martedì 30 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = DANIELE BERTO

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Daniele Berto – Schegge (Aletti Editore)2016; Pagg. 132 ; Prezzo: 13 euro.

Una raccolta di versi, composti in un decennio, addirittura a tratti velata di attualissima canzonatura, dagli evidenti cambi di schema rinfrancanti in genere lo scriteriato piacere di leggersi dall’esterno; ignaro della provenienza di termini da percepire, senza coglierli per forza, credendo di rimettere in ballo l’affermazione non appariscente di un giovane che si deve rendere responsabile, avventurandosi nel cammino per divenire grande.
Il poeta si appoggia a un interrogativo in attesa che qualcuno lo sblocchi, chiede in che situazione e in quale momento spunta un malessere, la motivazione del piattume esistenziale.
D’altronde i tesori si lavorano soffrendo, ricavandone solitudine con indumenti impossibili poi da smacchiare.
La dote per deliziare lo splendore di uno spirito distinto e consacrato è miserevole, specie nei riguardi di una partner che comunque l’approva in tono confidenziale prima di allontanarsi piano per spegnere nuovamente il sole.
Il quantitativo di trucco per convincersi della propria eternità sconcerta, piuttosto è importante esclusivamente meritarsi un patrimonio, infischiandosene con leggiadria dello scetticismo a tal punto da ridicolizzare l’antipatia espressa dall’individuo che oltraggia una certa presa di posizione.
Daniele indossa una varietà di effetti, non intendendo stabilizzarsi e far venire meno nient’altro che il Sentimento, con la demoralizzazione dovuta dal cieco di turno, per una ragazza preda dell’opportunismo globale, che si avventa con passione sull’amoroso senso da divorare.

“… l’attesa mi spetta”.

La poesia vivacizza la carta, ma stando a una coppia di richieste che probabilmente si soddisfano contando su giuramenti ordinari, sulla vita da concedere di volta in volta, nella fredda stagione che volge all’anomalia di tanto in tanto.
Daniele Berto si fa carico di delusioni da lucidare con l’utopia di chi non smette d’essere ottimista, pur appartenendo a un disgraziato insieme di strumenti che inavvertitamente viene travolto dal terrore moderno.
Si ha a che fare quindi con le tracce che lascia una forma d’essere solitaria che spazia nonostante l’urbano dissapore, a secco di visioni; così da scorgere l’indifferenza che ci percuote e far insorgere il nostro significato prima o poi, manco fosse innaturale centrare l’umana ragione, tra i diavoli della relatività che serbiamo, e con l’incertezza a seguito di ciò che inconsciamente offriamo.
L’aridità immensa di un’ambizione esagerata si accentua girando a vuoto in cerca di una soluzione liquida, la più semplice ed essenziale, fino a complicare ulteriormente il pensiero di pronto incanto, scaturito dall’analisi di testi irreali e dalle sequenze di un cinema che non viene prodotto, frutto dell’onestà intellettuale che si genera appieno… e magari casualmente!
V’è l’anziano che procede intanto senza avere più fretta, dando l’idea di una corrente che non elettrizza oramai alcun percorso, seppur si fiondi nel profondo, lasciandosi catturare dall’età, diversa e impetuosa, del soggetto che può rianimarsi però grazie proprio a chi è avanti con l’età; come se messi sottosequestro sempre da una condizione dettata dall’alto.
Bolidi da corsa gareggiano ogni giorno, debellando il desiderio d’immaginare cosa prova un meraviglioso volatile in azione, di destare presenza davvero al culmine di un contatto fatale; costretti ad accontentarci di ciò che abbiamo a disposizione, a dipendere da un’agiatezza rimarcabile, che non ci riguarda, sprecando respiri per il bene che ci dobbiamo volere, a svanire nell’interesse smarrito dal sognatore privato del suo approdo.
La vista è occupata dalla riflessione, da un moto d’opinioni spulciate col cronometro da far scattare, per una questione di vita o di morte, arrivando a censurare l’imparzialità dentro di noi.
La predestinata fine di troppe relazioni affascina i comuni mortali, conquistabilissimi da chi non s’impegna scansando l’aspetto mediatico che non si lascia sincerare, per puntare sulle opere edite ma introvabili e non fare più paura con la verità; purché quest’ultima non la si stravolga essenzialmente così d’avere la possibilità di sensibilizzare senza risultare la solita delusione per gli “altri”.
Soprattutto l’orientamento dell’estraneo che si dispera; privato del suo punto di vista per viaggiare e amare, in una storia che non faccia rumore, che s’isoli nell’aria, per espandersi ancora invocando dolcemente l’amara metà con qualsiasi esperienza spremuta per non deludere le attese, a costo d’incentivare il proibito moralmente, suscitando una festa a sbafo di coloro che assumono una dignità alimentandosi necessariamente.
La volontà, carnale, si pone dinanzi al poeta; e in un vento caldo, romanticamente preteso, la fisicità si stempera, proporzionale alla riflessione spaziante nello sconforto.
La fantasia è infernale date delle testimonianze d’affetto che s’intrecciano a causa dell’ego perdurante, cosicché qualsiasi istante segna irrimediabilmente, stando a rimirare la femminilità composta da corpi celesti semplici e delicati, nel buio arcano di un amore autentico, che si sdoppia immensamente, con la sacralità da confermare specie in una città movimentata.
Ci si può muovere senza darlo a vedere componendo in versi, alimentati da un’armoniosità d’inconscio, aspettando di centrare il destino di colei che ami, che ha deciso, rischiando il peggio, di procedere piano; dignitosamente e dunque sapendo d’avere sbagliato talvolta, giustappunto per rialzarsi con la forza di un’illusione.
Animando, il poeta riempie di ricordi la ragione, determina le attitudini di carattere esistenziale quando tutto tace in negativo.
Andando in giro, noti come l’attimo si colga per qualsiasi intento scartando la quotidianità come il dono da riporre nel mutismo di un giovane che focalizza le proprie esperienze; uno scorcio d’infinito da riammettere essenzialmente con la libertà che serbiamo probabilmente, in virtù di quel sentimento sincero, che non si presta alla resa incondizionata; di quell’imperativo che come per magia motiva il collettivo seppur imperversino le solite debolezze, di un qualcosa di così a dir poco prezioso e casuale che non diventa mai indimenticabile.
Daniele si appassiona alle controversie, sottilizzando le interpretazioni che scaturiscono da un vocabolo, per un soggetto di amoroso senso da osservare affinché si possa rifiorire d’incanto e per sempre alla luce di un flash, di sola apparenza; per rincuorare in base alla scarsa predisposizione del buonsenso.
Il passato torna a splendere in un luogo d’incontro alla portata di tutti, sotto l’effetto di una dichiarazione d’amore resa visibile proprio a causa di quel dolce timore di non riuscire a reggerla, a stare insieme per tutto il tempo di chiedersi se abbiamo cominciato o finito un certo percorso emotivo.

Le vittorie di una vita non tornano in un ricordo, e ti sposti fatalmente, dipendendo da un invisibile sentore che semmai traccia nel cielo arcobaleni per sicuri lottatori, non vedendo l’ora di risultare sufficientemente, tra i mormorii e gli aiuti per rimediare in tempo al test scolastico sulla sobrietà materiale; in preda agli accessori che si espongono per la compravendita che ti faccia sembrare come gli altri, da immortalare per non isolarsi a fronte del tempo piccolo, eccessivamente frammentario per argomentare e riprendere a studiare al fine di comprendere oggettivamente la letteratura senza che si parli sul serio.
Ora il tempo passa velocemente, a scapito delle vie da seguire, delle prove orali da superare, circa le teorie per regolamentarsi tanto da trarne beneficio; ma il poeta identifica l’inizio di una storia d’amore nello scoramento a seguito dell’ottenimento di un pessimo giudizio globale.
La richiesta di stratagemmi ulteriori alla poesia più bella, per ritemprare lo spirito quando fa freddo e sfidare la sorte, non è esaustiva; ugualmente certi di come un sognante modo di comunicare serva più di un farmaco poderoso e a prova del successivo danno indiretto, quando si ha a che fare con quella persona che ti fissa negli occhi ben consapevole delle sue fragilità da evidenziare, e quindi con l’invito ad allargarsi e a incidere setacciando il piacere terreno, per sentire la voce di cos’abbiamo incamerato senza far rumore per non considerarci estranei e calzare l’entusiasmo avanzando a piccoli passi, fieri delle nostre radici per l’obiettivo da rinnovare con l’ingegno degl’illusionisti che si tradiscono giocoforza per un po’, concentrandosi sulla vetta da scalare in buona sostanza, senza freni.
Le paure si possono irrigidire nella neve delle affermazioni singolari, ciò lo si può intuire affrontando difficoltà varie e indiscusse per contemplare orizzonti e paesaggi sanciti da un lavoro d’immaginazione che si rivela costante quando meno lo pensi; con l’enfasi giornaliera, quella che caratterizza la solidarietà quando il tempo non influisce perché fermi a meditare sul dolore che si prova per un legame che si allenta.
Chissà se occorre vivere al massimo o accontentarsi di respirare, nella ristrettezza comunque da illuminare assolutamente col quesito che ti aspetti ardentemente, ad alzare un vento fresco nella dissoluzione di un abbraccio, in un cammino insignificante visto l’avvenire spiccante il volo.
L’inequivocabile giudizio affonda nella sovrumanità viziata e volgare, che ti priva delle emozioni sul nascere, equamente.
Il sovrano non si riconosce nella sua parola, laddove cominci alla grande un giorno nuovo, con l’intento di farsi compagnia amorevolmente ritagliando proprio quell’istante, per una spontaneità pungente come a sincerare sull’autunno insecchito sentendo la gente, la volontà di relazionarsi a lungo.
Tutt’a un tratto precipitano i pesi di un’esistenza dall’alto, d’adoperare realmente, e ammetti d’essere presente come una gemma che si apre duramente, insolita, per impegnare il tempo che avanza, trasmettendo obblighi in parallelo agli atti di fede, alla cieca; con la difficoltà ad auspicare una sorta d’onestà evolutiva in privato, con la facilità di stare in pace riattivando patemi d’animo… per il travolgimento che ti prefiggi ancora, derivando, centellinando dai sacrifici, dalle emozioni che ricostituiscono la pelle, come se si stesse per cadere per sempre al minimo spostamento.
L’inabilità sta nel limite imposto da chi ti vuole affianco, così pensato da non riuscire ad andare oltre; in una dimensione terrena da riprendere sognando con piacere, in una fuga perenne.

“… come il corridore senza traguardo”.

