venerdì 29 agosto 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = PIETRO SALMOIRAGHI

Pietro Salmoiraghi – "Anatomia dell’ovvio" - La Vita Felice – Milano – 2014 – pagg. 71 - € 10,00

Pietro Salmoiraghi, architetto, è nato a Milano nel 1941; ha pubblicato romanzi e raccolte di poesia.
Con "Anatomia dell’ovvio" l’autore perviene al suo esito più alto, raggiungendo la piena maturità espressiva.
Il testo presenta una prefazione di Elena Pozzi, ricca di acribia nell’individuare le coordinate formali e stilistiche del poeta.
Il libro, ben strutturato architettonicamente, è scandito in due sezioni: quella eponima, costituita da cinque componimenti, e A passo d’uomo, composta da tredici poesie.
Scrittura del tutto antilirica e antielegiaca, quella di Salmoiraghi, connotata da una forte tendenza all’introspezione, che si collega ad un certo pessimismo, ad una ricerca del vero senso della vita, che potrebbe sembrare ovvio, nel suo consistere nella ripetizione giornaliera di un quotidiano che va stretto, ma che trova il suo etimo più profondo, per un riscatto, proprio nello schiudersi della parola poetica, nell’urgenza del suo inverarsi e della sua pronuncia.
Nella poetica di Salmoiraghi ancora una volta la parola si fa salvifica, spalanca il varco per ritrovare se stessi nel mare magnum della realtà in cui siamo gettati dalla nascita.
Appena nati già cominciamo a morire, scrive infatti Pietro per esemplificare quanto suddetto.
E infatti il nulla, il limite, la morte sono temi ricorrenti in "Anatomia dell’ovvio", che ha anche una vena, una valenza vagamente filosofica nell’indagare il destino umano nella storia, quello dell’io-poetante e quello collettivo.
A livello stilistico si riscontra una forte originalità per la maniera con la quale le composizioni sono strutturate.
Infatti tutte le poesie sono formate da segmenti tutti staccati tra loro, costituiti in genere da pochi versi o anche da un verso solo.
Nel confrontarsi con questa poesia ci si accorge subito di una sua notevole vena epigrammatica, nel suo essere assertiva per il suo divenire il risultato di immagini generate dalla riflessione, più che dalla mera descrizione.
Pensosa e vibrante nelle sue accensioni e nei suoi spegnimenti, nel restituirci la brutalità dell’esistere nel suo dolore, connaturato a quella che Pavese chiamava la ferita, dalla quale nascono i versi, Pietro Salmoiraghi, con uno sguardo leopardiano ci fa partecipi della condizione definita da Mario Luzi, Sotto specie umana, titolo di una delle sue ultime raccolte.
Essenzialmente un dialogare con se stessi, nel quale il dolore è dominato attraverso una forma sempre controllata.
Come scrive Elena Pozzi nella prefazione, il Nostro è un poeta della schiettezza e del parlar chiaro, che non teme in questa sua ultima raccolta di poesie di guardare, quasi esaminare le strutture dell’ovvio, la sua anatomia, come il suo calzante titolo suggerisce.
Una visione del mondo che diviene esercizio di conoscenza tout-court, che si traduce in un versificare alto ed elegante.

Raffaele Piazza

POESIA = GRISELDA DOKA

" I "
Tu plachi i miei demoni azzurri
e non ti accorgi delle cime
che stiamo calpestando
amore dammi la mano
per attraversare le nuvole
e il cielo sarà nostro
un giaciglio stellato
che turba gli abissi
con l’essenza di un’eco
…………
"II"
Non mi arrivano nemmeno i pensieri
quelli che scavano la gola
e picchiano la testa
mi specchio in te
e non mi rivedo
un gabbiano impaurito
sfiora l’aria sopra la mia frangetta
vorrei raggiungere quella vela lì, all’orizzonte
ma lo sguardo ritorna ancora più perplesso
e si stende sul bagnasciuga del mio viso
raccolgo le membra
la chiave
gli occhiali
nessuna novità dalle onde oggi
non trovo alcuna ragione
per ridere
…………..

" III "
Se ti vedo, ti voglio avere
Attimo, atteso
Mano, sui fianchi
Occhio, condottiero

Soooffffio, nelle vene

Ti voglio avere
Resa indiscussa
Etje të pashuar

Soooffffio, nelle vene

sete mai saziata, ti voglio avere
Fiato, sulla nuca
Anima, nel ventre

Soooffffio, nelle vene

Morso del destino
Addio rimandato

Soooffffio, nelle vene

Lamento di luna
Estasi bramata

Soooffffio, nelle vene

Ti voglio avere Parola che lievita

Attimo
Mano
Occhio
Resa
Etje
Fiato
Anima
Morso
Addìo
Lamento
Estasi

Tutto per me ti voglio avere

Soooffffio, nelle vene

Amore, fa male
Se ti vedo

Ti voglio avere
Soooffffio, nelle vene

Se ti vedo
ti voglio
………….
GRISELDA DOKA
*
Griselda Doka è nata il 16/04/1984 a Tërpan, Berat in Albania. Si è laureata in Lingue e letterature moderne, filologia, linguistica e traduzione presso l’Università della Calabria dove attualmente frequenta il Dottorato di Ricerca in Studi Letterari, linguistici, filologici e traduttologici nella sezione di Albanologia. Dal 2003 vive a Villapiana nella provincia di Cosenza. L’espressione poetica la accompagna dalla tenera età. Oltre alla lingua madre, l’albanese, da alcuni anni scrive anche in italiano. Vincitrice di concorsi e selezioni letterarie di poesia con relativa pubblicazione in varie antologie.


PREMIO DI POESIA = ATTRAVERSO L'ITALIA

L’Associazione Socio-Culturale “LOGOS-CONTATTO” e L’Onlus “PASSAGGI”

Promuovono :
“Concorso Letterario Internazionale di Poesia della Migrazione”
*
Il concorso è rivolto a immigrati o migranti maggiorenni che scrivono in lingua italiana. L’iscrizione al concorso è aperta ad autori di qualsiasi nazionalità. Possono partecipare anche migranti italiani all’estero o i cosiddetti italiani della diaspora, purché i loro componimenti siano scritti in italiano. Sono ammessi componimenti scritti soltanto in lingua italiana. Il tema è libero.
Il concorso si suddivide in due sezioni:
- Sezione A. Poesia inedita in lingua italiana
I partecipanti dovranno inviare fino a tre liriche inedite all’indirizzo e-mail attraverso@outlook.it; le poesie dovranno essere accompagnate da una scheda di partecipazione che comprenda i dati personali dell’autore (nome, cognome, data di nascita, indirizzo, recapiti telefonici ed e-mail). La partecipazione a questa sezione è gratuita. I componimenti dovranno essere inviati entro il 15 Settembre 2014.
- Sezione B. Opera edita di poesia
Per partecipare i poeti dovranno inviare 3 copie dell’opera proposta (edita tra il 2000 e il 2014) al seguente indirizzo: Via Virgilio, 29 − 87075, Trebisacce (CS), indicando come intestazione la dicitura Partecipazione Concorso Attraverso l’Italia e una copia in formato pdf, word o pub al seguente indirizzo e-mail attraverso@outlook.it. L’opera dovrà essere accompagnata da una scheda di partecipazione che comprenda i dati personali dell’autore (nome, cognome, data di nascita, indirizzo, recapiti telefonici ed e-mail). Per questa sezione è previsto un contributo di lettura pari a 10 euro. Le opere dovranno essere inviate entro il 15 Ottobre 2014. Farà fede il timbro postale.
- E'richiesta tassa di lettura .
La giuria è composta da:Mario Benvenuto – Ricercatore di Lingua e Traduzione Spagnola, Fiorella De Rosa – Ricercatrice di Lingua e Traduzione Albanese, Alessandro Gaudio – Docente di Letteratura Italiana Moderna Contemporanea, Rossella Pugliese – Docente di Lingua e Traduzione Tedesca, Griselda Doka - Dottoranda in Studi letterari e linguistici-
Segreteria del concorso:
Griselda Doka, cell. 320.8886034, griselda_doka@hotmail.it

mercoledì 27 agosto 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = FERNANDO LENA


