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Uno sguardo acceso sulla intensa poesia di
Antonio Spagnuolo (Napoli 1931)
poeta da sempre, medico per quarant’anni
di Luciana Vasile
In questi giorni di aprile 2025, edita da La Valle del Tempo, torna disponibile
“Ore del tempo perduto ristampa anastatica del 1953 con lettera di Umberto Saba”
prima silloge di Antonio Spagnuolo, allora giovane ventiduenne (nel 1953 pubblicata da Intelisano Editore, Milano).
“Caro Spagnuolo, sebbene nulla mi dispiaccia tanto come dover esprimere pareri sulle opere altrui, le dirò che c’è davvero nei suoi versi una vena sottile di poesia ed un’attenta e collaudata ipotesi di ricognizione. che si fa sentire in quasi tutti i componimenti di “Ore del tempo perduto”. Un tenue abbandono, a volte lucido e raziocinante, acquista la capacità di svelare anche la memoria del simbolo. E mi perdoni se le scrivo breve; sto molto male e parto domani per una clinica, sebbene sappia, nel mio caso, che ogni cura è vana. Le auguro buon lavoro e la saluto affettuosamente, suo”. Umberto Saba
La notizia di questa riedizione mi esorta a scrivere di questo straordinario e prolifico autore che ha pubblicato oltre quaranta sillogi, pluripremiate, più alcuni testi in prosa e per il teatro.
Conosciuto anche all’estero è stato tradotto in molte lingue (cinese compreso).
Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, collabora a periodici e riviste di varia cultura. Attualmente dirige la collana "Frontiere della poesia contemporanea" per le edizioni La Valle del Tempo e la rassegna “poetrydream” in internet.
Ultima nuova pubblicazione “Più volte sciolto” (La Valle del Tempo, novembre 2024)
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Della vastissima produzione poetica di Antonio Spagnuolo ho qui analizzato tre sillogi lette nel tempo con vera emozione.
In una notte mi sono sprofondata nei versi di “Fugacità del tempo” (Lietocolle, 2007) e “Fratture da comporre” (Kairòs, 2009)
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Nella poesia di Antonio Spagnuolo le parole, così ricche multiformi, in continui contrasti, sembrano rincorrere l’impossibile da descrivere. Sono in costante pulsione e lotta. Pur nella loro profondità, sensibilità, pittoricità provano ad avvicinarsi, ma riconoscono in se stesse la fugacità e la frattura dalle emozioni, dai sentimenti e soprattutto da quello che suscita eros.
…/Forse il tremore che riempiva i tuoi capelli/non ha più senso in quegli attimi che riportano/
antiche ferite, sconnesse, beffarde,/…
Eros mi sembra che sia per l’Autore la parte per il tutto. Racchiude l’essenza dell’uomo che tenta disperatamente per tutta la sua esistenza di unirsi, compenetrarsi alla terra, all’Altro/a. Freme la pelle che racchiude quel corpo finito e limitato, quando l’immaginazione e i pensieri sono infiniti e illimitati. …/il bacio che satura gli amanti/per l’anima celata nello sguardo./…
Eppure, questo il mistero, quel cuore che batte incessantemente nelle vene, di un finito e di un limitato, è di una immensità e universalità che fugge e non si lascia prendere, che crea fratture e dissonanze se provi a sfiorarlo, o di più ad immergerti in esso con la mente e la ragione.
Allora la fiducia nelle parole, così importanti per Antonio Spagnuolo, e che sapientemente sa gestire, si sperde. Nel tormento si rende conto che non riescono ad aderire al mondo epidermico come vorrebbe, sono progetti fugaci.
Prende il sopravvento un eros cerebrale dove le parole cercano di sondare l’insondabile, lasciando l’uomo-poeta continuamente deluso e insoddisfatto. Nonostante, lui non è vinto, non sono vinti gli anni che passano negli squarci delle trasparenze per un sorriso di sillabe… nell’infinito sospetto dell’illusione…
È straordinaria e originale questa poesia, complicata e complessa, fra realtà e mistero, il mistero dell’Uomo. Parte dall’Uomo e torna all’Uomo anche solo nell’accendersi a un ricordo che risveglia mente e corpo.
Forse “Fratture da comporre” – che ho sentito l’esigenza di rileggere una seconda volta – fa un passo ancora più avanti nella maturità del poeta.
Un’altra cosa che mi colpisce dei versi di Antonio Spagnuolo è quella sensazione di capire, che si ha istintivamente, condotti per mano da una rara musicalità, dono che riesce a dare solo la vera poesia.
La malinconia che aleggia nella sua lirica, della quale anzi è impastata, è un sentimento sempre dolce. Non c’è rabbia. Non è mai contro qualcosa o qualcuno.
Ripiegato su se stesso, per venire fuori ‘per’ e ‘con’.
…/Bizzarra malinconia al di là dell’arcata,/dubbio di umide madreperle/al profilo rannicchiato nel cuore.
In un mondo dominato dalla lotta e dalla guerra, per distruggere, mai per costruire insieme, proporsi, come lui ci dice, di “capire e conoscere” è di grande aiuto per tutti noi.