Nel frattempo la desolazione sembra sobbarcarsi l’aspetto lunare non pronunciato, ciò che non si riesce a ottenere dipende dalla forza dell’individuo che sta perdendo la speranza, il mordente per un trasporto senza tempo, lineare; e l’aria stempera superficialmente il desiderio di libertà all’intensificato calar del sole.
Destinazioni fantastiche danno l’idea di pazientare appieno nel cielo variabile, a un segnale di resa sociale, intimata tra gli appuntamenti da fissare, nei quali magari devi essere trafitto senza cognizione di causa, sentimentalmente; per ribadire della sensibilità forse e purtroppo insuperabile, con l’immediatezza di una pulsazione cardiaca, finita la pausa data all’anima flebile, addirittura ermeticamente, per svoltare nuovamente.
Il potere di selezionare le debolezze appartiene eccome al genere umano, a una condizione che si ricompone per spigolature d’avvertire, evitando di svanire per la convenevolezza che si esaurisce prontamente, bensì svolgendo un lavoro apparentemente inqualificabile, come quello di avventurarsi nella solitudine recuperando l’amore in disuso e fare finalmente luce; per fermare e consigliare su quel che c’è ancora da donare, di meglio.

“Amare è un miracoloso gioco di squadra…”.
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VINCENZO CALO'

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA LENTI

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Maria Lenti, "Arcorass / Rincuorarsi", Intr. di Sanzio Balducci. Postfazione di Manuel Cohen, punto a capo editrice, Pasturana, 2020.

È stato piacevole leggere l’ultima pubblicazione della poetessa urbinate Maria Lenti, Arcorass, edita per i tipi di punto a capo editrice a marzo di quest’anno. Lo è stato principalmente per la curiosa operazione linguistica adoperata nel corso del nutrito volume di liriche nelle quali non ha usato – come di consueto – la lingua nazionale né propriamente il dialetto di Urbino (col quale ha scritto vari testi), bensì una riuscita amalgama di entrambi. Arcorass, infatti, nelle liriche che compongono le sei sezioni del volume, fa uso, in maniera cadenzata, a intervalli, di versi in italiano e di altri – ben più espressivi e diretti (com’è la connaturata forza del dialetto quale vera lingua madre) – nel locale dialetto di Urbino, dove è nata nel 1941 e vive da sempre. A introdurre il pregevole testo è una nota tecnica del prof. Sanzio Balducci, docente all’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” che, con precisione e chiarezza di linguaggio, anticipa – per i tanti non urbinati e non marchigiani che leggeranno il volume – alcune caratteristiche peculiari tanto della grafia che della fonetica tipiche di questo dialetto centrale appartenente al gruppo delle lingue galliche.
La città di Urbino (ma significativa è la presenza anche nel suo hinterland se pensiamo, ad esempio, alla poesia di Maria Conti di Acqualagna) si è dimostrata – nel corso degli ultimi Secoli – particolarmente vivida e fluente nella produzione di versi in vernacolo. Tra gli autori che, in termini più recenti, hanno dedicato pubblicazioni in dialetto urbinate vanno di certo annoverate le poetesse Germana Duca Ruggeri (pur di natali anconetani ma da molti anni attiva nel capoluogo del Montefeltro), Rosanna Gambarara e Antonio Fontanoni. Anche il noto Umberto Piersanti, voce delle Cesane, ha fatto qualche veloce incursione nel mondo del dialetto impiegando in alcune sue poesie delle terminologie in urbinate1. Sebbene questo dialetto – come ha osservato la stessa Lenti in un suo recente scritto – sia “privo di una tradizione letteraria”2, possiamo notare, anche se si dà una veloce guardata ai decenni precedenti, che non mancarono esperienze in tal senso (Renzo De Scrilli, Bruno Betti, etc.) sebbene poco note, rimaste nel novero della regionalità quando non addirittura del circoscritto ambiente locale di riferimento a differenza del romagnolo – sul quale la Lenti ha abbondantemente scritto nel volume saggistico Cartografie neodialettali (2014) – che, invece, per mezzo di alcuni esponenti, ha avuto una diffusione ben più che regionale (il caso di Raffaello Baldini e di Tonino Guerra è ben esemplificativo, ma anche della giovane Annalisa Teodorani nella nostra contemporaneità).

Nelle poesie che compongono Arcorass che – lo ricordiamo – sono strutturate come a conclusione di un processo di levigazione della roccia con sostrati differenti, le tematiche che riaffiorano sono numerose: dall’amore per l’ambiente e la comunanza con esso, agli affetti e i ricordi che legano la poetessa al passato, l’impegno attivo nel sociale con alcuni testi che, marcatamente, si riconnettono a quella sua esperienza politica nelle file di Rifondazione Comunista (per la quale – come esplicitamente indicato nella nota biografica – venne eletta alla Camera nel 1994 e poi nel 1996 sino al 2001); vi sono anche poesie dal piglio più veloce, dove non si fa difficoltà a intravedere un carattere autoironico e un temperamento spensierato e altre ancora che riflettono sulle forme e le potenzialità dello stesso dialetto. C’è anche l’amore per i viaggi, per il camminare, per il conoscere e il protendersi verso un nuovo e, in maniera massiccia ma mai pedante, l’eco di tanti intellettuali nostrani e non, allusi, richiamati, citati, vagheggiati internamente al suo verso, ripresi con le loro parole a rendere questo cammino poetico, già così ricco di per sé nell’individualità dell’autrice, un vero mosaico di frammenti che sono intertesti continui alla Grande Letteratura.
Il titolo del volume, che in italiano sta per “rincuorarsi”, ha a che vedere con una serie potenzialmente infinita e importante di occorrenze ed eventualità della vita quotidiana, tanto personale che collettiva e concerne, per dirla a grandi linee cercando di evitare appiattimenti di sorta, momenti di epifania, di ripresa del vero, di conoscenza e acquisizione del nuovo, di scoperta, di gioia, godimento, rinata speranza, vivificazione delle emozioni, credenza (giammai quella religiosa, s’intende). In una parola, appunto, di un qualcosa che, per le potenzialità con le quali si manifesta o si produce porta a un piacevole (e spesso mai pronosticato) senso di benessere, di ripresa, di riconciliazione con sé e di conquista. “Arcorass vol dì rincuorarsi/ […]/ liberarsi dalla stanchezza/ dalla noia dalla fatica” (17). In tutto ciò mai viene allentata l’attenzione nei confronti del contesto sociale: di ciò che accade attorno a noi, le condizioni socio-politico-economiche del Paese, finanche il desolante contesto internazionale dominato da belligeranza, indifferenza, lotte intestine, immigrazione e grande povertà economica e morale di alcuni: “allora chi bombarda/ -stamane in Siria trecento morti/ […] che cuore ha/ chi dà ordini/ do’ sta el còr di chi sprem/ il succo delle persone/ per capitali e soldi/di chi fa a pezzi un corpo/ di chi lo violenta”(23) e, in un’altra poesia, “i morti del Medioriente e del Congo, dello Yemen/ della Palestina,/ […]/ le barche che stanno e non stanno a galla” (27).
Vorrei poter concludere queste righe di analisi al nuovo libro della poetessa Lenti con un bel quadretto della sua Urbino ventosa ben reso in una delle liriche che chiudono il libro: “stringe il cuore/ se la incontri del tutto ignara/ di storia e arte/ appare nella sua ferma bellezza,/ irraggiungibile e inaccostabile/ […]/ a Urbin se piagn du volt/ quand s’ariva e quand s’arpart” (103-104).
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Lorenzo Spurio

Jesi, 27/06/2020

domenica 28 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

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Francesca Lo Bue – Albero di Alfabeti A’rbol de Alfabetos---Raccolta poetica bilingue- Editrice Dante Alighieri – Roma – 2020 – pag. 73 - € 8,00

Francesca Lo Bue è nata a Lercara Friddi (PA); ha curato diversi studi letterari sia in italiano che in lingua spagnola; ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua spagnola, 2009 e il romanzo di viaggio Pedro Marciano, 2009 oltre alle raccolte di poesia Il libro errante, Moiras e I canti del pilota.
La raccolta presenta un’introduzione acuta e ricca di acribia ed è scandita nelle seguenti sezioni: Alfabeto (italiano – spagnolo). Alfabeto (spagnolo – italiano) e include traduzioni da Emily Dickinson e Kavafis
Intrigante il procedimento usato dall’autrice d’intitolare ogni componimento con una lettera dell’alfabeto inglese per ognuna delle due serie di poesie e per l’unitarietà contenutistica e stilistica l’opera potrebbe essere considerata un poemetto.
Da notare che in ogni singola poesia ogni verso comincia con la lettera del titolo, non solo il primo verso, e questo uso del linguaggio potrebbe essere definito proprio un giocare con gli alfabeti.
Perché Albero di Alfabeti? Quello dell’albero è un archetipo che nella tradizione ebraica coincide con l’albero della vita che diviene simbolo della vita stessa con le radici che affondano nelle profondità della terra che potrebbe essere considerate la parte oscura e inconscia della coscienza e il tronco, i rami, le foglie i fiori e i frutti che sono il conscio della mente umana, la parte solare dell’esistenza stessa per ogni uomo o donna e potremmo aggiungere ogni essere vivente.
Allora ci chiediamo perché la poetessa abbia voluto abbinare i termini Albero e Alfabeti.
Credo che la Lo Bue con scaltrita coscienza letteraria abbia voluto mettere in gioco i due termini collegandoli tra loro perché sono entrambi densi di significato e in ogni cerchio del tronco dell’albero che ne svela un anno di vita entrano in gioco proprio gli alfabeti che permettono l’uso del linguaggio.
Del resto è incontrovertibile che la forma di espressione linguistica più alta è proprio la poesia stessa che non a caso è sempre metafisica.
Quindi una parola che nasce fecondata dall’acqua come un seme per divenire pianta e poi albero in un gioco di specchi e d’incastri che non può non essere che memorabile per la sua meravigliosa onestà e per la sua originalità.
I componimenti della raccolta s’inseriscono in questo schema e confermano la vena elegante della poetessa nel perfetto controllo formale della materia e, per l’idea che lo sottende, Albero di Alfabeti, può essere considerato il libro più alto della sua produzione poetica.
Aspirazione è dissotterrare il ritmo del tuo/ alfabeto, e in questo verso, rivolgendosi ad un tu del quale ogni riferimento resta taciuto, raggiunge con la metamorfosi la trasformazione dell’alfabeto in albero perché dalle profondità della terra un albero può essere dissotterrato e i fiori e i frutti nella loro bellezza non possono esserne nient’altro che le poesie.
E nella sua acuta poetica la Lo Bue si ripiega continuamente sulla poesia stessa creando una metapoesia che è un unicum nel nostro panorama letterario contemporaneo.
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Raffaele Piazza

sabato 27 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANFRANCO JACOBELLIS