Fernando Lena – “La quiete dei respiri fondati” - puntoacapo Editrice – Pasturama (Al) – 2014 – pagg. 47 - € 8,00 - nella collana "I quaderni dell'Ussaro" , a cura di Valeria Serofilli.
*
Fernando Lena è nato a Comiso in Sicilia nel 1969; ha pubblicato diversi libri di poesia.
La raccolta include tre poesie edite e testi tratti dal poemetto “La quiete dei respiri fondati”.
Il poemetto presenta una prefazione a firma di Valeria Serofilli e una nota dell’autore.
Nei tre testi editi già si evince la cifra distintiva della poetica di Lena, caratterizzata da una grande forza visionaria e da una scrittura spesso anarchica, che, a volte, sfiora quasi l’alogico, sottesa ad una forte dose di pessimismo individuale e collettivo.
Sensazioni materiche s’incontrano in “il brivido del primo temporale”, che apre il libro.
In questo componimento, dal carattere quasi programmatico, si parte da una suggestiva descrizione del mare e dello scirocco migratore, che porta con sé i ricordi fuori dal gioco; segue un inciso nel quale viene detta una rivelazione affiorata nella preghiera che consiste nel fatto che i nostri antenati hanno soltanto raccolto il sangue rappreso da una delle tante inutili guerre; nei quattro versi dell’ultima strofa il poeta parla di un oratorio della notte infame e del desiderio giustificato come semplice rottame dell’amore.
Predomina una grande crudezza nelle immagini di Lena, che emergono, attraverso i sintagmi, con una notevole icasticità e una stupefacente lucidità.
In Nota dell’autore Lena parla del motivo occasionale che ha portato alla stesura del poemetto “La quiete dei respiri fondati”.
Fernando ci rivela il suo tragico passato, la sua permanenza in un reparto del manicomio criminale di Aversa avvenuta tra il 1991 e il 1992.
Il soggiorno in quel luogo è definito un incontro tra menti disilluse.
Convivere in quel posto ha generato nell’autore uno sguardo poetico e crudele, il quale, a distanza di vent’anni lo ha ispirato a riemergersi in quel buio con la stessa rabbia che gli aveva concesso già un motivo in più per credere alla libertà.
“La quiete dei respiri fondati” ha come incipit il componimento lungo “Manicomio di Aversa”, nel quale il poeta, con uno scatto memoriale, rievoca la sua degenza nel tristissimo luogo tentando di ritrovare serenità, nonostante siano detti l’elettroshock e i cadaveri.
Seguono trenta frammenti senza titolo, che costituiscono l’opera vera e propria.
In essi il poeta si rivolge ai suoi compagni di detenzione nominandoli come nulla o come bestie.
Per la brutalità delle descrizioni pare di intravedere la presenza di una vena tipica dei poeti maledetti in questo autore nel suo pronunciare con forte urgenza frasi che hanno per oggetto il peggiore dei mali e l’abiezione.
Un’opera originale per l’idea che la sottende, un coraggioso e riuscito tentativo dell’autore di salvare se stesso e la sua storia affidandosi alla parola poetica.
*
Raffaele Piazza

domenica 24 agosto 2014

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

"SILENZI"

Possiedi i miei occhi se piango
mentre l’autunno torna nell’estremo
tentativo di scacciare le angosce.
Nel tuo silenzio c’è la fine che ferma
ogni dardo bruscamente scagliato,
così che il tempo ha variegate colonne
nella ritorta scheggia,
accende richiami a picco nel corallo
ed ascolta il rimando dei bagliori.
Un errore lo scambio dei profumi
di cose antiche, ai limiti delle ore,
assaporo il silenzio e ripeto cadenze
per questo giorno che decide morire.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

sabato 23 agosto 2014

POESIA = NINNJ DI STEFANO BUSA'

- I -

L’inganno è là, prospiciente

al tempo residuale, caldo e languente

come sabbia alla riva.

Effusioni d’aria, sobbalzi corporali,

fulcro inamovibile di strappi e cuciture.

Il nudo che si addestra al disavanzo

è esitante, qualche volta fuorviante:

assonanze e interludi,

forme di spazi ambigui si delineano

dal fittume imponente della vita,

una catena selvaggia di richiami,

le mani senza gradazioni,

nella fissità del caos.

Ogni cosa si contende un sogno,

vive dentro di esso e vi si adagia

come

uno spezzone di cielo, senza varianti né colori,

una tregua vertiginosa, emozionale,

ossimorica tenta l'attribuzione del suo nulla,

risveglio d’ombre in amplessi di fogliami.

*

- II -

Nei dintorni e fuori scandiamo

la foschia tensionale dell’addio.

Essere attratti dalla linea che tradisce

il suo declino o dalla tenebra eccedente

che sfaglia umori di deserti,

come silenzi disegnati che percepiscono

abbagli, orbite di vento.

E l’invisibile ebbrezza della siccità

si accende dentro un corpo

che ha perso l’ordine reale delle cose,

tra le braccia dell’insonnia.

*

- III -

Ora è un’ebbrezza dissolta

quella che teme i riflessi del corpo,

innocenza smemorata di una sola forma

mantiene la compattezza dell’estate,

con annessa un’acquerugiola sottile

e la quieta, ritmata stagione degli amori,

l’ostinazione labirintica dell’intimità,

che tuttavia mostra la crepa esistenziale,

la contraffazione fuori dai confini

che inchiodano e ad incastro,

mantengono il proprio dolore,

come gli uccelli in cielo le ali.
*
NINNJ DI STEFANO BUSA'







venerdì 22 agosto 2014

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia e la felce"

La clessidra segna durate elementari
per la vita (da trascorrere felici come
il verde elementare delle felci),
attimi oltre il velario delle cose,
nel tempo Alessia perduta nella brezza
si sporge a un davanzale che s’illumina
in esatta sequenza con il sempre, le cose
vere posate sulle mensola: lune di diari,
conchiglie rose e azzurre e altri oggetti
a sporgere nel tempo e a determinarlo,
tra il prima e il dopo un libro di poesia.
*

"Luna sul prato"

Plenilunio a inondare
del prato la forma a
irrorarlo, nell’erba
nuda Alessia a fare
l’amore dalla luce
d’argento vestita al
colmo della grazia
azzurra linea del piacere
ad invaderla pensa::
Giovanni non mi lascia.
Ferite dell’anima
a rigenerarsi nell’umidità
dell’erba a poco a poco
ad accadere dove era
già venuta. Dopo liquidità
d’orgasmo l’angelo
a dirle: non ci sei rimasta…
Trasale Alessia nel
pensare all’esame d’italiano
e della vita.

*

"Alessia e la fiorevole luna"

Fiorevole luna nel suo
lucore a interanimarsi
con l’anima di Alessia,
ostia di platino ad emergere
visione scaramantica
per ragazza Alessia
(tanto Giovanni non mi lascia).
Sul bordo del Mediterraneo
ha acceso una candela
a iridarle la terra del viso,
a poco a poco
rientrano i segnali delle
luci dal porto, navi per
partire per un gioco
dalla camera della mente.
Alessia di selenica luce
a rigenerarsi.

