martedì 30 aprile 2019

POESIA = ANTONIO PERRONE

1) Le dita

I.
Non ci sono riuscito, le dita che contano ancora le vedi suonare
la musica scema dei sordi e a Parigi in un vecchio motel
tu mi facevi l’amore sui bordi del letto e in silenzio
lavavi le ascelle e le cosce in un mutuo pudore.
Su quel letto ora piangi, o forse su un altro, ma piango anche io
al rumore del phon che ti usciva i capelli,
quando ancora ci avevi le punte.
Le voci del freddo le aeree parole sull’uscio di un
bel ristorante
e poi l’aeroporto
nel vuoto silenzio del mondo
Il tabacco mal spento, con la punta dei piedi, le piazze
che girano ancora le piazze che girano qui
nel nuovo silenzio di nuovo in silenzio di nuovo
mi dici le scarpe ed i piedi, è il modo in cui poggi
per terra le punte e i talloni
Cammini male
come se fossi costantemente su un filo ma a
volte però tu mi vedi lo vedi che a volte io so camminare.
È la testa lo sai che è la testa e poi gli occhi (i miei occhi?)
ma lo sai che ore sono e che ho ancora cinquantadue euro
nella tasca sinistra del bomber o forse
la destra
non so non ricordo
oppure non voglio più dirtelo.
Le parole che poi mi dimentico come i vestiti
e i colori e le facce, ma tu ti ricordi di quando
salimmo sulla parte più alta del faro di ferro?

C’era vento.

II.
Tu lo sai che io non ci credo, che la linea del tempo
per me non ha senso
non ha senso ordinare i ricordi ma ha senso
suonarli
(forse)
nella musica scema che io so suonare
e che tu pure suoni ma in modo diverso
- suonavi -.

Forse ci siamo incontrati per farci soffrire
o forse è un po’ troppo cattivo parlare così
però a me piace suonare, e una volta hai voluto
ascoltarmi ma hai pianto
io poi non avevo capito se non ero bravo a
suonare o se tu non avevi capito che avevo
suonato per te.



2) Senza titolo
Parlare con te è rendere
un nome alle cose sventare
paure irrisolte sciogliere
nodi, rimettere i punti chirurgici.
Le tante incertezze dell’uomo
che sono diventano vane, dei
vuoti spauracchi, volatili fisime fiumi
in carsismo.

Non lasciano scorie le mie
paranoie se le tu le lenisci
mentre guardo al di fuori
dell’auto
e mi ascolti.
*

ANTONIO PERRONE
*
Antonio Perrone (Napoli 1991) è dottorando in Filologia presso l’Università Federico II, con una tesi sulla lirica barocca. Ha lavorato sulla metrica di Pagliarani in un saggio pubblicato su COntemporanea 2017 (Fabrizio Serra editore) e in un altro su Testo a Fronte (in corso di pubblicazione). È redattore di Levania Rivista di Poesia, e ha pubblicato degli inediti su Nazione Indiana, Atelier, Poetarum Silva, Levania. Ancora al 2017 risale la sua prima raccolta di poesia (Limina Mentis), e un lavoro di silloge con commento ai poeti italiani del ‘900 (Aracne).

lunedì 29 aprile 2019

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Incanto”
L’arteria batte il tempo irrequieto
in questa solitudine perfettamente incisa
nel ricordo e nei segni, che permangono ancora.
Anche l’incanto perdura nel tratto breve
di un bagliore che non traccia incandescente,
e trabocchi di nuovo nel nettare frammentato, stanco.
Senza storia il cuscino profumato
inghiotte il tremore della notte,
oltre ogni promessa , e l’infinito si aggira contro il tempo.
Liberarmi dall’ombra dei ricordi , ed eterno è il mio urlo,
quando disperdo le immagini del tuo volto
tra le carte da macero , nel vecchio legno
della scrivania, ormai spoglia di ogni dolcezza.
Liberarmi dall’ombra dell’impuro corteo
che piomba in qualche errore dei giorni
a riordinare le aritmie impotenti,
nudo nel lembo delle coltri inaridite
per ritrovare quelle tue tenerezze di fanciulla .
Fra demonio e follia trascino il labbro ai capelli,
le braccia al precipizio segreto,
inconfondibile , di un autunno precoce.
Sgusciammo il tempo incatenati all'angoscia:
tu conchiglia di distanze, io abbandonato alle ore.
Non ho più il coraggio di rincorrere la tua gonna,
per quelle vene gioiose e fuori segno,
ora che il marmo rinchiude le tue forme .
*
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = AUTORI VARI

"LE INQUIETE INDOLENZE"a cura di Raffaele Piazza - Ed. Fermenti - 2017

L’opera "Incontro scontro positivo Ah Ban", olio su tela del 1989 di Vinicio Berti, è stata scelta per rappresentare, in copertina, le Inquiete indolenze edite da Fermenti nel 2017, in forma di volume antologico recante un’approfondita Introduzione e note di Raffaele Piazza.
A dispetto delle tante prognosi infauste, la poesia non è morta e addirittura i poeti (e quanti sognano o sono convinti di essere tali), sono diventati, e paiono ulteriormente destinati a divenire, sempre più numerosi, in una ricchissima varietà di soluzioni espressive e intenti, tra casi di ripiegamento intimistico e altri di strenua difesa della civiltà in ogni suo aspetto.
La poesia è salvezza, è vita che non muore. Al di là dell’impossibilità di ingabbiarla in una formula o definizione che consenta di individuarla in modo assoluto, e malgrado la scarsa o inesistente capacità dell’opera stessa di incidere sulla realtà in questo mondo così poco ospitale e poco disposto all’ascolto, e nonostante l’impossibilità di fare bilanci e trarre conclusioni almeno provvisorie, persiste la dimensione del sogno, dell’ideale.
"Le Inquiete indolenze" hanno visto la luce e si inseriscono in un’epoca in cui «si moltiplicano siti, blog, concorsi e piccoli editori disponibili ad assecondare le esigenze dei poeti. Sono iniziative tutte politically correct, anche se esistono rivalità e litigiosità tra i rappresentanti di questo settore», come sottolinea Raffaele Piazza.
Tuttavia questo volume antologico rientra in una tipologia di pubblicazioni purtroppo rare, per intenti e risultati.
Sarebbe auspicabile un maggior numero di iniziative analoghe, per poter dar voce ad autori messi a confronto non su un tema imposto, bensì lasciati liberi di proporre quanto ritengano meglio rappresentarli e, nel caso specifico, «Tutti i poeti sono inseriti con sillogi tematicamente unitarie, che possono spesso essere lette come poemetti autonomi».
I criteri seguiti per la curatela hanno consentito di porre in evidenza innanzitutto la qualità delle produzioni poetiche prese in esame. Il curatore, particolarmente esigente per quanto concerne le proprie opere di poesia e studioso che si è distinto nel corso del tempo per l’acume critico, ha dato un’impronta ben precisa al libro.
Per ogni autore Raffaele Piazza ha curato la stesura di due note: una riguardante i componimenti e una breve personalizzata.
Diciotto sono le voci incluse in questa polifonia. Per tutte il curatore ha individuato i filoni in cui «gli autori svolgono il loro connotati poetici».
In modo chiaro, egli ammette: «L’elenco si completa a parte con osservazioni riguardanti ciascun autore che sembrano svolgere discorsi senza esito, con la prerogativa di accennare o ribadire come ogni possibile conciliante conclusione sia vana nei nostri tempi di inquiete indolenze».
Quasi una piccola prefazione viene dedicata da Raffaele Piazza a ogni silloge dei poeti antologizzati all’interno della stessa Introduzione dedicata all’opera complessiva. I protagonisti appaiono in ordine alfabetico e compongono un insieme alquanto variegato per età, formazione, provenienza geografica, risultati.
Il curatore dimostra notevole abilità sia nell’analizzare le produzioni poetiche proposte all’attenzione del lettore, sia nel fornire un quadro sintetico, inquadrando gli autori nelle linee fondamentali che li contraddistinguono. Pertanto egli, definendo i filoni di appartenenza qui di seguito elencati, si sofferma sulle interpretazioni onirico-psicologiche di Giovanni Baldaccini, sulle analisi interiori tout-court di Franco Celenza, sulla scrittura reinventata di Bruno Conte, sulle sperimentazioni magnetiche di Antonino Contiliano. Dopodiché analizza la trasgressività mordace di Gianluca Di Stefano, le trasfigurazioni rarefatte di Edith Dzieduszycka, le filosofizzazioni anti materia di Marco Furia. E prosegue rammentando le tragiche rievocazioni epocalo-contingenti di Maria Lenti, le amorose sintesi di Loris Maria Marchetti, il dialetto piemontese con guide a fronte di Dario Pasero, il ludismo giocoso di Antòn Pasterius, il nichilismo cosmico di Pietro Salmoiraghi, la politicità sociale di Italo Scotti, il distacco rievocativo-sublimato di Antonio Spagnuolo, le misteriose formule ontologiche di Liliana Ugolini, le grazie e levità trasfigurate di Silvia Venuti, il connubio di segni e parole da legare e slegare di Vinicio Verzieri, gli erotismi esistenziali di Giuseppe Vetromile.
Le composizioni raggruppate in brevi sillogi, proposte all’attenzione del lettore dai singoli autori, recano i seguenti titoli: Alla mia estraneità (di Giovanni Baldaccini), Scenario dei brevi splendori (di Franco Celenza), Stridocosmo (di Bruno Conte), Trafficanti armi, pas oubliant (di Antonino Contiliano), Esilio terrestre (di Gianluca Di Stefano), L’erba incredula (di Edith Dzieduszycka), Ecco, sorprende (di Marco Furia), Frutti di stagione (di Maria Lenti), Traversate (di Loris Maria Marchetti), Tor Bronda (di Dario Pasero), I capelli sono sempre fuori di testa (di Antòn Pasterius), Inseguire le voci (di Pietro Salmoiraghi), Politikòn Zoòn (di Italo Scotti), Svestire le memorie (di Antonio Spagnuolo), Pellegrinaggio con eco a Firenze (di Liliana Ugolini), Dediche (di Silvia Venuti), In attesa di risurrezione (di Vinicio Verzieri), Da questi treni non attendo più notizie (di Giuseppe Vetromile).
Per dare un’idea dei contenuti e materiali radunati, possiamo soffermarci almeno su alcuni versi di qualche autore presente nel denso tomo.
Tra i più interessanti possiamo ricordare Bruno Conte, famoso per la sua poesia visuale. I suoi frammenti brillano per il nitore che li contraddistingue, per i concetti catturati in veloce successione, tra rapide immagini destinate a non essere dimenticate, tra «sogni di sogni», «un prato di prati», in una «giornata di giornate», mentre «l’artrite della sedia» e un «osso di adesso», ci portano nel vivo intreccio delle diverse dimensioni temporali.
Poiché come sosteneva Plinio il Vecchio non esiste nessun libro così cattivo che non possa anche insegnare qualcosa di buono, a saper ben guardare, leggendo si può scoprire, anche tra poesie che possono venire giudicate noiose, che «tra la novanta e la novantuno / si apre la ovantuno / tradipagina / attraente oltremente».
Edith de Hody Dzieduszycka cattura, invece, le crisi di identità ed esistenziali che spesso dobbiamo affrontare: «Nella folta foresta / dall’oscuro bisbiglio / si è persa / una parte di me / quale non saprei», «Dire / il pensato / il sognato / il sommerso» … «dire / per non dire», in un percorso «tra / orgoglio e paura».
Tra le voci più significative antologizzate nelle Inquiete indolenze compare pure quella di Antonio Spagnuolo, la cui produzione poetica si è a lungo contraddistinta per complessità e tratti oscuri, mentre, come osserva Raffaele Piazza, «affioravano le illuminazioni di un inconscio controllato». Negli ultimi anni il poeta si è affidato, invece, a una parola più chiara e comprensibile. Comunque, si tratta sempre di “alta poesia”, e nel caso delle ultime sillogi essa risulta incentrata sulla figura della moglie Elena, da poco scomparsa. Come ancora sottolinea il curatore del volume, «La rievocazione e la riattualizzazione della figura dell’amata sono catartiche e salvifiche e, attraverso una parola icastica e detta con urgenza, continua in poesia il colloquio interrotto». «Antonio non si autocompiace del suo dolore, non è nostalgia la sua, ma parabola che è sottesa alla forza dell’attimo, all’uscita dal tempo lineare».
Segmenti, dunque, dotati di grande forza espressiva, quelli dei versi di Antonio Spagnuolo: «Mi stordisce la vertigine di questa estrema forma del dolore»; «Ho posseduto i tuoi occhi / smontando nervi per ricominciare. / Garbate le tue unghie vibravano segreti, / grano senza promesse nei racconti oltre la porta»; «Non saprei dove la memoria più remota / scende, come il cerbiatto alla riva, alle morbide e delicate carezze / che non hanno più pelle».
Di certo Inquiete indolenze è un ricco crocevia, un punto di incontro di esperienze culturali e poetiche molto interessanti, in grado di stimolare ulteriori approfondimenti e confronti.
*
Claudia Manuela Turco
*
Pubblicata su: Literary nr. 4/2019----