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Gianfranco Jacobellis: “Il fantasista del mare” – biblioteca dei leoni – 2020 – pagg. 216 - € 12,00
La nuova densa raccolta che Gianfranco Jacobellis ci offre in lettura è un caleidoscopico ventaglio di immagini e pensieri, che si apre a infinite sospensioni ed a luccicanti derive della mente, per una vertiginosa rincorsa che dalla “eternità del dubbio” alla “fiaba dell’utopia” insiste nel ritmo armonioso del verso.
L’adagio che sembra sostenere quasi tutti i componimenti è quel ricamo filosofico che sottende, per un registro che corre dal silenzio a “parole senza tempo”, intrecciando le frasi come in un dettato che rasenta l’aforisma. Ma la “poesia”, quella che trema ad ogni passaggio musicale, si imprime con veemenza e ripete il sussurro del canto nel ritmo sicuro della fantasia.
“C’è un tempo nella vita/ che invita a riassumersi/ la filosofia entra nel sogno/ più della fantasia/ e dell’invenzione onirica/ non trasforma la realtà/ tende a spiegarla.”
Il gioco del destino, il labirinto mentale, la ripetizione imprevedibile, il sipario improvviso, la logica delle nuvole, la sincronia delle parole, il vuoto delle assenze, le trappole della notte, infinita ed irresolubile versione delle vicissitudini che ci accompagnano nel nostro andare verso l’infinito, verso l’ignoto, in quella scaletta che si trasforma in pensiero dominante, in cui l’osservatore è parte integrante, attraverso il dialogo ed il lavoro di scavo che cerca di emergere dal pulsare, che ustiona, incenerisce e relaziona.
I sentimenti incalzano e le parole hanno la sincronia del limite, la pazienza del battito cardiaco, la trasformazione della maschera che indossiamo, il gesto partecipe della quotidianità.
Una semplice realtà vissuta in prima persona nel connubio tra il mito e lo scardinamento di una turbinosa opalescenza.
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 24 giugno 2020

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

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"Alessia e la gioia nell’albereto"

Vita parallela di Alessia
a quella della scuola
nell’albereto di giugno
nella storia dei baci
e fa l’amore ragazza Alessia
sottesa ai limoni, agli aranci
e ai pini nel tingerle di giallo,
arancione e verde l’anima
di diciotto grammi.
Gioia di Alessia e Mirta
a dirle di non avere paura
della felicità che sale.
Poi rivestita cerca i suoi occhi
Alessia e sincerità trova
nel gioire al colmo della grazia.
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"Alessia s’incanta"

Storia di baci
tra le pagine
dei diari dei giorni
per Alessia ragazza
nella cameretta-porto
a incantarsi davanti
alla foto di Giovanni
nerovestito nel carisma
nello scrutarne
degli occhi la forma
che arriva a di ragazza
l’anima.
E vengono gli angeli
e i morti e Alessia
pregioisce illuminata
dal pensiero
dell’amore secondo natura.
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“Alexia se encanta”

Historia de besos
entre las páginas
del diario de los días
para Alexia muchacha
en el cuarito – puerto
donde se encanta delante
de la foto de Juan
de negro vestido, su hechizo
en el mirar de los ojos quel llega
al alma
de la muchacha.
Y vienen los ángeles
y los muertos y Alexia
se ilumina al pensar
al amor natural.

Trad. di Francesca Lo Bue

“Alexia y la alegría en la arboleda”

Vida paralela de Alexia
a la de la escuela
en la arboleda de junio

en la historia de los besos
y hace el amor muchacha Alexia
curvada entre limones y naranjas
bajo los pinos que le tiñen de amarillo,
anaranjado y verde el alma
de dieciocho gramos.
Alegría de Alexia y de Mirta
en decirle de no tener miedo
de la felicidad que sube
y de nuevo vestida busca sus ojos
Alexia y encuentra sinceridad
en el gozar en el colmo de la gracia.
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Trad. di Francesca Lo Bue

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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = GABRIELLA GAROFALO

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GABRIELLA GAROFALO : "Casa di erba" Ed. Macabor 2020 - pagg.94 - € 12,00
Ad una prima lettura di queste coinvolgenti poesie vien da chiedersi, con sospensione, cosa mai voglia dire la poetessa con la sua inconsueta maniera di interloquire con un tu, che a volte è soltanto una figura maschile, a volte è un fantasma arrendevole, a volte è proprio Dio, che dovrebbe darle ascolto tra le nebbie circostanti e le rocce aride del tempo. Ma ponendo maggiore attenzione veniamo travolti da un vorticare il cui respiro panico è affidato al vento, alla intensa rievocazione che traccia turbinii tra la probabile esortazione ed il carezzevole dubbio, tra la ritmica vibrazione e le sfumature che variano inesorabilmente, il tutto con generosa fluidità, con una scioltezza narrativa che aderisce alla eleganza formale della sperimentazione, plurima e incandescente. La sua storia sembra ricamare tratteggi negli scenari diversi che descrive, fra le ombre di sorprese, stranamente scintillanti e le illusioni che sembrano perle bagnate dalla spuma.
Anche la preghiera si affaccia timidamente per sussurrare respiri o esaltare un calice invisibile. Generosa offerta che non chiede un contraccambio, ma si abbandona ad una significanza dal respiro arcano, con tutta una strana potenza iconica, che cerca di far da supporto ad una fede non ben evidenziata, e forse traballante per un impatto emotivo che non si riesce a contenere.
La poesia di Gabriella Garofalo è simile ad un’ostrica nell’urna, la quale si dibatte cercando uscite luminose, rovescia, stizza, esamina, cerca un trampolino di lancio verso meditazioni che travalicano il “particolare”, per approdare molto spesso a riflessioni di carattere filosofico – vicissitudinale, usando il verso in un assemblaggio di corpose intuizioni.
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 23 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = MONICA FLORIO

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Monica Florio : "Un tiro mancino" -L’Erudita Giulio Perrone Editore – Roma – 2019 pag. 123 - € 15,00

Monica Florio è una giornalista e operatrice culturale napoletana. Scrive di cultura sul periodico www.ilrievocatore.it e sul portale www.literary.it .Ha pubblicato il saggio Il guappo, Nella storia, nell’arte, nel costume (Kairòs Edizioni, 2006), la raccolta di racconti Il canto stonato della sirena (Ilmondodisuk Libri, 2012), i romanzi Puzza di bruciato (Homo scrivens, 2015) e Acque torbide (Edizioni Cento Autori, 2017).
È autrice, inoltre, dei romanzi sul disagio giovanile La rivincita di Tommy, Una storia di bullismo omofobico (La Medusa Editrice, 2014) e Ragazzi a rischio, una nuova avventura per Tommy (La Medusa Editrice, 2016).
"Un tiro mancino", il romanzo di Monica Florio del quale ci occupiamo in questa sede presenta una prefazione di Antonio Fresa esauriente e ricca di acribia.
In copertina leggiamo i vocaboli omofobia, conformismo e narcisismo digitale, che sembrano essere le chiavi d’accesso per penetrare nell’universo letterario o microcosmo che sia dell’autrice che raccontando di tre adolescenti sfiora il minimalismo descrivendo vicende del tutto verosimili nella nostra contemporaneità il nostro postmoderno occidentali dominato dai media nel bene e nel male, in una realtà che negli anni ’50 nessuno avrebbe mai potuto immaginare; proprio la stessa tecnologia con internet e-mail. telefonini, sms e altri strumenti connota e sottende il magico e nello stesso tempo insidioso tempo che stiamo vivendo anche se siamo in un periodo di pace in una situazione resa ancora ancora più insidiosa a livello globale dal fenomeno della pandemia con la quale dobbiamo convivere, pandemia che però non è presente nella narrazione.
Protagoniste del romanzo sono le due adolescenti tredicenni Milena e Veronica amiche e nemiche con la stessa spregiudicatezza e ingenuità che caratterizza la loro età.
Personaggio centrale è il quindicenne Marco che conquista le due ragazze con il suo fascino tenebroso. Comprimaria nella narrazione è la madre di Milena che è per antonomasia una mamma saggia che va d’accordo con il marito e la figlia nel realizzarsi di una famiglia unita che sembra quasi utopica e forse lo sarebbe se la stessa Milena romantica e sognatrice, uscendo allo scoperto non incontrasse ostacoli e difficoltà sottese ai suoi sentimenti per Marco e al rapporto con Veronica cinica e ambiziosa che pare essere il suo alter ego.
Entrambe le adolescenti provano attrazione e amore per Marco che sembra apparentemente interessato anche a livello erotico alle ragazze, Marco che scrive poesie e sembra essere un ragazzo serio ed equilibrato.
Tra schermaglie varie Milena esce diverse volte il ragazzo innamoratissima di lui fino a quando non comprende che il quindicenne è omosessuale cosa che sconvolge sia lei che l’amico.
Un sottile psicologismo è l’arma vincente di Monica Florio nel consegnarci queste storie e il tema centrale è l’omofobia, termine che significa sia consapevolezza
e sofferenza per la condizione di gay sia disprezzo e avversione per gli omosessuali stessi, forma di discriminazione perversa che serpeggia anche nella nostra società attuale.
È Veronica a vendicarsi di Milena per avere apparentemente conquistato Marco che nell’intreccio in terza persona mette a scuola in giro la voce che Milena stessa pratichi il sesso con più di un ragazzo e il tiro mancino è simile a quello della scoperta per il lettore della condizione di diverso di Marco, sottesa alla sofferenza del quindicenne di essere caduto in pasto all’ipocrisia di un mondo perverso.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = BRUNO MOHOROVICH

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Bruno Mohorovich – Storia d’amore / Una fantasia (Bertoni Editore)- 2015 -Pagg. 80; Prezzo: 9,60euro.

L’approfondimento di un aspetto delicatissimo dell’animo umano, ovvero degli amorosi sensi, viene rappresentato facendo attenzione a qualsiasi comportamento dettato dal cuore, rilevabile donandosi, cioè presi da un vortice generabile rimarcando due elementi propositivi: quello della seduzione, alternabile con l’appuramento in fase contemplativa.
Mohorovich riesce a cogliere tutte le sfaccettature di un dono d’amore non eccedendo e soprattutto non innervosendosi, cioè ben lungi dall’incisività dei legami spezzati; e comunque non occorre scandagliare il vissuto del poeta, e dunque non serve aderire alla realtà per argomentare in questa circostanza, perché, già col fatto di sognare, le volontà che suscitano maggiormente e propriamente intrigo si possono risolvere, decretando passioni in attesa semmai d’essere raccontate, e magari sotto forma di poesia!
L’idea di amarsi viene distinta in un tris di momenti (egregiamente riprodotta anche con le raffigurazioni di Stefano Chiacchella): quando si comincia, quando ci si unisce e quando tutto sembra cessare… cosicché una relazione tra due persone è in grado di comportare il senso dell’infinito, la lettura del cuore per salvarsi sempre, nonostante certe tensioni possano alterarsi con le immersioni nella ragione.

All’inizio, tra i versi di tredici poesie, Mohorovich mira a descrivere le emozioni nel tentativo di approcciarsi con una lei che ti fa battere forte il cuore, e il lettore può notare come sia meraviglioso dichiararsi in teoria; la bellezza dell’innamoramento che profuma le cose in libertà, con tenera leggerezza.
Pagina dopo pagina i versi sembrano somigliare a delle sferzanti sequenze cinematografiche, proprio quelle che hanno graffiato l’immaginario degli appassionati di cotanta arte; se non di coloro che si sono sentiti felici seppur per brevissimo tempo, ben consapevoli che specialmente i saldissimi legami celano cattive sorprese.

