martedì 30 luglio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

ANTONIO SPAGNUOLO – "Il senso della possibilità" -
Kairos Edizioni – Napoli – 2013 – pagg. 101 - € 14.00


Antonio Spagnuolo è nato a Napoli nel 1931; è presente in numerose mostre di poesia visiva, inserito in diverse antologie e collabora a periodici e riviste di varia cultura.
Di lui hanno scritto numerosi autori fra i quali A. Asor Rosa che lo ha ospitato nel suo Dizionario della letteratura italiana del Novecento e nei volumi della Letteratura Italiana (Einaudi, 2007).
Il senso della possibilità è una raccolta poetica non scandita, bene articolata architettonicamente e molto organica nelle sue parti.
Il titolo del libro si rifà ad un concetto espresso dallo scrittore austriaco Robert Musil nel romanzo L’uomo senza qualità, quando l’autore fa una distinzione tra senso della realtà e senso della possibilità, non senza astenersi dal compiere una riflessione di tipo filosofico, simile ad un esercizio di conoscenza.
Il senso della possibilità finisce qui per essere sovrapponibile al senso della poesia stessa, essendo, non a caso, in essa, tutto presunto
Come scrive Carlo Di Lieto nella nota introduttiva, ricca di acribia, la scrittura delle immagini ne Il senso della possibilità concede al lettore una perfetta armonia di toni e di soggiacente albicanti attraverso il suo nuovo modo poetico
L’opera si può considerare l’esito più alto del poeta napoletano, che riesce a produrre una poetica altissima che rasenta il brivido e l’estasi.
La scrittura è icastica, densissima e veloce, scattante e connotata da leggerezza; i versi scaturiscono l’uno dall’altro, nel loro procedere per accumulo.
Il poeta intende compiere con la sua materia un provvisorio inventario della sua esistenza.
E’ presente un forte senso di misticismo cristiano; c’è un tu al quale l’autore si rivolge, del quale ogni riferimento resta taciuto.
Nelle poesie finali, i tredici componimenti In memoria di Elena, Spagnuolo tenta di stabilire una comunicazione con l’amatissima moglie, compagna di vita, recentemente scomparsa, cercando di riattualizzare la sua presenza, attraverso una mistica sublimazione del dolore.
Cifra fondamentale della raccolta pare essere una forma ben controllata, tramite versi musicali e sincopati, caratterizzati da un’elegante cadenza.
La scrittura procede in lunga ed ininterrotta sequenza, nonostante la frequente punteggiatura.
Rispetto alle altre opere in versi del nostro, si nota qui una maggiore chiarezza, anche se restano presenti le aperture verso una connotazione di tipo preconscio e inconscio.
Fortissima la densità metaforica e sinestesia che innesca il senso di un pathos fortissimo perfettamente controllato.
Figura ormai storica della poesia italiana, con quest’opera inaugura una nuova sapiente fase della sua produzione, della quale attendiamo ansiosi i futuri esiti.
RAFFAELE PIAZZA -

lunedì 29 luglio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIAN RUGGIERO MANZONI

Gian Ruggero Manzoni & Mimmo Paladino : “Tutto il calore del mondo” – Ed. Skira – 2013 – pagg. 80 – s.i.p.
Volume senza alcun dubbio di una fascinazione unica , nel suo essere concepito sia come diario esistenziale e storico , sia come album poetico plasmato ed illustrato da ventiquattro opere pittoriche che ne completano la luminosità. Gian Ruggero Manzoni continua nella sua valida espressione di autore a tutto tondo , proponendo ancora una volta una versione poetica che si avvicina alla prosa , pagina dopo pagina, ad incrementare quella tensione che dalla scrittura riporta alle immagini sospese. “La dimensione simbolica e di pensiero – scrive Andrea Ponso nella prefazione – è comunque , senza mezzi termini , assoluta – ma non nel senso di un ab / soluto , di qualcosa che sia insomma staccata e non in relazione con tutto il resto -, eppure ciò che colpisce profondamente in questo nuovo lavoro è l’attenzione per il particolare minimo , per l’oggetto in se , il gesto, i vestiti, le porzioni di paesaggio …” Il canto , dalla voce cristallina e sussurrata , si eleva tra le galassie , scruta le stelle , e si inabissa negli inferi con una genuinità che apre spiragli e suggerisce vertigini. I colori stemperati sono scena del mito e riflesso della realtà quotidiana, abbandonandosi “ al puro, allo sfumato, allo strappo” o germinando nel divenire per inseguire carezze o memorie. Le ombre inseguono profili, le figure inventano frammenti , le mani sprofondano nel morbido orizzonte, nello scorrere rapido e furtivo del verso lungo.
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 23 luglio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUIGI MANZI

LUIGI MANZI : “ Fuorivia” – Ed. Ensemble – 2013 – pagg. 116 - € 15,00
Fasce della memoria incidono in una presenza esemplare che attinge dalla rappresentazione autobiografica per riversare la figura poetica nel serbatoio del brivido. Brivido che ritorna per accogliere paragoni e confronti, vuoi che la lontananza si rispecchia nel vetro limpido , vuoi che il pulviscolo si rimescola tra le galassie irraggiungibili. Momenti di attesa o momenti di ascolto si tuffano nel silenzio per esplodere nel verso, lungo illusioni che rendono luminescenti i passaggi del ritmo. Il filone che emerge nella scrittura di Luigi Manzi è indubbiamente strutturato da regolari prosodie , che attingono al classico per realizzarsi in soluzioni in definitiva novecentescamente scontate, si che ogni testo è modello allusivo ed evocativo, tra simboli e metafore , incorporate nel dettato . Quasi uno scavo nell’interiorità per seguire accenti tesi a rintracciare nel quotidiano quegli aspetti vitali che dalla parabola si proiettano nel riverbero di una tavolozza. Paesaggi vellutati , scorci di incisioni, sguardi stupiti si alternano a ricordi e ad incursioni nella severa scelta del verso lungo oltre l’endecasillabo.
ANTONIO SPAGNUOLO