domenica 28 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = BRUNA DELL'AGNESE

Bruna Dell’Agnese – "Geometrie imperfette"---Le ultime poesie--puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 101 - € 15,00

Bruna Dell’Agnese, originaria di Borgomanero, è scomparsa nel 2017. Le sue raccolte di poesia: Stanza Occidentale (presentazione di Attilio Bertolucci, 1985), Bassa marea, Correndo l’anno, Nel fruscio del quotidiano, Gli improbabili confini (2004), ricapitolate nel volume Sul confine del tempo – Poesie 1985-2009 (Moretti & Vitali, 2011). E’ stata anche traduttrice di poeti: accanto alle poetesse del romanticismo inglese (Bronté, Barrett Browning, Dickinson), Poe e poeti contemporanei come Charles Tomlinson, o Mikos Radnoti). Ha pubblicato anche una raccolta di saggi dal titolo Il teatro dell’assenza (Moretti & Vitali, 2007), la raccolta di racconti Il messaggero del Prado (Greco & Greco, 2009) e un saggio sul Lago d’Orta, scrigni di luci (Alberti, 2006), illustrato dal pittore Carlo Rapp.
"Geometrie imperfette", la raccolta di poesia di Bruna Dell’Agnese che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione densa, esauriente e ricca di acribia di Silvio Raffo intitolata La signora delle ombre.
Il testo composito architettonicamente, è scandito nelle seguenti sezioni: Geometrie imperfette Geometrie euclidee, Verso l’altrove, L’amore scortese, piccolo canzoniere imperfetto, costituito da quindici frammenti numerati.
Le scansioni dalle quali è costituito il libro risultano eterogenee tra loro per forma e contenuti: infatti si passa dalla parte eponima Geometrie euclidee, formata da poesie geometrizzanti e concettuali alle altre due che hanno un carattere sentimentale avendo per contenuto prevalente l’amore, la morte e la fugacità del tempo che scorre inesorabile riannodandosi al passato inevitabilmente.
La prima sezione è sicuramente la più originale avendo per oggetto la definizione di ideazioni spaziali dette in versi che divengono simboli che attraverso il correlativo oggettivo rimandano ad altro: si va dal prisma capace di scomporre ogni unità come il freddo coltello della mente a molte altre astrazioni geometriche che portano la poeta al riflettere sul senso della vita e delle cose (per esempio non a caso la spirale è definita anima del mondo proprio per la sua struttura).
Da notare, elemento saliente, che accanto alla fredda nomenclatura matematica sono dette con urgenza figure come l’eroe, l’angelo e chi prega e, del resto un senso di religiosità non è estraneo alla raccolta.
Si arriva ad una personificazione delle fredde idee che diventano vive e non mancano riferimenti all’infinito se la poesia è sempre metafisica.
Il tono dei versi che procedono sempre per accumulo è sempre pacato e sono frequenti assonanze che creano ridondanza e ipersegno.
Cifra essenziale in questo volume a contraddistinguere la poetica di Bruna Dall’Agnese pare essere quella di una forte chiarezza che si evince da tutto il discorso complessivo dell’autrice.
In una poesia di Verso l’altrove è descritta un’anima che canta più in alto del cielo e l’io – poetante si rivolge ad un tu che non c’è più in uno sfiorare costantemente il sogno ad occhi aperti in una maniera che crea grande sospensione.
Nella terza sezione con una cadenza cantilenante ed efficacemente controllata viene detto il mistero del tema dell’amore non senza una garbata ironia nel rivolgersi Bruna all’Amore stesso.
Una vena sapienziale è intellettualistica è il filo rosso che lega le varie parti dell’opera.
*
Raffaele Piazza

sabato 27 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = CLAUDIO COMINI

Claudio Comini : “Opera omnia” – Ed. Guido Miano – 2019 – pagg. 116 - € 18,00
In tredici capitoli, puntualmente datati, accurata selezione di testi che compongono il florilegio di un autore il quale , nato nel 1963, ha al suo attivo la pubblicazione di numerosi volumi di poesia in un arco di tempo compreso dal 1993 a tutt’oggi. Il poeta viaggia attraverso il ritmo musicale del verso per un rincorrere sentimenti, valori umani, riflessi di amicizia, tremori di amore, illusioni di preghiera, sia nella contemplazione della natura che circonda sia nella rielaborazione della memoria, in un anelito sempre vivo ed accorto. La poesia “volteggia nell’aria / creando nel mondo quel filo di speranza / che rende gioioso il cuore della gente” - e questo dono si ritrova nelle figurazioni multicolore che brillano nel tempo, trascorso in un baleno, o timoroso nello svolgersi immediato. Tra realtà e favola la parola si trasforma in un tassello che riesce a realizzare quei percorsi che hanno il tocco della profonda e calorosa umanità. La melodia dell’arpa vibra nello stupore della preghiera quando la voce, anche se fioca, invoca le lodi dell’eterno, i riflessi dell’infinito, l’abbaglio del Signore, per ricamare le perle che i sentimenti elevati riescono a donare agli animi incantati. Qui le tematiche si alternano tra l’ansia esistenziale che affoga nel quotidiano e l’anelito a valori emotivi, tra la riscoperta dei luoghi dell’infanzia e l’ancorarsi al candido sorriso di un’amica, tra la malinconia della nebbia o l’improvviso raggio di sole che dardeggia. Scrittura elegantemente sostenuta, ove il simbolo tende al balenio delle immagini per la mimesi di certe forme musicali.
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 25 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = DANTE PASTORELLI

Dante Pastorelli : “Ritorno a Manduria” - Edizioni Helicon – 2019 – pagg. 98 - € 12,00
Rigorosamente in endecasillabi e con precise rime queste poesie vanno lette con animo ben disposto alla serenità, ricche come sono di un sottile fascino crepuscolare, che le rende graziosamente appetibili. Ed attendibili sono i versi nello svolgere di riferimenti ancestrali o nella musicalità continua che sottende il pensiero e le memorie.
Il viaggio termina … “l’auto accelera come la cavalla / se annusa già il sentore della stalla” e gli spazi amati accolgono gli sguardi familiari. Pagina dopo pagina i luoghi aprono le stanze per ridestare suoni e figure, incrostazioni e lampeggi, così come i ricordi incalzano per rinverdire il sentimento sopito. Le scansioni metriche, secondo la musicalità ed il ritmo, caratterizzano le spezzettate connotazioni del ritorno, un profondo e colorato riappropriarsi dei richiami del tempo trascorso ed irripetibile.
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 24 aprile 2019

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia e la mistica notte"

E c’è l’angelo a fare carezze
nel caldo buono del piumone
ad Alessia ragazza nel vegliare
e le dorme accanto Giovanni
nel letto duale. Mistica notte
di Alessia con i morti non
simulacri d’inesistenza ma stellanti
a parlare ad Alessia. E c’è
di Mirta amica l’anima a
sorriderle per la felicità di Alessia
*



"Alessia nel giardino di Mirta"

Sera consecutiva nel giardino
di Mirta per Alessia fragolavestita
per la vita e sta infinitamente
sottesa alla pervicace azzurrità
così intensa da turbare di ragazza
Alessia l’anima. La mimosa centrale
di giallo irradia Alessia fiorevole
nell’interanimarsi alle stelle
e la luce dà barlumi tra gli aranci
e della rinascita i limoni.
Il melograno ha fiori rossi
nell’intessersi Alessia con la tinta.
*

"Alessia nell’estasi dei sensi"

Fa l’amore Alessia nel guardare
il cielo dal finestrino in auto
al Parco Virgiliano e il piacere
a intessersi con la luminosità
del sembiante che dà azzurre
parole mentre scrive sudata
sul vetro ti amo dall’anima
di ragazza al dito nell’imprimersi
nel pozzo del cuore la scritta.
Ed è felice Alessia nel congiungersi
piena di lui come un fiume d’acque
e spera di non rimanere incinta
*

"Alessia nel sole d’aprile"

Intensità della luce del sole
del verde aprile venuto
in scena a entrare nel pervaderla
di Alessia la casa e sta
infinitamente riscaldata
dai tiepidi raggi nella brezza
e fuori il canto dei volatili
a incielarsi tra le cose di sempre.
Fluido tempo ad accadere
nell’anima e le rose al Parco
Virgiliano nel loro rosso
pervicace ancora esistono.
*
Raffaele Piazza

martedì 23 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = MAURO FERRARI

Mauro Ferrari – La spira -- Poemetto - puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 35 - € 8,00

