabe particolarmente orecchiabile.
Una vigorosa ventata che attraversa conoscenze e approfondimenti pluridisciplinari, intrecciata alle possibili immagini di storicizzazione dei prescelti, si che tutta l’opera si allinea alla corposa esperienza della ricerca contemporanea.
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 27 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


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Uno sguardo acceso sulla intensa poesia di Antonio Spagnuolo (Napoli 1931) poeta da sempre, medico per quarant’anni
di Luciana Vasile
In questi giorni di aprile 2025, edita da La Valle del Tempo, torna disponibile “Ore del tempo perduto ristampa anastatica del 1953 con lettera di Umberto Saba”
prima silloge di Antonio Spagnuolo, allora giovane ventiduenne (nel 1953 pubblicata da Intelisano Editore, Milano).
“Caro Spagnuolo, sebbene nulla mi dispiaccia tanto come dover esprimere pareri sulle opere altrui, le dirò che c’è davvero nei suoi versi una vena sottile di poesia ed un’attenta e collaudata ipotesi di ricognizione. che si fa sentire in quasi tutti i componimenti di “Ore del tempo perduto”. Un tenue abbandono, a volte lucido e raziocinante, acquista la capacità di svelare anche la memoria del simbolo. E mi perdoni se le scrivo breve; sto molto male e parto domani per una clinica, sebbene sappia, nel mio caso, che ogni cura è vana. Le auguro buon lavoro e la saluto affettuosamente, suo”. Umberto Saba
La notizia di questa riedizione mi esorta a scrivere di questo straordinario e prolifico autore che ha pubblicato oltre quaranta sillogi, pluripremiate, più alcuni testi in prosa e per il teatro.
Conosciuto anche all’estero è stato tradotto in molte lingue (cinese compreso).
Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, collabora a periodici e riviste di varia cultura. Attualmente dirige la collana "Frontiere della poesia contemporanea" per le edizioni La Valle del Tempo e la rassegna “poetrydream” in internet.
Ultima nuova pubblicazione “Più volte sciolto” (La Valle del Tempo, novembre 2024)
___________________ Della vastissima produzione poetica di Antonio Spagnuolo ho qui analizzato tre sillogi lette nel tempo con vera emozione.
In una notte mi sono sprofondata nei versi di “Fugacità del tempo” (Lietocolle, 2007) e “Fratture da comporre” (Kairòs, 2009)
. Nella poesia di Antonio Spagnuolo le parole, così ricche multiformi, in continui contrasti, sembrano rincorrere l’impossibile da descrivere. Sono in costante pulsione e lotta. Pur nella loro profondità, sensibilità, pittoricità provano ad avvicinarsi, ma riconoscono in se stesse la fugacità e la frattura dalle emozioni, dai sentimenti e soprattutto da quello che suscita eros.
…/Forse il tremore che riempiva i tuoi capelli/non ha più senso in quegli attimi che riportano/ antiche ferite, sconnesse, beffarde,/…
Eros mi sembra che sia per l’Autore la parte per il tutto. Racchiude l’essenza dell’uomo che tenta disperatamente per tutta la sua esistenza di unirsi, compenetrarsi alla terra, all’Altro/a. Freme la pelle che racchiude quel corpo finito e limitato, quando l’immaginazione e i pensieri sono infiniti e illimitati. …/il bacio che satura gli amanti/per l’anima celata nello sguardo./…
Eppure, questo il mistero, quel cuore che batte incessantemente nelle vene, di un finito e di un limitato, è di una immensità e universalità che fugge e non si lascia prendere, che crea fratture e dissonanze se provi a sfiorarlo, o di più ad immergerti in esso con la mente e la ragione.
Allora la fiducia nelle parole, così importanti per Antonio Spagnuolo, e che sapientemente sa gestire, si sperde. Nel tormento si rende conto che non riescono ad aderire al mondo epidermico come vorrebbe, sono progetti fugaci.