lunedì 22 luglio 2013

RIVISTA = LO STATO DELLE COSE

LO STATO DELLE COSE - quarta serie - 1 - 2013 -
Sommario :
Renato Barilli : Purché ci sia il neo . Conversazione su Domenico Rea
Giampiero Marano : Fra India, Mediterraneo e post-storia: l'esoterismo di Roberto Calasso
Cecilia Bello Minciacchi : Reificati allo specchio. Per "le mosche del capitale" di Paolo Volponi
Jean Charles Vegliante : Rein Commun (traduz. Felice Piemontese)
Manoel de Barros : Livro sobre nada (traduz. Giorgio Sica)
Andrea Inglese : Tre poesie
Anna Maria Shua : Artigianato della magia (traduz. Sara Princivalle)
Francesco G. Forte : Bartolucci prima di Bartolucci
Eugenio Lucrezi : per Levania
Antomnio Pietropaoli : per Trivio .
Riferimento : statodellecose@gmail.com

domenica 21 luglio 2013

NOTA PER ANTONIO SPAGNUOLO NEL GIORNO DEL SUO 82° COMPLEANNO

ANTONIO SPAGNUOLO e l’eros dopo la morte
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-- La poesia si intitola In memoria di Elena: “ Non è più marmo il tuo ginocchio adesso / che la bara distrugge ogni fattezza. / Ho cercato la pelle nel distacco / ed ho mancato la presenza, intrappolata / nel pallido impossibile. / Silenzi e distanze raccolgono le ombre / nelle quali dissolvi inconcepibile ricordo. / Starmene qui nel segno dell’abisso, / nel gelo dei fantasmi che hanno rubato la luce, / uno dei molti illusi della Croce / in angusti sentieri, senza posa… “ . Non batte il cuore, perde colpo il battere del verso.
Antonio Spagnuolo, poeta da sempre sensuale e mortuario, ha pubblicato recentemente un libro intitolato Il senso della possibilità (Kairos edizioni, Napoli 2013, pag.104, 14 euro). Tra la sua produzione precedente –accompagnata negli anni, a certificarne il valore, da una crescente e via via consolidatasi messe di contributi critici– e questa ultima prova si stabilisce un evento terribile, se pure iscritto ineluttabilmente nella storia di tutti: la perdita di una persona molto cara. Si tratta della moglie Elena, compagna di tutta la vita, donna che puntualmente compare in molte delle sue poesie, accompagnandone gli svolgimenti e le declinazioni nel tempo: tempo della carne e dell’anima; della passione dei sensi e degli annunci della perdita; della richiesta –e illusione– della durata e dell’insistere, via via più ravvicinato e lugubre, dei rintocchi che annunciano l’evento finale. Sulla scena di questo teatro, le cui voci hanno mirabilmente ritualizzato, ritratto e stilizzato un corposissimo canzoniere amoroso, cala di botto il sipario. La scena crolla, ma non si alza la polvere. Nessun eco rimbomba. Il silenzio prende stanza, la voce è estromessa, la pronuncia si fa sotterranea. Nella discesa agli inferi il cuore cessa di battere, il battere del verso perde colpi.
In paradosso d’amore, la fantasia rammemorante non porta a figurare il corpo perduto nell’evidenza di vita della sua carne, nella morbidezza elastica che sapeva compiacere il tatto, nella carezza: il ginocchio di Elena non è più marmo, non è più, dunque, fredda perfezione delle forme. Il disfacimento della morte è fine della durata, del sogno di immortalità che è il biglietto staccato da Eros nel momento in cui accoglie gli amanti nel suo regno. La ricerca del contatto, nel momento di più drammatico teatro in cui il contatto termina per sempre, non può che farsi mimesi dell’antica scena orfica di impossibile salvazione: Euridice è imprigionata, intrappolata nel pallido impossibile dell’Ade, dal quale non vi è redenzione. La distanza, sancita, rende lo stesso ricordo inconcepibile: al poeta resta la stazione intollerabile, resta lo starmene qui nel segno dell’abisso, dove il freddo è perenne, mentre il corpo della morta conosce il calore terribile e inconosciuto delle trasformazioni chimiche posteriori; vero addio, vero salpare le ancore ed avviarsi in una dimensione altra rispetto a quella che trattiene quanti le sopravvivono.
Nel gelo dell’enunciazione, questa poesia trova versi di grande purezza, che scorrono come acqua in alveo ristretto.
La poesia che racconta non può mai essere religiosa, e se cita la Croce non può che pronunciare la disperazione della salvezza: “Starmene qui nel segno dell’abisso, / nel gelo dei fantasmi che hanno rubato la luce, / uno dei molti illusi della Croce / in angusti sentieri, senza posa… “.
Ai santi, ai veri credenti, la voce altra dell’annuncio di fede, che disprezza la figurazione e raccomanda l’abbagliamento della luce, opposto di ogni umana rappresentazione, abbigliata di finitezza.
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EUGENIO LUCREZI -----