Mauro Ferrari (Novi Ligure 1959) è direttore editoriale di puntoacapo Editrice. Ha pubblicato Forme (Genesi, Torino 1980); Al fondo delle cose (Novi 1996); Nel crescere del tempo (con l’artista valdostano Marco Jaccond, I quaderni del circolo degli artisti, Faenza 2003); Il bene della vista (Novi 2006, che include la precedente plaquette); Il libro del male e del bene, antologia ragionata (puntoacapo 2016); Vedere al buio (ivi 2017). Ha inoltre pubblicato la raccolta di saggi Civiltà della poesia (puntoacapo, Novi 2008) e i racconti di Creature del buio e del silenzio (ivi 2012).
"La spira", l’opera del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è un poemetto scritto tra il 1996 e il 2018 ed è scandita in sei parti numerate.
Al testo seguono delle note dello stesso Ferrari che sono veramente utili per il lettore per giungere alla chiave interpretativa del libro.
Scrive Mauro che questo poemetto, dedicato “Alla mia generazione”, contiene diversi riferimenti alle esperienze vissute da chi è nato tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta; vi sono inoltre diversi riferimenti topografici e non solo alla zona del Novese. Il lavoro ambisce però a rappresentare, secondo i modi della poesia, una riflessione più ampia, che coinvolge le generazioni (almeno tre) dei nati dopo la Guerra, forse le prime della storia umana ad aver vissuto un così lungo periodo di pace (almeno relativa) e a cui poteva essere demandato il compito – oggettivamente in parte riuscito, anche se a caro prezzo – di migliorare le “condizioni oggettive di vita”, ma anche e soprattutto anche di dar corpo a ideali che sono invece pian piano sfumati , tanto che quelle stesse generazioni sono probabilmente le ultime ad aver coltivato ideali utopici – con affetto, rabbia e molta ingenuità.
Equilibrato e controllato il dettato di Ferrari in La spira, che presenta un andamento narrativo e chiaro, icastico e leggero nello stesso tempo e connotato da una vena scattante, luminosa che si rivela nei versi ben cesellati e raffinati.
È lo stesso Ferrari a informarci che da qualunque strada si giunga a Novi Ligure si può vedere la spira della fabbrica Italsider/Ilva, in cui suo padre lavorò come operaio. Nell’inverno freddissimo del 1963 la vecchia fabbrica fu spostata più in periferia.
Poetica di luoghi e cose si può definire quindi quella del Nostro nel suo ricercare, e questo è il dato saliente, la sua identità e quella della sua generazione.
Il testo è corredato da fotografie in bianco e nero intriganti che raffigurano i posti detti dal poeta con estrema urgenza.
E poi s’incontra la tematica della poesia stessa come evento salvifico o percorso alternativo quando il poeta si chiede, dopo aver perentoriamente affermato che la Storia e la vita non danno seconde possibilità e che troppi bivi portano a vicoli ciechi, percorsi in tondo, precipizi, se c’era la linea di fuga, la tangenza immaginifica.
E non è solo un discorso utopico quello dell’autore nel suo chiedersi se avrebbero potuta seguirla lui e i suoi coetanei quella linea di fuga nell’abbattere ruderi mitragliati in fretta e con vergogna per plasmare un mondo nuovo.
Poemetto civile, quindi, La spira, quando proprio l’atto di scrivere diviene esercizio di conoscenza anche se non possiamo andare al fondo delle cose né immergere la mano sotto la superficie.
Un’epicità del quotidiano pare trasudare nelle pagine nel tentativo di chiedersi quale sia il senso della vita e la risposta si può dare solo scrivendo versi: così aprendosi all’ottimismo il poeta scrive che riaffiorano dagli anni le case miracolate e la fabbrica, un eldorado sommerso ai laghi della Lavagnina.
La spira stessa diviene simbolo di un possibile riscatto morale e rappresenta il lavoro nella fabbrica per un rassicurante profitto domestico.
*
Raffaele Piazza

venerdì 19 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

Antonio Spagnuolo, “Canzoniere dell’assenza”, prefazione di Silvio Perrella, Napoli, Kairós Edizioni, 2018, pp. 92, € 12,00

Note critiche di Cinzia Baldazzi-

Superare la morte, nel caso specifico di una persona amata, non nel senso di ignorarne l’accadimento, bensì di saperne difendere la concretezza quotidiana, la presenza, o l’absentia in chiave di dialettica negativa, costituisce il frutto di un grande complesso del pensiero anche in termini poetici. Il filosofo elisabettiano Francesco Bacone ha asserito: «Poësis doctrinae tamquam somnium» («La poesia è come un sogno di dottrina»): tutt’oggi, presumo la maggioranza di noi risulti convinta di come, per intendere i messaggi in versi, sia indispensabile appellarsi a un animo mutevole, immune da pregiudizi, diffidente ad antinomie giusto-sbagliato, vero-falso, reale-immaginato.
Per giungere a simile comprensione – la raccolta “Canzoniere dell’assenza” di Antonio Spagnuolo contribuisce a provarlo – è necessario in primis scartare l’idea che la ποίησις (poíesis), assolvendo una funzione prettamente estetica o di insegnamento morale, sia “costretta” a scegliere di cantare il presente, o rievocare il passato, oppure rincorrere il futuro. Tutto insieme, invece, si ritrova nella dialettica poetica, là dove Spagnuolo assegna alla poesia il compito di parlare di se stessa: inseguendo «sillabe perdute / tra i versi ancora incerti» (“Incertezze”); o, magari, quando «nell’irrequieto contrarsi delle mani / sboccia una triste poesia» (“Rosso”); infine, nell’ammissione «non so trasformare lacrime in versi e versi in lacrime» (“Specchio”).
Di sicuro, è indispensabile molto coraggio nell’affrontare l’onda lunga del sogno “ri-creato” mentre si combatte con la mancanza immediata, con la sconfitta di una lotta inutile da professare. Lo storico olandese Johan Huizinga, precisando «il poeta è “vates”[…], il sapiente, […] il più saggio delle creature», lasciava presagire come fosse sempre essenziale e prezioso, nel contesto, il sostrato di «una situazione di vita umana o un caso di passione umana» adatti a comunicare tensioni importanti, energiche, tali da affascinare il lettore o l’uditore.
Nel “Canzoniere dell’assenza”, lo scrittore è all’altezza di percepire, trasmettere - in particolare nel già citato “Rosso” - un «continuo non esserci, intriso di malinconia» adeguato ad avvolgere «nelle proprie trasparenze / un’ultima illusione della carne», e ad aprire «la magia dell’ansia senza più una scusa», in una vicissitudine causata dalla dipartita di Elena, l’adorata compagna di vita. Il mitico nome della splendida donna che, per leggenda, scatenò l’epocale guerra di Troia, nel nostro autore accende un altrettanto bellicoso scontro tra il verdetto mortale di condanna alla scomparsa fisica, materiale, e il tentativo della forza dell’immaginario, del desiderio, dell’utopia, di risarcirne in qualche modo l’assenza.
Ma, ancora a parere di Huizinga, «la distanza fra esistere e intendere può essere coperta soltanto dal contatto prodotto dalla scintilla dell’immaginazione». O meglio: «La parola che raffigura e rende un’immagine avvolge le cose di espressione, le rischiara coi raggi della comprensibilità. Mentre tuttavia la lingua della vita quotidiana, come strumento pratico e generalmente accettato, consuma di continuo l’indole immaginativa di ogni espressione in parola, ed acquista una indipendenza strettamente logica in apparenza, la poesia invece continua a coltivare intenzionalmente l’indole figurativa della lingua». Sarebbe a dire: il codice della “poetry” “significa”, indica senza “empasse” quanto comunicato, distante da censure pregiudizievoli.
Dunque, sebbene leggiamo ne “Il segno” che una «eccezionale insistenza» non riesce a cancellare «la tempesta dei gesti che incidemmo, / il riflesso di una piacevole ombra / che scivola con insistenza», il successivo “Follia” avvisa, quasi in contemporanea: «Il passo lascia un segno ancora vivo / anche se il copione è coppa fuori tempo / esatta fuga che scioglie il fulgore di una follia».
In sostanza, “Canzoniere dell’assenza” racchiude in sé la trama tecnico-intuitiva di un contesto lirico in grado di procedere di pari passo con la visione di un misticismo deciso, figurato, con il point of view di originaria intermediatezza tra ricordo ed esistenza in atto, memoria e tracce di un passato dissolto. Il paradigma di vocabolo-contenuto così emerso eleva singolari e avvincenti armonie di suoni, vibranti nell’aura universale, nell’immanenza, dove il sentimento dell’autore mai appare inerme, né rassegnato alla resa all’oscuro disegno di un cosmo indifferente, chissà, perfino ostile. Antonio Spagnuolo ripropone in chiave inedita quel movimento di “poíesis” novecentesco definito da Luciano Anceschi come qualificato da un taglio di «accrescimento della vitalità»: tale esito non l’ha ottenuto veicolando un messaggio sulla morte, piuttosto su quanto l’arte e la sua “poietiké tekné” possano orientare la potenza di risoluta volontà di apertura, di liberazione, di contatto con il passato a vantaggio del presente o del futuro, proprio in seguito ai danni inestimabili causati dalla fine terrena.
La scrittura poetica del libro, una sorta di dialogo con noi interlocutori, è costruita su un intreccio semiotico al cui interno pure scelte stilistiche e semantiche si combinano in un divenire drammatico, forse tragico, ma di proposito discontinuo: nondimeno, capace di generare un’ansia quasi romanzesca in cui l’impegno di chi la coglie è comprendere se in quella metafora, in quell’unità lessicale, sia questione di vita o di morte, di realtà o finzione, di svolte quotidiane o di una esplicita chimera. Solo a coloro che leggono, e ogni volta che leggono, tocca la risposta.
*
Cinzia Baldazzi

giovedì 18 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = EMANUELE ANDREA SPANO

Emanuele Andrea Spano – La casa bianca--- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 47 - € 10,00

Emanuele Andrea Spano (Novi Ligure, 1983) ha pubblicato uno studio su Parronchi apparso sulla rivista “Forum Italicum” (1/2010) e ha curato il volume Riappari in forma nuova. Un autocommento inedito di Alessandro Parronchi (2012). Ha curato varie antologie.
E’ redattore di puntoacapo Editrice, per cui dirige la sezione Collezione Letteraria, e dell’Almanacco Punto della poesia italiana (www.almanaccopunto.com). Insegna materie letterarie negli istituti superiori di secondo grado. La casa bianca è la sua raccolta d’esordio.
La casa bianca, il libro del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta un’esauriente prefazione di Salvatore Ritrovato interessante e ricca di notevole acribia.
Il testo, bene strutturato architettonicamente, è scandito in due sezioni: Il bianco dei muri e Altrove.
Le due parti sono precedute dalla breve poesia che ha per incipit Ritornare alla casa bianca e che ha un carattere programmatico; in questo testo viene detto il tornare ad un luogo imprecisato, del quale l’unico riferimento è che si tratta di una casa bianca con i muri calcinati, cosa che è come risalire in grembo vuoto, nell’entrare carne per farsi pietra, carne trafitta dall’azzurro, come cenere che spicca tra gli ulivi. In questi versi è detto implicitamente il tema dell’eterno ritorno insieme a quello della ripetizione.
Proprio la casa bianca diviene simbolo della vita e si fa come un luogo, un utero per ridiventare feto posto che protegga dal male e nel percorso del libro diviene protagonista dell’opera nell’essere nominata più volte nelle sue parti e nella sua interezza.
La casa bianca è empaticamente identificabile con un’abitazione rurale per la nominazione di particolari come il pozzo sotto le mura e tutte le descrizioni sono pervase da una vaga magia che si mescola a dissolvenza come nel bellissimo inizio della poesia a pag.13: - “Restare qui, aggrappati a un muro/ di vento, sospesi alla vertigine/ grigia dei tetti, alla pietra nuda/ che trasuda muffa e resiste…” -.
La casa è bianca come l’innocenza che nella vita viene inevitabilmente perduta e diviene archetipo di una provenienza e nello stesso tempo di un arrivo, di un approdo salvifico e protettivo che si fa poesia.
La poetica espressa qui da Spano ha per cifra essenziale una connotazione di magia e sospensione nel versificare che si realizza in testi raffinatissimi e ben cesellati, armonici, leggeri, luminosi e icastici nello stesso tempo.
È detto anche il tema della famiglia connesso a quello delle generazioni che passano e viene espresso anche il dolore della malattia nel caso di parenti del poeta che se ne sono andati.
Per la sua continuità stabile nel versificare il Nostro nel suo poiein sinuoso e affascinante riesce a creare un poemetto che risente di una forte unitarietà stilistica e semantica. Un’opera intrigante e originale nella sua unicità.
*
Raffaele Piazza

mercoledì 17 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

RAFFAELE PIAZZA : "Alessia e Mirta" -- Ibiskos Editrice Ulivieri, Empoli 2019 pp. 52