“Ci abbandoniamo ai nostri sguardi
cercando una risposta
nel fruscio del vento”.

All’improvviso, ingenuamente, prende forma come minimo quel contatto visivo tra due persone, ed è in particolare la donna a manifestarsi… e cioè due esseri viventi che possono legarsi per sortire l’assoluto, educando artisticamente con un’occhiata, un cenno d’intesa, a forza anche di parlare o di compiere un’azione all’apparenza innocua, insomma… per assicurarci il più bel dubbio, che pulsa nel baciarsi, nel desiderare di centrare l’infinito assonnato magari allo scorgere dell’aria che tira, tra le luci stressate dei veicoli quando a fine giornata si preferisce tacere.
Bruno sollecita l’appetito dei sensi mirando al passato, fertilizza pazientemente speranze dato che viene naturale fantasticare, tutelarsi dall’incipit globalizzante; ritraendo chi ami per mezzo della tua vita, un soggetto lacrimoso e al contempo insabbiante, capace di ledere mentre piove e non v’è riparo oltre all’aria sferzante, che sembra parlarti.
Una relazione sembra non sbloccarsi, schiarendo od oscurando una meta, cosicché tacendo Bruno si distacca per svanire nel turbinio dell’altrove non cercato dalla sua Lei… però alla fine egli ricompare in tutta un’angoscia non sfogata, di stretta appartenenza se si ama, se tenti di comunicare qualcosa di speciale, che non fa altro che barcollare al di fuori della quiete dello sguardo rivolto a nessun altro se non a te!

Mohorovich divincolatosi nella quiete esprimibile dal firmamento raffigura una donna stanca e chissà se integrante pur accontentandosi lui di uno spazio esiguo, senza nemmeno apparire… la rilevanza consiste nel trasparire fisicamente per dichiarare delle volontà poetando e confermare la straordinarietà dell’essere umano, personalmente, pur infastiditi da uno spirito virulento, vagante nella consapevolezza legante sensi d’approfondire.

“ Sei la ricerca delle parole
sei le parole che non trovo
per continuare a dirti: “sei!” ”.

La contemplazione vale la cura per i sogni altrui, necessaria per montare palcoscenici e commuoversi in definitiva, riflettendo sulla considerazione che persiste, per chi si attiva in balia dei sentimenti, ma positivamente; invece di perdersi nella limitazione di un destino, nell’oscuramento di attese illuminanti se s’intende andare oltre, fagocitando l’impossibile.
Il fatto di stare alla larga da un soggetto della natura, sradicato e trascinato dalle correnti d’aria, non avrebbe senso, perciò il poeta baderebbe a conservare nella sua pelle parole di un effetto dovuto solamente dalla sensibilità dell’anonimato; come se consapevoli del percorso da fare, ma anche di perdersi a un certo punto, ossia nodale.
L’importante è sapere che una persona a te cara stia bene, che si emozioni quindi anche e soprattutto leggendo parole da rendere pubbliche senza poi essere censurati, non condizionate dal pensiero che possano tornare al mittente e magari inspiegabilmente… altrimenti per un poeta come Mohorovich il bisogno di libertà varrebbe una prigione, quella più dura.

“Non ti devo più parlare…
Non ti devo più chiamare…
Non è vero.
Non posso smorzare la mia voce
così, come far calare il buio in una stanza
far rinsecchire le radici di una pianta
privare di goccia la pioggia.
Non posso”.
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VINCENZO CALO'

RIVISTA = IL SARTO DI ULM

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Macabor Editore annuncia l’uscita del secondo numero del bimestrale di poesia IL SARTO DI ULM

Il fascicolo è dedicato alla poetessa americana Emily Dickinson con presentazione e traduzioni di Piera Mattei. Poesie, inoltre, di Aldo Gerbino, Antonio Spagnuolo, Mattia Tarantino, Gianfranco Lauretano, Joseph Tusiani, Marta Celio, Ilaria Grasso, Roberto Maggiani, Pasquale Pinto e Rossella Renzi. Hanno collaborato a questo secondo fascicolo: Luca Benassi, Marta Celio, Pino Corbo, Mariapia L. Crisafulli, Luigi Fontanella, Piera Mattei, Fabio Prestifilippo, Enzo Rega, Emilia Sirangelo, Antonio Spagnuolo, Silvano Trevisani, Claudia Manuela Turco, Bonifacio Vincenzi.

L’abbonamento annuale per sei numeri è di 35 Euro e può decorrere da ogni periodo dell’anno. Per abbonarsi scrivere a ilsartodiulm@libero.it

La Macabor a tutti coloro che si abboneranno entro il 31 luglio 2020 invierà in omaggio i primi 3 numeri della rivista.

giovedì 18 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = CLAUDIA PICCINNO

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Claudia Piccinno : “Asimov: un volto inedito” – Ed. Il cuscino delle stelle- 2020 – pagg. 90- €10,00
Parlare a tutto spiano di un autore che è stato uno dei più grandi scrittori di fantascienza e divulgatore scientifico di agile scrittura, avvolto nelle meravigliose inquietudini della civiltà tecnologica, credo che sia un’impresa degna di elogio. Claudia Piccinno, nelle sue pagine realizzate con il tocco della dottrina necessaria all’incontro con un pubblico selezionato, ci offre la possibilità di conoscere a fondo sia la biografia di questo intellettuale russo, immortalato anche in alcuni testi cinematografici, sia la particolare stesura dei racconti raccolti in “Azazel”. Nella semplicità del dettato Asimov ha sempre tentato la complicità del lettore, augurandosi di essere facilmente compreso, e in questi racconti scritti in prima persona tutto il suo bagaglio culturale si evidenzia nella migliore espressione possibile. Molte le pagine che riportano alcuni brani in lingua inglese, ad esemplificazione delle capacità descrittive dello scrittore, e ricche di sospensioni per quelle che sono le pietre basilari della “fantasy”. “Azazel diverte il lettore – scrive nella conclusione- ma lo induce anche a riflettere sulle profonde inquietudini generate dalla civiltà tecnologica. Non più mera evasione, ottimismo spicciolo da gustare in isolamento divorando pagine di pulp fiction, ma richiesta di impegno, anche da parte del lettore, a ricercare un’alternativa. E, paradossalmente, in questa opera di Asimov l’umorismo si rivela lo strumento più efficace per spingere la gente a riflettere sulla propria condizione.”
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 17 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = PICCINNO E SENOL

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Claudia Piccinno e Mesut Senol : “Una brezza mediterranea tra poeti italiani e turchi” – Ed. Il cuscino delle stelle – 2020 – pagg. 160 -€ 14,00
Ventisei autori, scelti tra poeti italiani e poeti turchi, presentano in questa avvincente antologia le loro composizioni in tre lingue: italiano, inglese, turco. Originale impresa che senza alcun dubbio premia il lavoro di chi alla poesia dedica la ricerca ed il proprio ingegno. Il progetto ha un valore anche simbolico, se accettiamo che l’Europa è ancora oggi un organismo sovranazionale in fieri, bisognevole di ulteriori arrangiamenti politici e culturali, da plasmare con l’accorgimento dei valori spirituali e universali.
La poesia è lo straripante vortice avvolgente, l’impulso nella cui esaltazione l’elemento soggettivo sparisce per espandersi nella eterna facoltà simbolica della parola.
L’indice presenta i diversi orientamenti che esprimono il fare poesia, da Annamaria Pecoraro a Sabahat Sahin, da Carmen Moscariello a Mesut Senol, da Claudia Piccinno a Funda Ayture, da Nazario Pardini a Emel Irtem, da Elisabetta Bagli a Osman Ozturk, da Gianpaolo Mastropasqua a Emel Irtem, per citarne soltanto alcuni. Un florilegio variopinto, accattivante, dal quale traspare imperiosa la vena esaltante del registro, che è incarnazione del ritmo e della musicalità, per tutti quei versi la cui dinamica è forza di purezza e fantasia.
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALESSIO VAILATI

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Alessio Vailati : “Il moto perpetuo dell’acqua” – Biblioteca dei leoni- 2020 – pagg.80 - € 10,00 –
Interrotta da un “Intermezzo” in prosa, per tre brevi flash, la lettura di questa silloge prosegue con eleganti incisioni, nel ritmo incalzante del verso, che si propone con insistenti scintillii . Sono figure che si stagliano nel labirinto colorato del sub conscio, tra la quotidianità che coinvolge con le sue improvvisazioni, a volte inaspettate, e le immagini di uno strano “perpetuo moto dell’acqua”, mossa dal vento, imprigionata dai raggi solari, specchio instabile dei flussi, “colonna di speranza e devozione”.
“Le poesie di Alessio Vailati – scrive Paolo Ruffilli nella prefazione- tendono a significare una reciproca compenetrazione tra paesaggio naturale e mondo umano, a partire dalla vivida dominante del mare nella prima parte della raccolta e fino alla compresenza dell’intervento degli uomini con le loro costruzioni nella parte conclusiva”.
Il canto si fa morbido, sussurro di labbra che interrompe la vernice: “Poi sciaborda sull’umida marina/ un intreccio casuale d’onde e sabbia/ e, dove un mulinello d’aria scuote/ l’ombra, in alto si levano le voci./ Ma il mattino agostano dalla fauci/ cristalline annichilisce il pensiero.”
L’opera dell’uomo interviene a modificare il fragore dell’onda, una “chiostra di mura a strapiombo” delimita gli spazi e costringe lo sguardo, costringe “le placche di luce a sbalzare su argini e pareti”, così che “lo scandaglio segna la profondità della nostra essenza”.
Scrittura che avvia al ripensamento, che si presenta con un aspetto estetico di corretta fattura, nella sua versificazione che si compatta ampiamente con gli slanci dell’immaginazione, avventura, ed azzardo ad oltrepassare i limen della nostra vicenda umana.
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 16 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALESSANDRO RIVALI

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Alessandro Rivali : “Ritorno ai classici” – Ed. Ares – 2020 – pagg. 160 - € 14,90
“Una conversazione con Giampiero Neri” il sottotitolo.
Con una scrittura sorprendentemente avvincente e piana, sobria e delicata, elegante e corretta, la premessa (di trentaquattro pagine) ci trasporta nei ricordi che Alessandro Rivali accarezza per le frenetiche occasioni che la “lettura” gli ha offerto sin dai primi passi della sua fanciullezza, fino all’impegno dottrinale attuale. La rivisitazione parte da Salgari, con le meravigliose imprese di Sandokan, e dall’Iliade con le luminose gesta degli eroi omerici. Si continua poi con autori di tutto rispetto, sino a Giulio Bedeschi, Hermann Melville, Daniel Meldesohn, e ancora per lo scoppiettare nella memoria degli incontri amicali avvenuti con il poeta. La “conversazione” è un corposo viaggio culturale che ci avvince per la sospensione colorata delle immagini, del racconto, degli interventi. Un caleidoscopico sobbalzare dalla “luce di Omero”, Iliade e Odissea, ai Vangeli e a Dante, Bibbia ed Inferno, a Machiavelli e Pasternak, Tasso, Cervantes, Shakespeare, Melville, Lee Master, Manzoni, Baudelaire, Celine, D’Annunzio, vertiginosamente inseguiti e rivissuti nei paragrafi citati in gran numero e caratterizzati da una misura esatta, precisa, agile, capace di costruire le impalcature di personaggi e contesti, partecipando al percorso concreto della vivida letteratura. Il dettato ricama domande e risposte che Giampiero Neri e Alessandro Rivali compongono con il calore dell’avventura: un’unica lunga stagione, quella che condensa tutte le immagini e le osserva avvicendarsi senza sosta. È la stagione dell’analisi, della somma parziale, dello sguardo rivolto a quello che è già stato e all’impegno della piacevole indagine del probabile futuro. Si conclude con la frase: “i classici sono libri senza tempo, raccontano la gioia ed il dolore, sono l’immagine di noi stessi: sono il frumento, il nostro pane quotidiano…Il mistero della letteratura è il mistero della vita.”
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = DANIELA RAIMONDI

