sabato 24 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = PIETRO ROVERSI

Pietro Roversi – Una crisi creativa -- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2017 – pag. 101 - € 11,00

Pietro Roversi, nato a Novara nel 1968, è cresciuto tra Carpi e Verona; ha quindi studiato Chimica a Milano e, dopo aver conseguito il Dottorato, si è trasferito in Inghilterra, dove studia il sistema immunitario e i batteri al Dipartimento di Patologia dell’Università di Oxford, dove è anche impegnato come tutore agli studenti di Biochimica del Lincoln College.
“Una crisi creativa” è la sua opera di esordio.
Il titolo della raccolta del Nostro, che prendiamo in considerazione in questa sede, ha una forte carica provocatoria nella sua ambiguità e paradossalità.
Intitolare un libro di poesia “Una crisi creativa”, intatti, fa venire in mente l’ironica intenzione di Roversi di farci credere di essersi invischiato nel gap dell’afasia quando, invece, è ancora in grado di scrivere versi come dimostra il volume stesso.
Non senza autocompiacimenti, quindi, Pietro ci consegna un’opera la cui poetica, la cui cifra stessa, è quella del sarcasmo perché le crisi creative stesse sottendono il silenzio anche della parola scritta, mentre qui il poeta realizza un’opera che è risultato proprio della sua creatività
E la creatività stessa diviene qui tout-court pensiero divergente per i contenuti e la forma che sottendono il testo.
Non a caso, infatti, tutti i componimenti, che sono quasi sempre molto estesi, sono centrati sulla pagina, cosa che avviene raramente nel nostro panorama letterario e questa forma si può considerare un tentativo riuscito di sperimentazione personalissima dell’autore.
Del tutto antiliriche le poesie di questa raccolta che sono caratterizzate da una forte carica iconoclastica e dissacratoria, da un tono, un andamento variabile che va dal narrativo all’anarchico, fino a sfiorare in alcuni passaggi l’alogico.
Il poeta gioca con le parole che si fanno icastiche nel loro essere dette con urgenza, a volte con un grido tra accensioni e spegnimenti.
Una vena visionaria connota le poesie contenute in questo volume e notevole è la capacità affabulatoria del poeta che raggiunge toni kafkiani.
Anche una parvenza intellettualistica è presente nei versi del poeta e non a caso l’autore svolge una professione impegnativa dal punto di vista speculativo.
Programmatico il primo componimento nel quale il poeta si rivolge ad una Musa della quale ogni riferimento resta taciuto.
Nella suddetta poesia il poeta riflette sul suo poiein stesso e afferma che un giorno all’improvviso, subitaneo, il verso gli è uscito in cagnesco, osceno e senza preavviso.
Il poeta, nel suo produrre una materia densissima a livello semantico, metaforico e sinestesico produce una scrittura profonda nella quale il lettore affonda nella lettura che potrebbe avere anche risvolti divertenti.
Anche una natura rarefatta si fa tematica dell’autore come nella poesia dal titolo in tedesco che, tradotto, diviene “Giardino degli uccelli”, Qui il poeta paragona gli uccelli che volano a degli ioni.
Non privi di magia i componimenti di questa raccolta, che, a volte, contengono rime baciate che creano effetti ridondanti nell’aumentare del mistero.
*
Raffaele Piazza



venerdì 23 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = DANIELE PIETRINI