E in quella notte, vinta, ho lasciato i due libri aperti, sparsi fra i cuscini e il letto arruffato. Mi sono addormentata fra le sue parole pronte ad entrare nei miei sogni. All’alba sono emersi fra le onde teta pianti e lamenti. Non vi erano parole, ma solo quello che esse avevano evocato. Erano suoni, composti in una melodia straziante, fatta di accordi di gemiti e singhiozzi, ora più forti, ora più lievi e dolci. Nel buio del sogno, il mondo della sofferenza, senza picchi disperati, sembrava raccontare con grande dignità di un dolore sommesso e continuo.
Anche l’Urlo di Munch è stato rappresentato, ma mai udito.
Antonio Sagnuolo quel dolore me lo ha fatto sentire.
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Il pianista quando si appresta a suonare un pezzo di rilievo artistico si prepara.
Lava accuratamente le mani. Si siede eretto sul tronco davanti alla tastiera.
Si concentra. Libero da altri pensieri dedica la sua totale attenzione al brano musicale.
In questa disposizione d’animo ho cominciato a leggere la raccolta “Polveri nell’ombra” (Oedipus, 2019).
Ho goduto della conoscenza di altre opere di Antonio Spagnuolo e, proprio per questo, ho deterso l’anima, mi sono svuotata per accogliere, ho attivato i sensi.
Non volevo perdermi il coinvolgimento emotivo che, per me, è il vero senso della scrittura: comunicare penetrando nel plesso solare, nostro sole interiore e centro di energia.
Ho declamato a voce alta tutta la silloge, senza mai interrompermi, dalla prima all’ultima pagina.
Ne è risultato un unico lungo spartito di Poesia.
Una singolare Elegia dedicata alla compianta amatissima moglie Elena.
Il tono delle oltre novanta pagine è meditativo e malinconico per una persistente condizione di infelicità dell’autore. Lontananza. Assenza. Abbandono. Ma è proprio lì che Elena continua la sua esistenza. Brevi e intense le liriche nella sintesi di una traccia.
Protagonisti: Vuoto e Silenzio, che disegnano “pieni” e “parole” di ricordi e mondo onirico.
.../e ritorna la piuma improvvisa del ricordo. (pag.14)
.../in questa solitudine perfettamente incisa/nel ricordo e nei segni, che permangono ancora./(pag.7)
…/al vuoto della stanza, in questa vecchia casa/dove tutto è memoria/…
/e chiudo gli occhi per sognare il tuo labbro./... (pag.47)
.../io prigioniero del sogno più crudele/sbrano nel vuoto tremando di illusioni. (pag.61)
.../lentissimo silenzio della notte, /che avvolge ogni sembianza/Ma tu ormai non sei più con me! (pag.44)
…/e ripeto l’intreccio dei silenzi/del tuo svanire. (pag.45)
Solo per fare alcuni esempi. Perché i versi si rincorrono nell’inganno del non dimenticare che smarrisce il poeta nel dissolversi di attimi, di immagini, di vissuto, di desiderato, che si trasformano in ossessione indiscreta dove tutto è fermo nell’attesa.
Un altro fatto che stimola la mia curiosità nella lettura di un libro di poesie è il posizionamento effettivo delle liriche nelle pagine che si susseguono.
E così in “Polveri nell’ombra” ho trovato che non fosse una circostanza fortuita trovare proprio nel cuore, nel centro della sezione in versi, Amanti, dove c’è tutta quella sensualità-erotismo di cui è ricca la raccolta:
…/Inseguo la pelle, il sudore, il tuo profumo/che tra le cosce evapora al mio tocco/...
.../Ogni sussurro ti avvolge nel sogno/e mi componi realtà fuori dal mondo. (pag.35)
L’ultima parte titola NUOVO REGISTRO.
Leggo sul dizionario alla parola “registro”:
- Raccolta di annotazioni, quaderno di vario tipo in cui si scrive ciò di cui si vuole avere un’attestazione che si serve di un livello e stile espositivo a secondo del contesto -.
Infatti le pagine che concludono il testo sono in prosa poetica, dove anche la scarsità dell’uso degli articoli, con sostantivi incisivi, contribuisce ad avvolgere i corti brani in suggestioni enigmatiche e misteriche. Sicuramente criptica la prosa rispetto alla poesia avvalorata, pur nel verso libero, dall’armonia musicale spesso regalata dall’uso dell’endecasillabo.
Molto bella e significativa la chiusa di questo straordinario libro dove si celebra, con dolce sofferenza, la Vita nella Morte: Lascio riposare la mente ad occhi chiusi nello stupore di un fremito che cerca ancora di aggrapparsi alla vita.
Mi ha fatto tornare alla mente la frase che mi disse, diversi anni fa, l’allora novantenne pittore Francesco del Drago - l’inventore del rosso freddo e autore di straordinari, anche per dimensione, trittici astratti in acrilico dai colori che, in un turbinio di accenti, si ricompongono nell’unità della meraviglia -. Ecco l’anziano artista così si espresse:
- Non basta un’intera vita per recuperare lo stupore che avevamo da bambini -.
Antonio Spagnuolo lo ha recuperato quello ‘stupore’ e noi lo ringraziamo.
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LUCIANA VASILE