*

"Alessia e il santuario"

Il fiume di platino a intessersi
con l’autostrada a entrare
nell’anima di Alessia, a farla
fresca nella mattinale chiarità
di una gita al santuario da
rinominare, di una richiesta
al cielo che Giovanni non
la lasci. Mano nella mano
con Veronica, occhi negli occhi,
entra dal portale: sorride l’amica
e gioia ne trae ragazza Alessia
nell’inginocchiarsi.
Poi escono e lo stormo delle
rondini vola a destra,
beneaugurante incantesimo.
Squilla di Alessia il cellulare
(Giovanni dice: non ti preoccupare).
*

"Alessia e la gita"

Da Napoli nell’anima
azzurra di ragazza Alessia
per entrare oltre Porta
Nolana, dove era già
stata con Giovanni
nel fresco di marzo.
Mappa albare nella
mente di Alessia per
varcare la frontiera
di vento con la fretta
in terrena armonia
per attraversare la vita
oltre il quartiere cinese.
Sorride Alessia a Giovanni
nel trafiggerlo con degli
occhi l’azzurro: lui dice
non ti lascio
e in men che non si
dica si irida il sembiante
e Alessia scorge per la
prima volta il cielo
gli alberi e i fiori.:
nell’albergo sarà di nuovo
vergine.
*

"Attesa di settembre di Alessia"

Chiostra dei pensieri di Alessia
a contenere gioia mistica e sensuale,
aggrappata al ramo dell’arancio,
la mano a spremere la vita.
Attende settembre Alessia nel
lago dagli occhi contemplato
nella camera della mente
(che Giovanni non la lasci,
che superi di latino l’esame).
Accende scaramantico un cero
sul bordo del Mediterraneo,
ragazza Alessia, la fiamma dell’
accendino al primo colpo,
per grazia ricevuta. Ride da sola
Alessia nell’affilare gli umani
strumenti, agosto ormai da
salutare.
*

"Riposo di Alessia"

Nel fiore del letto dopo
l’amore ragazza Alessia
nel bianco di lenzuola
a riposare nel folto
della camera di sempre.
Attimi disadorni nel
tessere la tela dei giorni
(tanto Giovanni non mi
lascia). Alessia nuda
nel rigenerarsi nel
tempo mite di settemre,
riposo in attesa dell’esame
e che la gioia della pioggia
ricominci.
*
Raffaele Piazza

giovedì 21 agosto 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = LAURA MEINI


Laura Meini – “Impronte” - puntoacapo Editrice – Pasturama (Al) – 2014 – pagg. 69 - € 8.00, nella collana "I quaderni dell'Ussaro" a cura di Valeria Serofilli.

Laura Meini è nata a Livorno; ha pubblicato una serie di poesie nella collana “Viaggi in versi”.
Le sue poesie abbinano l’elemento autobiografico, le memorie di eventi vissuti, alla descrizione degli elementi della natura, in particolare il mare, con intenti simbolici e allegorici.
“Impronte”, la silloge della Meini, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Valeria Serofilli, che riesce a cogliere con grande acribia gli aspetti della poetica dell’autrice.
Cifra essenziale della scrittura di Laura è quella della ricerca e del ritrovamento di una linearità dell’incanto, di una vena neolirica tout-court che tende alla ricerca dello stupore e dell’incanto con una vaga visionarietà.
La raccolta non è scandita e, per la sua unitarietà, e la sua coesione interna può essere letta come un poemetto.
Chiarezza, nitore, luminosità e leggerezza caratterizzano questo libro che, ad una prima lettura potrebbe, sembrare elementare nell’universo letterario della contemporaneità, nel quale predominano forme che tendono alla complessità.
La Meini, pur nella sua semplicità, riesce a produrre un gioco di accensioni e spegnimenti, attraverso una parola detta con urgenza e ben controllata, sempre in bilico tra gioia e dolore.
La raccolta si apre con la poesia eponima nella quale la parola “Impronte” si ripete all’inizio di ogni strofa cinque volte creando un riuscito procedimento anaforico e una certa ridondanza.
L’impronta diviene simbolo di una traccia, di qualcosa di vago e significativo che resta indelebile nella memoria che si fa verbo.
Frequente è l’uso dell’aggettivazione in questo libro che in molti momenti raggiunge una certa vena elegiaca.
Protagonista della raccolta è la natura contemplata e vissuta felicemente in tutti i suoi palpiti e le sue meravigliose bellezze e, talvolta, nella natura stessa, tra ulivi, campi di grano e cipressi può stagliarsi un edificio, un’antica abbazia, un elemento della cultura, per esempio nella composizione “Sant’Antimo”.
Poetica della contemplazione quella della Meini, attraverso il doppio livello dello sguardo puntato sul mondo esterno e quello della ricerca e della tensione verso il ricordo, un passato che non potrà tornare e che si può riattualizzare solo nei versi, come in “Scalando le mura del passato”, dove la poeta si rivolge ad una rosa dai petali vellutati, sfioriti, quasi pronti a cadere; la rosa qui diviene regina del giardino ma anche solo illusione della mente.
E’ presente anche una vena mistica in questi componimenti che sono spesso un inno alla vita, anche se è presente il tema della morte attraverso testi dedicati ad amici e amiche scomparsi.
Come scrive la Serofilli nella prefazione, una scoperta, progressiva e costante del mondo esteriore ed interiore osservato con stupore e rinnovata meraviglia, istante dopo istante, caratterizza le liriche della Meini.
*
Raffaele Piazza

martedì 19 agosto 2014

POESIA = PIER LUIGI GUERRINI

PENSIERI PER STRADA-

Mancano punti di riferimento

al mio cruciverba quotidiano,

troppe caselle nere

sommergono definizioni

senza portamento.

Mi faccio società

delle mie azioni,

incontro persone

incastri di nazioni

si affiancano,

si sfiorano

si staccano

ignorando mete, storie,

destinazioni.
*

ASPETTO-

Il sorriso incontra

i confini del viso,

gli angoli cavi

d’un incerto paradiso

le pareti del frattaglio

i rimandi dell’esubero;

l’esodato dell’amore

aspetta quotidiane carezze,

agognati rimborsi d’affetto.

come una stazione.

In sala. Aspetto.

*
IN ESTATE-

Su un bagnasciuga

senza pretese,

in estate

s'innesta

la marcia ridotta.

*
(senza titolo)-

Ritaglio panorami immaginari

per evadere oltre l'orizzonte

superando i confini del giorno,

accarezzando altri profili del tempo.