giovedì 18 luglio 2013

NOTIZIA = PREMIO ALBEROANDRONICO

PREMIO NAZIONALE ALBEROANDRONICO 2013 -

1. Possono partecipare tutti i cittadini, ovunque residenti, solo con opere in lingua italiana e, limitatamente alla sezione A, con Opere in dialetto.
2. Ogni concorrente è libero di partecipare ad una o più sezioni.
3. Alla sezione A si partecipa con una poesia dattiloscritta, che non deve superare i 40 versi.
4. Alla sezione B si partecipa con un massimo di 8 poesie dattiloscritte, ognuna delle quali non deve superare i 40 versi. Alla silloge occorre dare un titolo e un indice.
5. Alla sezione C si partecipa con un elaborato (racconto, saggio, favola, articolo) che non deve superare le 8 cartelle dattiloscritte, ciascuna di 2000 battute spazi compresi.
6. Alle sezioni D, G ed H si partecipa con un elaborato letterario, svolto in poesia (che non deve superare i 40 versi) o in prosa (racconto, saggio, favola, articolo) che non deve superare le 8 cartelle dattiloscritte, ciascuna di 2000 battute spazi compresi, che approfondisca il tema indicato.
7. Alla sezione E si partecipa con un volume edito dal 1 gennaio 2002 alla data di scadenza del Premio, da inviare in 5 copie.
8. Alla sezione F si partecipa con un testo per una canzone, dattiloscritto, che non deve superare i 40 versi.
9. Alla sezione I si partecipa con una poesia dattiloscritta, in dialetto, con traduzione in italiano a fronte, che non deve superare i 40 versi.
10. Alla sezione L si partecipa con una fotografia inedita a tema libero, da inviare in 5 copie, a colori o in bianco e nero, con formato di stampa di cm. 30 sul lato lungo. Dovrà inoltre essere allegato un CD-Rom contenente un file in formato jpeg per Windows non
compresso, rinominato in base alle tre lettere iniziali del cognome più le tre lettere iniziali del nome, contenente il file digitale utilizzato per la stampa dell’immagine in concorso. Alla fotografia deve essere attribuito un titolo da indicare sul retro delle copie.
Saranno ammesse solo immagini prodotte tramite apparecchiature fotografiche e non alterate tramite fotomontaggi e/o fotoritocchi tali da snaturarne l’idea fotografica e la sua valenza artistica. Per questa sezione è necessario inserire nel plico anche
la scheda compilata e firmata, scaricabile dal sito www.alberoandronico.net.
11. Alla sezione M si partecipa con un cortometraggio a tema libero, di durata non superiore a 15 minuti titoli inclusi, da inviare in 5 copie Dvd. Su ognuna devono essere indicati titolo e autore. Sono ammessi filmati sia in lingua italiana che straniera: questi ultimi dovranno essere forniti di sottotitoli in lingua italiana. Gli autori si assumono tutta la responsabilità per le riprese effettuate e per l’utilizzo di musica non originale protetta da diritto d’autore. I video che perverranno su supporto non funzionante non saranno
valutati. L’Associazione si riserva il diritto di utilizzare le opere inviate per fini esclusivamente culturali, senza nulla a pretendere da parte dell’autore. Per questa sezione è necessario inserire nel plico anche la scheda compilata e firmata, scaricabile dal sito
www.alberoandronico.net
12. Quota di partecipazione: è prevista una quota di partecipazione (a copertura delle spese di organizzazione, di segreteria e di promozione) di 20 (venti) euro a sezione.
13. Il plico con gli elaborati deve essere inviato entro e non oltre il 30 settembre 2013 (farà fede il timbro postale di partenza) alla Segreteria del Premio Alberoandronico, Via Teresa Gnoli, 42-44 - 00135 Roma. Il plico deve contenere anche la scheda di
partecipazione debitamente compilata e la ricevuta del pagamento della quota di partecipazione che potrà essere effettuato sul conto corrente postale n.76556059 intestato all’Associazione Alberoandronico.

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

SPAZIO SCENICO DELLA VITA DI ALESSIA -
1

Sera ad intessersi con la precedente
che non torna,
ragazza Alessia ai blocchi
di partenza della vita
fiorevole atmosfera nella mente
azzurra sul filo della conca
di tramonto di altre cose l’attesa
(di Giovanni nel trasfigurarsi)
la memoria involontaria sui sagrati
dell’anima di ragazza bella
ovale del volto di madonna
medievale, il grano dei capelli
nelle cose dello specchio e gli
occhi azzurri in fotografia.


2

Nuvole di luglio nella trasparenza
dell’aria rosapesca, a ricomporsi
del sembiante il paesaggio e l’anima
di Alessia dopo amniotica doccia
ai lieti colli dell’anima di ragazza
sullo spazio scenico della vita come
in prove di danza per poi entrarvi
se non è più esistere nuotando
nell’incantesimo di una feritoia
di un attimo a stillarne acqua di sorgente,
per ragazza Alessia nella linea
della gioia e malizia delle fragole.
*
RAFFAELE PIAZZA --

mercoledì 17 luglio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = EUGENIO NASTASI

EUGENIO NASTASI: “ L’occhio degli alberi” – Edilet – 2013 – pagg. 96 - € 12,00 -
Poesia che configura le dimensioni metaforiche e la luminosità del verde, un verde che è in questo caso anche il topos della memoria e delle rievocazioni di una trama del vissuto , tra sprazzi di fanciullezza e trafori del presente.
Il percorso è vivacemente colorato , tracciato con un arcobaleno che si espande per simboli e segni, che fanno della musicalità un’originaria ondulazione del ritmo.
Anche la illusioni non hanno confini ben definiti, immerse nella speranza e nell’ ignoto, per meravigliarsi di improvvisi ammiccamenti o per fulminanti decorazioni.
“Con le sue onde il mare s’apre a melagrana / rilucendo nell’illusione che il confine / sia prossimo e la spuma ritorni / col suo relitto inabissato/ non so dirle le opere che ascolto / dalle vie distratte qui c’è posto / per cose senza senso e noi abbiamo credito / dinanzi alla pietra scartata / a tutto quello che brucia più del respiro….”
Nel sotterraneo improvviso squillare degli spazi le immagini si intrecciano in un gioco attento di liquidità ed ottima dentellatura , per incrociare il mondo delle sensazioni e smarrirsi nelle figure sospese del canto.
ANTONIO SPAGNUOLO --

martedì 16 luglio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = GEMMA FORTI