Prende il sopravvento un eros cerebrale dove le parole cercano di sondare l’insondabile, lasciando l’uomo-poeta continuamente deluso e insoddisfatto. Nonostante, lui non è vinto, non sono vinti gli anni che passano negli squarci delle trasparenze per un sorriso di sillabe… nell’infinito sospetto dell’illusione…
È straordinaria e originale questa poesia, complicata e complessa, fra realtà e mistero, il mistero dell’Uomo. Parte dall’Uomo e torna all’Uomo anche solo nell’accendersi a un ricordo che risveglia mente e corpo.
Forse “Fratture da comporre” – che ho sentito l’esigenza di rileggere una seconda volta – fa un passo ancora più avanti nella maturità del poeta.
Un’altra cosa che mi colpisce dei versi di Antonio Spagnuolo è quella sensazione di capire, che si ha istintivamente, condotti per mano da una rara musicalità, dono che riesce a dare solo la vera poesia.
La malinconia che aleggia nella sua lirica, della quale anzi è impastata, è un sentimento sempre dolce. Non c’è rabbia. Non è mai contro qualcosa o qualcuno.
Ripiegato su se stesso, per venire fuori ‘per’ e ‘con’.
…/Bizzarra malinconia al di là dell’arcata,/dubbio di umide madreperle/al profilo rannicchiato nel cuore.
In un mondo dominato dalla lotta e dalla guerra, per distruggere, mai per costruire insieme, proporsi, come lui ci dice, di “capire e conoscere” è di grande aiuto per tutti noi.
E in quella notte, vinta, ho lasciato i due libri aperti, sparsi fra i cuscini e il letto arruffato. Mi sono addormentata fra le sue parole pronte ad entrare nei miei sogni. All’alba sono emersi fra le onde teta pianti e lamenti. Non vi erano parole, ma solo quello che esse avevano evocato. Erano suoni, composti in una melodia straziante, fatta di accordi di gemiti e singhiozzi, ora più forti, ora più lievi e dolci. Nel buio del sogno, il mondo della sofferenza, senza picchi disperati, sembrava raccontare con grande dignità di un dolore sommesso e continuo.
Anche l’Urlo di Munch è stato rappresentato, ma mai udito.
Antonio Sagnuolo quel dolore me lo ha fatto sentire.
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Il pianista quando si appresta a suonare un pezzo di rilievo artistico si prepara.
Lava accuratamente le mani. Si siede eretto sul tronco davanti alla tastiera.
Si concentra. Libero da altri pensieri dedica la sua totale attenzione al brano musicale.
In questa disposizione d’animo ho cominciato a leggere la raccolta “Polveri nell’ombra” (Oedipus, 2019).
Ho goduto della conoscenza di altre opere di Antonio Spagnuolo e, proprio per questo, ho deterso l’anima, mi sono svuotata per accogliere, ho attivato i sensi.
Non volevo perdermi il coinvolgimento emotivo che, per me, è il vero senso della scrittura: comunicare penetrando nel plesso solare, nostro sole interiore e centro di energia.
Ho declamato a voce alta tutta la silloge, senza mai interrompermi, dalla prima all’ultima pagina.
Ne è risultato un unico lungo spartito di Poesia.
Una singolare Elegia dedicata alla compianta amatissima moglie Elena.
Il tono delle oltre novanta pagine è meditativo e malinconico per una persistente condizione di infelicità dell’autore. Lontananza. Assenza. Abbandono. Ma è proprio lì che Elena continua la sua esistenza. Brevi e intense le liriche nella sintesi di una traccia.
Protagonisti: Vuoto e Silenzio, che disegnano “pieni” e “parole” di ricordi e mondo onirico.