“LA VITA IN PIÙ” DI DANIELE PIETRINI
Ricordo di essere rimasto attratto dalle poesie de “Il fortino dell’invisibile”, una raccolta di Daniele Pietrini per la quale mi venne chiesto di stendere una prefazione, come in fatto accadde. Quei versi, nell’assenza di una conoscenza diretta o anche indiretta o solamente occasionale (una lettera, un biglietto, una telefonata) del loro autore, furono il terreno culturale e morale su cui misurarne la personalità e mi indussero piuttosto a legare le determinanti simboliche di quella singolare scrittura a un’immagine, sia dei luoghi che dei paesaggi frequentati ma anche di lui stesso, della sua anima. La mia attenzione si concentrò per un verso sulla peculiare prospezione dei percorsi e dei viaggi, dall’altro guardava all’aspetto filosofico e intimo: che mi colpì molto e che lessi allora – si era nel 2013 – quasi alla stregua di insopportazione attiva della vita, o almeno della realtà. Come se Pietrini tentasse di scampare al quotidiano non meno che a un’equazione destinale.
Adesso – dopo la prematura scomparsa intervenuta nel 2016 – è apparsa di lui un’ulteriore raccolta, “La vita in più” (Lieto Colle, 2017, a cura di Maria Grazia Calandrone), che con le due precedenti, "Il viaggiatore che non vuole sapere" (2003) e appunto "Il fortino dell’invisibile" (2013), compone una sorta di trittico poetico ed esistenziale, tanto in essa la vita si fonde con la scrittura (e anzi è quest’ultima che la sussume). Quel titolo, "La vita in più", parrebbe rinviare alla riaffermazione dei principi dell’esistere – e in fatto la materia del libro investe quella parte di esperienza che antecede la morte. Ma, intanto, il libro non vuol affatto essere il diario di una malattia, né è l’epicedio per una vita che si vada perdendo, quanto l’inizio di un cammino entro uno spazio che solo si possa conoscere (e descrivere) per prova, dantescamente: quello della vita oltre la vita quotidiana ma prima della morte. Svincolati da se stessi e avviati alla volta di un fortilizio misterioso e però vasto e accecante.
La prima sezione, posta sotto l’egida e la dicitura di "Poesie chemioterapiche", potrebbe mettere sulle tracce di una condizione estrema e infelice, ma si muove entro una frazione di realtà tangibile e straniante al contempo, corporale e mentale. C’è ovviamente il dato concreto, diciamo così il referto dell’accadimento. Ma la direzione della scrittura è alla volta di una zona intermedia, diastematica, che si compendia in quel richiamo avanzato nel titolo verso il tratteggio ulteriore che si aggiunge alla vita.
Il tema implicito, o lancinantemente immanente, sguscia al di fuori di un quadro prevedibile proprio perché si immette in altra densità attivando suggestioni avventurose (com’era ne "Il fortino dell’invisibile") ma anche conoscitive. Questo in ragione della forza propulsiva delle immagini e dei versi: grazie a quanto si è potuto determinare nel processo poetico. Così l’attacco conosce un suo controcanto e la voce lirica tende a una successiva implicazione, adagiandosi negli spazi limitrofi, lavorando sulle rincorse, le ripetizioni, le illuminazioni: inseguendo le visioni e le cose accorrenti alla volta del soggetto.
Giusto in quei momenti qualcosa interviene. Il corpo per il fatto di rimare con le emozioni, anche quelle della mente, stilla immagini nelle sue varie vicissitudini e postazioni, tra un pensiero e l’altro. Richiama un proprio punto di consistenza ma anche il suo disvanire nel nulla e nel luogo al cui interno il nulla sembra divenire qualcosa.
È questa la parte accennata, o magari solo intuita, della scrittura pietriniana: un "terrain vague". Che però tende a farsi materia, vaga e fluente ma con una propria densità. Una materia che è tale perché si rivolge al cuore e, attraverso questo, può anche farsi “perfezione”.
“In te un’orma, / sorriso”, recita la chiusa di una lirica. Il cammino alla volta dell’invisibile reso percepibile presuppone un alfabeto di ricerca, una lingua che persegua non il convenzionale ma quella nuova dimensione verso cui s’era incamminata la poesia di Pietrini. Se una morte dolorosa non l’avesse fermata, chiudendola nel suo mistero, nella sua lattea separatezza.
*
Gualtiero De Santi