GEMMA FORTI : – "Il pollice smaltato"(Poesie 2007 -2012)Fermenti Editrice – Roma – 2013 – pagg. 129 - € 14,00
*
Gemma Forti, poetessa e scrittrice, vive a Roma dove è nata; ha pubblicato numerose raccolte di poesia e romanzi.
Il pollice smaltato, che presenta un’introduzione di Gualtiero De Santi e che è illustrato da immagini policrome di Bruno Conte è un testo scandito in sei sezioni: When, A mezzanotte, La teoria dei quel, Mala tempora, Down e Sera obliqua.
Nel suo complesso il libro è bene articolato architettonicamente.
L’opera presenta un carattere del tutto antilirico e antielegiaco, inquadrandosi, nell’ambito della poesia italiana contemporanea, in un ambito che potrebbe essere quello della poesia civile, anche se non mancano, in qualche componimento, subitanee accensioni liriche, che presentano anche un carattere giocoso.
Infatti, come scrive il prefatore, quella della poeta è una scrittura…che vuol investire e anzi aggredire il presente.
Sono molte le tematiche affrontate, che si collegano, soprattutto, alla sfera delle problematiche del campo politico, di quello economico e di quello sociale, avendo per oggetto anche aspetti deteriori della società contemporanea, tra i quali la corruzione e la violenza e anche il tema ecologico, come in La monnezza sale, poesia che si inserisce nella sezione Mala tempora.
Molte sono i testi in cui è detta l’Italia, con tutte le sue contraddizioni.
Il genere di poesia praticato potrebbe essere vagamente considerato come visuale, per il modo in cui i sintagmi sono disposti sulla pagina; i versi presentano grandezze dei caratteri eterogenee e alcuni di essi sono delineati in corsivo o in neretto.
Spesso la poeta gioca con le parole e, non a caso, De Santi, nell’introduzione, parla di un neo cubofuturismo, italiano e femminile/ista e afferma che la scrittura, in questo libro, ha scomposto la realtà e i suoi falsi segni.
Si constata, nell’opera una quasi totale assenza di punteggiatura e tutte le composizioni presentano la forma centrata sulla pagina, che dà un tono di vaghezza ai componimenti e, anche per questo, la poetica della Forti si potrebbe considerare come sperimentale, per le scelte e le tecniche utilizzate.
Le strofe sono irregolari nella loro estensione e, a volte, si assiste ad una ripetizione dei sintagmi, che crea ridondanza.
Nel contesto complessivo emergono anche spunti naturalistici trasfigurati ed idilliaci e lo stile è molto elegante e curato.
I versi sono luminosi e icastici e, senza ombra di dubbio, si può constatare che una grande originalità caratterizza questa scrittura.
Il tono usato è assertivo e c’è una vena gnomica, sottesa spesso a queste poesie; è presente una certa ironia ed è costante la suddivisione in strofe.
Spesso i versi procedono per accumulo ed in lunga ed ininterrotta sequenza ed è presente, anche se raramente, il tema erotico amoroso, sostenuto dalla descrizione di una certa corporeità.
L’autrice crea anche termini del tutto assenti nella lingua italiana, come zunnare, che realizza una piacevole cantilena e dà alla poesia un tono dolce e melodico nella sua polisemia e, a volte, si possono leggere parole costituite da più termini.
Sono presenti sospensione e magia nei versi di Gemma Forti in questo libro dalle molte sfaccettature, nel quale è quasi sempre presente una certa ironia.
Viene detto il tema della violenza sulle donne e viene nominato il caso tragico di Eluana Englaro.
Il ritmo è scattante e si realizza nel tessuto una certa musicalità e i versi sono leggeri, veloci e spesso simili a schegge acuminate.
Centrale la poesia IL RE, che potrebbe essere letta come un apologo politico e che ha per protagonista il più improbabile, prepotente e volgare uomo della politica italiana della Seconda Repubblica.
In sintesi una parodia in versi sull’attuale contesto politico-sociale, detto in modo, nello stesso tempo, buffo e tragico.
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RAFFAELE PIAZZA ----

domenica 14 luglio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

ANTONIO SPAGNUOLO: "Il senso della possibilità"
Kairòs Edizioni. Napoli. 2013. Pp. 104 - € 14,00
*
L’eterna diatriba fra la caducità del vivere, e il tentativo di sconfiggere la sua morsa