Spolvero sorrisi, sogni,

silenzioso

e mi scopro tra le mani

solo un biglietto scaduto.
*

PIER LUIGI GUERRINI

lunedì 18 agosto 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIO LOPEZ

Mario Lopez – “Il filosofo osceno”- Puntoacapo Editrice – Pasturama (Al) – 2013 – pagg. 101 - € 11.50

Mario Lopez è nato nel 1966 a Genova dove vive; ha pubblicato due raccolte di poesia.
“Il filosofo osceno”, la raccolta del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è scandita in due sezioni: “Exit” e quella eponima “Il filosofo osceno”.
Il testo è preceduto dallo scritto introduttivo “Lopez e l’oscenità del pensiero” di Emanuele Spano.
I componimenti del libro hanno come cifra essenziale una forte verticalità, anche quando sono costituiti da più di una strofa; questo elemento porta ad una rarefazione del dettato e ogni segmento è felicemente risolto in lunga ed ininterrotta sequenza.
Lopez ci presenta una poetica del tutto antilirica e pratica una scrittura intellettualizzata e vagamente filosofica, nella quale predominano la riflessione e l’interiorizzazione di un io-poetante molto autocentrato.
E’ uno scendere nei meandri dell’inconscio quello dell’autore, nel suo emergerne portando alla superficie le immagini e le sensazioni dette attraverso la parola poetica, nel suo pronunciarsi con urgenza.
I componimenti, connotati da chiarezza, nonostante l’apparente oscurità, sono carichi di significati e presentano una forte densità metaforica e sinestesica.
Il poeta, attraverso la sospensione e lo straniamento arriva ad esiti alti, con un linguaggio originale sotteso ad un’idea dominante.
A volte il gioco dei versi oscilla tra erotismo e misticismo e c’è un “tu,” presumibilmente femminile, al quale Mario si rivolge.
I versi a volte sono costituiti da un’unica parola.
Il tono è assertivo ed epigrammatico, scabro ed essenziale e minima e l’aggettivazione mentre è forte lo scarto poetico dalla lingua standard.
Quello che si nota subitaneamente è la velocità dei versi, scattanti e icastici, nel loro fluire neobarocco.
E’ un pensiero che riflette su se stesso, quello che s’incontra in Il filosofo osceno, un vero e proprio filosofeggiare in cui l’oscenità diviene l’approccio disarmante con il quale il poeta si rivolge a se stesso e al “tu”.
Nella prefazione ricca di acribia Emanuele Spano, per illuminarci sulle ragioni di questa scrittura, parla di un nuovo etimo della parola osceno, ben diverso da quello del significato usuale.
Osceno è quello che letteralmente è “fuori scena”, che è estromesso dal palcoscenico, gettato fuori dal contesto: ciò che la scrittura deve interpretare, riportare a galla per addentrarsi nella selva del reale e coglierne le contraddizioni..
Eppure accanto a questa accezione persiste una traccia latente di quell’oscenità, intesa come sacrilegio, come spergiuro, in un mondo in cui ogni gesto sottratto all’automatismo perfetto del conformista è bollato come equivoco.
Il pensare stesso è “osceno” e la stessa poesia, sottesa al pensiero può divenire “oscena”
In realtà, se la poesia può diventare addirittura bestemmia, può essere anche preghiera, come insegna Mario Luzi, e questo nella sua acuta coscienza letteraria Lopez lo sa molto bene.
*
Raffaele Piazza

domenica 17 agosto 2014

POESIA = VALERIA SEROFILLI

VESTALI
SEZ.1 - Sirtaki

“Sirtaki”

Eccomi Vestale/ in estasi di te
al caldo Grecale
mentre danzo Sirtaki, e creo

Abbracci peplo, in voluttuoso ordito
mentre ti accerchio, circuisco e tesso/veli
tolti ad uno ad uno

Eccomi Vestale/in estasi di te
al caldo Scirocco
mentre danzo Sirtaki, e creo
tu il mio pareo

“Scirocco”

Eletti e condannati:
in vortici di passione
tu/Vento Scirocco
ora caldo e profumato
sulle mie bianche vesti
ora violento e impazzito

Tutti gli incensi/ dall’ambra al muschio selvatico
non valgono una stilla / del profumo della tua pelle
dopo l’amore
mentre intesso tasselli musivi sul tuo corpo:
ogni tassello un ricordo

Ma vento che va e viene
ed io / disillusa penelope che
tesse e disfà

Quale più annichilente vertigine a stordirmi
e rinsavire?

Divina o umana/ sinuosa nasci
e indelebile esisti.
*
SEZ.2- Dionisiache

“Estasi di mosto”
Ora tu qui / alchemica mistura
ed il pallore si farà dunque rubino
fecondo di ebrezza e dolci attese
paghe di amplessi e di sorprese

Nata appena / come d’uva il mosto
Appena sorta / com’alba da tramonto
Schiusa / pistillo da corolla:
liquida / com’acqua di sorgente

Tempo è di berci/ chimerico piacere
tempo è di sorsi, aliti ed essenze:
il tuo fiato da noi trasfonde
e si alimenta
e ne accresce l’orlo e lo trabocca

Vendemmia di pelle/ occhi negli occhi.
Se è tutto inganno
inganno sia
perché è questo
il più dolce annegamento.

“Nel segno di Priapo”

Questa è l’ora/ in cui ti desidero forte
prima che Scirocco/ mulinelli la sabbia
in dune di sepolti amplessi e
gli armenti si disperdano al richiamo;

prima che i sospiri si addensino
gravidi di pioggia/ a cancellare
sulla sabbia le orme
del nostro passaggio

Così osa darmi, in un lungo ti amo
tutto quel che mi hai tolto
perché quale più feconda invocazione
a te, o Priapo, che vita non è
se quest’ora non duri o si ripeta?
*
SEZ.3 - Ulisse
“Voce in conchiglia”

Voce in conchiglia
recami echi/ di lontano Ulisse
dipanati in fusi penelope
o avvolti ancora
in rigonfie conocchie Delie *
abbandonate a riva

Portami d’Ulisse/ gioia di ritorno
l'abbaio felice ad un guinzaglio
da lunga attesa
nascita d’abbraccio!
(* cfr. Tibullo, Elegie I, 3, v. 86)

VALERIA SEROFILLI

venerdì 15 agosto 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = FABIO TRONCARELLI

Fabio Troncarelli – Parole in aria - puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2014 – pagg. 59 - € 8.50

“Parole in aria” di Fabio Troncarelli, nato a Roma nel 1948, è il testo vincitore della sezione “Silloge inedita” al “Premio Astrolabio 2013”.
La raccolta, complessa e articolata, è scandita in tre sezioni. “Cose leggere e vaganti”, “La morte dell’estate” e “Vent’anni dopo”, costituita unicamente dal poemetto “Villa Pamphili”.
Il libro si chiude con il saggio di Valeria Serofilli, intitolato “Solida levità e mutevole persistenza nella poesia di Fabio Troncarelli”.
I componimenti di “Parole in aria” sono tutti ben risolti ed egregiamente strutturati architettonicamente e sono connotati da una vena caratterizzata da chiarezza, nitore, velocità e luminosità..
Strutturalmente sono costituiti da frasi brevi e quasi staccate tra loro, essendo frequente la punteggiatura.
Questo procedimento intensifica la forza naturale dell’ordine del discorso, producendo una forte icasticità.
Scarso è lo scarto poetico dalla lingua standard e non è presente una grande densità metaforica e sinestesica.
La dizione è avvertita e il poeta con stile originale invera sulla pagina brani originali di grande bellezza e modernità.
La cifra che connota il libro è proprio quella di una vena, che si potrebbe definire vagamente neolirica, che elude ogni banalità e crea un tessuto denso, scabro ed essenziale, nella sua valenza narrativa e spesso affabulante.
C’è spesso dissolvenza che si coniuga ad una limpida bellezza che tocca a volte la vetta di una magistrale magia. raggiunta da versi che decollano nel loro incipit sulla pagina senza sforzo, come librandosi per un incantesimo della parola stessa, detta con urgenza che si fa corpo e anima nel sua dirsi, schiudendo per il lettore vette di fascino indiscutibile.
Sia che il poeta si rivolga al cielo, muto interlocutore, fino ad ospitarlo nella sua casa, sia che descriva una donna, entrando profondamente nel suo animo e nel suo intimo, con metafore naturalistiche, lo fa con grande eleganza e levità con una forma ben dosata e alta.
Tutto pare avvenire, in questa poetica, per un meccanismo, che parte dalla descrizione di ciò che circonda il poeta, per giungere ad un’interiorizzazione dell’esistente , che si fa parola poetica, con il suo valore salvifico, aprendo varchi per momenti irripetibili.
Sono presenti nei versi descrizioni naturalistiche che non hanno niente di elegiaco, ma che sono sottese ad immagini rarefatte che ispirano una certa freddezza nelle stesure concentratissime.
Un altro tema è quello della morte presentata con una certa ironia quando in “Album”, una composizione breve, tra le tante lunghe, il poeta si rivolge al padre morto, nello scorgere una sua fotografia, nella quale il genitore è insieme alla madre nell’atto felice di tagliare una torta per una ricorrenza mentre scoppia di salute.
“Parole in aria”, nella loro leggerezza, che sottende una forte coscienza letteraria, un libro da leggere con piacere nell’identificarsi con le situazioni messe in scena da Troncarelli, che possono fare parte della vita di tutti.
*
Raffaele Piazza