L’autore:
Raffaele Piazza- Napoli 22/12/1963- Ha pubblicato Luoghi visibili (1993) - La sete della favola (1996,) Sul bordo della rosa (1998), Del sognato (2009) Alessia, 2014, Alessia e Mirta 2019. Ha riportato numerosi premi, per l’edito e l’inedito, in concorsi di poesia (tra i quali la finale al Lerici Golfo dei poeti, opera prima, 1993, il terzo posto al Premio Mazza,1996 e la finale al Gozzano, 1998). È redattore di Vico Acitillo 124 Poetry Wave. Ha scritto sui Blog Poetry Dream, Rossoveneziano, Bibbia d’asfalto e La Recerche. È collaboratore esterno de Il Mattino di Napoli alla cultura. Ha vinto nel 2014 il primo premio al Premio Michele Sovente per l’inedito, nel 2016 il Premio Tulliola con la raccolta Alessia e nel 2017 il Premio Speciale della Presidenza al Premio Lago Gerundo. Ha curato per Fermenti Editrice le antologie Parole in circuito (2010) e Inquiete indolenze (2017). Ha pubblicato poesie, saggi e recensioni su varie riviste tra le quali Anterem, Gradiva, Silarus e Fermenti.
Il libro:
Pur essendo un libro di poesie, “Alessia e Mirta” di Raffaele Piazza può essere raccontato a partire dalla storia che rappresenta. Innanzitutto perché in esso possiamo distintamente individuare i personaggi che agiscono e si lasciano agire; in secondo luogo perché la disposizione delle singole poesie sembra seguire un vero e proprio ordine narrativo.
La conferma di quanto sopra esposto ci viene dallo stesso Piazza che utilizza, in più occasioni, il termine fabula, giustapponendolo a quello di favola, quasi come una dichiarazione di intenti: la rappresentazione cronologica degli episodi -già preordinata nella mente dell’autore appunto come un canovaccio, una sequenza “drammatica” - si manifesta attraverso una poesia in grado di generare un’atmosfera sospesa fra il sogno (la favola) e la realtà.
Alessia e Mirta:
Le protagoniste, Alessia e Mirta, sembrano attraversare spazi e luoghi e contemporaneamente tracciare un loro preciso percorso di vita in equilibrio fra il sogno, il ricordo e la realtà.
Il tema principale è introdotto dalla figura di Alessia, creatura primaverile (a tratti equorea a tratti celeste) che ha appena varcato la soglia dell’adolescenza: è l’amore, atteso e sperato, spirituale e carnale, che la ragazza riversa sulla figura di Giovanni e che è intrinsecamente legato ai temi dell’aspettativa, della leggerezza e della gioia improvvisa -da cogliere prima che svanisca- ma anche della preoccupazione per la possibile rottura dell’equilibrio dell’idillio amoroso.
A questo motivo bene si intreccia l’altro tema, quello della perdita, della morte, legato al personaggio più maturo di Mirta, Musa comparsa nel fondale di una via/deserta pari a una dea/terrena, lei così bruna (p. 20) il cui peso, seppure contenuto in un numero minore di poesie, si staglia come un monumento nella raccolta con la lucida tragicità del suo suicidio.
La figura di Mirta è l’altra anima del libro e la sua presenza è del tutto peculiare perché è un’ombra rievocata nel ricordo e, storia incastonata nella storia, va a rompere la narrazione in terza persona della fabula (quest’ultima intesa come successione logico-temporale della vicenda di Alessia e di Giovanni) coinvolgendo direttamente la figura del poeta che la ricorda in prima persona.
La contrapposizione fra le due donne risulta evidente ed emblematica: se infatti Alessia rappresenta, con la sua esuberante vitalità, l’essere nella sua fase di crescita e di autorealizzazione, Mirta all’opposto occupa la parte discendente della curva, quella che presto, prematuramente, la porterà a divenire una presenza incorporea che vive esclusivamente nella memoria delle persone che l’hanno conosciuta.
La resa espressiva:
Come un dipinto: è questo uno dei suggerimenti che il poeta sembra offrirci lungo le pagine di “Alessia e Mirta”, tanto che di frequente Alessia è rappresentata come una campitura (Alessia campita nel cielo, p. 22 e Alessia campita nel plenilunio, p. 24), cioè come un disegno ma anche e soprattutto come lo sfondo della sua stessa vicenda amorosa ed esistenziale.
Dal punto di vista stilistico si può rimarcare che, per la raccolta di poesie qui esaminata, Raffaele Piazza utilizza il verso libero, sciolto da rime. L’attenzione tuttavia può essere focalizzata sull’impiego costante di parole nuove, ricreate dalla fusione di due o più termini anche semanticamente differenti, richiamanti nella maggior parte dei casi tonalità di colori e impressioni visive: ci imbattiamo dunque in neologismi immaginifici come “tintadifragola”, “finestravisore”, “nerovestito”, “lucevestita” e addirittura leggiamo “lucelunavestita” e “rosatramonto”. Da sottolineare, in aggiunta, l’iterazione frequente di due parole germinate dalla sensibilità del poeta quali l’aggettivo “fiorevole” e il verbo “interanimarsi”.
Il succedersi di termini di tal fatta -che potremmo a ragione definire “invenzioni lessicali- contribuisce a creare quell’atmosfera rarefatta e fiabesca che aleggia intorno alle vicende di Alessia, in particolar modo, ma anche della stessa Mirta.
Nonostante ciò, come a riequilibrare l’alone mitico e onirico che si viene a creare, il Piazza fornisce sovente l’indicazione di tempi e luoghi precisi: il Parco Virgiliano, Napoli, Posillipo, Castel dell’Ovo, San Lorenzello, Ischia (per citarne alcuni), persino la New York del post attentato alle Torri Gemelle, ormai presenti soltanto nel ricordo di Alessia.
Conclusioni:
Raffaele Piazza tenta, dunque, la strada della sublimazione della pulsione vitale dell’amore e della gioventù all’interno di un intreccio di sequenze, scandite dal ciclo delle stagioni, in cui ogni spigolosità viene stemperata nella delicatezza dei toni (a tratti quasi surreale) e nella musicalità del verso,
Lo fa attraverso un procedimento di rarefazione dell’atmosfera, ottenuto con un sapiente accostamento di precise indicazioni spazio-temporali e di descrizioni paesaggistiche caratterizzate da slanci creativi di grande invenzione, in cui vengono posti in risalto colori, profumi, sensazioni visive, resi con lo stesso effetto di una pittura su porcellana.
*
Alessio Vailati

martedì 16 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

RAFFAELE PIAZZA : "Alessia e Mirta" - Ed. IBISKOS ULIVIERI - Empoli (FI) - 2019 - PAG.51 € 12.00

La vita non dimentica mai le oscillazioni dell' amore,come un pendolo che, tra un movimento e l' altro,traccia il solco in cui deponiamo il nostro seme esistenziale.
In queste liriche passa il fiume della vita di Giovanni,l'amicizia per Mirta,donna adulta ed ormai quarantenne, cui la vita non nsorride più e l' amore per l' adolescente Alessia.
Due donne che lo ispirano e si fanno Muse,protagoniste delle liriche,musica di versi e di parole.
Queste come farfalle volano sulle pagine bianche e fanno canto!
Ma quanto diverse sono Mirta ed Alessia!
La prima riservata fragile e schiva, par di vedere Pandora,con in mano il suo vaso che sta per sgretolarsi,la seconda solare e pronta ad assaporare la vita,a morderla come una mela succosa , fresca ed esuberante dal lato dei suoi sedici anni.
Alessia somiglia a tratti ad una Ninfa dannunziana, la potresti chiamare Ermione, con tutta la carica dell' Eros che sa sprigionare.
Ogni momento la mette in luce e ne fa opera d'arte,un affresco botticelliano, una Venere, che trae, da ogni situazione, una nuova energia erotica,tutta panica.
Le due donne sono agli antipodi ma entrambe poli calamitanti per Giovanni.
Si dice che gli opposti si attraggono,tuttavia Alessia e Mirta non sanno l'una dell'altra, non si sono mai conosciute,solo Giovanni sa il dramma del suicidio di Mirta.
Le liriche descrivono in prevalenza il rapporto amoroso tra Giovanni ed Alessia ma , se di Alessia sappiamo l' età , altrettanto non accade per Giovanni.
Così il lettore ha l' impressione che Giovanni sia molto più adulto di Alessia,non un coetaneo,dal momento che l'adolescente si trasforma in giovane donna per effetto del congiungimento carnale con Giovanni perdendo,con la verginità, anche un po' di quell' innocenza che la rese fanciulla.
Alessia è felice ed ogni aggettivo la descrive luminosa, pari ad una creatura lunare che esce fuori da un sogno.
Alessia è musicale come il piccolo grande amore di Claudio Baglioni....
L' uso dei sostantivi aggettivati da parte di Raffaele Piazza come "tintadifragola" o "finestravisione" sono pennellate impressioniste della parola.
Le parole si formano tutte quasi sotto l' effetto di un caleidoscopio che dona composizioni e colori sempre nuovi.
Nessuno può dirci se il poeta è protagonista diretto od indiretto della vicenda,se Giovanni sia il suo alter - ego,oppure si tratti di una vicenda osservata e poi descritta o semplicemente di un sogno, ma il mistero è proprio questo,seguire il fil rouge che si dipana incisivo e nel contempo delicato come un petalo di rosa....
Allora ogni metafora si apre al sublime ed ogni accenno di natura diventa profumato come la gioventù di Alessia.
Mirta , che fa da contraltare nel titolo del volume, è una presenza d' anima, quasi uno spirito guida per Giovanni che non si aspettava il suo suicidio.
Un colpo al cuore , il salto nel vuoto,ma Alessia sa sempre ed inconsciamente donare conforto a Giovanni con il suo sorriso e la sua passione.
Un volume in versi come un romanzo scritto dalla vita,là dove i versi sono musica per coronare una scena di danza,come nel dipinto di Matisse o far volare corpo ed anima come nelle lievi figurine di Chagall.
*
Sandra Lucarelli (Pisa,14 Aprile 2019)

domenica 14 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = VINCENZO LAURIA

Vincenzo Lauria – Teatr/azioni--- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 47 - € 10,00