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Daniela Raimondi – I Fuochi di Manikàrnica-- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) - 2020 – p.p. 102 - € 15,00

Daniela Raimondi è nata in provincia di Mantova. Ha trascorso più di trent’anni a Londra e ora vive in Sardegna. Ha pubblicato otto libri di poesia e una raccolta antologica in edizione bilingue Selected poems, Gradiva, New York. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti a concorsi letterari nazionali, tra i quali il Premio Montale per una silloge inedita, il Premio Sartoli Salis per Opera Prima e i premi Mario Luzi, Guido Gozzano e Caput Gauri per opere inedite. È stata selezionata per rappresentare l’Italia all’European Poetic Tournment a Maribot, Slovenia, dove ha ottenuto il Premio del Pubblico (2012). Il suo primo romanzo L’ultimo canto d’amore, ha ottenuto i premi “Firenze”, “IoSrittore”, “San Domenichino” e Thesaurus”.
I Fuochi di Manikàrnica, la raccolta di poesie della Raimondi che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Emanuele Spano esauriente e ricca di acribia.
Il volume costituisce una selezione di testi che ha come denominatore comune il viaggio: storie di luoghi e di popoli incontrati nella vita, o a volte solo nell’immaginazione dell’autrice. Storie di esplorazioni, di migrazioni, di storia antica e cronaca recente. Storie di speranze che a volte si trasmutano in grandi sofferenze e morte. Storie che ci accomunano tutti, perché:” Facciamo tutti parte di una storia antica, migrazione di venti, correnti oceaniche, semi, canti, popoli e paesi” (J. Haryo).
Si potrebbe aggiungere a quanto suddetto che ontologicamente facciamo tutti parte non solo di una storia antica ma anche di uno stesso cronotopo, lo spazio nel tempo medesimo, e questa sensazione di comune appartenenza geografica nel nostro postmoderno s’intensifica per la presenza dei media che danno l’idea del villaggio globale, oggi più che mai al tempo della pandemia.
Huxley ha scritto un libro intitolato Tutto mondo è paese ma ovviamente anche se tutti gli abitatori della terra sono esseri con un corpo e una mente, l’assunto dello scrittore va preso con cautela a livello antropologico e politico perché il luogo della nascita per ognuno di noi è un fatto fondante nelle nostre vite.
Il discorso sulla diversità delle possibili vite si accresce di senso se consideriamo
il fatto che esistono infinite diversità di stili di vita per i terrestri e ci sono differenze enormi per esempio tra vivere in Svizzera e vivere ad Aleppo, città distrutta nel 2016 da bombardamenti nei quali sono morti moltissimi bambini come scrive Daniela che sente fortemente il tema sociale e nei suoi viaggi ha riflettuto molto su temi storici come quello dei conquistadores che giunti nel territorio degli Inca, se ne impadronirono per l’ignoranza dei popoli autoctoni che videro negli uomini guidati da Pizarro degli esseri soprannaturali. Ma poi in conclusione della poesia su questo tema la Raimondi scrive che i bambini poi furono generati in ventri di marmo e nacquero ciechi e gli Inca persero il loro paradiso.
La forma dei componimenti è connotata da un’esemplare chiarezza e la poetessa domina la sua materia con una scrittura controllata e tutti i componimenti di tipo narrativo e affabulante sono risolti in modo elegante e cristallino nella loro leggerezza e icasticità.
Mappe di viaggi di luoghi e di popoli anche ne non manca una vena introspettiva nella scrittura.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = BARBARAH GUGLIELMANA




Barbarah Guglielmana – Davanti alla tenda (ed. Lieto Colle)- 2014 - pagg.72 - €13,00

Testimonianze a pelle, d’impulso, si raccolgono con l’espediente romantico per approfondire l’affetto più esaltante che ci possa essere.
Dell’ego armonico ci si fa carico per interpretare la propria parte alla grande e aspettare in piccolo che l’immaginario, bello ch’esteso, si liberi per verseggiare sui giorni che non tornano, appassionando.
Un concentrato di volontà viene assunto sapendo da subito, da poetessa, di maturare una condizione di donna nient’affatto riduttiva per la gioia ch’esce fuori ad appagare particolarmente.
La sensibilità in parole della Guglielmana lievemente si addossa il massimo piacere, che si prova bilanciando, calmandosi; e con essa ritroviamo della sana baldanza nel porsi dei limiti.
La poesia, lavorandola, si evolve in origine, quasi per narrare, e nuovamente spunta quella dote imprescindibile, da sfoderare per coinvolgere con intensità come a prestare le dovute cure alla propria anima.
Sul finire della silloge, l’accento si disincentiva, e si schiarisce una fidata tristezza di base; ne consegue la soavità di una decadenza di pensiero, da trasmettere per sempre, all’oggi.
Le figure umane che smuovevano Barbarah da bambina sono racconti di attimi che si gonfiano piano, meravigliosamente, col senso della privacy, tra le verifiche dell’intuizione vitale, di un tris d’assi attitudinali; per amore, spontaneità e legame di sangue.
Però è come se molta felicità si sacrificasse, e non resterebbe che spiare, nei fori di una rete di protezione a scapito di esseri pungenti, invisibili, proprio quella loro sfrontatezza che non ci appartiene.
Per non cadere in depressione occorre avanzare, dimenticare, alla portata di tutti, l’essenza di un’immagine; a costo di nutrirsi per convenienza, purché si rimetta per reagire e sentire così di stare a respirare.
In assenza di qualsiasi impedimento, i consigli su come traspirare trasparenze deliziano, come la solennità di un rito che caratterizza l’umiltà di univoca specie, a procedere china, con la mente incapace di alleggerirsi.
Le preoccupazioni sembrano esigere carezze, mentre “lei” ingurgita materiale preziosissimo; e il più forte sentimento il suo ricamo, spostandosi per preparare cose prelibate e rifiutarle tardivamente… per lasciare il segno e ricominciare daccapo a sistemare l’ordinario.
Vedersi nudi era un modo per divertirsi e crescere?
No, s’è trattato di un errore di valutazione in prospettiva, imperdonabile!
Sprovvisti dell’aspetto fisico, tendenziale, v’è una fonte d’energia primaria che ricaviamo di getto, inasprita, tanto da renderci ugualmente aridi dentro; e, dovendo resistere alla superficie pervasa dalle piogge, nei gesti che ti aspetti ma che si tengono in serbo, facciamo razzia del creato che si avvicina spiritualmente, privato del tempo per consolidare.
Gli astri si calano, s’imputridiscono col freddo di una coppia di amanti la cui complicità si spegne in aria; e Barbarah è convinta che tutti se la prenderanno con lei, come se fosse stata l’autrice ad aver diretto un mistero come pochi, con un dato compagno succube, e non viceversa.
La Guglielmana amabilmente si scorda di vivere, essendo fedele al suo arbitrio, e della vastità che la circonda rilascia una carenza semioscura, alla probabilità di rialzare la testa e stimarsi, come la luce al naturale che trastulla le primizie non suscitanti più la benché minima atmosfera, distrutte dalla progressione dell’Essere.

Trattasi di una donna che ha desiderato e ricevuto il bene di una e più poesie, dando in cambio un sentimento tutto da provare; magari per l’uomo che se si ammutolirà infinitamente allora verrà considerato?
E dunque di una melodia che strugge per com’è perfetta, con le componenti gettate nell’aria quando essa ti aggredisce all’attesa di un mezzo di trasporto, a rinfrescare la decenza sessuale, necessaria per ricondursi alle lotte per la dignità di genere, con abiti nuovi, ma pur sempre in segreto, come nell’inconsapevolezza accresciuta dalla fertilità sommessa ma straripante.

“Mi cambio e mi nascondo”.

La poetessa appare nel pianto da gustare, da strappare dagli occhi; essendo anche solita a esibirsi con sterili motivetti, in balia di un’eccessiva temperatura corporea o di soluzioni alcoliche per debellare il cattivo umore… come se non si fosse accorta di non aver ancora intenerito le sue emozioni, una volta distaccatasi da sé per forza di cose, al margine di una città sollevato da anime che scrivono per letture da concretizzare.
Un cenno di follia insuperabile da ingerire, e si torna puliti, per non dire sotto colate di cemento, distanti dalla fitta vegetazione che le allegre accelerazioni della Fantasia riproduce; con la malinconia che perdura ma che non stanca se ti attivi per riconoscerti, in possesso di un’ambizione almeno, in assoluto.
Senza badare a quel che si sprigiona pigramente, per disperdersi nell’intento di cogliere la bella stagione e fare disordine tra le novità… in un luogo massimale; nella morsa, oramai allentata, dell’esistenza terrena.
Sono molti gli acumi destinati quasi a macchiarsi, di dura, femminea, fermezza, che gli uomini non devono manomettere oltremodo illudendo; l’autrice sembra addirittura implorare a codesti l’incutersi della reale bellezza planetaria, l’avidità nell’assaporare la bontà centellinabile quando il cuore batte forte, sistemando un’immagine da schiarire, tra le riflessioni occupanti l’altrove che si mostra immenso alzando lo sguardo urbanamente preteso.
Il rischio di soffocare sobbarcandosi della nullità stando a quanto emesso, alla reintroduzione mai complementare degli amorosi sensi, si frammenta constatando quel vento scaturito dagli spostamenti del partner, a spegnere la passione appiccata per polverizzarsi piacevolmente.
E rientrano le esitazioni finemente proporzionali alle meditazioni, per miracoli da seguire continuamente, tumultuosamente; tipo la felicità per una relazione autenticata, che sgorga dagli occhi e travolge le nudità.
Si è in cammino, “facendo il verso” al poeta monumentale, come un minuscolo essere vivente abilissimo a conservare ciò che ha da consumare, addolorato da un vortice regressivo che pulsa in grembo, la messa in panico che aggrazia invitando a respirare saggiamente, a osservare il tizio che, per evitare il maltempo, se lo prende invece in pieno, mentre una musicante, leggiadra, si eleva fino alla cognizione atmosferica perfetta, procacciando le menti di profondi scopritori di sé; fino alla motivazione imprescindibile se si dà adito al corso del tempo, per cui è necessaria della solitudine serafica alla “lei” radicata, convinta che i rapporti carnali non si rimediano ogni volta fugacemente e in maniera esemplare, alla strenua del distensivo pudore.
Dovendo ragionare talvolta in controtendenza, e ritrarre qualcosa di logico sul telo dell’aldilà, in possesso di quella libertà per infondere aforismi dedicabili a una carenza di propositivo impatto.