giovedì 14 agosto 2014

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

"Distanze"

Hai scavato nel vento
e torni a conservare
il tratto dei tuoi seni,
logica delle mani.
Attorcigliavi la notte
(vuoi la luna ad olio
bianca come il respiro)
guance scartocciate …
La rama aggira fogli di vetro
Il tempo ha le ali di gabbiani;
graffia segreti il tuo non esistere più
lunga a perpendicoli.
Rompi colori e spazi
alla rinfusa.
Ormai la fede attraversa
distanze incriminate.
ed io mi sperdo nel tuo strano
nuovo, incredibile eterno.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = EDOARDO PENONCINI

I -

si invecchia senza il tempo di accorgersene,
convinti di vivere la giovinezza di una vita
a dispetto degli anni
e di un respiro sempre più breve

lo credi anche tu, figlio?
mi guardi perplesso come mi hai sempre visto,
vecchio, inadatto a un altro giorno

cambialo tu, ora, questo mondo
mentre l’alba irrora di speranza il tuo giorno
e la tormenta è di là da venire
*


II -
forse davvero occorre invecchiare
per morire;
a me spaventa dovermi sentire
invecchiato da sempre,
da sempre accadono eventi,
è un evento la vecchiaia
ma quando arriva la vecchiaia:
a trenta cinquanta settanta,

quando?
saperlo servirebbe?

la morte è un vento
nessuna rosa ne indica la direzione
*
III - (a Franco Fabbri morto erroneamente
contro i fili dell'alta tensione)

La mia terra la mia ruralità,
voglio tornare là
dove si uniscono i profumi
nei sentieri vuoti della campagna,
nelle solitudini maniacali,
lungo i viali, nei sogni in frantumi.

Voglio eroi da canzoni di gesta,
impavidi contro i fili di rame,
lontani dal catrame,
lanciati nella lotta funesta,
oltre cocci spinetici,
vibrata in canti orfici.

Voglio abbracciarti eroe antico
mentre l'arsura elettrica richiude
i pori nell'ultimo duello,
dire i tuoi riccioli con parole brevi
e lasciare gemere la memoria
nell’incanto del tuo riposo lieve.
*
IV-
(a S.P.)

trionfi basita
nel vuoto del cielo
l’aria turchina
sbiadita
un velo di ghiaccio
tronfio ricordo
vapori e aromi
di mughetto inali
resti sospesa
respiri profonda
gas esiziali

e la luna non sa
sazia com’è
di ogni abitudine
della delicata premura
posti i figli nel letto
lasciata una tazza di latte
nascosta una lacrima
anche la morte
vale un bel gesto
sotto la campana di vetro
*

V -
( a O. M.)

graffiando, eruttando sentenze
bacini pieni di parole
vomitano menzogne
peccato è dire
e se dici o peggio scrivi
sai dove si va a finire

dell’improbabile felicità si discute
tra il tempo e l’eterno
una lacrima diaccia
focalizza attraverso la finestra un limite

non ha più memoria la tua voce
nel continuo parlare di notte
e ghiaccio si fa il cuore lontano
fino a disperdersi in soffi di mantice
o cedere al colpo furioso del maglio

in un così distante silenzio
se anche una malattia non trova nome
meglio chiamarla Siberia
*
EDOARDO PENONCINI
*
Edoardo Penoncini (Copparo 1951), si è laureato a Bologna; dopo la laurea ha collaborato per alcuni anni con le cattedre di Storia bizantina della Facoltà di Lettere e Filosofia e di Storia medievale della Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Bologna, per tre anni è stato borsista presso l’Istituto per la storia di Bologna, già redattore della “Rivista di studi bizantini e slavi”; ha insegnato Lettere nella scuola secondaria fino al 2011 e collaborato per 25 anni con la rivista “Scuola e didattica, Suoi lavori sono apparsi su riviste di storia e di didattica della storia e in volumi collettanei.


PREMIO MICHELE SOVENTE

"Premio Michele Sovente"
Il Premio Michele Sovente, III^ edizione, è organizzato dall’Associazione culturale “Il diario del viaggiatore” che lo promuove nel Festival “Libri di mare Libri di terra”.
Regolamento del concorso
Il concorso si articolerà in quattro sezioni:
 sezione poesia
una poesia inedita in lingua italiana (in versi liberi o in metrica) a tema libero.

 sezione narrativa
un racconto inedito (max 3600 battute, spazi compresi). Tema libero.

 sezione giornalismo
un pezzo giornalistico, edito dal 1 gennaio 2012, riguardante una tematica socio-culturale.

 sezione illustrazione
lavoro a tecnica libera inedito. Dimensione opera : A4. Tema: Nutrirsi di cultura.
*
L’invio delle opere deve avvenire via e-mail al seguente indirizzo: ildiariodelviaggiatore@hotmail.it, con tasto di conferma di ricevimento. La dimensione dei file non deve superare i 6 MB.
Le opere devono pervenire entro e non oltre il 15 settembre 2014 e devono essere accompagnate da : generalità, recapiti del concorrente, breve biografia, modalità attraverso cui il concorrente è venuto a sapere del concorso.
Richiedere il Bando completo a : ildiariodelviaggiatore@hotmail.it -

POESIA = ETTORE BONESSIO DI TERZET

1-
tu che accogli i soffrenti
chi piange i disperanti
ricordati di quelli che muoiono
per aiutare altri, ma ricordati
di questi uomini che sono
veri seguaci fedeli tuoi


*

"in nome di Dio"


I rancori cancellati coi malesseri presenti
la memoria degli amici
accoglie gli ignoti scossi dai loro tic.

Le frane della paura trasformate in stupore
e la comune ignoranza in sapienza
battono il disordine epidemico.

Adesso gustare la gioia sulla pelle
brivido di mano che stringe
in nome di Dio, non di cognomi.


*
2-
Irritati dagli imbecilli
che rovinano i cataloghi
delle più belle editrici,
lasciamo l’estrema referenza all’io
l’inutile pericolosità del recedere
mai dichiarato come le guerre,
incendi di teste e mani pronte
alle baruffe le più prezzolate
degli inutili mezzi di massa.


*

3 -
Stare in silenzio
Tra le confuse librerie
Aspettando la morte ancora
Di giovani che vengono a parlarci
In una serata tra amici ben preparata?
*

"guerre"

Tra rocce e trombe di sassi
Rimembranza delle persone
Massacrate dal fuoco amico.