Vincenzo Lauria, nato nel 1970, inizia la condivisione del suo percorso nel 2001 all’interno di “Stanzevolate”, gruppo di undici poeti selezionati da Domenico De Martino (collaboratore storico dell’Accademia della Crusca e docente universitario di filologia dantesca a Udine). Ha partecipato a oltre quaranta reading poetici, suoi testi sono stati accolti in diverse antologie autoprodotte. Teatr/azoni è la sua raccolta di esordio.
Le poesie sono precedute da un testo in prosa programmatico ed esplicativo nel quale Lauria scrive: (Il teatro, luogo, non luogo, percorso di cliché in cliché, al buio di una maschera). In questo viaggio sur(r)reale, la molteplicità di senso della parola e del luogo comune danno inizio, senz’ombra di sipario, a un capovolgimento continuo tra palco e platea, tra pubblico e privato, tra il plauso degli assenti e gli spettatori finiti in scena in uno sfarsi del tutto, nel far di sé teatro. La ritualità ne esce dissacrata in un fuoriuscire che rischia di essere irrealisticamente verosimile.
Molto pregnante il suddetto scritto sulla più umana delle arti, il teatro, visto nell’interazione produttiva tra attori e spettatori nello spazio scenico e in quello scenografico nel quale è inserita la messinscena.
La magia avviene nel rapporto tra le parti agenti che sottende uno sforzo demiurgico del regista sotteso all’inventiva dello sceneggiatore.
E qui entrano in scena i trenta cliché numerati di quello che può considerarsi un poemetto.
I cliché stessi sono schemi fissi, stereotipi che disegnano l’opera complessiva nel suo inverarsi, dalla messa in scena stessa agli atti, dal palco alle luci, dall’attacco alla scenografia, dal monologo alle prove costumi, dal ruolo alle strumentazioni, dal buio alla scena e così via
Segue una nota critica di Giorgio Bonacini ricca di acribia nella quale il poeta e critico scrive che trarre poesia dall’esperienza teatrale appare – attraverso uno sguardo che si prolunga oltre il vedere le connessioni che dal fondo arrivano in superficie – come un naturale prolungamento dell’esperienza scenica, verso una sintesi essenziale di parola e scrittura.
Si sa che le arti sono sorelle e che possono intersecarsi e fondersi arrivando ad effetti mirabili e affascinanti e in Teatr/azioni la poesia e il teatro divengono l’una prolungamento dell’altro.
Il testo non è una sceneggiatura e per l’acume dell’autore può essere letto come un’opera teorica sul teatro stesso.
È raggiunta una forte musicalità dei versi attraverso il ritmo sincopato e si avverte una costante atmosfera di suspense prima, dopo e durante la performance.
Il lettore stesso, immergendosi nelle dense pagine, diviene spettatore del poliedrico fenomeno attraverso le sue linee di codice.
Nel libro, percorrendo i segmenti, si nota una grande omogeneità stilistica e contenutistica e ogni singolo testo ha anche la parvenza di didascalia.
Una vena intellettualistica permea i dettati del tutto antilirici e anti elegiaci e a rendere più accattivante il progetto sono inseriti nel libro disegni sull’evento teatrale stesso di Uliviero Ulivieri e di Giovanna Ugolini.
Opera originalissima su questa forma d’arte antichissima ma intramontabile sotto forma di esercizio di conoscenza .
*
RAFFAELE PIAZZA

mercoledì 10 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = DOMENICO CIPRIANO

Domenico Cipriano – "L’origine"-- L’arcolaio – Forlimpopoli – 2019 – pag. 61 - € 7,00

Domenico Cipriano, Guardia Lombardi (1970). Ha pubblicato in poesia le seguenti raccolte: "Il continente perso", 2000, "L’enigma della macchina per cucire", 2008, Novembre, 2010, "Il centro del mondo", 2014 e "November", 2015. Inoltre ha realizzato il CD di jazz-poetry J Phard – Le note richiamano versi, 2004 e dal 2010 guida la formazione “Elettropercutromba”.
L’origine, il libro di poesia del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è scandito nelle sezioni Un intimo inizio, Reminescenze del sole e Il silenzio.
Come scrive Gianluca D’Andrea in una breve nota in quarta di copertina è presente il desiderio in questa raccolta, un sentire che si fa volontà di nominazione, per cui gli slanci verbali si mescolano a elenchi che manifestano una rinnovata aderenza tra materia verbale e mondo, in nome di una concretezza che si fa appartenenza, fiducia rinnovata. Un nuovo mondo e un nuovo inizio.
Cipriano ha dunque una profonda fede nel potere della parola poetica di rinominare le cose, magari quelle di una quotidianità che va stretta, per coglierne il senso profondo.
È vero, siamo sotto specie umana, come ha scritto Mario Luzi, ma possiamo vivere poeticamente ogni momento per dirla con Borges e abitare sempre poeticamente la terra e questa fiducia di rinnovamento si legge anche nella dedica che Cipriano ha scritto a inizio del libro: a una generazione già nata che è quella dei nostri figli.
Molto spesso le poesie di Cipriano sono poesie di luoghi e come afferma Daniela Monreale il poeta ricerca i luoghi interiori nel riflesso di quelli esteriori e non a caso il componimento in corsivo che è situato prima delle scansioni e che ha un carattere programmatico così recita: Io sono/ tutte le terre che ho visitato/ anche se da una sola/ ho preso vita/ Lì/ è rimasta ferma una ferita/ per ogni passo/ trascinato stanco/ per ogni sguardo che mi riconosce/…
È presente qui anche il tema dell’origine, che è sia genesi che provenienza, se la vita è un viaggio: è questa tematica il filo rosso che lega tutti i componimenti della raccolta come è detto esplicitamente nel titolo.
Cifra essenziale della poesia di Cipriano è quella dell’esprimersi attraverso un linguaggio densissimo, fortemente metaforico e sinestesico che tende spesso allo straniamento che provoca ipersegno.
Una vena intellettualistica anche se non mancano accensioni neo liriche che si concretizzano soprattutto quando è detta con stupore e meraviglia la natura (e anche questo è rinnovamento).
Tutte le composizioni sono senza titolo e questo ne accresce l’innegabile senso di magia e mistero e molte poesie presentano dediche.
Incanto per il mistero della vita nel poiein di Domenico che sottende un fattore x che come si accennava consiste in una certa forma di ottimismo nell’approccio alla realtà e all’alterità.
Emblematico rispetto a quanto suddetto l’incipit del componimento dedicato alla figlia Sofia: C’è sempre un risarcimento/ un ciottolo di selce levigato/ una disposizione del carbonio che scintilla/ o il fuoco addomesticato/ a sedimentare la memoria del cosmo/… Versi che fanno tornare alla memoria quelli di Antonio Riccardi: Sento il senso comune alla specie/ come profitto domestico.
Un intelligente esercizio di conoscenza che s’invera in una capacità sia di autoriflessione sia nella ricerca delle profondità dell’arte nel tempo come quando in una poesia è detto il ritrovamento in Irpinia di alcuni graffiti paleolitici.
*
Raffaele Piazza

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


"Alessia e Pasqua 2019"

Incantesimo libero per Alessia
al risveglio (subito del sogno
come una donna si ricorda
sedici anni contati come gocce
di mare e sta infinitamente).
Trascrive le parole con affilata
grafia nel diario e pensa a Mirta.
Azzurrità cerulea del cielo
a proteggerla prima di pregare.
Ci sarà raccolto nell’angolo
della mente trasparente
e non avrà paura della gioia.
*

"Alessia e la sorpresa"

Poi nell’interanimarsi con dell’aria
l’assoluta politezza resiste Alessia
nell’attesa del cavallo da cavalcarne
il bianco per il prossimo ostacolo
saltare. Poi sale sul cavallo Alessia
lo lancia e la palizzata salta Alessia
ragazza e vede il mare (sorpresa
per Alessia nell’abbeverarsi a un filo
di gioia perché Mirta esiste).
*

"Alessia e il tempo prima della felicità"

Ha fatto un sogno Alessia
(Mirta le ha detto che sarà felice)
e l’Amica nel sonno sorrideva.
Si veste Alessia nell’interanimarsi
a un cielo così azzurro da turbare
di ragazza Alessia l’anima
e sta infinitamente nell’attesa
Alessia nel riflettere su del
sogno il senso. Squilla il telefonino
e risponde Alessia e lui dice:
fatti bella per di stasera l’amore
all’Albergo degli angeli e la risata
da sola con i pensieri cavalli scalpitanti.
*
Raffaele Piazza

martedì 9 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALICE VINCENTI

Alice Vincenti – "Battaglia per la vita" - (Il mio bosco)-- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2018 – pag. 75 - € 12,00

Alice Vincenti (1985) è cresciuta a Milano e poi ha sperimentato alcune comunità terapeutiche. Battaglia per la vita è il suo libro di esordio.
Battaglia per la vita, il libro della poetessa che prendiamo in considerazione in questa sede, è un testo non scandito costituito da cinquantacinque componimenti numerati che potrebbero essere definiti frammenti di un’unità complessiva o tessere del disegno di un mosaico.
L’opera per la sua unitarietà stilistica e formale potrebbe essere letta come un poemetto e presenta una nota critica di Roberto Agostini esauriente e ricca di una notevole acribia.
Cifra essenziale della poetica di Alice Vincenti è quella di una vena sorgiva e neolirica e i versi sembrano sgorgare come acqua polita.
Una forte linearità dell’incanto che si coniuga ad un’immediatezza, che in campo pittorico potrebbe essere paragonata a quella della pittura impressionista di Claude Monet, sottende costantemente il procedere per accumulo dei versi.
Riscontriamo chiarezza, nitore, luminosità e leggerezza nel lavoro dell’autrice ed è frequente nelle poesie la presenza di un tu che potrebbe essere presumibilmente l’amato.
Il tono che si esplicita nel poiein è colloquiale e bene si stempera nell’andamento narrativo connotato da una grande chiarezza.
Tutti i versi iniziano con la lettera maiuscola elemento che ne accresce il senso di compattezza stilistica.
Una ricerca di tenerezza e amore in senso non solo erotico pare essere uno dei temi dominanti della raccolta e la parola pronunciata sempre con urgenza dall’autrice è caratterizzata sempre da una tensione verso uno stupore connesso ad una grande dolcezza.
Anche il senso della corporeità che si fa parola è presente nel testo e non manca quello della natura che si risolve in immagini sorgive e primeve.
Centrale nella visione del mondo espressa da Alice è il senso del tempo che passa inesorabilmente connesso al soffermarsi sulle varie ere della vita stessa che come dal titolo della raccolta è vista come una battaglia.
D’altro canto sembra essere consapevole la Vincenti che la vita può, anche se non sempre, essere vissuta come favola tramite un approccio alle cose in generale sotteso alla capacità di meravigliarsi.
E la giovane poeta sembra essere perfettamente conscia che quanto suddetto può essere raggiunto tramite la pratica salvifica della poesia nell’aprirsi nel mondo un varco montaliano che diventi antidoto al male di vivere che per i poeti e non solo per i poeti è qualcosa di altamente negativo e che compromette la possibilità della felicità, della gioia e della percezione ludica e giocosa dell’esistenza.
Da sottolineare che genera il poiein della Vincenti il senso del dolore gridato e commovente ma la poeta non si geme mai addosso conscia di trovare nella scrittura poetica la sua catarsi.
Un biografismo creaturale di un diario di bordo del viaggio che è la vita pare divenire l’asse portante di questa scrittura a dimostrazione che nella vita se si ha coraggio si possono superare le gravidanze indesiderate, gli abbandoni da parte delle persone amate e ogni angustia.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARISA PAPA RUGGIERO

Marisa Papa Ruggiero- "OLTRE LA LINEA GIALLA" -Edizioni Divinafollia, 2018 - € 15,00 -
*
Prefazione di Ivano Mugnaini