Opera compatta, organica, Il senso della possibilità, dove l’accento è posto su uno dei motivi di grande inquietudine emotivo-intellettiva del percorso umano. Anche se in questi versi è chiaro, come il più delle volte avviene per la buona poesia, che il dire lirico è frutto di un inconscio antecedente all’azione raziocinante. All’atto speculativo. Lo direi più categoria dello spirito, questo atto creativo. Ha un senso la possibilità? Esiste certamente la possibilità di fare e di agire per ottenere. Ed ha un senso. Ma se messa in relazione al nostro vivere? Alla continua diminuzione di noi e di ciò che siamo e di tutto quello che per noi è vita? Ha senso lottare quando la sconfitta è in partenza. Va bene, noi l’abbiamo vissuta questa possibilità, il suo senso l’abbiamo fatto nostro, l’abbiamo commisurato nella sua validità. E ne è valsa la pena. Abbiamo amato, abbiamo gioito, abbiamo sofferto, anche, ma, anche, sognato mondi irreali che nella nostra immaginazione si sono fatti alcove edeniche a rimpiazzare gli smacchi del nostro limite di essere umani. Fino a farcelo dimenticare, questo limite, magari, una volta presi dai piaceri, dalle vertigini edonistiche. Dalle complicità erotico-sentimentali dove abbiamo investito tutta la nostra passione, tutto il nostro esserci. Ma “Ogni piacere si muterà in rimpianto; tanto più grande il bene voluto, tanto più doloroso il distacco, il ricordo di tanto dato, di tanto avuto” (afferma il poeta). Come se la natura si volesse riappropriare di quello che ha elargito; volesse ricompensare il tutto: piacere e dolore, bene e amale, notte e giorno, Caino e Abele. Forse sta nell’armonia dei contrasti, nel dicotomico succedersi delle contrapposizioni il nerbo dell’umano procedere. Ma qui il discorso è più ampio, si allarga al fatto di esistere, alla portata del nostro vivere da terreni con la possibilità di risolvere il nostro dolore in una sublimazione che vada oltre. Ed è così che sbattiamo contro il perpetuo dilemma del confronto fra le nostre finitezze e la schiacciante, smisurata dimensione di un giorno senza fine. Ed è quel giorno a toglierci passo passo i nostri beni, quelli senza cui non possiamo stare. O, diciamo, possiamo sopravvivere, facendo del nostro cuore e della nostra memoria strumenti di recupero per dare energia convalidante a questo senso. Se poi è la donna che amiamo, se poi è la parte più importante della nostra storia, quella con cui abbiamo navigato, complici, mari a volte tempestosi, a volte lisci come l’olio a risplendere tramonti indelebili, ed orizzonti senza fine; se poi è questa parte di noi a lasciarci soli con le nostre memorie, certamente dare un senso alla possibilità di rinascere si fa cosa dura. Anche se il Nostro mai cade nel nichilismo o nel pessimismo più acerbo. Ed è qui forse la grandezza di questo poema. Cercare di rendere reale, pur con tutto il patema esistenziale della mancanza, quello che cova in seno: un gesto, una mossa, uno sguardo, un sorriso, seppur rubato. E c’è la possibilità di poter agire su ciò che si sfuma. Su ciò che è reale, magari, dentro noi, ma che immateriale, non dà appiglio a questa nostra propensione ad una complicità fisica. Abbiamo dentro noi, sì, dei grandi impulsi vitali, reattivi, delle grandi emozioni scatenate dalle sottrazioni del tempo; abbiamo realtà interiori tanto forti da farsi concrete: realtà dell’irreale. Se per irreale intendiamo tutto ciò che non possiamo vedere e toccare. Ma reale è anche quello che sentiamo. Una realtà distruttiva, a volte, o costruttiva, con effetti patologici di grande reazione compulsiva.
Quale il senso della possibilità, dunque? Della possibilità di dare vita a un mondo in cui l’essere si deve confrontare col tempo e col dolore; col tempo nemico, che ora dopo ora ci toglie quelle cose che reputavamo eterne, non facenti parte dell’idea del nulla, e che tali continuano ad essere, magari, nell’illusione di una presenza. E qui le due realtà: la materiale e la spirituale. E qui la ricerca della possibilità di rendere perpetua una storia unica, insostituibile. Anche con la poesia. È questo, forse, il mezzo più potente per dare un senso alla vita. L’eterna diatriba fra la caducità del vivere, e il tentativo di sconfiggere la sua morsa. E la memoria si fa attiva, robusta, ricca di ricariche, a prolungare, a amalgamare momenti con un non/tempo che si faccia perpetuamente presente. In questo dicotomico diluirsi di un’anima in versi, in questo abbandono tormentato o in questo slancio ad agguantare il verbo disposto a tanta generosità esplorativa, in tutte le acrobazie allusive che il Nostro tenta per dare un senso alla possibilità di vincere, sta l’equilibrio del poema di Spagnuolo. Ma nel tentativo di restare abbarbicato a ciò che non è più, e che realmente convive con il poeta, e di cui lo stesso si alimenta, s’insinua la coscienza di un Orizzonte fatto di luci mutevoli ed ingannevoli. Luci e contrasti di estrema fattura umana, di grande portata sensoriale; di un diacronico fieri da Giorno dopo giorno. Cose di ieri vive solo in seno, nel ricordo, ma che ricadono inesorabilmente in primo piano:

In te prendono forma le silenziose
delicatezze del glicine,
chi rimarrà a ripetere? (pp. 37).

È qui che scatta improvvisa la malinconia. Sì, quelle ombre quotidiane fanno parte della storia. Qui, gesti tanto presenti in animo richiamano altre stagioni a illuminare quelle ombre. Sì, convive il Nostro con la sua realtà interiore, e vive per dare un senso a questi ritorni e a questi richiami; per dare luce alla vita; e alla possibilità stessa di continuare a viverla con Elena, scalando, magari, i gradini di quella spiritualità complice di un sorriso che in terra può essere solo rubato:

Inseguo le tue ombre quotidiane
per rubarti un sorriso (pp. 84).

*
NAZARIO PARDINI (20/06/2013)

sabato 13 luglio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = IVAN POZZONI

IVAN POZZONI : “Patroclo non deve morire” – De-comporre edizioni 2013 – pagg. 80 - € 10,00 –
Sospeso tra il sopravvivere ed il rischio della ferita Ivan Pozzoni ricama un tessuto variopinto, che dalla cronaca di giornali , di network , di blog scivola freneticamente nel quotidiano , per raccontare episodi , per innescare un inno , per fluidificarsi nella dimensione del sociale, elaborando il suo dettato poetico in maniera personale e culturalmente valida.
“Il titolo del libro di Ivan Pozzoni è < Patroclo non deve morire >, è un enunciato imperativo che non ammette eccezioni. Nella storia Patroclo muore in combattimento, nell’opera di Ivan Pozzoni invece Patroclo deve continuare a vivere affinché la storia non si concluda e si aprano altri scenari.” – Scrive Giorgio Linguaglossa nella prefazione. – E la fantasia ha dei tagli alimentati da riscontri memoriali o da impannate critiche verso la mercificazione di un mondo sempre più alla deriva. Una poesia compressa che riluce per flessibilità e pluralità.
Ogni valore qui abbandona pregiudizi , nella capacità di raccontare o rielaborare, nei dettagli realistici di eventi , o nella profondità di metafore , grazie all’accumulo intelligente di un immaginario concreto e colorato. Il gioco ha momenti impegnati , dalla denuncia delle sperimentazioni farmacologiche all’inafferrabile momento di asfissia dell’impiccato, dalla crisi del mondo occidentale alla ballata di un amore contorto. Una girandola che al vento offre autentiche testimonianze.
ANTONIO SPAGNUOLO --