.../e ritorna la piuma improvvisa del ricordo. (pag.14)
.../in questa solitudine perfettamente incisa/nel ricordo e nei segni, che permangono ancora./(pag.7)
…/al vuoto della stanza, in questa vecchia casa/dove tutto è memoria/…
/e chiudo gli occhi per sognare il tuo labbro./... (pag.47)
.../io prigioniero del sogno più crudele/sbrano nel vuoto tremando di illusioni. (pag.61)
.../lentissimo silenzio della notte, /che avvolge ogni sembianza/Ma tu ormai non sei più con me! (pag.44) …/e ripeto l’intreccio dei silenzi/del tuo svanire. (pag.45)
Solo per fare alcuni esempi. Perché i versi si rincorrono nell’inganno del non dimenticare che smarrisce il poeta nel dissolversi di attimi, di immagini, di vissuto, di desiderato, che si trasformano in ossessione indiscreta dove tutto è fermo nell’attesa.
Un altro fatto che stimola la mia curiosità nella lettura di un libro di poesie è il posizionamento effettivo delle liriche nelle pagine che si susseguono.
E così in “Polveri nell’ombra” ho trovato che non fosse una circostanza fortuita trovare proprio nel cuore, nel centro della sezione in versi, Amanti, dove c’è tutta quella sensualità-erotismo di cui è ricca la raccolta:
…/Inseguo la pelle, il sudore, il tuo profumo/che tra le cosce evapora al mio tocco/...
.../Ogni sussurro ti avvolge nel sogno/e mi componi realtà fuori dal mondo. (pag.35)
L’ultima parte titola NUOVO REGISTRO.
Leggo sul dizionario alla parola “registro”:
- Raccolta di annotazioni, quaderno di vario tipo in cui si scrive ciò di cui si vuole avere un’attestazione che si serve di un livello e stile espositivo a secondo del contesto -.
Infatti le pagine che concludono il testo sono in prosa poetica, dove anche la scarsità dell’uso degli articoli, con sostantivi incisivi, contribuisce ad avvolgere i corti brani in suggestioni enigmatiche e misteriche. Sicuramente criptica la prosa rispetto alla poesia avvalorata, pur nel verso libero, dall’armonia musicale spesso regalata dall’uso dell’endecasillabo.
Molto bella e significativa la chiusa di questo straordinario libro dove si celebra, con dolce sofferenza, la Vita nella Morte: Lascio riposare la mente ad occhi chiusi nello stupore di un fremito che cerca ancora di aggrapparsi alla vita.
Mi ha fatto tornare alla mente la frase che mi disse, diversi anni fa, l’allora novantenne pittore Francesco del Drago - l’inventore del rosso freddo e autore di straordinari, anche per dimensione, trittici astratti in acrilico dai colori che, in un turbinio di accenti, si ricompongono nell’unità della meraviglia -. Ecco l’anziano artista così si espresse:
- Non basta un’intera vita per recuperare lo stupore che avevamo da bambini -.
Antonio Spagnuolo lo ha recuperato quello ‘stupore’ e noi lo ringraziamo.
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LUCIANA VASILE

sabato 26 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALFREDO SANTANIELLO


***Alfredo Santaniello: “Rinascita” – Ed. Aletti 2025 – pag. 92 - € 14,00
“Post fata resurgo” è il sottotitolo, quasi a voler anticipare il rotolare che il pensiero poetante cerca di inseguire, per afferrarle una ad una, quelle esperienze della quotidianità, le quali, corrodendo il nostro vissuto frugano fra i cocci di uno specchio per plasmare una possibile catarsi.
Con la semplicità di chi attinge tra i colori le poesie di questo volume si alternano nella scrittura e nel ritmo, proponendosi a volte come ininterrotti pensieri che volgono al filosofico, tra incisive proposizioni che accostano alla prosa, a volte nel salticchiare delle sillabe che fanno del verso un fotogramma nella sua massima elasticità, ricamando ogni tanto qualche rima da sospensione classicheggiante.
“Sorridi/ e ti saluto. / Ci vediamo: / a domani. / E mentre/ ti allontani/ già mi manchi.” Un fermoimmagine è scattato.
“Ho uno specchio, che in certi momenti/ cade a terra, in mille pezzetti. / Ma poi si rialza, tutto scassato/ brillando di nuovo, in ogni frammento.” L’urgenza di una tempesta si traduce nel risorgere.