Rimangono dunque fogli per trattare crolli di psiche, voli nell’aria avversa per principio, alla boccata d’ossigeno che incorpora chi si distacca dalla propria posa, chi si riordina per effetto della coscienza, nell’interpretazione della concretezza appesa al muro della memoria, magari dai propri nonni.
Barbarah infatti assorbe, dal trafiggente buonsenso dei suoi cari, degl’intenti indefinibili per natura, mentre spiega come poter ascoltare il mutismo degli anni trapassati, al richiamo della quotidianità (quando non appesantiva come oggi), che incuriosisce solo quand’è possibile accarezzare le diversità di carattere, di espressione, di armonia, per stabilire il vissuto; con la commozione che abbaglia, a causa di volontà più che tangibili, tipo quella di lasciar sbocciare fiori che profumino di morte, scalfendo l’olfatto intrattenibile per esperienze significative, da custodire.
Dei volatili fatti d’infamia e di lode, intanto sembrano capaci di lasciare in sospeso la poetessa, di renderla raggiungibile, lungo una via da illuminare attraversandola, anche scrivendo pensieri su pensieri come a piovere nuovamente; e perché no sfidando l’entusiasmo per sostare nella casa di Dio e scioglierne i particolari in compagnia di persone che ti aprono il cuore, desiderando oltremodo di tornare indietro per godere di un’innocente passività?

“Cambierei ogni preghiera disperata di me adulta
con quelle preghierine di allora…”.

La nostalgia rimanda alla cura spasmodica, che si reputa solo dopo elettrizzante, dei sogni di una fanciulla che dovevano assolutamente uscire fuori.
Al buongusto da considerare istintivamente, senza badare alle conseguenze, per far sì che l’autunno risulti per sempre incantevole, quanto il nervo scoperto che non va masticato a dismisura, d’accusare al proliferare di una valenza impossibile da complessare e per giunta col cattivo appetito, accelerante gli eventi con in mezzo quella maledetta sensibilità da sviluppare.
Per fare pulizia sulla morale che non ci potrà mai appartenere, pur costretti a tatuarcela per l’ossessivo ricordo di un tesoro da smitizzare per il bene di una creatività impellente, per la minuziosa unicità d’abbinare al presente.
VINCENZO CALO'--

lunedì 15 giugno 2020

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

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"Alessia trova il lago della pace"

Attimi rosapesca nella prealbare
tinta del cielo e Alessia
nel beneventano esiste
nel vagare con il motorino
per strade naturali tra i filari
dei pioppi le alberate a
imprimersi il verde vegetale
nell’anima felice di ragazza.
E trova la liquidità del lago
a Telese con Mirta accanto che
sorride e le acque riscopre
nel rimanere in costume
e tuffarsi per il rigenerante
nuoto a stile libero.
Poi la casa di Giovanni
di campagna per fare l’amore
nel cercarne gli occhi.
*
Raffaele Piazza

domenica 14 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = CLAUDIA PICCINNO

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Claudia Piccinno : “Ali d’inchiostro” – Ed. Verlag Expeditionen – 2020 – pagg. 108 – s.i.p.
Correttamente tradotta in tedesco da Gino Leineweber la raccolta che Claudia Piccinno offre in lettura, presente anche in lingua italiana, è un succoso iter poetico tra i frammenti della nostalgia, tra le schegge di memorie, tra eteree vertigini di illusioni. Traspare sobria in tutti i versi un’elegante espressione culturale che rende il ritmo ricco di colorazioni, per immagini, suggestioni, palpitazioni, attese. Una poesia che guizza di quotidianità mentre “Ali d’inchiostro tracciano/ rotte del sapere,/ riscrivono itinerari di volo,/ con tenero tocco/ cullano un sogno.” Gli sguardi si incrociano quando si accendono sorrisi o quando si incontrano “clochard nei loro stracci”, ed i ricordi accendono lampeggi, mentre “gli anni passano lenti e la nostalgia si affaccia a momenti”. Un canto soffice che si armonizza con le colorazioni intrappolate nell’ambra, che diviene carezza “tra le ombre cinesi che danzano riflesse allo specchio”. Anche il dolore del vivere emerge in una sua energia nuova e martella nel succedersi metaforico dalla fragilità del corpo alle sospensioni del dettato. Così gli abbrivi temporali e le suggestioni emotive conservano il fascino del “simbolo”.
ANTONIO SPAGNUOLO

sabato 13 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

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Francesca Lo Bue : “Albero di alfabeti” – ed. Società Editrice Dante Alighieri – 2020 – pagg. 70 - € 8,00
Raccolta poetica bilingue (italiano-spagnolo) realizzata con la simpatica elaborazione dell’alfabeto, e suddivisa in due sezioni che vanno ambedue dall’ A alla Z, la prima italiano / spagnolo e la seconda spagnolo/italiano, per un rincorrersi di apparizioni delle parole che con la lettera prescelta hanno l’incipit.
Il ritmo incalzante dei versi si snoda attraverso figure che con la metafora aprono un ventaglio variopinto, attraverso illusioni visive o folgorazioni inconsce. Un tragitto segnato dal lavorio incessante, tutto teso, elegantemente, ad agglutinare la “parola” poetica alla “parola” necessaria per ottenere il suono infaticabile.
“L’alfabeto – scrive la poetessa nell’introduzione – è una catena tenace di testi antichi in cui ogni lemma procede secondo visioni che adombrano, evocano, illuminano.” Ed è così che ogni componimento ha una sua particolare significanza, una sua particolare illuminazione, una sua particolare musicalità di scrittura, che accarezza l’esplosione del suono per aprire multipli incroci, enumerare abitudini, esprimere sentenze, approfondire sogni, rielaborare memorie, sventare minacce, evitare illusioni e disinganni.
Affascinante il gioco esperto della traduzione, in quella lingua spagnola che di per se stessa è ritmo coinvolgente.
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUCA PIZZOLITTO

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Luca Pizzolitto – Tornando a casa---puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2020 – pag. 111 - € 13,00

Tornando a casa, la raccolta di poesie di Luca Pizzolitto che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una postfazione di Emanuele Spano esauriente e ricca di acribia.
Il primo dato che si nota, attraversando con la lettura l’opera di Pizzolitto è quello di una avvertita dolcezza nei versi dell’autore nella loro leggerezza e icasticità, una maniera tenera nel manifestarsi al lettore che si avverte soprattutto quando Luca si rivolge ad un tu, presumibilmente l’amata, interlocutrice della quale ogni riferimento resta taciuto.
È un procedere nell’ambito della linearità dell’incanto e la poetica di Luca pare essere connotata dal dono del turbamento che si risolve in immagini che sgorgano le une dalle altre, suadenti e ben modulate, che potrebbero senza dubbio essere annoverate nel filone neoromantico della poesia contemporanea.
Cifra incontrovertibile della poetica del Nostro è quella neolirica tout-court e quindi Tornando a casa è un’opera originale nel nostro panorama nel quale dominano gli sperimentalismi e gli orfismi.
La stesura dei tessuti linguistici suddivisi in varie scansioni accentua il carattere composito e articolato del testo a livello architettonico per cui il poeta riesce a produrre un’opera interessante e intrigante capace di coinvolgere chi legge che ha l’impressione di affondare nelle dense pagine.
Il libro è suddiviso nelle seguenti sezioni: Poiesi, Alla muta fonte, Lo sguardo delle cose, Il distacco, Nel lento corso degli adii.
Un tono di sogno ad occhi aperti sotteso ad atmosfere di onirismo paradisiaco più che purgatoriale caratterizza il poiein di questo poeta abilissimo nel ritagliarsi con quest’opera per la sua peculiarità un posto unico nel suo sfiorare con grazia e nitore l’elegia
Un fattore x di magia intrisa di vaga bellezza connota la raccolta che esaminiamo e i versi hanno una valenza anche ontologica che si realizza in una tensione salutare e salvifica e poco è detto della quotidianità.
Anche la tematica religiosa è affrontata nelle poesie come, per esempio, in Lontano da te componimento nel quale è detto con urgenza il Cristo, un Gesù scalzo e di poche parole.
Nel suddetto testo avvertiamo un coniugarsi di misticismo e tema amoroso quando, rivolgendosi al tu, il poeta dice alla donna che lo stesso Cristo dimentica i giorni e gli anni passati lontano da lei.
Una certa chiarezza connota i dettati limpidi, nitidi e sinuosi che trovano elegantemente la soluzione e ottimo è l’uso della strofa in ogni singola composizione, nell’emanare ogni testo una luce bianca e azzurra.
Il tema del tempo pare essere centrale in Pizzolitto a partire dalla salvifica constatazione che si risorge ogni giorno in un eterno ritorno.
E il tema del tempo è detto anche nell’avvicendarsi delle stagioni come nel magnifico incipit: Spalanco le finestre sugli avanzi/ dell’inverno.
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Raffaele Piazza

venerdì 12 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIOVANNI SATO

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Giovanni Sato : “Il canzoniere dell’angelo di terra”- Biblioteca dei leoni – 2020 – pagg. 176 - € 12,00
Le visoni che evocano ed illuminano il ricco canzoniere, sospeso tra il racconto e le immagini, echeggiano lampeggi dentro un proprio spazio, che rappresenta tratti svariati e diversi di una ricerca lirica, sintesi riferibile alla rivelazione. Scrittura piana, levigata da uno stile culturale classicheggiante, ma ben accostato alla fonte del frammento, con i suoi propri simboli e le sue interferenze, che accostano la valenza dell’immaginazione al ritmo dei versi.
“Dalle tue fronde colgo/ l’immortalità del tempo:/ sia esso l’infinito/ o il breve volgere del dire./ Per sempre lì da sempre certo/ è il tuo ritorno ad ogni cambio/ dell’angelo sulle punte/ nel riverbero sospeso.”
Il pensiero scorre rapido fra rami da scoprire e carezzare, un inseguire la “parola” poetica, che realizza figure retoriche istintive, costruendo a mattoni variegati un’armonica scala, dalle singolari note, confermando la passione che si applica al turbamento. Puntuale, sobria ed esauriente la rapsodia che proietta le emozioni, che questo stravagante e attento “angelo di terra” riesce a tratteggiare, sospeso al suo ramo. Angelo che suggerisce, che consiglia all’ascolto, che crede nell’aritmicità del cuore, che ha preziose parole nella solitudine, che avvolge le ore quando il verde cambia verso il giallo, che ha un dire di pietra con parole di sasso. “E’ un ramo basso ma non conta/ l’altezza conta più lo spazio/ che dall’alto al basso arriva dentro.” Anche il moto dell’anima, ai tempi dell’assenza, al momento di un intimo frusciare, allo sbandare di un sogno, al “suono nuovo che tutto ripercorre”, al sereno canto delle stelle, è un moto che diventa poesia, con la sua semplicità e tenacia.
Il debole sguardo del nostro essere terreni si volge ai riflessi luminosi che un angelo irrequieto adagia a quella realtà che sembra voler nascondere ai nostri occhi le sue insidie e il suo esplodere.
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 11 giugno 2020

POESIA = PAROLE A CAPO


nuovo capitolo di "PAROLE A CAPO" :
https://www.ferraraitalia.it/parole-a-capo-livia-silvestri-deridda-e-altre-poesie-206820.html?fbclid=IwAR2nr5f-swze9ieX8X3T8Uy9WnMMaYt_Ss97JByv1_7ST3dRQ5H93UXYOJo
Buona lettura.

martedì 9 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO DI LENA

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Antonio Di Lena – Rabbia, veleni ed altre eresie… (Mama Dunia Edizioni) 2018 - pagg. 88 - € 10,00

Versi alternativi, distanti dall’armonizzazione di un’esaltazione o di un cordoglio.