venerdì 12 luglio 2013

RIVISTA = L'ARRIVISTA

L'ARRIVISTA - quadrimestrale - Anno II - N° 3
Sommario:
- Editoriale :
Ivan Pozzoni : La resilienza del nomade artista nella desertificazione del mondo tardo-moderno
- Saggi e note.
Andrea Felici : Dal sessantotto agli anni di piombo: lingua, canzone, politica.
Gianluca Giorgio : Profili dogmatici nell'opera del filosofo del diritto Tullio Ascarelli
Giacomo Borbone : Idealizzazione e progresso scientifico: il principio di corrispondenza dialettica
Antonio Melillo : Il demone della conoscenza
Giacomo Solano : Breve introduzione ai processi globali
Giorgio Grimaldi : Risposta di Andrea Virga
Giorgio Bolla : Salmi biblici e Veda induisti
- Poesia :
Giuseppe Panella : Parabole dell'inconscio : Antonio Spagnuolo "Misure del timore".
Antonio Spagnuolo
Chiara Daino
Guido Passini
Ivan Pozzoni
Massimo Acciai
Recensioni:
a firma di Alessandro Stavru, Carla De Angelis, Franca Alaimo, Francesco Giacomoantonio,
Giacomo Borbone, Giuseppina Di Leo, Maria Gisella Catuogno,Pasquale Vitagliano, Ruggero D'Alessandro.

mercoledì 10 luglio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = LORENZO SPURIO

UNO SGUARDO DI ORRORE E DI AMORE SUL MONDO -
“Cemento” di Lorenzo Spurio --
silloge di poesia inedita
con prefazione di Ninnj Di Stefano Busà
e postfazione di Fausta Genziana Le Piane

Il mondo, per il giovane poeta Lorenzo Spurio, è un ossimoro perfetto, ordine e disordine insieme, amore e odio, orrore e incanto. Questo egli ci comunica nella sua prima silloge poetica. Esso, agli occhi del poeta e nelle sue stesse fenomenologie oggettive, mentre si offre, simultaneamente si sottrae, mentre si costruisce, si destruttura. Simbolo per eccellenza di questo processo di interfacciarsi del reale e dell’esistenza è il cemento, che risulta, come nota nella postfazione Fausta Genziana, “la metafora primaria”. Il cemento, infatti, a cui si ispira il titolo della raccolta e che è nel mondo moderno il connettivo fondamentale per la cosiddetta città dell’uomo, si presenta bifronte: da una parte, promette vita, sviluppo, progresso, dall’altra, verificando su sé stesso tale aspetto, è materia che da sé si offre al deperimento ovvero all’ammaloramento, come dicono gli addetti ai lavori, e al disastro irreparabile con le sue rovine senza scampo nel futuro prossimo o remoto.
Nelle meccaniche stesse del suo porsi in essere, da parte del mondo, sono innescate e in costante funzionamento delle leggi, che si beffano sotto gli occhi di tutti e alla luce del sole delle convenzioni e dell’ordine, che la ragione tenderebbe ad assegnarci (nelle sue pretese olistiche di interpretare il reale). E’ a questo scandalo che si richiama Spurio in una delle composizioni più interessanti della silloge, Verità talmente vere da non credere assolutamente, con i seguenti versi:

“[…] L’orologio indispettito
batteva le ore
al contrario
ed era sempre presto.
Impossibile darsi appuntamento […]” (p. 32).

Di fronte a tali registrazioni, sarebbe facile pensare a tutta la letteratura fantastica e utopica, a cominciare dalla commedia e dal romanzo della Grecia antica, considerando il ricorso al gioco del rovesciamento dell’ordinario e dell’accertato come irrefutabilmente vero, che diventa uno strumento inventivo delizioso. Ma niente riuscirebbe più improprio. Perché, i modelli letterari di Spurio non risiedono né nella letteratura greca classica, né nelle letterature moderne, che concedono grande spazio al fantastico (da Ariosto e Rabelais sino a Bontempelli e Calvino e oltre), ma nella scrittura di denunzia e di mimesi della vita contemporanea con le sue insanabili aporie, con i suoi irricucibili strappi. E’ questa una scrittura di estrema attualità oggi e di grande divulgazione nei paesi anglofoni. Non è un caso che Spurio citi come introduzione al libro in originale un distico di James Laughlin:

“I never knew there was so much blood
in a man until my son kill himself”.

Nella sua poesia, però, manca ogni compiacimento per il neogotico e per l’orrido, come accade spesso in questa produzione letteraria. In lui l’orrore detta sillabe, colori, accenti, ma per far sentire che si tratta di una testimonianza patica del vivere, dove si registrano il dolore e la delusione per il mancato appuntamento con l’amore. Significativa in positivo in tal senso è la poesia Quando?