SEGNALAZIONE VOLUMI = GERMANA DUCA

L’ORLO LIRICO DI GERMANA DUCA

"Orlo invisibile" titola l’ultima raccolta di Germana Duca, edita nell’appena trascorso 2017 per i tipi di Piero Manni. Quell’ “orlo” richiamato nel titolo indizia un punto sensibile, non individuabile né distinguibile con la forza dei sensi anche quando si sia in atto di valicarne i limiti. Con buona probabilità lo si deve e può intendere mercé la chiave per cui le nostre azioni e vicende si articolano nel quadro di una “vita” che invariabilmente persegue un proprio “gioco”.
Ma siamo pur sempre di fronte a una raccolta lirica, dunque ci si può indurre a pensare anche alla scrittura, ai suoi "enjeux" come alle sue risorse, testuali tanto quanto simboliche. Il suggerimento che arriva dalla composizione d’incipit, "Melusina", personaggio mitico e chimerico (come annota nella sua postfazione Katia Migliori), figura che da donna, madre e amante si trasforma in “corsiva farfalla” indi sperdendosi e disvanendo nei gurgiti di un tempo senza misura, pretende un’attenzione al tutto particolare, evidenziata dalla stessa autrice.
La farfalla, che nel mondo greco è soffio vitale, respiro, indizia l’anima del poeta secondo la lettura del prefatore, Alessandro Ramberti. Così la fiaba femminile si traduce inevitabilmente in poesia al femminile trasportandosi in una temporalità nella quale abbia statuto di vigenza lo scrivere, “dov’è soltanto scrittura, scrittura…”.
In ambedue i casi – esistenziale e letterario - l’orlo invisibile è infine ciò che fa da antemurale a una dimensione del divino, o almeno dello spirituale, allacciati alla terra come a una condizione creaturale nondimeno abbassata al livello della quotidianità. Oppure, esso è una linea invisibile: l’uguale della vita che nella sua infrenabile corsa si disfa per poi rinascere nelle esistenze a malgrado del tempo che fugge rapido e a malgrado di sciagure che ci si rovescino sopra. O più semplicemente è un filo tenue: “Il passatempo misterioso, caldo fino / alla fine. Il soffio breve che ride, / sbuffa, sospira e rivive nel Creato”. Il che riconduce a un sentimento universale e religioso della realtà.
L’incessante meccanicismo che vede le cose travolgerci è alla base della lucidità interrogante e della serena disperazione che la poesia ha espresso sin dal suo ingresso nella modernità. Per duecento anni, finito e infinito hanno continuato a affrontarsi senza tregua. Germana Duca li avvicina con posatezza e anche con lieta cordialità, allora che ricompone usanze locali e ritempra opere e composizioni di cui s’era perduta traccia (come quelle della "Memoria popolare della settimana santa" raccolta dalla viva voce della suocera).
Anzi, il primo tratto di queste liriche è la dinamica che si determina dal loro reciproco interferire. In quel coniugarsi comune che si riflette nell’armonia delle forme metriche e nelle parole semplici, lievi e soppesate, ricondotte entro un flusso fenomenico e quotidiano ma anche nel giro che le oltrepassa e che le compone. “Per questi colli, anfiteatri / di infinito, si rinnova il rito / di Natura, in echi di stagioni”.
L’alfabeto adottato è quello intimo delle cose che teniamo dentro e delle altre all’ingiro, governate e forse comandate da un segno che le trascende; ma pur sempre abbarbicate alla realtà, persino a qualcosa che risente del gender, almeno nel gruppo delle composizioni che maggiormente si declinano al femminile e che anche per questo perseguono il tratteggio fiabesco – e maternale, e filiale – e insieme la circolarità delle stagioni come quella della scrittura (nel modo seguito nell’ordinare i versi e le strofe ma anche nel raccogliere e distribuire i materiali).
Incastonati nei flussi stagionali, tematicamente suddivisi all’interno delle varie sezioni, i versi di Germana Duca traggono dalla propria materia un’espressività pacata, che si esalta nella dimensione familiare e anche vorremmo dire urbinate (insaporita in una lirica sulla cucina locale e in altre dove l’idioma materno, un anconetano interiorizzato, si incrocia con quello dei percorsi e dei luoghi raccontati nei versi: S. Giovanni in Ghiaiolo, la strada per Casteldurante con ai lati la lupinella e i fiori dell’ornello, ovviamente Urbino). E allora l’orlo è la pagina di uno spartito antico e insieme attuale.
Infine quella lingua che attiva e accende e smuove il pensiero, graffiandolo, ustionandolo o anche liberandolo, è intensità, silenzio, presenza discreta, ascolto di altre dimensioni e avvicinamento all’infinità del quotidiano e del mondo, in cui per Duca consiste la poesia. Così non stupisce che il libro si concluda con la lirica dedicata al dodicesimo mese dell’anno, il dicembre, e con un’aurea rimodellatura, in punta di preghiera, del Salmo 144 della Bibbia.
*
Gualtiero De Santi

domenica 18 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANFRANCO JACOBELLIS