Alfredo allora si racconta tra lo stupore del risveglio mattutino per le sorprese figurative dei genitori e tra i simboli di un libro disegnati con olio di china, tra la docile fedeltà di un cane e i mottetti dell’amica Alice, tra il sorriso di un bimbo e le inaspettate stranezze che offrono i numeri, tra la leggera ruga dei rimorsi e l’assordante silenzio delle notti insonni.
E proprio nella introduzione egli scrive: “Solo grazie al silenzio si smette di sentire e si inizia ad ascoltare quel riflesso nello specchio in cui non vogliamo più riconoscerci.”
Il poeta ha una concezione realistica capace di ritornare a credere in se stessi, specialmente in quei momenti simbolici che sono testimonianza di crisi e proposta di maturazione.
ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 25 aprile 2025

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

ANTONIO SPAGNUOLO DAL VOLUME "FRATTURE DA COMPORRE" (2009)

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE


=RECENSIONE PER “IL PELLEGRINO DELL’ALBA”, RACCOLTA POETICA BILINGUE, IN ITALIANO E SPAGNOLO, DI FRANCESCA LOBUE, SOCIETA’ EDITRICE DANTE ALIGHIERI, 2023.
A cura di Francesca Farina. Roma, 22/4/2025.
Sin dalla copertina, che reca il particolare di un affresco di San Clemente di Taüll (sec.XII) col muso di un cane dai molteplici occhi, la poeta vuole forse interrogarsi e interrogarci sulla complessità della comunicazione, come si evidenzia nella sua duplice patria, l’Argentina e l’Italia, e nella duplicità della sua lingua. La frase in incipit invece, riportando il frammento di una preghiera taoista del secolo XI, si volge a riflettere sulla pluralità e la diversità delle religioni, pur contenenti tutte i valori fondanti del sacro, dell’etica e della morale. L’introduzione, che non è firmata ma si presume redatta dalla medesima autrice dei testi, conduce immediatamente ad indagare sul senso stesso della Poesia, sulla sua natura ineffabile e inafferrabile, fatta di parole e di significati abissali, poiché, come disse una volta un poeta, “essa è resistenza al facile”, non tollerando la banalità dello stile e dell’espressione, ma sempre ricercando il nucleo magmatico da cui si origina e sorge il Libro per eccellenza, probabilmente quello stesso che è stato scritto con immensa acribia e vertiginosa dedizione, ovvero la Bibbia.
Leggendo quindi verso per verso le poesie di Francesca Lobue troviamo forti valenze metaforiche poiché ciascuna strofa, potremmo dire ciascun sintagma, con citazioni ancorate al reale, con paradigmi e sinestesie, oltreché allegorie e similitudini, introducono a un mondo che oscilla tra la Natura trionfante e lo spirito ricco di intuizioni o illuminazioni esaltanti. Nulla è come appare, ogni cosa citata rimanda ad altra cosa, il senso filosofico di ciascuna frase poetica spinge a riflettere sul detto e sul non detto, sull’esplicito e sull’implicito, a muovere la mente verso la meditazione dell’indicibile e dell’arcano. Ovunque tuttavia si esalta il potere immaginifico del linguaggio, mentre una vigorosa e tragica religiosità avanza lentamente tra le pagine. La ricerca inesausta di Dio e del divino è un anelito a cui tende l’intero universo come la stessa poeta, sconcertata di fronte all’enigma dell’Eterno.
Nulla di mediocre, di consueto, di vieto permea le strofe, tutto è scandito da una conoscenza quasi atavica, ancestrale del mondo, mentre l’autrice oscilla tra la classicità degli eroi e degli dei pagani, ispiratori del suo canto, e la fede cristiana. Il mito che rievoca Adone, Arianna, Medea o Medusa produce angoscia, genera sangue, “solitudine e inferno” dai quali pare non possa esistere scampo, poiché la carne, il corpo, l’essere umano “allibisce di terrore”. Tuttavia, nell’orrore che devasta i tempi e la Storia, la nostalgia preme sul cuore e sulla memoria e la sola salvezza risiede nella parola limpida, vitale, simile a “pioggia che ravviva i canneti delle rive dissecate”.