"Ci si meraviglia, a volte, del nostro allontanarci dalle cose che più ci appartengono e non si lasciano conoscere. Per non sentire le crude voci gridare il nostro nome da un pozzo senza fondo. Ci si meraviglia, ancora, di una cosa a cui non sappiamo dare nome, del nostro essere fuori da noi stessi, a cui non chiediamo più di tornare".
Brani come quello citato dimostrano il notevole livello di scavo e di indagine che sono connaturati a questo romanzo di Marisa Papa Ruggiero. Testimoniano il lavoro intenso sia a livello lessicale e strutturale sia nell’ambito dello studio psicologico. Il tutto si innesta nella trama con un amalgama frutto di elaborazione attenta che tuttavia non diventa macchinosa, ma, in virtù di un'immedesimazione empatica con i personaggi e le loro istanze, scorre fluida.
La narrazione non è mai asfittica o incolore. La sinuosità della frase è sempre finalizzata alle curve e alle ellissi della vicenda narrata, possiede l’agilità e lo scatto consoni ad un racconto che fa della tensione conoscitiva e della vividezza delle passioni il proprio fulcro e la propria sostanza. La specificità del rapporto fondamentale di ogni storia raccontata, quello tra il narratore e la dimensione temporale in cui si colloca e ci trasporta, è, qui, anch’essa originale e specifica: la vicenda del pensiero sembra venire allo scoperto e prendere corpo e voce non per evocazione memoriale, ma, potremmo dire, per processi psichici che vengono fuori nell'immediato del momento emotivo e intuitivo dell'io.
Al di là del piano presente, non a caso volutamente adottato dall’autrice nell’arco dell’intera storia, c'è quello (evidenziato dal corsivo) in cui il romanzo sembra dialogare con se stesso, come se la storia fosse a un certo punto evocata dalla scrittura. I corsivi non fanno riferimento ai ricordi ma rappresentano nella narrazione uno "sguardo interno" che illumina piani "virtuali", ossia mentali, che prendono corpo nel momento della scrittura stessa, spostando la narrazione, con misura e gradualità, in direzione di un metaracconto, inserito, in certi punti, non per volontà esplicativa ma per intrinseca necessità. Questi piani "interni" sono uno dei meccanismi che maggiormente contribuiscono a conferire al racconto quella capacità di scavo e indagine ad ampio raggio a cui si è fatto cenno nel paragrafo iniziale.
Le escursioni “interne” o interiori sono intarsi brevi, quasi in trance, come dettati da una volontà autonoma. Agiscono entro loro piani paralleli, come se la scrittura narrasse se stessa, per rispecchiarsi nell'enigma stesso, il centro focale di tutta la narrazione. Adeguata sintesi di questo meccanismo e del concetto ad esso legato si trova in questa densa definizione che cito: "una storia che non conosco […] si sta ribaltando nella mia".
Questi "doppi piani" in cui ha luogo il processo cardine dell’intera vicenda, la forte identificazione dell'autrice con "l'altra, si trovano in modo evidente in alcune pagine chiave, in modo diffuso, anche se ve ne sono altri frammenti di minore estensione in altre parti del libro. Sta al lettore il compito di dare un’interpretazione autonoma sul rilievo narrativo, simbolico e psicologico di questi “intarsi”.
Sussiste in queste pagine la volontà di mostrare ed esplorare l'intera gamma delle sensazioni e delle pulsioni. Il mistero che è alla base della trama diventa in tal modo uno strumento, una bussola per addentrarsi in un universo altrettanto misterioso, quello dei meandri del bene e del male, della mente e del corpo e di tutti quegli anfratti in chiaroscuro in cui le due dimensioni di incontrano, si scontrano e si stringono saldamente, uniti da un velo:
Lei posò il bicchiere. Con estrema naturalezza si sollevò di poco dai cuscini e si sfilò con tranquilla lentezza un solo guanto guardando tutti e nessuno davanti a sé. Le bastò slacciare con due dita l’unico gancio del corpino damascato che i seni, a lungo trattenuti, esplosero. Li tenne nelle mani per qualche secondo, poi aprì le dita. I seni, d’un rosa perlaceo alla luce tremolante delle torce erano gonfi e sodi, perfetti. Con lentezza immerse la punta delle dita nel bicchiere del compagno e si inumidì le labbra rovesciando il capo sui cuscini. Finalmente attirò il giovane a sé e si sollevò le ampie gonne.
Nessuno si mosse. Sprofondata nell’erba, completamente vestita, assecondava con tranquilla noncuranza i movimenti rapidi e vigorosi del primo partner finché cessarono; poi, quelli lenti e profondi dell’altro.
L'intensa curiosità e sensualità, trasmesse in modo elegante, senza approssimazioni, sono il tratto distintivo e il valore aggiunto del romanzo. Il brano qui sopra citato è uno dei moltissimi esempi possibili di descrizione visiva, in cui lo sguardo, condotto ad alternare panoramiche e primi piani di impianto quasi cinematografico, si arricchisce anche di ulteriori segni e segnali, un universo visivo che diventa all’istante immedesimazione, immersione completa nei gesti e nelle azioni, negli stati d’animo pensati e percepiti. Come se l'espressione adeguata delle sensazioni, delle pulsioni, delle esitazioni e degli slanci, non fosse un qualcosa in più, un mero abbellimento esornativo ma fosse essenziale al pieno godimento estetico e carnale. Tale denso connubio richiama l'intera gamma sensoriale e rende il romanzo accattivante, sia a livello narrativo che percettivo.
Nel libro la trama e il mezzo per esprimerla, il linguaggio, sono intersecati in modo assolutamente coerente. Lo stile influenza il contenuto e lo determina. Non è irrilevante in quest’ottica il fatto che l’autrice provenga da una lunga pratica di pensiero poetico e da una ricerca spesa sul campo, pluridecennale, per la parola e lo studio ad essa inerente e correlato. L'aderenza tra parola e pensiero, cari da sempre a Marisa Papa, e, aggiungo, l'interesse per i filtri linguistici, per l’essenzialità più che per la descrizione eccessiva o ridondante, vengono, nelle pagine di questo romanzo, messe in atto e ulteriormente confermate.
La linea gialla evocata nel titolo richiama in modo indiretto ma chiaro l’idea del confine, della barriera, topos della letteratura di ogni tempo e nella nostra epoca più che mai attuale, sia nel mondo virtuale che nella dimensione reale. Partendo da questi ingredienti e da questi dati di fatto, il romanzo gioca, con seria e appassionata costanza, a scardinare le regole e a mostrare come in una serie di rifrazioni progressive quanto le immagini e i ruoli, i volti e le maschere si sovrappongano. Torna e riemerge il caravaggesco rincorrersi delle luci e delle ombre, con i volti messi in evidenza nella loro imperfezione, umanissima, fragile e innocente ma anche avidamente perversa, assetata di scoperte, e, appunto, di passioni, altra parola chiave del tutto fondamentale.
Il romanzo è costruito con perizia, la trama è densa, i nodi richiamano altri nodi in un intreccio saldo, corposo. Ma come in ogni lavoro ben realizzato, il trucco non prevale, resta dietro, nella parte sottostante alla tela. Quello che emerge sono i grumi di colore e le ombre, la corposità non di rado ruvida dei destini, la tangibile concretezza della carne che si fa proiezione dei pensieri, dei desideri, dei dubbi, delle luci e del loro inesorabile contrario, ugualmente attraente, come un mistero di cui si cerca la soluzione, o almeno una soluzione possibile, compatibile con ciò che siamo e ciò che vogliamo.
Costruito con perizia lessicale e strutturale, il romanzo può ben richiamarsi, sotto certi aspetti, ad alcuni psico-thriller basati sulla descrizione visiva d'impianto cinematografico grazie all'impiego di "tagli" scenici, di "spaccati" caratteriali efficacemente essenziali, oltre che di inaspettate inquadrature d'ambiente dove è possibile intravedere, come in controluce, alcuni squarci della città cara all'autrice: Napoli.
Il racconto, come detto, ama rendersi ricco, esondare, fare invadere l’alveo della trama da mille rivoli di materia e sostanza diversa. Il risultato è un insieme denso e cangiante, un fluido in cui scorrono richiami intertestuali mai casuali, mai privi di senso e di risvolti. La cultura dell’autrice non è messa in mostra per puro narcisismo. Ogni riferimento ha un senso, o meglio una varietà sfaccettata che allo stesso tempo amplia il raggio visivo e ci conduce in svariate direzioni, e, dal canto opposto, illumina a poco a poco il mistero che è alla base del percorso e della ricerca, permettendoci di avvicinarci alla verità, o meglio alle verità, ai riflessi che cogliamo al di sopra e al di sotto della superficie, là dove sussistono i pensieri e i desideri che davvero contano e incidono sul nostro vivere.
Questo romanzo ci conferma, con libertà e rigore narrativo ottimamente abbinati, che niente è davvero come sembra e che per avvicinarci al luogo che cerchiamo e alla soluzione auspicata è necessario superare quella linea di demarcazione tra razionalità e immaginazione, realtà e fantasia, per giungere ad un luogo in cui dimora ciò che abbiamo perduto, quel nostro ego parallelo, il burattinaio di cui pensavamo di muovere i fili fino al momento in cui scopriamo che quei fili sono dentro di noi. Anzi, quei fili siamo noi. Accettando ciò ritroviamo finalmente la protagonista, Sara, e con lei “un altro piano della coscienza, su un altro schermo, da cui va prendendo forma una storia parallela ma sommersa che adesso emerge, imperiosa e tremenda, in tutta la sua vivida consapevolezza”. Questo romanzo ci conduce a percorrere, sulla pagina e dentro di noi, vicende “opposte e speculari”. La meta a cui si osa arrivare, aspra ma essenziale, è “l’inaspettato ritrovamento, tutto interiorizzato, di ciò che era perduto per sempre”.
*
Ivano Mugnaini

domenica 7 aprile 2019

RICORDO DI UN POETA = ALBERTO TONI

PER ALBERTO TONI
Un uomo di grande fedeltà e coerenza, Alberto Toni, che se n’è andato, lasciando tutti sgomenti, non più tardi di poche ore fa: fedeltà alla poesia e alla vita; coerenza con un’idea luminosa dell’amicizia e dei sentimenti.
Fedeltà e coerenza sintetizzabili nel modo con cui lui stesso in un testo recente aveva sintetizzato, in memoria, la vita di sua madre: “testimonianza di umanità”, parole e comportamenti, impressi nella sobria sostanza di ciò che veramente serve, in un modo di sentire e vivere il tempo come sentimento che lega in modo essenziale una comunità di spiriti oltre ogni apparenza e illusione. A rischio di “perdere un po’ d’ego”, ma deciso a dare senso e concretezza, in una dizione via via sempre più aspra e tesa, al “tempo dell’origine”, a un sistema di valori incarnato in figure fondanti della sua vita, in primo luogo quelle parentali, e nella “pietà per gli inascoltati”, nei “corpi da proteggere” dei reietti della vita e della storia.
Ecco, Alberto era così: uno capace di “accogliere il dramma dello spirito dell’uomo” nella rigorosa misura dei suoi gesti per restituircene il senso nei versi di tante sue raccolte poetiche, fino all’ultima, recentissima "Non c’è corpo perfetto" (2018). --
VINCENZO GUARRACINO - 6 aprile 2019 -

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

Francesca Lo Bue, "I canti del Pilota", Società Editrice Dante Alighieri, Roma 2019

L’autrice in questa nuova raccolta di poesie propone un itinerario per un viaggio intellettuale nel quale superando le due forme tradizionali di navigazione ne emerge una terza, quella condotta attraverso la poesia. Poesia che, come è noto, oggi supera i confini di genere che la relegavano nell’ambio letterario per raggiungere la filosofia e comunque l’orizzonte arcano e misterioso della meditazione. Così il pilota, o meglio, il capitano della nave che fa da guida in questa navigazione apre gli spazi di una semantica oracolare della quotidianità composta di oggetti, di colori, di suoni, di sentimenti e di effetti oggettivati dalla fantasia del poeta. Il registro espressivo è rappresentato come sempre in una tavolozza nella quale la Lo Bue utilizza le due lingue che le appartengono, lo spagnolo e l’italiano, per porre accanto componimenti poetici che si allontano dal mondo ermeneutico della traduzione per offrire in parallelo due orizzonti creativi, espressioni di due culture.