*
ETTORE BONESSIO DI TERZET

martedì 12 agosto 2014

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia e il ramo dell’arancio"

Pomeriggio di limbo ad accadere
per ragazza Alessia nel giardino
della villa di Giovanni nell’accarezzare
la vita ad ogni passo se non è
più nuotando esistere, protesa al ramo
dell’arancio nel cogliere il frutto
più alto, l’arancia pari a luna
per come una bambina giocare.
Gioia di Alessia nel trasalire piano
(tanto non mi lascia, come le ha detto
l’angelo).
Mangia il frutto e fa l’amore con
Giovanni nell’umidità dell’erba
Alessia al colmo della grazia,
si sente del mare il profumo azzurro
e il suono a cullare i corpi nel piacere.
Gioia di Alessia nel trasfigurarsi
pari a icona di dama medievale..
*

"Di Alessia trasfigurazione" -

Pensieri sospesi ad angolo
con l’azzurro polito su di noi
di ragazza Alessia al colmo
della grazia nel trasfigurarsi
nel recente sogno da trascrivere
con mani affilate nel file segreto.
Risveglio di amnio, nuda davanti
allo specchio (occhi più azzurri
e capelli più biondi).
Il terso mattino a venire per
ricominciare l’arte di disegnare
la vita tra le cose nel rinascere
nel flusso caldo-freddo delle
acque della doccia in una
preghiera con le membra
(chiede che Giovanni non la
lasci). Poi nell’afa della camera
squilla il telefono di Alessia
che trasale e gioisce, tremante
lo prende. Prima che dica
pronto la forza della voce di
Giovanni: vengo subito a casa
tua a fare l’amore.
Riaggancia e nella libreria
cerca Alessia il libro sul sesso
dono di Veronica.
*

"Ferragosto di Alessia"

Aria mattinale, ossigeno a scendere
nell’anima azzurra di Alessia dove
è scritto il suo segreto, greto
del Mediterraneo dove nell’acqua
bassa il grigio di un pesce da
rinominare osserva ragazza Alessia,
Caldo (tanto Giovanni non mi lascia).
Ferragosto festa popolare limbo
di Napoli dove è rimasta Alessia
per fare l’amore con Giovanni.
Si chiede cosa accadrà a settembre
Alessia tra le rose e da respirare
della vita le cose belle da trascrivere
nel suo file privato e ci sarà raccolto.
*

"Alessia e la luce stellante"

Lucore di candela accesa
sul bordo del Mediterraneo
per ragazza Alessia, luna
di platino a scendere nell’
anima di Alessia (tanto
non mi lascia). E le alberate
del Parco Virgiliano
nel pensiero, i pini in forma
umana a trasfigurarla nel
captarne le linfe. Prende
in mano la vita Alessia
nella pigna portafortuna
da portare nel folto della
casa. Giovanni è partito.
Fiorevole squillo del cellulare
di Alessia e prima che
dica pronto lui dice. ti amo!.
Stellante gioia di Alessia
nell’attenderne del ritorno
il giorno.
*

"Alessia e il chiaro di luna"

Sera selenica luna di platino
sulle acque lattescenti a
maternizzare ragazza Alessia
sottesa all’onda vaga e
sta infinitamente.
Chiude gli occhi Alessia
e fili di luna ad entrarle
dentro nella disadorna
del lungomare via serale,
porto di Napoli,
sul suo bordo ha acceso
una candela (tanto non mi
lascia). Regola la gioia
Alessia nelle cellule dell’
anima e ci sarà raccolto
oltre la nebbia dei pensieri
a diradarsi. Continua dei baci
la storia, di Alessia labbra
in quelle di Giovanni.
Felicità da non chiedere
e raccolto di risate
nella sera.
*

"Nel tempo Alessia"

Seguono giorni in esatta scansione
(agosto dell’afa è nel pensiero):
Alessia per la vita infinita sedici
anni contati come semi. Stabile stagione
l’estate ai lieti colli dell’anima di vetro,
una cosa, il tempo, l’ora, la campagna
a festa lo scampanio fino alla camera
dell’amore il suono sentito piano,
abbracciata nuda con Giovanni, al muro
una strenna di calendari con immagini
di gatti.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUCIANO NERI

LUCIANO NERI: “Figure mancanti” – Ed. transeuropa – 2014 – pagg. 104 - € 9,90 –
“Le pagine qui proposte – scrive in una nota l’autore – tengono conto di un percorso di scrittura che ha tratto esperienza da una serie di viaggi compiuti a partire dal dicembre 1997 sino all’agosto del 2013.”- Viaggi mediterranei come ricordo di incontri e luminosità , illusioni e speranze , abbagli e ripensamenti, nel musicale respiro della pagina, la quale tenta di annullare i confini per partecipare delle ombre e delle apparizioni che il tempo e lo spazio offrono quotidianamente.
“Finestre e ardesia nell’esplosione / del Mediterraneo, scalinate di pietra grigia./ Vicino alla spiagge rimestate dai bulldozer/ le case strappate al terreno, le rose sui muri,/ lo scheletro di bunker simili a funghi./ Fino al riparo della scrittura la fiammella / del loro confine, il paesaggio dietro fessure - / gli interni muti, rassegnati.”
Immagini materiali ed immateriali si alternano nei versi per un’intensa luccicante rivelazione del vissuto , sia passato , come memoria e ripetizione, sia presente come illusione e speranza. Le ore hanno il tocco delle cose palpabili : le scarpe, la meridiana, la garitta , l’ascensore, il verde delle fronde , il coltello della cucina, nel rifugio dei luoghi riconoscibili, negli spazi familiari amalgamati dopo scontri pomeridiani, nel sonno che “tira il filo delle vertebre”.
Scrittura nitida ed accurata , per la quale spicca l’abilità con cui l’autore sa renderla densa e a tratti balenante o malleabile , mediante il verso che riesce quasi sempre a realizzare una musicalità personale e schietta. La ruvida esuberanza vitale conclude una vivida inventiva, dal pregevole esito, in una specie di continua sinfonia tra l’acuta psicologia del viaggiatore ed esploratore e l’amoroso sguardo di un acuto indagatore.
ANTONIO SPAGNUOLO -

lunedì 11 agosto 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANNA MAGNAVACCA


Anna Magnavacca – "Il colore dei giorni" - puntoacapo Editrice – Pasturana (Al)- 2014 – pagg. 67 - € 8.00 - Ne "I quaderni dell'Ussero" a cura di Valeria Serofilli.
*