Gianfranco Jacobellis : “A lezione di sogno” – Edizioni del Leone – 2018 – pagg. 192 - € 12,00 –
“Sulla nostra /incerta presenza/ qualcosa caduto/ dal piombo del cielo / disorienta l’attesa/ nasconde l’amore / si frange come l’onda/ che perde la riva/ resta soltanto/ un ripostiglio di luce/ e l’ultimo suono/ uscito dalla soglia:/ la vita bipartita/ ha perso l’ancora / e cerca la chiave/ per fermare il tempo.” – Nel sogno le figure , i colori , i tratteggi , le illusioni , gli inganni prendono corpo palpabile e rincorribile , quasi una stoffa predisposta alla piega , per farsi leggera o pesante a seconda della effimera velatura dell’irreale . Anche il tempo non ha momenti di sospensioni , tra le improvvise assenze che annebbiano il quotidiano o le ombre confuse che si affacciano minacciose . L’onirico impone la sua magia tra gli intervalli che aprono squarci materiali , pronti a decifrare le incertezze del silenzio o le cesellature del visibile. La lezione di Freud ci insegna a leggere per decifrare tutto quanto di criptico si nasconde tra le fulminazioni del sogno; e la poesia del nostro offre numerose occasioni di svelamenti , sfuggenti sino al loro estremo esaurimento, per riversare memorie e simboli , come a rincorrere una clessidra quasi del tutto svuotata. Continuiamo a sognare ma “La dialettica dei contrari/ è la connessione dei tempi / così se la luce/ declina nell’ombra / come la vita nella morte / sono soltanto / assenze transitorie.”
Lingua e stile sono elementi essenziali in questo viaggio, che potrebbe apparire anche come indagine , vera e propria escursione nella parabola che mescola conoscenza e immaginazione , ascolto e solitudine , segreti e rimembranze .
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = SANDRO BUORO

Sandro Buoro – Ritrovarsi in una selva oscura
Ventisette poesie di sentimento e risentimento
puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2017 – pag. 47 - € 8,00

Sandro Buoro (Grosseto 1947), autore di articoli di storia e di ricerche pedagogiche, è stato giornalista, insegnante e dirigente scolastico. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Che il viaggio finisca qui? (1985); Il viaggio infinito – Canti di Ulisse (1996); Versi compatti (2000); Paesaggi e oltre (2010). In prosa ha pubblicato i fortunati racconti Storie dell’antiquario (2009).
Ritrovarsi in una selva oscura, il libro del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, non è scandito e presenta una postfazione di Emanuele Spano intitolata La selva oscura della memoria.
I componimenti sono numerati e tutti senza titolo e, anche per questo, l’opera, che ha una forte unitarietà stilistica e contenutistica, potrebbe essere considerata un poemetto.
Da notare che il testo è sottotitolato "Ventisette poesie di sentimento e risentimento", elemento che ci fa intendere le chiare intenzioni dell’autore del voler trattare tout-court il campo dell’affettività, dell’amore e del disamore.
Le composizioni sono quasi sempre di notevole estensione e sono sempre suddivise in strofe; inoltre tutte presentano le date di quando sono state composte, in uno spazio di tempo che va dal 2009 al 2014.
È detto il tema del pensiero della morte che si collega a quello del tempo che passa inesorabilmente e alla fine restano proprio i sentimenti e i risentimenti che hanno accompagnato e costellato la vita dell’io – poetante.
Per esempio, relativamente a quanto suddetto, nella poesia diciottesima, il poeta immagina la sua morte e soprattutto si chiede in che modo continuerà a vivere nelle memorie di quanti gli sono stati vicini durante l’esistenza e che lo ricorderanno, soprattutto i figli.
Ma nonostante la tematica dolorosa Buoro non si piange mai addosso, invece, proprio tramite la parola poetica detta con urgenza, ritrova il filo e il senso vero della vita che, se pure inserita nella temporalità, merita di essere vissuta.
Si può evidenziare qualcosa di neobarocco, nell’accezione positiva del termine, nella versificazione di Sandro per i versi che tramite le strofe, fluiscono in lunga ed ininterrotta sequenza e, inoltre, si deve sottolineare l’ottima tenuta dei versi lunghi, che sono molto numerosi e frequenti.
Tema saliente è quello di una natura rarefatta e anche idilliaca che emerge nelle poesie, a volte vagamente liriche, con accensioni e spegnimenti.
A questo proposito emblematici i versi dell’incipit della poesia diciannovesima: “Cadono le prime foglie di betulla tremula/ nel concluso giardino che le mie cure/ e forse il destino mi riservano in pegno…/- “
Qui il poeta intende per giardino quello che i poeti romantici tedeschi chiamavano giardino segreto e cioè la sfera interiore e inaccessibile dell’animo umano, alla quale solo solipsisticamente si può accedere e che è bene non rivelare a nessuno.
Quelle foglie di betulla che con indifferenza cadono nel giardino riservato al poeta divengono simbolicamente dei messaggi che giungono a Buoro dall’esterno nella nostra epoca del pensiero liquido che ci vede sommersi da notizie di tutti i generi che provengono dai mass-media.
Così, con una poetica complessa il poeta sottende proprio il fermo desiderio di uscire dalla selva oscura di dantesca memoria, che non riguarda solo lui, ma noi tutti.
*
Raffaele Piazza