I veicoli semantici della sua espressione poetica sono come di consueto le parole che però si fanno immagini e metafore di questo viaggio arcano, così le poesie esprimono simboli, talvolta ermetici ma sempre capaci di comunicare dei vissuti e delle impressioni interiori di sogni, di stati d’animo e di meraviglia di fronte alle armonie nascoste nella quotidianità. In tal modo la parola dà spazio all’enigma e al mistero nel rischio di una navigazione che conduce lontano il pensiero sulle ali immaginative della fantasia. Questi sono i canti del pilota che utilizza la voce per aprire le vele al vento del sogno e della meditazione in un viaggio in cui la vita, l’amore, la morte, il sogno e la sintonia con gli altri esseri viventi, permettono una sintonia nella quale la poesia diventa l’elemento di unione dei molti immersi nella loro diversità, che realizza in tal modo un’unione e una comunione misteriosa dell’intero reale.

I componimenti poetici oggettivano figure, immagini e piccole cose della vita. In questa realtà complessa il capitano guida la nave nel mare tumultuoso del quotidiano. Abbiamo così una poesia di simboli nascosti nel mistero delle parole. I suoi componimenti poetici manifestano una passione religiosa aperta allo spirito di una pietà tipica della cultura vissuta dalle civiltà del Sud America.

Infine va sottolineato che la Lo Bue come poeta si distacca dal modo di intendere la figura del poeta nella nostra cultura europea, per raggiungere una professionalità derivante dalla cultura sudamericana nella quale il poeta testimonia la sua idea della vita in un’autonomia della poesia dalle altre forme espressive, capace di coinvolge non solo gli intellettuali ma anche il popolo. Si pensi in questo quadro a Pablo Neruda che come poeta coinvolgeva le folle nell’ascolto delle sue poesie in riunioni che non erano conferenze ma veri e propri concerti poetici.

Aurelio Rizzacasa

sabato 6 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = VELIO CARRATONI

Velio Carratoni, Paura della Bellezza , Fermenti Editrice 2019–

Mi sono sempre chiesto cosa spinga un uomo, ed in particolare uno scrittore a cimentarsi nell’arte dell’aforisma, sopratutto dopo la consapevolezza che i lettori abbiano potuto già leggere Wilde, Flaiano, Bokowski o Gibran; una risposta potrebbe essere che è la stessa forza che continua a farci innamorare nuovamente dopo una delusione amorosa.
E invece quale forza ci spinge a leggerli? E’ l’esigenza di cercare una distinzione, una caratterizzazione -si veda la definizione di aforisma- che condensi in una preposizione di breve e sentenziose parole una piccola verità.
Così come è possibile spiegare la musica con la matematica ci si può azzardare ad accostarle anche la letteratura. E da cosa si parte per dimostrare una qualsiasi tesi? Dagli assiomi, preposizioni o principi che si è assunti per veri, proprio perché ritenuti evidenti. E l’arte dell’adagio è proprio il svelare l’evidenza, che la penna sagace rende manifesto.
Pensate a come si esprime un uomo che noi riteniamo saggio: in poche e concise parole sentenzia un precetto che si ritiene incontrovertibile.
Partiamo dal titolo dell’opera : “Paura della bellezza”, un ossimorico apoftegma esso stesso che ci può ricondurre ad un piano parallelo: “Sto così bene da star male”, e che l’autore dirime analiticamente in sette sezioni: 1.Cultura, 2.Politica, 3. Psicologia, 4. Costume, 5.Attualità, 6.Collettività, 7.Prassi.
Nella sezione Cultura, proprio il primo detto recita “Per essere letti non basta essere calligrafi”. Elementare vero? Ma qualcuno di voi ci aveva già pensato prima di Carratoni? Questa è la sagacia della penna a cui prima mi riferivo. Si tratta di una paradossale ambiguità talmente elementare da sconcertarci; si prosegue nella stessa pagina seguendo lo stesso filo assurdo con un “Cimitero dei libri: luogo vivo della letteratura” che ci suggerisce un’immagine di libri dormienti sugli scaffali o al macero in discarica immortali, correlato poco dopo dal “In molte famiglie c’è l’esigenza di liberarsi dei libri” che ci rivela senza addentrarsi in sottili analisi di come ormai la lettura non sia la priorità di molti.
In “Solženicyn avrebbe parlato, pensato meglio da uomo libero?” si ravvisa una polemica, politicamente scorretta (plauso al coraggio), che ci fa riflettere su come a volte si rivolge maggiore importanza a chi dice qualcosa piuttosto che a cosa dice.
Nel leggere “Anche un gesto può essere espressione poetica” è per mio conto un esplicito rimando a “Lo stile è una risposa a tutto” di bukowskiana memoria.
Siamo sempre nella sezione cultura quando si legge “Lo sconfitto se la prende sempre con qualcuno. Tranne che con se stesso”. Voi a chi avete pensato? Ad un amico, conoscente o parente. Sicuramente non a voi stessi…
Nella stessa sezione a conclusione evidenzio “L’abito non fa il monaco. Come il libro non fa l’autore”, scoccata a che vuol leggere sempre tra le righe di un’opera elementi autobiografici, dimenticando ciò che differenzia l’attività letteraria dalla vita…
A proposito di leggere tra le righe, nella seconda sezione -Politica-, cosa vi suggerisce “L’assenza della politica scatena esibizioni di squadracce nostalgiche”? Forse tempi moderni che ci inquietano nella ciclica riproposizione; non credo di essermi sbagliato di molto, visto che dopo poche righe si legge “A Predappio non si fa che praticare una certa apologia. Nessuno se ne è accorto?”.
Cambiamo aria prima che qualcuno ci additi come “buonista del cazzo” e passiamo alla sezione Psicologia, la terza, dove si va sul personale: “L’amore è sempre una conquista?”. Che si tratti di conquista o inconsapevole sconfitta, lasciatemelo dire è sempre una fatica…
E difatti leggere aforismi è una continua elaborazione di pensiero; non si tratta di lunghi periodi in cui si possono omettere parole: occorre sempre stare vigili; non si tratta di bere un boccale di birra ma di sorseggiare un prezioso liquore che non bisogna ingollare in un solo colpo, altrimenti se ne perderebbe il gusto. Quindi nel leggere “L’ignoto è la sorte degli incerti” ho elaborato una certa inquietudine…
Nella quarta sezione -Costume- colpisce subito “Il più detestato è sempre il migliore”. Insomma se odiate qualcuno iniziate a preoccuparvi oltre che a dolervi.
Di impronta fisica invece è “Il tempo è ciò che avviene dopo”; sembra un enunciato di fisica teorica che ci fa riflettere della troppa importanza che l’uomo arrogantemente conferisce al futuro, trascurando il presente e dimenticando il passato.
Più avanti si legge “Strano Paese il nostro. Per ogni circostanza si attende il deus ex machina. Che funziona nel regno dei poteri forti”. Io ci rivedo qualche collegamento alle nostalgiche esibizioni della sezione Politica, con riferimenti più o meno espliciti a personaggi del passato e del presente più o meno recente.
E veniamo alla quinta sezione -Attualità- in cui all’epigrafe si trovano parole di Gramsci. Paradossale. Ci fa comprendere come l’immarcescibile sensibilità dell’intelligenza sia sempre moderna e contingente, dove rimarco “Chi inventa storie. Modifica il mondo. Come i falsari?” un’anfibologia che si è liberi di tradurre. Io dico che non lo modifica, ma che lo interpreta.
Nella sesta sezione -Collettività- leggo che ”Avere ragione non significa essere nel giusto”. Sorridete nevvero? A ragione? Oltre all’ennesimo paradosso si leggono amare massime dedicate alla sporcizia che attanaglia Roma capitale ed all’alveo di morte, il Tevere, che l’attraversa.
Altro tipo di doloroso rammarico nella seguente sezione Prassi, con “Castigo più gravoso. Ricordare tanti attimi salienti della vita trascorsa”.
Invece ha sapore socratico “Il vero sapiente è chi non sa. Inconsapevolmente”.
Per ultimo menziono “La bellezza si estingue. Il fascino resta. A far rivivere la genialità delle ombre.”, che forse più di tutti i motti suggestivamente rimanda al titolo della raccolta.
Infine un appunto sullo stile dell’autore. Se pur per natura gli aforismi siano di breve sviluppo, l’autore predilige notevolmente, in buona parte delle composizioni, l’uso del punto a discapito della virgola, forse a suggerire uno stile di lettura lento e cadenzato.
*
GIANLUCA DI STEFANO

SEGNALAZIONE ESTRATTO DA RIVISTA = ANNA VINCITORIO

Anna Vincitorio – “David Gascoyne”
Giunge sul nostro tavolo un rigoglioso “estratto” di oltre venticinque pagine , dalla rivista Vernice ( anno XXV – N° 56) , dedicato al poeta inglese David Gascoyne - (1916 / 2001) - e redatto dalla poetessa Anna Vincitorio, la quale da par suo riesce a ricreare l’atmosfera vertiginosa che avvolse la personalità complessa ed al tempo stesso fragile dell’autore. La formazione culturale, le conoscenze, le esperienze del soggiorno in Francia, gli studi ininterrotti delle varie tendenze filosofiche, si offrono come possibile rilettura di una vita ricca di fascinazione e di illusioni ripetute. Il poeta nato tra le due grandi guerre fortunatamente acquistava una preparazione particolare, sia per l’intelletto vivido della madre, sia per le frequentazioni di poeti quali Eliot, Rossetti, Yeats, e personaggi della Auden’s generations.
L’excursus che Anna Vincitorio compie è un’appassionata formula che si svolge attraverso le vicissitudini di una vita impregnata da un carattere mistico e vivido insieme. Rilegge i poemi scritti nel periodo francese, ne confronta stesure con poemi dalla formula surrealista, continua attraverso la fluida produzione di ricordi e visioni, rilegge alcuni riferimenti popolari, alcune poesie ricche di ritmo e musicalità – E molti componimenti in lingua originale con testo tradotto a fronte arricchiscono questo lavoro di scavo critico e di sospensione culturale di alto livello. Poesie tratte da “Early Poems” , “Surrealist poems” , “Miserere and other poems”, “ A Vagrant – Other poems”, possiamo assaporarle in inglese e in ottima versione italiana.
ANTONIO SPAGNUOLO


venerdì 5 aprile 2019

RIVISTA = NUOVO CONTRAPPUNTO

NUOVO CONTRAPPUNTO -- anno XXVII - N° 4 - ottobre-dicembre 2018
Sommario :
La redazione :Ricordo di Lucio Pisani
Poesie di Lucio PIsani
Remigio Bertolino : Seira d'envern , Nivole ed Pasqua , El viage, Vos ed bia.
Nazario Pardini : Scoprimmo , Voci di campane, Matera.
Leopoldo Gamberale : Tre donne .
Recensioni a firma di Elio Andruoli , Guida Zavanone , Francesco D'Episcopo, Davide Puccini .