Anna Magnavaca, l’autrice del presente testo, è nata a La Spezia; è inserita in numerose antologie e ha pubblicato molte raccolte di poesia.
“Il colore del giorno” è preceduto da una nota critica ricca di acribia, di Nazario Pardini intitolata “Un succo piuttosto amarognolo di un realismo lirico avvolgente e coinvolgente”.
Il testo include anche poesie tratte dalla raccolta “Giorni lontani”.
La Magnavacca si esprime attraverso una poetica che sviluppa il tema della quotidianità e che ha per cifra dominante una forte chiarezza espressiva, un’esperienza che si situa nell’alveo di una ricerca che ha un fondamento neolirico.
La poeta punta i suoi occhi sulla realtà tout-court che la circonda, per esempio affacciandosi dai balconi e dalle finestre della sua casa o immaginando situazione svariate di persone, uomini, donne e bambini che condividono il suo mondo.
Ad un primo livello di lettura sembrerebbe che Anna sviluppi una linea espressiva connotata da un indiscutibile minimalismo, mettendo in versi situazioni tipiche della realtà di ogni giorno, come un pittore, dall’ottima tecnica, che dipinga paesaggi e interni, mettendone in luce tutti i particolari in modo minuzioso e metodico.
Scavando più a fondo constatiamo che il discorso, il poiein dell’autrice, è più complesso e che il mondo circostante viene filtrato attraverso un suo occhio interiore, tramite la sua forte sensibilità, che mette in luce, tramite l’introspezione, aspetti psicologici dei personaggi messi in scena, dei quali coglie l’interiorità, tramite una fine acutezza psicologica.
Poetica dello sguardo, quindi, ma che sottende un forte grado di rielaborazione.
Nitore, luminosità, leggerezza, precisione e velocità nel dettato della Magnavacca, che sembra essere alla ricerca, tramite i suoi versi, del vero senso della vita, sia quando viene detto un bambino che piange, sia quando è descritta una coppia di giovani fidanzati nel loro idillio su una panchina, sia quando parla di una donna del suo condominio che ha cambiato appartamento, sia quando descrive la sua dirimpettaia nella semplicissima azione del cucinare.
Quasi tutti i componimenti in “Il colore dei giorni” sono corposi e articolati e sono spesso costituiti da versi lunghi caratterizzati da un’ottima tenuta.
Non mancano le descrizione idilliache e gli squarci naturalistici, che hanno toni icastici nel captare forme soprattutto vegetali con armonia estrema e grande forza di penetrazione nei minimi particolari.
Ritroviamo l’etimo profondo in “Il colore del giorno” nei versi esemplari nei quali la poeta dice che la vita va vissuta fino in fondo e che sul suo fondo c’è un tesoro nascosto.
Il suddetto tesoro può essere raggiunto solo attraverso il varco salvifico che la poesia sola sa aprire, divenendo esercizio di conoscenza.
C’è una grande originalità in questa poetica, esito produttivo di un lungo lavoro sulla parola, attraverso le raccolte precedenti.
*
Raffaele Piazza

PREMIO = CITTA' DI MONCALIERI

PREMIO CITTA' DI MONCALIERI .
Per silloge edita , raccolta di racconti o novelle edita , poesia inedita in lingua italiana,poesia inedita in dialetto, racconto o novella inediti. Scadenza 20 ottobre 2014. La giuria è composta da :Giovanni Chiellino, Adriana Cigna , Mirka Corato , Erika Lux, Pierantonio Milone, Emanuela Spagnolini.
Richiedere il bando completo a : saturnio@saturnio.it

domenica 10 agosto 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARCO AMENDOLARA

MARCO AMENDOLARA : "Il corpo e l'orto - poesie 2005-2008" - Ed. La vita felice, Milano - 2014 - pagg. 56 - € 10,00.

- Marco Amendolara, ancora con noi poeta sul serio -

Prima di impiccarsi in una gelida notte di dicembre 1925 nella sua stanza di Leningrado, Esenin scrive a un amico, intingendo il pennino nel suo sangue, un “arrivederci”, tagliente come una stilettata, dichiaratamente in anticonformistica controtendenza, senza concedere spazio a gesti e a consuetudini di saluto. Sono due quartine, le ultime due della sua vita, la seconda e terminale delle quali recita, nella traduzione di Curzia Ferrari:
“Arrivederci, senza strette di mano, né parole.
E non piangere, non fare il viso triste,
In questo mondo non è cosa nuova morire,
ma neppure vivere è più nuovo”.
E’ una uscita dalla vita, chiudendo freddamente quasi da automa la porta alle spalle, come da sequenza prevista da copione. Là fuori, la luce continua a calare a strapiombo dal cielo sulla scena della vita tutta un ingorgo di sortilegi e deliri. Ed è contro questo destino, questa condizione assurda che Esenin, nel corso della sua movimentatissima e singolare esistenza, scaglia teppisticamente la sua poesia e in ultimo la sua decisione di strappo irricucibile.
Anche Marco Amendolara sigilla la sua avventura con un’esplicita analoga testimonianza di antitesi all’umano destino. A Salerno e altrove è il 16 luglio 2008, e lui fra tre mesi avrebbe compiuto quarant’anni. Non gli basta essere un intellettuale acuto e attrezzato, un traduttore fecondo dal latino e dalle lingue moderne, un teorico e un critico letterario apprezzato dagli addetti ai lavori. Non gli basta neppure la poesia, che, secondo un vulgato luogo comune dovrebbe essere di lenimento e di conforto alla pena di vivere.
Ma non è il 16 luglio 2008 che lo porta alla tragica conclusione: col nulla, egli aveva avviato sin dall’inizio un dialogo, che si era venuto progressivamente intensificando nel corso di tutta la sua produzione letteraria. Fino alle sempre più marcate dichiarazioni di nichilismo rilasciate negli ultimi tempi. Ma amici e conoscenti, in quanto tali, eufemisticamente distinguevano tra il maneggio di topiche figurali e di simboli da una parte e la realtà dall’altra, che ordinariamente impasta il tragico col comico, col grottesco e col banale. Non avrebbero mai potuto ammettere che Marco pensasse sul serio quello che pensava e diceva.
Ma Marco diceva sul serio, come faceva il poeta sul serio. D’altronde, negli ultimi due tre decenni del secolo scorso, ci sono state svolte decisive in Italia e non solo da noi, in politica come in economia, nel gusto come nella moda. In arte, in architettura, in musica, si diffonde il postmoderno nelle sue varie declinazioni, si riscopre la figura del padre, si fa poesia innamorata e dintorni e sembra quasi che si vogliano di nuovo avvicinare le punte di parola e verità (neoromanticamente). Intanto, un postulato appare indiscutibile: la necessità di tagliare i rapporti con la mimesi artistico-letteraria e con le scelte di vita dell’immediato dopoguerra e del decollo industriale. Ad esempio, con la cifra dell’engagement (per dirla con Sartre) e con la cinica ludicità linguistica di quei medesimi anni, - basti pensare a quanto si teorizza in materia nell’ambito della neoavanguardia -. Anche per effetto dell’improcrastinabilità della fine del millennio, ci si comincia, adesso, a ripiegare su sé stessi, sul presente, senza gli alibi dei rinvii al futuro e delle attese millenaristiche. Adesso diventa prioritario scommettere sugli investimenti totali, sulle inclusioni anche delle antitesi, dei paradossi, delle anfibologie, dei sentieri interrotti, per usare un’espressione di Heidegger. Su un dirsi e un rappresentarsi in totale integralità, anche nel groppo delle ineludibili ambiguità.
Entro questo clima, si delinea e matura la vicenda intellettuale e poetica di Marco Amendolara nella sua Salerno, che è assunta, se non a ombelico del mondo, certamente a piattaforma in galleggiamento sul mare di una contemporaneità liquida, sfuggente, ricca di risorse e altrettanto di veleni. Come poeta, egli si dà il compito di essere sé stesso, di viversi allo spasimo e sul filo del rasoio, consegnandosi a una parola implementata di oggettività e testata sul terreno della perentorietà e dell’oltranza.
Alla sua tragica scomparsa, aveva lasciato un quaderno di poesie inedite, che la madre ha fatto circolare presso amici ed estimatori di Marco. Adesso, finalmente, questa silloge è venuta alla luce in una veste di grande decoro e in una collana dove sono presenti ottimi autori: “Il corpo e l’orto. Poesie 2005-2008”, postfazione di Renzo Paris, La vita felice, Milano 2014, pp. 56, € 10,00.
La sua voce è sempre quella, trepidante e vibratile di stupore di fronte al susseguirsi dei giorni, al diramarsi della vita in molteplici direzioni e manifestazioni, inafferrabili e tuttavia intrise del caldo, tenero, avvolgente fiato del mondo. Come in questa composizione, che occupa non solo materialmente, ma anche idealmente il centro della plaquette, come un asse intorno a cui girano le altre sequenze, e che apre a ventaglio e a riscontro il flusso delle forze vitali nell’appercezione oscura, ma inequivoca del corpo e nella rimemorazione dell’appercezione stessa:
“ Era tutto orto, lo spazio
che ti abitava:
le radici, le piante, le acque
che sgorgavano piano e formavano
piccole pozze; i vari volatili;
gli alberi, più lontano: nespoli, fichi,
e, oltre, la vigna.
Una lieve follia entrava in te,
corpo di molte presenze.” (p. 23)
Non solo questa, ma quasi anche tutte le altre poesie del quaderno corrono sul filo di un discreto, liminare, ma decisivo dialogo con sé stesso, cioè con l’altro che osserva e completa nel silenzio le nostre proposizioni, meditate o estemporanee che siano. Tutto il volumetto, in sostanza, si dispone su un registro dialogico e poematico, per singhiozzi e frammenti, che si proiettano puntualmente in avanti e altrettanto puntualmente ritornano su suggestioni, rimembranze, lacerti di intercettazioni precedenti. In queste interrogazioni della Differenza e simultaneamente del Medesimo, si insinuano, per intermittenze e interstizi, suggerimenti affabulatori che si affidano alle varianti, per spostare ogni volta più in là l’accertamento o il riconoscimento del vero, per marcare lo spostamento verso l’altrove della linea d’ombra entro cui si consuma la vicenda di ognuno.
Così, la corporeità, su cui scommette il poeta, come sulla possibilità per eccellenza per contattare il reale, con tutte le sue concrezioni, residuali nel “corpo” e nell’”orto”, le due figure a cui richiama il titolo della raccolta e a cui si richiamano, come a pezze di appoggio, i vari frammenti del discorso poetico, finisce per dimostrarsi nel concreto nient’altro che allusione, ingannevole fantasma. Perché, sotto la sua veste, c’è il nulla. Perché nel teatro del nulla, ci possono essere e ci sono ritorni infiniti, ma possono esserci e ci sono interruzioni definitive e perdite irrecuperabili, proprio come è detto nella chiusa di una delle poesie più belle, che è piaciuta anche al postfatore del libro, Renzo Paris:
“Vertumno ci insegue,
ma dalla nascita possiede
i nostri corpi
e la nostra logica.
E’ dentro di noi, il dio
delle vegetazioni e
dei cambiamenti: il sorriso
diventa ghigno, la ruga
un graffio nell’osso,
il corpo niente,
se poi non si riaccende”. (p. 15).
Ed è su questa cesura totale dei ritorni, che il poeta si affaccia infine il 16 luglio 2008 come dall’alto di un burrone con una passione totale.
*
UGO PISCOPO