Ritorna di continuo il sentimento dell’estraneità nei confronti del reale, dal momento che emerge un potente “Te” che domina l’esistenza e che allude all’Essere supremo, innominato secondo il comandamento che ammonisce: “Non nominare il nome di Dio invano”, non allo scopo di evitare il peccato di omissione, ma piuttosto l’eccesso di menzione, unico soccorso nel baratro del nulla. Il male aleggia ovunque, nell’esilio a cui forse la poeta si sente destinata dalla duplicità della nascita, della lingua e della cultura, ma sovente ha il nome altisonante e atroce di Satana, verso l’ora suprema che conduce all’annichilirsi di ogni istante, nella previsione o premonizione della morte. Personaggi legati alla religione, quindi, tornano ovunque, come ad esempio un eroe biblico di enorme valenza quale Giona, che si salvò dal ventre della balena, il quale interroga “un albero ingiallito” quasi dialogasse con il cuore della Natura, per riportare il discorso su Colui che è “Signore di Giustizia” da cui sgorga ogni bene, la salute dell’anima soprattutto, malata di cecità. L’inconoscibile realtà del Tempo, di ogni istante del giorno, che genera afflizione e timore, si stempera al solo nome di Lui, “viatico della terra”, che accompagna la creatura lungo le vie dell’esistenza e la risana.
La poeta non smette di interrogarsi sull’inafferrabile dilemma del destino che oscilla tra paura e bellezza, tra dubbio e certezza, tra il demone e “il Dispensatore”, ovvero tra Colui che tutto concede a un solo cenno, essendo “El Maestro del Cielo”, secondo il titolo originale del testo, e si prende cura dei “prigionieri”, ossia presumibilmente di ogni essere umano racchiuso nel carcere della vita. Talvolta la meraviglia del cosmo concede momenti di serenità e “pace graziosa”, sebbene l’autrice non desista dall’interrogarsi su se stessa e sul suo prossimo, sempre nell’attesa di attingere a un luogo che è tuttavia “trono oscuro di colpa, pentimento e speranze”. A resistere contro il dilemma del Tempo, che domina ogni attimo tra il passato e l’eternità, perennemente intangibili ed intatti, è ancora la parola, “disegno dell’anima”, con i vocaboli che sono “recipienti di sale” e con la lingua che “ci possiede come grido dell’inconscio”.
Davvero la poesia “scende dal cielo” quando si impone alla mente nella perfezione del suo assunto e contiene in sé un intero universo ricco di significazioni, “un adesso perfetto” e “imperituro” che sconfigge la precarietà dei giorni, mentre “l’attesa di Dio” si identifica plausibilmente con la poesia stessa che da Lui proviene. La poeta non si stanca di ribadire che la parola è fondamento del tutto e per affermarlo ricorre a lancinanti metafore che rievocano l’intera essenza dell’individuo in tutte le sue declinazioni, da quelle più miserabili a quelle più sublimi. Il destino precario riporta di continuo a meditare sulla caducità dell’essere, sottoposto sovente al volere di crudeli dei, così il richiamo al mito torna a sancire l’essenzialità della cultura, mente ci si dibatte nell’angoscia del vivere, tra il caos e il caso, tra la tenebra e la luce. Il segreto della vita, che è “enigmatico trascorrere”, si scioglie talora grazie alle parole, che rappresentano il perno mobile ma fondamentale su cui ruota ogni pensiero, azione o emozione, annullando i tentennamenti dell’anima, mentre la religione, con il paradigma della “croce celeste”, si impone sui versi anche mercé la citazione del Libro, verosimilmente un riferimento al libro per eccellenza, la Bibbia, come detto.