Quando non ci sarò, cosa farai?
Mi chiedevi col sorriso sul tuo volto
persuasa dall’idea
che la tua battaglia
era ormai al traguardo.
Io tergiversavo,
e più spesso mi arrabbiavo.
La tua serenità non abbandonava
quel viso ancor beato e placido
che mascherava inutile speranza.
Quando non starò più qui,
a volte ti capitava di dire,
e io subito t’ammonivo irruento
quasi avessi imprecato
illudendomi di capire
da dove prendessi tanta forza.
Quando non staremo più insieme,
intercalavi a volte senza pensare
anticipando possibili miei futuri.
Un vento caldo e accecante
t’ha portato via dall’oggi al domani
impedendomi di piangere.
Ed oggi che non ci sei più
Non so cosa fare.” (p. 22)
*
UGO PISCOPO
( Napoli, 10 Luglio 2013 )


lunedì 8 luglio 2013

NOTIZIA = NUOVO POST DI CARMELO CUTOLO

DIMENSIONE INCHIOSTRO : un blog che tratta di letteratura, poesia e fumetti (https://www.facebook.com/dimensioneinchiostro).

sabato 6 luglio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = VALERIA SEROFILLI

"AMALGAMA" di Valeria Serofilli

Una scrittura pregnante, fuori dalle righe, dalle monotonie liriche di tanti pseudopoeti, di tanti elargitori di parole...
Mi riferisco alla raccolta: Amalgama, che leggo con particolare partecipazione e attenzione. Si tratta di un libro colto e vigoroso, la scrittura si avvale di uno stile e di un contenuto altamente affinati, ha dalla sua parte lo sviluppo armonico di tutti i suoi elementi linguistici. Rievoca, sottolinea, coinvolge con la sua umana auteticità e il suo equilibrio formale, in cui tutto semanticamente si disarticola in una temperie di allusioni, di metafore, di colloquiali inserti tra il sé e l’altro di sé. Conoscevo la poesia della Serofilli sin dalle sue prime prove letterarie e devo ammettere che nei versi più recenti s’insedia con una mira più centrata, nelle ragioni liriche di un percorso più maturo ed esemplificativo. La sua autentica umanità vi si dispiega e diventa una sorta di privilegio leggerla.

“Morsi di parola sazino spazi bianchi/lenzuola
E tu leggimi mordimi impastami
e sarò il tuo più prezioso manufatto
bilanciato dolce impastamento:
frase/ inchiostro, acqua e terra
cemento.”
La parola cantata, per intensità, è giunta ad una parabola eccelsa, si è fatta suono, orchestrazione di varie forme sintattiche, di un messaggio intrinseco di sensibilità della sua psiche.
Nella poesia della Serofilli la vocazione è quella di raggiungere un equilibrio, una quasi mediazione, tra l’innocenza primigenia e la necessità di un sano equilibrio morfo-sintattico delle strutture linguistiche. Lo strumento comunicativo si avvale di molte evocative autonomie, in grado di tentare tecnicamente i fenomeni quotidiani, dando alla genuina confessione, oltre che una suggestiva interpretazione, una più cadenzata musicalità vocale e tonale. La parola definitiva diventa l’esito perfettibile dell’intuizione espressiva, oltre che comunicazione con gli altri.
Lo stile è sempre composto, teso a realizzare quella simbiosi più genuina e più vicina alla confessione del proprio “io”, sorretto sempre da una profonda cultura e da un perfetto realismo linguistico.
Valeria Serofilli, come pochi, sa raggiungere i meandri della realtà ed abbracciare con rinnovato fulgore, ma anche con rassegnata malinconia le fragili sponde del vissuto.
L’autrice con immediatezza espressiva raggiunge esiti felici nel dosare le emozioni, apre squarci di azzurro e disegna delicate nuances nel tormento generazionale e nel caos tormentoso di tanta sofferenza e fragilità:
“Crea per te il bianco di un silenzio
ma colmo del più acuto sovrasenso
e circuisci lo spazio che ti pesa
centometrista senza la sua asta
Una poetica ricca di tematiche, che sa realizzare il senso della vita con ampie circonvoluzioni e volare alta in atmosfere che, per quanto surreali, talvolta, vivacizzano la scena e permettono al lettore di godere di un lirismo che non si accontenta di ripetere gli schemi consueti:

BEN ALTRA CONTROVERSIA

Risparmia il verso che corre controvento
riscopri il senso che nutra di risveglio
il giusto pane, lievito / impastamento
per non rischiare cadute di non senso
falsi richiami a miti desueti
ferri lisi che non tessono divieti
freno che non unto si consumi
Tieni a ricordo il tempo del tuo gioco
di calcio, vicoli, urla e di risate
Tingi d'inchiostro il tuo accorato coro
e non ti curar di loro
ma vivi in ben altra controversia
per cinger tempie del più verde alloro.

Valeria Serofilli sa registrare e metabolizzare la frattura tra il nostro tempo e l’io, che si apre al mondo in maniera non ostica e ostile, ma calda e appassionata, in grado di superare buio e solitudine.
I quali sono, diciamolo subito, l’eticità dichiarativa di una saggezza che va oltre le fandonie del mondo. Il lirismo viene percepito, pertanto, come scavo interiore verso una luce chiara, in movimento cosmico, nella valutazione di un -bene e di un male- che orientano la parola universale verso un’assimilazione morale che è anche coscienza individuale, certezza di un comune itinerario in cui le due forze si equivalgono e con esse la vita, l’esistente di ognuno, e dove il travaglio si fa meno cupo e più intensa e accorta la rivelazione limpidissima del componimento.
(Milano, 4 luglio 2013)
NINNJ DI STEFANO BUSA'

NOTIZIA = PREMIO CITTA' DI MONCALIERI

PREMIO CITTA’ DI MONCALIERI 2013 --
1. Possono concorrere le opere di poeti e scrittori italiani e stranieri con traduzione in lingua italiana.
2. Il premio è articolato in cinque sezioni:
(A) Romanzo edito
(B) Silloge edita
(C) Poesia inedita in lingua
(D) Poesia inedita in dialetto (con traduzione a fronte)
(E) Testo teatrale edito e inedito.
3. Sezioni A, B: si partecipa inviando 5 copie di un libro edito pubblicato nell’ultimo quinquennio.
Sezioni C, D: si partecipa inviando 5 copie di massimo 3 poesie che non superino i 36 versi.
Sezioni E: si partecipa inviando 5 copie del testo.
Su una delle cinque copie andranno riportate le generalità complete degli autori.
4. Le opere, corredate della scheda di iscrizio¬ne recante le generalità complete, l’indiriz¬zo postale e il recapito telefonico degli au¬tori, dovranno pervenire entro il 31 Ottobre 2013 (farà fede la data del timbro postale) al Circolo Culturale Saturnio - Premio Letterario “Città di Moncalieri” - Casella postale 352 - 10024 MONCALIERI - Tel. 389.830.34.66 - E-mail: premioletterario@saturnio.it
5. E’ richiesta tassa di lettura.
6. Cerimonia di premiazione 9 marzo 2014 .