Il poeta in questione s’inabissa nelle attuali traversie indicando le tante ambiguità serpeggianti sulle condivisioni, la putredine galoppante per indole terrena, ma non perdendo tempo ad ammonire tendenziosamente.
Quest’opera letteraria vale un arnese da utilizzare nella società in modo impeccabile, affinché si possa condannare la gente telecomandata da benemeriti ipocriti.
Leggendo ti fermi a una terminologia che volge all’asprezza del privato, con voluta ironia, non essendoci cose né persone che possono scamparsela, dovendo tutti fare i conti con la verità che incarniamo.
Per distendersi tra queste poesie occorre parsimonia, una volta stritolati dai significati, o saputo d’essere delle vittime con tenerezza magari, pur sempre per avere di che rivendicare… sospinti a scandire i giorni, per cui ci vuol coraggio, scrutando apertamente delle ambizioni, con la giustizia da ricaricare con proiettili di sacrificio per attivarsi, per un qualcosa d’indispensabile da fare.

La raccolta presenta diverse tematiche, si passa dalle rinnovabili idee di salvezza al rispetto per chi migra, in una condizione di salute assurda per quant’è precaria, come se percossi da emozioni da provare e riprovare, raggiungendo delle mete con una creatività da diversificare.
Di Lena si lamenta sul serio perché ci tiene al bene comune; con tutta un’immagine propria che porge tentando di narrare una zona d’Italia, quella meridionale, ch’è divenuta sconfinata per gli umani sensi, purché non ci si rassegni all’emarginazione tutti insieme, dimenticando spesso e volentieri di nutrire delle passioni per intimare buoni propositi.
Grazie ad Antonio si armonizza il Pensiero circa uno stato di sopravvivenza che sembra che siamo costretti ad accettare, giacché impossibilitati ad alzare la testa per essere dei protagonisti nell’agone civile; addirittura incapaci di preservare le meraviglie del creato ristabilendo dei primati di puro ideale, facendo i matti per tornare in forma.
Secondo l’autore ci divertiamo facendoci del male a vicenda, conficcati in un posto incontenibile, che si espande di continuo svecchiando solo all’apparenza; specie a sud della Puglia, dove la natura dei sentimenti si è tradotta in una eccepibile forma di residenza per un pianeta che sta per esplodere a causa di persone avanti con l’età soprattutto nell’anima, miste alle nuove leve che vogliono ignorare il loro futuro come quello degli altri.
La vita viene qui poetata tra la banalità di una dedica d’amore, tanto dolce quanto popolare, e l’amaro far niente quando si ha d’aspettare il secondo tempo di una commedia brillante, in mezzo al pubblico… soffrendo nel lungo viaggio di ritorno da una sconfitta chissà se come tante.

“Scontata come un pensiero carino
in un cioccolatino famoso,
noiosa come
l’attesa durante una pausa
in un cinema d’autore,
faticosa come una trasferta persa…” .

Il Salento nella raccolta lo s’impersona con della fragilità che rasenta il crimine; sostenendo un collettivo politicamente inutile, se non una coalizione gigantesca composta da esseri che in fondo non vanno d’accordo, per sconfiggere il terrore rappresentato da un’opposizione fiera, forse, di stare in minoranza.
Di Lena non si dimentica di chi in fondo non si sporca le mani toccando la massa, e se lo fa è per iniziare a legittimare un potere ignobile, anche se probabilmente l’alternanza in vetta si sta per ricreare.

Poetando, Antonio riesce ad annusare il proibito, ma per giustificarlo servirebbero centri di sperimentazione tali da musicare la ragione e raccontare così più vite possibili… saggiamente, come lo si faceva un tempo.
La memoria ritempra in modalità underground un uomo che si è formato senza chiedere aiuto, e difatti Di Lena si sente in debito con nessun individuo per aver realizzato tutto ciò che desidera, rialzando quindi la testa dal basso di ciò che si pattuisce in certi posti del sud Italia.
I versi appartengono a una veste esistenziale che si apre o si chiude pian piano, rifiutando delle consulenze altisonanti se la verità volge altrove con storie di una povertà isolatasi, di una desolazione da aggiornare.
Il cambio di passo va sviluppato come a perdere la vista nella Storia, cosicché certi sguardi di mortificante pettegolezzo s’insinuano tra i pensieri del poeta circa un cenno d’intesa per non dire d’umanità… Antonio percepisce il fatto di meravigliare un pubblico vacante, un riempitivo per l’individuo che lacrima il proprio essere.
L’atmosfera notturna s’impossessa deliziosamente, musicalmente dell’autore, roba da sentirsi indifesi, da voler essere rigidi a scapito dell’irrazionalità che va di moda suscitando facilmente delle negatività; come a non dover più illudersi sensibilizzando patrimoni che ci riserviamo, necessari piuttosto per orientarci e vivere una rivoluzione ben pensata.
La desolazione che si riproduce anche cantando svanisce in una corrente d’aria, chi la riceve in dedica si deve svegliare per appurare un dolore e fare luce tra i pensieri, per il bello da sancire con la fragilità degli animali più evoluti, chiedendoci quale raddolcimento ci debba servire per non agire crudelmente, quale incomprensione oggettiva latita personalmente, nel vuoto… a patto che l’ignoranza non riguardi una scelta di vita, fatta guardando in faccia a nessuno.

Se la Storia presenta il suo conto al maligno, in un’atmosfera di rivalsa, allora Antonio pretende d’essere ricordato in sua assenza tenendo conto di una dignità, la sua, troppo spesso oltraggiata quando c’è da confrontarsi.
Di contro, il poeta si trova ad immaginare dell’orrore sancito poiché torna indietro, decapitandone gli artefici, col nullaosta delle forze della natura, deliziose quando c’è d’ammettere che non vi sono certezze rinsaldabili allo scontrarsi fino ad assimilarsi, giacché dimezzati dal fatto di aspettare passivamente vite contorte se temute; se non v’è modo d’informarsi coraggiosamente, per il bene dell’onestà intellettuale, per consacrare la memoria in amore, consapevoli che gli esseri umani sarebbero incontenibili, altro che la mansuetudine di cui si fan carico certi, poveri animali.

“Cosa ti è mancato di tanto tenero da divenire atroce?
Cosa non ho fatto di tanto importante da non capire il tuo malessere?
È l’esempio che ha generato un mostro
o la tua voglia di non ascoltare che ha abbandonato per primo te stesso?”.

Con la copertura democratica spesso e volentieri l’individuo detta leggi infide, immortali, da spazzare via con una spontaneità che si ottiene desiderandola, alla faccia di un Mussolini per esempio, e di tutti coloro che lo invocano, che faranno la sua stessa atroce fine, almeno secondo l’autore; che ritiene anche che l’intolleranza per quel che concerne a una sessualità particolare viene sfoderata da taluni per non far intendere quanto si è tremendamente fragili.
I versi sembrano talvolta dialogare come diavoli rinchiusi in una persona che sa però che sotto sotto serve amare per svilupparsi e debellare l’estraneità, e ritemprare lo spirito tra due e più corpi… in vista di tutto ciò che ci dobbiamo aspettare, specie se non dichiarato, pur venendo ugualmente denunciato, essendo dunque costretti a pescare dell’autostima dal rispetto che si deve avere per gli altri, per quelli che hanno capito da subito che si diventa stupidi soprattutto a forza di fare richieste schiaccianti.

“… in ginocchio non supplichi ma comandi
i tuoi occhi sono profondi e spenti…”.

Elementi nient’affatto complessi emettono quella luce su fatti delicati da poetare, quelli che emergono lavorando e cercando di stare in forma, tra ricchi e poveri lucidatori peraltro di una fede religiosa regredente la società che non acconsente all’integrazione del diverso… una società così snervante e pesante da non riuscire più ad appassionarcisi caratterizzando magari il meridione.
Fidatevi: Antonio se estremizza lo fa per delle giuste cause.
La verità sta nello sradicare da un luogo d’origine sentimenti che si complesseranno da sé, un’amara riflessione che appare e scompare spesso leggendo questa raccolta, con l’auspicio di rifarsi tenendo a bada un talento, e magari artistico, come quello di Di Lena… a dimostrazione che il silenzio andrebbe tradotto in poesia più spesso, piacevolmente.
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VINCENZO CALO'

lunedì 8 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

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Francesca Lo Bue – L’emozione della parola--Edizioni Progetto Cultura – Roma – 2010 – pag.142 - € 14,00