giovedì 4 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALESSIO VAILATI

Alessio Vailati – Orfeo ed Euridice----puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 77 - € 12,00

Alessio Vailati, nato a Monza il 17 giugno 1975, vive a Sesto San Giovanni (MI). Dopo aver conseguito il diploma in maturità classica, si è laureato in giurisprudenza. Le sue precedenti pubblicazioni sono le raccolte di poesie L’eco dell’ultima corda (Lietocolle, 2008), Sulla via del labirinto. (L’arcolaio, 2010), Sulla lemniscata – L’ombra della luce (La Vita Felice, 2017) e Piccolo canzoniere privato (Controluna Edizioni, 2018) silloge finalista del Premio Marineo 2018 nella categoria libri editi.
La vicenda mitologica di Orfeo ed Euridice dell’immaginario pagano è stata nel tempo oggetto d’ispirazione di vari artisti come i poeti Ovidio e Virgilio e il musicista Gluck.
È interessante notare che anche un giovane poeta contemporaneo come Alessio Vailati si ispiri a questa vicenda mitica nel suo restituircela nel suo valore universale con un’opera affascinante nella quale l’autore ha dimostrato la sua originalità e intelligenza perché la narrazione è inserita nell’epoca di un presunto postmoderno occidentale nella sua quotidianità.
Tutti sanno che nel mito Orfeo era un eccelso poeta e musicista che viveva la sua intensissima storia d’amore con Euridice, relazione che era per lui la massima fonte di gioia.
Ma Euridice morsa da un serpente morì e andò nell’Ade, regno dei morti; allora lo stesso Orfeo scese agli inferi per riportarla sulla terra e i due furono di nuovo insieme. Ma nella risalita dall’Ade alla Terra il poeta fece quello che gli dei gli avevano proibito di fare: guardò Euridice e questo sguardo causò il fatto che la ragazza precipitò di nuovo nel regno dei morti senza avere mai più possibilità di tornare alla luce per il volere del fato.
Orfeo ed Euridice di Vailati, il libro di poesia che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Andrea Spano esauriente e ricca di acribia.
Il testo è composito e articolato architettonicamente e per la sua unitarietà stilistica e contenutistica potrebbe essere considerato un poemetto nel quale per uno sfalsamento temporale il mito s’invera e si realizza spesso nel nostro tempo.
Queste sono le scansioni del libro: Parte prima: PROLOGO A- Terra, B, Acqua, C- Orfeo, D- Aria, E-Fuoco, Parte seconda: EURIDICE (1-41), Parte terza: ORFEO.
Cifra essenziale della poetica di Vailati espressa nel volume è la sua vena neolirica che spesso sfiora l’elegiaco e non poteva essere diversamente vista la materia trattata.
Si avverte nel leggere i versi il senso di un sogno ad occhi aperti che produce nel lettore emozioni forti e sentite.
Nel linguaggio di Alessio emergono nitore e chiarezza e lo stesso linguaggio presenta una forte patina classicheggiante che s’inserisce in atmosfere dal tono fiabesco.
I versi, che sgorgano fluidi come da una sorgente, sono connotati da una grande musicalità e da un ritmo incalzante e sincopato.
Si ritrovano spesso squarci naturalistici rarefatti e si respirano atmosfere teatrali nei dialoghi tra i due innamorati corredati da didascalie in versi per la qual cosa il libro potrebbe essere letto come una sceneggiatura.
Una cadenza cantilenante produce una melodia incantatoria nell’affondare nelle pagine.
*
Raffaele Piazza

mercoledì 3 aprile 2019

PREMIO POESIA : SANT'ANASTASIA 2019

Il Comune di Sant'Anastasia (Napoli) indice e promuove la XVII Edizione 2019 del Premio Nazionale di
Poesia "Città di Sant'Anastasia", avvalendosi dell'Organizzazione e Direzione Artistica dell’Associazione
“IncontrArci” di Sant’Anastasia - Circolo Letterario Anastasiano. Il concorso è aperto a tutti
indistintamente dall'età e dal luogo di provenienza, purché i testi siano in lingua italiana.
Il Concorso gode del Patrocinio del Comune di Sant'Anastasia (evento istituzionalizzato).
Regolamento
Sezioni di partecipazione
Sono previste 2 distinte sezioni:
- Sezione A: aperta a tutti.
- Sezione B: riservata ai giovani fino a 23 anni.
Per ambedue le sezioni è possibile partecipare inviando una o due poesie in lingua italiana a tema libero, di
lunghezza non superiore ai 50 versi ciascuna. I componimenti presentati possono essere sia editi che inediti.
Possono inoltre essere già stati premiati in altri concorsi, ad esclusione del presente.
Termine di consegna
Per entrambe le due sezioni, il termine ultimo per la partecipazione è fissato per il 15 ottobre 2019.
*
richiedere il bando completo a :Giuseppe Vetromile (presidente) - pevet@libero.it

martedì 2 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = DANIELE CIACCI

Daniele Ciacci – Le sette balze----puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 85 - € 12,00

Daniele Ciacci (Urbino 1987) inizia a scrivere poesie negli anni del liceo.
Ha collaborato con Poesia, ClanDestino e Cenobio. Nel 2011 pubblica la silloge Ogni nota di blu (Alla chiara fonte ed.), che confluirà poi nel 2016 in Infiniti Svolgimenti (Terra d’ulivi ed.), finalista del premio Antica Badia di San Savino nello stesso anno. Suoi testi compaiono nell’Almanacco Punto (puntoacapo 2011), in Cenobio, Rivista letteraria (con il poemetto inedito La velocità del vuoto), Poetàrum Silva e nel blog di Luigia Sorrentino. Nell’ottobre 2018 pubblica Libido Sciendi (Terra d’ulivi ed.).
Le sette balze, la raccolta di poesie del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta un’esauriente postfazione di Mauro Ferrari ricca di una notevole acribia.
Per entrare nel merito degli intenti creativi di Daniele Ciacci espressi in questo libro, rifacendoci al titolo, dobbiamo sottolineare che le balze sono le pareti quasi verticali di un monte che per l’azione erosiva hanno preso forme tormentate e scoscese spesso con strapiombi e precipizi.
A questo proposito si potrebbe presumere che il poeta nominando le stesse balze è consapevole del fatto che la poesia stessa può essere qualcosa che se non è controllata può, pur raggiungendo esiti altissimi, divenire gioco pericoloso per i poeti e le poetesse stesse.
In altri termini rispetto a quanto suddetto le emozioni che si generano nel poeta e che sono trasmesse ai lettori devono essere controllate affiorando dall’inconscio e tramite la sublimazione divenire poesia.
E sette come le balze nominate dall’autore sono le sezioni nelle quali è suddiviso il testo; tali scansioni sono: Sotto un perno da mola, Si vede nella nebbia, Un corpo ai clandestini, Da ovest un’eco a Castagnola, Sotto le volte di mattoni lombardi, Al fondo del respiro e Soldato fantasma.
Composito e articolato, dunque, l’impianto architettonico dell’opera, bene strutturata con testi tra loro eterogenei per contenuti ed estensione.
Si passa non a caso da poesie brevissime e concentratissime a componimenti di notevole lunghezza.
Da notare che tutti i brani poetici sono sforniti di titolo e questo elemento accresce complessivamente la carica di mistero e magia del libro stesso preso in toto, che potrebbe essere vagamente considerato un poemetto.
Da mettere in rilievo che le sette sezioni sono precedute da una poesia programmatica l’unica scritta non a caso in corsivo, composizione che è divisa in quattro strofe.
In questa poesia l’io – poetante ha come interlocutrice la parola stessa in un suo ripiegarsi sull’atto della genesi poetica.
È affascinante questo monologo di Ciacci con la parola stessa nell’iterazione ridondante della parola parola stessa.
Si legge un intento intellettualistico nel poiein di Daniele in questa poesia nel suo tendere poeticamente a cogliere l’essenza o le essenze della parola: - “E tu parola ambrata/ sfaccettata/ parola da densità/ vicina all’illimitazione/ parola per vocazione/ detta non detta uguale/ parola increata che crea/ creazione creativa/ screanzata a volte/ sempre speranza/” -…
*
Raffaele Piazza

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Silenzi”
Rimane solo il silenzio nella penombra,
riconosce i profili ancora incerti,
nelle attese continue di un sussurro
per ritornare ai profumi della tua carne.
Ascolto l’inganno che la sera propone
nell’assurdo trucco della mano sospesa
al vuoto della stanza , in questa vecchia casa
dove tutto è memoria.
Il tuo nome , il tuo nome ricorre
per le mie vene in ultima illusione:
s’innesta la febbre alla polvere,
il capo chino ripete ritorni nel tempo
per sorprendere vertigini nel pensiero che oscilla.
Una disperata finzione mi sorprende
e chiudo gli occhi per sognare il tuo labbro.
*
Non credo più nel toccare le cose con le mani
alla sciarada che ogni zero incunea,
al ticchettare che disegna spazi e falsetti ,
mentre fra le spalle gioca un antico smarrimento.
Non è più tempo di segreti alla memoria,
ormai stanco di concedere incertezze,
confondere lo scudiscio della notte
per l’intreccio delle tue ombre in mutamenti.
Sulle mie ossa in bilico
la mia rassegnazione non ha più posto.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = EMILIANO VENTURA

"L’altra faccia del delitto"

Di là si è consumato un delitto,
è accaduto nel vagone letto,
fuori cade la neve che non c’è più,
dicono sia la neve d’altri tempi.

Ci sono tutti, dal capo treno al macchinista,
il morto era eccellente, nome senza soprannome.
C’è un investigatore, ci sono sempre,
al posto giusto al momento giusto.

Il treno è fermo da ore, così le nostre vite,
uno è il morto, gli altri i soliti sospetti.
La scena del crimine è scena già vista,
raccolte le prove si passa ai testimoni,
fatte le ipotesi si arriva alle conclusioni.

Un colpevole ci vuole, lo pretende il galateo.
Lo scopriranno, l’omino investigante
non fallisce, l’ordine va ricostituito.

Tutti in attesa di sapere, noi spettiamo e basta.
Non siamo passeggeri, noi oltre la pagina,
sull’Orient Express ci lavoriamo.

Non mi importa del movente,
non mi interessa dei rancori,
indifferente all’arma del delitto,
la deduzione mi infastidisce e i veleni
li respiro giorno dopo giorno.

Faccio il caffè, servo ai tavoli, lavo i piatti.
La mia vita non è meno ricca del morto eccellente.
Ho un amore a casa, un sogno da realizzare,
e un angolo di nuova svolta.
Il morto giace, si diano pace gli altri.

Risparmia un altro delitto al lettore,
liberaci dalla distrazione,
sfinisci l’intrattenimento,
ascolta chi lavora, ama e non dispera.
*

Emiliano Ventura