mercoledì 3 luglio 2013

NOTIZIA = PREMIO FIRENZE

XXXI PREMIO FIRENZE - letteratura 2013 -
poesia inedita
poesia edita
saggistica edita
narrativa / memorialistica edita
racconto inedito
testo teatrale inedito.
19 ottobre 2013 il termine di scadenza per la presentazione delle opere.
E' richiesta tassa di lettura
Premiazione a Palazzo Vecchio di Firenze sabato 7 dicembre 2013 .
Chiedere il bando completo a :gigliosegreterialettere@centrofirenzeuropa.it

lunedì 1 luglio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = NINNJ DI STEFANO BUSA'

UNA GHIRLANDA DI CALICI PIENI PER UN BRINDISI ALL'AMORE --
L’e-book "Eros e la nudità", di Ninnj Di Stefano Busà, prefazioni di Walter Mauro, Plinio Perilli, Alberto Schwarz, Edizioni Tracce, Pescara 2013, pp. 99.
*
Il Novecento è sempre più lontano. Si avverte perfino una tensione a denovecentizzarsi, se si può dire. Cioè a togliersene di dosso l’odore.
Uno dei segnali è la nuova qualità di approccio all’amore. Non è che il Novecento ignorasse l’amore. Lo teneva, anzi, terribilmente presente, - e come si potrebbe mai scrivere, vivere o pensare senza l’amore? -, ma lo assumeva a materia da approcciare in chiave critica e in una nitida luce di disincanto, o di analisi e perfino di divertimento cinico, soprattutto nell’ambito neoavanguardista e neosperimentale. L’indirizzo era nato già nelle avanguardie storiche. Il futurismo, ad esempio, spalancava le porte alla fisicità erotica, solo ai fini funzionali della riappropriazione degli istinti dei primordi, a favore di un’antropologia più ricca di energia. Per questo, gridava “abbasso la donna”, e, di contro, “viva la femmina”.
Poi, nel corso degli anni Ottanta del secolo passato, in concordanza con la riscoperta del “padre” e con l’attenuazione del concetto di progettualità, cioè di mentalismo, si venne proponendo e praticando nella scrittura poetica l’idea della “poesia innamorata”. Oggi, poi, “cuore” e “amore” la fanno da padroni di casa.
In questi nuovi spazi di libertà ideale, si colloca e respira la raccolta di poesie di Ninnj Di Stefano Busà dedicate all’amore, o, meglio, a Eros, come simbolo di ripetizione concreta della prima ierogamia e di manifestazione al mondo di un evento decisivo per la vita universale, l’accoppiamento del Cielo e della Terra. Il quale orizzonte di attesa, però, resta solo prospettico, perché la diegesi puntualmente si sofferma in limine, senza andare oltre, senza addentrarsi in ambiti di sofisticate simbologie, come accade nelle Upanishad, nell’Yi ching, nello shaktismo, nel tantrismo e dintorni. Ecco, in tanti filoni delle civiltà orientali.
Lucidamente e programmaticamente l’autrice si richiama alla matrice del pensiero occidentale, la cultura greca: è significativo che il protagonista in questione si chiami grecamente Eros e che esso si collochi come immagine dominante, per la posa, accanto alla intattezza (e allo splendore marmoreo) della corporeità nuda. Eros e la nudità, recita nettamente e perentoriamente il titolo dell’opera.
L’immagine dominante è, dunque, Eros, quello di cui tratta Platone nel Simposio, di cui aveva già parlato Esiodo a proposito della cosmogonia (“Eros, il più bello degli dei immortali, colui che spezza le membra e che, nel petto di tutti gli dei e di tutti gli uomini, signoreggia il cuore e il saggio volere”), a cui si ispira tutta la poesia greca da Alceo e Saffo in poi, sino ai tardi secoli, come è documentato nella fluviale Antologia palatina.
Ma quell’Eros lì interviene sugli eventi della storia (e perfino della preistoria) con effetti perturbanti e talora annichilenti la ragione stessa, come testimonia autorevolmente Saffo (quella di “fainetai moi kenos isos teòisin”), come tensione della vita verso il caos o dal caos. Nella civiltà dell’Ellade, però, mentre si aprono squarci nell’esistenza e nella storia per l’irruzione (a rischio di sovversione) di questa irresistibile forza sconvolgente, più filoni, dall’ambito orfico a quello misterico a quello speculativo tentano una domesticazione di questa energia divina, adottandola in positivo, attraverso comportamenti e atteggiamenti che oggi potremmo chiamare, con Freud, di sublimazione, di contattazione della celestialità e della armonizzazione.
In accordo con questo secondo versante si definisce l’opera di Ninnj, costituita da liriche lavorate al bulino, dalla pelle estremamente liscia, che nell’insieme dei richiami e dei rimandi seguono un ritmo poematico. Giustamente, uno dei tre prefatori, Plinio Perilli, parla di “rigore fervido delle metafore”, di citazioni squisite. Insieme, intanto, con queste cifre di accuratezza formale, la visione complessiva si cala in un fiorito scenario di esperienze di passaggi verso una più intensa e implementata diurnità. Verso la nascita di un altro giorno, come in questi versi:
“Solo un guizzo di luce nel tuo sguardo,
un lampo in cui vi ammutolisce
il vento di soavi piaceri, di stordimenti.
Qui è la spola, qui l’arcolaio per tessere la tela,
dalla nostra carne sboccerà l’aurora” (p. 42).
*
UGO PISCOPO