Francesca Lo Bue nasce a Lercara Friddi (PA); ha pubblicato numerose raccolte di poesia in lingua spagnola e in italiano; vive e lavora a Roma.
L’emozione della parola, la raccolta di poesie di Francesca Lo Bue che prendiamo in considerazione in questa sede presenta il testo a fronte in spagnolo, elemento che per il lettore bilingue aumenta il fascino e il pervadente senso della lettura.
Il libro non è scandito e per la sua unitarietà strutturale, formale e contenutistica potrebbe essere considerato un poemetto.
Una poetica descrittiva, nella quale s’insinua una venatura intellettualistica, connota questo volume che, a partire dal suo titolo s’inserisce nella categoria dei testi poetici che riflettono su sé stessi in modo autoreferenziale nel dire con urgenza, in questo caso, con una parola raffinata e ben cesellata, il tema della poesia della poesia, della parola nella parola.
Il primo componimento della raccolta ha un titolo programmatico a partire dal suo nome Nota, come se fosse un’annotazione sul carattere stesso del poiein dell’autrice.
Nell’incipit della suddetta composizione viene detto che la Patria è il cuore e l’espressione delle parole del cuore e non un’entità geografica e nel nominare la parola Patria è presumibile che la Lo Bue si riferisca a qualcosa di iniziale e iniziatico che potrebbe essere una genesi o un luogo fuori dallo spazio e dal tempo.
Una forte densità metaforica e sinestesica diviene la cifra essenziale di questa scrittura e una forte vena neolirica pare connotarla tout-court, vena che raggiunge un esito veramente alto nello splendido verso: una terra bianca cade dal vuoto di una clessidra, verso nel quale la stessa terra potrebbe significare sia un posto innocente per la sua tinta candida sia un qualcosa di consistenza vaga come la polvere che segna il tempo nella clessidra stessa.
Associato al tema della parola pare essere il tema del tempo vissuto come ricerca di una provenienza e in La parola viene detto il tema del tempo stesso con un riferimento pressante al passato che si smarrisce e molto pregevole è la sinestesia usata dalla poetessa succo del passato.
È presente anche la tematica del dolore che nell’essere nominato elegantemente trova la sua redenzione e molto belli e affascinanti sono i versi nei quali Francesca si rivolge ad un tu al quale dice che si affacciò sulla sua solitudine e che da allora la solitudine dell’io-poetante stesso non è più vuota e muta non è più sola e surreale è intrigante è l’immagine di una solitudine che non è più sola che evoca una parvenza di nonsense.
L’ordine del discorso della raccolta nella sua densa e coesa essenza pare essere connotato da una vena icastica e nell’esplicitarsi di una forte dose d’ipersegno nonostante caratteristica dei componimenti pare essere una certa chiarezza che si coniuga egregiamente alla sua leggibilità.
Un senso vivo di mistero ed inquietudine nel quale non mancano atmosfere di luci e ombre kafkiane pare serpeggiare nell’intera raccolta e tutte le poesie icastiche e nello stesso tempo leggere esprimono qualunque sia il tema sia toccato una tensione verso l’azzeramento dell’essere che è lo stesso io – poetante, finalizzato a cercare l’essenza.

Raffaele Piazza

domenica 7 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = MICHELA ZANARELLA

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Michela Zanarella : “La filosofia del sole” – Ed. Ensemble – 2020 – pagg. 58
Un tuffo energico e colorato tra le onde vertiginose della filosofia caratterizza queste poesie incise nella pagina con il tocco accorto e calibrato della “parola”. Anche l’invisibile acquista luminosità tra i riflessi di una luce che incide e che proviene dal sole carezzando figure e paesaggi. Le metafore palleggiano tra i silenzi e le illusioni, tra il sognato e la speranza, rintracciando nel profondo della coscienza quella dimensione metafisica che ogni essere umano conserva nel proprio sub conscio. Come puntuale commento la trascendenza si sofferma nelle ambiguità tra l’assurdo dell’imprevisto e il tangibile del quotidiano.
“A volte serve riprendersi il tempo/ di una scintilla sulla pelle/ l’idea di un bacio che non muore/ per scoprirsi prossimi all’infinito.” Sussurra la poetessa nell’incipit, ricamando in breve qualche segnale di sentimenti sopiti: “Se l’amore è comunione di cielo e terra/ e anime giuste/ allora è fuori dal sudario della carne/ la genesi azzurra/ reminiscenza di chiarore.”
Luce e silenzio, meraviglia e stupore, sole e segnali del destino, riflessi e sangue nelle vene, infinito e verità, sono il ripetersi nei versi del semplice mistero che la poesia riesce a inseguire nel suo lungo e imperituro percorso emozionale.
“Magari non basta esistere/ per un tratto di stagioni per dire – ho vissuto –/ forse serve incontrare il cielo in terra/ e l’amore che trasuda dalla morte/ forse serve spingere l’anima addosso all’invisibile/ senza fingere che aprire gli occhi sia l’inizio.”
Il modello plasmato dal pensiero si manifesta in piena regola, nella fervida immaginazione del dettato e riordina proiezioni in perfetta sospensione tra realtà e fantasia.
Il verso, dal ritmo cadenzato e musicale, riesce a realizzare la simbiotica fusione degli angoli remoti con il desiderio di esprimersi. Un effetto estetico che rende leggibili riferimenti emblematici ed aperture degli slanci contemplativi.
Quale sarà la verità “che nasce dal respiro delle cose/ assomiglia al silenzio delle foglie”?
ANTONIO SPAGNUOLO

sabato 6 giugno 2020

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

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“Azzurri”
Trafiggemmo nel cielo alcuni azzurri
pastello,
ché non avevi spazi ad inseguire favole.
Era la storia che spezzava gli anni
tra le mie parole,
la paura di un flauto ferito
da quel dio insolito schermato fra i cespugli,
sgualcendo cattedrali.
Nei solchi il tuo mantello , le unghie
del silenzio per ritorni d’amore,
nel gesto incaute occasioni.
Là dove c’erano glicini o soltanto
segni di una possibile scomparsa,
compaiono le orme delle nostre scansioni,
compaiono i giorni del giardino
che ripete il mio gesto.
Resta sospeso un capogiro
nel quaderno di un’ora.
*
Profumo di carne nel sortilegio della tua cera,
scolpita per stordire,
mentre s’ingorga l’inguine brunito
stringendo anelli e porpore.
Il candore della voce accresce distanze
tra le immagini inesplorate
e la mia alienazione,
rubicondo tranello di quelle luci del giorno,
che mi avvolgono quando sei tra le pareti.
Anche nei silenzi trovo la rete
col segno della fuga, e dai segreti sussurri
l’impossibile carezza della solita illusione.
Ad uno ad uno i cristalli sciolgono riflessi
tra le falangi ed i polpastrelli
nel confondere giorni e licheni.
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ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

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"Alessia e la sintonia con la natura"

Attimo di limbo prima
di pregare Alessia ragazza
nell’interanimarsi con il sole
che fa l’amore con l’azzurro
e sta infinitamente Alessia
nel ricominciare a gioire
prima di fare l’amore
e la natura è il ficus beniamino
nella camera con la sua
gemmante ansia pari a quella
di Alessia come una donna
sedici anni contati come semi
Alessia dai seni rotondi.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = LINO ANGIULI

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Lino Angiuli : “Addizioni” – Ed. Nino Aragno – 2020 – pagg. 168 - € 15,00
Un succoso lungo soliloquio (“Un poemetto chiaro e tondo”) apre questa silloge dal sapore ironico/sentimentale, gioioso/sconsolato, illusorio/rattristato, che si chiude con:
“tutto sommato e tutto sottratto dunque si tratta
di tirare le somme prima dei remi in barca per
spiattellare ai 4 venti tutti i malori dell’anno 0
pensati a tavolino da chi mette il cappio al collo
a quella specie di umanità diciamo vegetale che
con la scusa della poesia resta e resterà la mia.
In fin dei conti non ha fretta l’uno che ci aspetta.”
Lino Angiuli, che realizza da lungo tempo volumi di spessore, sobriamente concepiti e validamente ponderati, ancora una volta ci sorprende per quel suo brillante indagare dentro e intorno alla risonanza della “parola poetica”. Un suggestivo gioco di tessiture tra le innumerevoli proposte che l’allegoria e le “figure” riescono a focalizzare nella vertigine del dicibile. Qui allora ci perdiamo nei labirinti, sempre brillanti e lampeggianti, di un tessuto linguistico volutamente arzigogolato, atto a sorprendere e ad avvolgere il lettore, tra l’ambivalenza della struttura che dispiega nei simboli e nelle metafore il disordine/ordine nascosto nell’oggetto artistico e lo straniamento emotivo, ad effetti perturbanti, nei quali lo smarrimento riesce a concepire un’attività riparativa, raccontata mediante l’emozione lirica di una totalità precocemente perduta.
Il gioco continua imperterrito con il simpatico saltellare delle note musicali, sciorinate ed intrecciate in “due confonie”, che da sole riescono a sostenere l’impatto di una strana onnipotenza, la quale riflette la folgorazione del trascendimento, sovrapponendo il parossismo del recitativo alla fantasia della trappola.
Ma non si arrende il poeta ed affonda nel “sei per quattro di questo e di quello” con la memoria “che sfabbrica i ritratti macinando gli annuari” o per “poter ascoltare la prima voce del creaturo quella che diceva la parola vecchia come nuova”, mentre soggiace la creatività all’aspetto di un effetto luminoso che genera mano a mano la sua struttura nel ritmo.
Improvvisamente “Amleto innamorato” sussurra:
“Unguentami tutto con l’arte del polpastrello
ma fallo per favore dall’alluce alla luce
mentre raccogli una nuvola dopo l’altra tra
pollice e indice e dolcedolce l’accompagni
nel luogo immenso del balletto universale
una la impasti con la saliva medicamentosa
per farla scivolare in bocca come un’ostia.”
La ricognizione non conosce ambivalenze, quasi che parole e pensieri non bastano mai per quella suggestione che il verso riesce a modificare. L’assoluto ha un’espansione in un lungo repertorio di immagini, e la “parola” vince ad ogni pagina, costruendo in un capitolo, “tot affetti personali”, il ricco carosello di testi in lingua, in dialetto, in inglese, in caratteri cirillici. Così, sempre nella fulminante danza delle immagini, non manca un accenno alle patoloogie che possono affliggere l’essere umano:
“Fu in verità il duodeno ad attaccare briga
prendendo a strozzarsi in forma di clessidra piedivolta
per riguardarsi almeno dalla renosa diarrea
d’intonaci croste stucchi vari di città naftose
scaricati a posare nel museo dei bruciori
di cui si vanta e fa sfoggio ogni gastrite vera.”
Il diorama introspettivo va oltre i confini narrativi e lo snodo appartiene ad un risvolto che sembra essere psicoanalitico, che concilia i contrari e rinvia alla specularità di una realtà esterna che ci stordisce nel quotidiano. Nella semplicità realistico-esplorativa delle metafore che l’autore propone si coagula argutamente l’apparire e lo scomparire simbolico delle configurazioni, tra sostanze foniche e cromatiche, sinergie di fusione, vertigini paniche.
Redazione variegata, multiforme nelle sue stesure, alternante ritmi che sospendono il fiato o che rincorrono lo scavo in apparenza irrazionale, nutrita da una cultura del tutto particolare per la sua architettura, capace di coniugare le matrici sempre diverse per colori apocalittici e strutture accecanti, nel riflesso del verso che condivide impulsi e visioni. Scrittura che basa il suo dipanarsi su alcuni giochi sonori che tanto sanno di romanza pucciniana, o di armonie magiche agguantate nella loro ondulazione.
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Completa preziosamente il volume il saggio di Daniele Maria Pegorari, ricco di acribia, nel quale l’exursus parte dalla poesia di Lino Angiuli del 1967 ed attraversa tutta la passione dell’autore sino alla ultima realizzazione delle immagini che si fanno poesia dinamica e fulminante. Iter che sembra voler centellinare gli elementi determinanti dell’opera del poeta nelle dimensioni dalle sfaccettature multiple, dall’inseguimento dei contrari all’aggregamento degli intarsi.
ANTONIO SPAGNUOLO
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(questa recensione appare nel numero 2 della rivista “Il sarto di Ulm” marzo-aprile 2020)