Tutto però è immerso nel rigoglio della Natura lussureggiante e pressoché divina, poiché espressione diretta dell’Altissimo, esempio del quale è la semplice ma immortale, eterna “Rosa scarlatta”. Mille domande quindi si affollano alla mente nell’inconoscibilità del creato, senza che nessuna reale risposta concorra ad acquietare l’animo umano, il quale tenta appena di intuire che cosa si celi dietro la propria fragilità. Perfino la scienza pare impotente davanti al “libro disseminato”, che pure è colmo di poesia, vero atto salvifico, forse, nel dissidio delle incognite, ma non si può smettere di cercare la “pienezza…che danza silenziosa”, di indagare oltre il visibile, di spingersi fino a superare l’invisibile, di andare al di là del mare sfidando
“la tempesta nera”. Come il “pellegrino dell’alba”, ovvero con tutta probabilità essa stessa “pellegrina dell’alba”, l’autrice si interroga incessantemente sugli eterni quesiti posti da ogni filosofo all’umanità, sia sul senso dell’essere, sia sulla valenza del nome, e ancora sul potere dell’anima come sul mistero del corpo: nondimeno ogni cosa, creatura, pianta o terra, è ricondotta alla Dimora celeste dove si acquieta ogni domanda e si scioglie ogni dubbio.
Finanche quello che pare un semplice, povero mestiere, quello del vasaio, in realtà nasconde un patrimonio di sapienza e di capacità, non soltanto manuali ma del cuore, legato com’è alle zolle e alle sue “alchimie brillanti”, ai “lampi del sole”, agli “scintillii delle stelle”, immagine del Vasaio immortale che trae dalla terra ricchezze fatte di occhi e pelle di chi vi fu sepolto, come nei versi del poeta e matematico persiano Omar Khayyam (XI-XII secolo d.C.). Partendo poi da un antichissimo manoscritto, il “Pistis Sofia” o “Libro del Salvatore”, vangelo agnostico risalente presumibilmente al III secolo d.C. e redato in lingua copta, la poeta si confronta ancora con l’enigma della Fede e della Grazia, ricorrendo alla Madre di Dio. È una Lei identificata soltanto col pronome dall’iniziale maiuscola, degna della sua essenza celestiale, essendo “scienza senza fine”, è Colei che conobbe ogni arcano prima di tutti i secoli, mentre i nomi di Lazzaro e Sebastiano rievocano i sacri Vangeli cristiani quali esemplari di sublime santità.
Così la poeta procede nella sua instancabile indagine inseguendo i significati nascosti della Natura, delle creature e degli oggetti, appellandosi al Divino innominato ed innominabile, costantemente attenta a non tradire uno dei cardini dei Dieci Comandamenti per pervenire a risposte su domande eterne. In particolare, in una delle liriche, intitolata “Amore e Morte”, riproponendo uno degli assiomi già sigillati da Leopardi, ossia la connessione inesorabile tra i due estremi dell’esistenza, entrambi patrimoni inspiegabili dell’animo umano, che cerca invano di addentrarsi nel loro segreto, l’autrice si addentra nell’enigma dell’Amore chiedendogli, quasi fosse persona: “In quale stella errante fuggisti?” essendo “Re potente dei nimbi”, mentre “tuona la sua voce dal trono trasparente,/ lì tra le vette nelle cime dell’estasi”, ma restando nel dubbio crudele dell’inconoscibile.
Infine alla pagina 78 del ricchissimo volume, si perviene al “Poema alfabetico” che segna appunto, con le lettere dell’alfabeto, brevi poesie, quasi di ispirazione haiku, sebbene non rispettino la struttura di questa classica forma giapponese. In fulgenti bagliori di versi si scandiscono sensi arcani, interrogativi irrisolvibili, asserzioni pacate, quasi a suggello di un’intera silloge tutta tesa a svelare significati e significanti dell’intero universo, possesso perenne dell’umanità, tanto caro alla nostra autrice. Dal punto di vista strettamente stilistico ci sarebbe molto altro da aggiungere. Basti dire che le liriche di Francesca Lobue sono come ampie canzoni con un grande ritmo interno seppure non ritmate, poesie narrative di immensa suggestione.
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FRANCESCA FARINA