venerdì 1 agosto 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = LAURA FICCO


LAURA FICCO – "La rinascita della tigre" - Puntoacapo Editrice – Pasturama - (Al) – 2014 – pagg. 67 - € 8.00 - ne "I quaderni dell'Ussero" a cura di Valeria Serofilli

Il presente testo, pubblicato nella collana “I quaderni dell’ Ussero”, a cura di Valeria Serofilli, include la raccolta “La rinascita della tigre” di Laura Ficco e presenta una prefazione della stessa Serofilli articolata e ricca di acribia.
Come afferma la prefatrice è emblematico il titolo della silloge “La rinascita della tigre”, che indica un processo chiaro di identificare: una morte, una trasformazione, una rinascita.
Il tutto da parte di un animale che incarna il simbolo stesso della tenacia, della forza.
La tigre può essere intesa, con ogni probabilità, come una personificazione della stessa autrice o, almeno, del suo modo di vedere e interpretare il mondo.
A livello stilistico incontriamo una forte chiarezza del dettato e un tono narrativo.
La poetica della Ficco si può intendere come neolirica, di una liricità moderna che non indugia mai in autocompiacimenti.
L’aggettivazione è molto frequente e ottima è la tenuta dei versi lunghi.
Le composizioni sono caratterizzate da nitore ed eleganza formale e molto spesso sono suddivisi in strofe compatte.
La raccolta non è scandita e presenta poesie diversificate tra loro per argomenti.
Incontriamo il tema del dolore che può essere quello dei prigionieri in un campo di concentramento durante il nazismo, quello di una madre, o quello di Maria per la crocifissione di Gesù.
A volte nei componimenti si constata una forte ansia nel tendere alla gioia: in L’io riflesso la poeta s’immerge in una natura idilliaca fatta di ruscelli, colli e muschio fresco.
Si raggiunge così in questo componimento una linearità dell’incanto in un afflato che raggiunge quasi accenti idilliaci anche se nell’ultima strofa l’io-poetante si rivolge ad un “tu”, del quale ogni riferimento resta taciuto, dicendogli di avvertire da lui un forte disprezzo.
Un alternarsi di sensazioni costella le poesie di “La rinascita della tigre”, che esprimono sentimenti contrastanti tra loro, tutti sottesi ad una scrittura avvertita e carica di pathos.
Un addentrarsi nei meandri delle sfaccettature della vita che diviene esercizio di conoscenza.
Anche nelle contingenti più tristi ci si può aprire alla speranza, come la tigre che rinasce, grazie a parole icastiche dette con urgenza in modo raffinato dalla poeta che da anni pratica con successo la scrittura poetica.
Un esempio del varco salvifico che solo la parola poetica può schiudere.
*
Raffaele Piazza

POESIA = ANNA BELOZOROVITCH

- I -
"Tartaruga"

Ogni mattina, come la tartaruga verso il mare
con sabbia umida ancora tra le pieghe e dietro il collo,
corro verso la vita e il giorno, forse la fine, impaziente.
Chiedere, struggersi, desiderare, è nella buca semiaperta che ho lasciato:
era un altro tempo, avevo un'altra pelle, sognavo il tentativo.
Sognavo simboli, con violenza e passione: api e miele, funghi partoriti,
oro su un piatto da mangiare, tubi-passaggi gocciolanti.
Io ora corro e meno forze restano per il desiderare.
Anche il verde altrui farà la mia primavera,
la sabbia non graffierà la pelle in acqua, cadrà, si farà vetro.
Altri la coglieranno in sfere colorate e sogneranno il mare.
Io sarò, viva o morta, in mare aperto.
**
- II -
"Conchiglia"

Tutta la mia vita è nuova, ogni giorno
soprattutto nella sua imprevista vecchiaia
nell'indeterminatezza coltivata
nel riconoscimento mancato per così poco.

Tutti i miei passi sono un passo di troppo
verso l'eccesso o il non abbastanza;
ogni parola pronunciata è una chiave persa,
conchiglia resa sorda dalla ghiaia.

Oscena e limpida ripetizione, incanti
come un verso ipnotico antico:
puoi fare e puoi far fare e suoni
la melodia del pensiero dall'esterno.

E' forse segno d'una grave malattia
stancarsi delle rime e delle note.
Tutte le rivoluzioni altro non sono
che mappe di cicliche dimenticanze.
*
ANNA BELOZOROVITCH -
*
Anna Belozorovitch è nata a Mosca nel 1983. Ha vissuto in Portogallo. Dal 2004 risiede in Italia .- Del 2013 la sua ultima raccolta di poesie edita da Lietocolle "Qualcosa mi attende"-