sabato 17 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIO FRESA

Mario Fresa : “Svenimenti a distanza” – Ed. il melangolo – 2017 – pagg. 144 - € 12,00-
Il volume si apre con un capitolo ben preciso , sia per la scrittura in prosa sia per il titolo “convalescenza” , che potrebbe lasciar sospesi gli incipit di qualunque racconto per muoversi coraggiosamente sul piano dell’imprevisto e del sussurro . Così la figura che si staglia, seminascosta nel gusto della sorpresa, sembra occhieggiare tra le gemme di pareti inconsistenti ed il fogliame vigoroso della brughiera , tra le improvvise siluette tratteggiate e le foto accantonate nel cassetto. Questi ventisei paragrafi non sono un racconto , bensì coloratissimi interventi del pensiero vagante, che ha il sapore delle scelte impegnate per la esplorazione improvvisa delle inquietudini e delle timidezze d’amore, o le stranezze insolite d’una visione televisiva materializzata in vocaboli che imitano movimenti e difetti. Come sveniva Lucia ? In una specie di vertigine , in un vortice di fuoco che tenta di allontanare la tristezza. Il diverbio ha scatti e note che esprimono con eleganza la premura del confronto , fra due personaggi reali (?) o fra evanescenze metaforiche (?).
Il registro delle poesie che seguono, annodate nei capitoli “Alta stagione” , “Nodo parlato” , “Medusa della specie”, “Galateo per un abisso” , “Morphing”, “L’oggetto del desiderio”, “Falsa testimonianza” , “La mala fiaba” , spazia come in una perenne musicale conversazione , tra apparizioni e memorie , illusioni e desideri , incontri e incursioni , sussurri e amore.
In alcune composizioni Mario Fresa sembra voler giocare con il dettato ripercorrendo momenti della fanciullezza , tra immaginari giochi di infante e preposizioni roventi di energia, tra quadretti riproposti dalla scuola e angoscianti sospensioni ospedaliere , fra scene colorate del quotidiano familiare e frastornati rigurgiti di spensieratezza , così che la pagina sempre è ridondante , carica di quella cultura che la distingue per intensità e segno .
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


"Alessia sotto la neve"

Sotto la neve Alessia
nel condominiale giardino,
candore gelido nel grano
dei capelli e sulle ciglia
dello sguardo attento
nell’attesa di lui fino al
cancello. Le forme arboree
innevate e sparse al vento
sferzante di febbraio
e poi fa capolino un
solicello a illuminare
iridato il sembiante.
Arriva nerovestito lui
en è festa di baci sensuali
nella continuazione
della storia bianca.
*

"Alessia e il giorno in cui doveva piovere"

Neve su Napoli che ancora esiste
per ragazza Alessia, bianco nel grano
dei capelli di Alessia a raffreddare
di 18 grammi l’anima. Pensa a dei
baci la storia Alessia con Giovanni
mentre non piove e un solicello
di sorgente emerge a illuminare
del Parco Virgiliano il sembiante
dove Alessia fa l’amore in auto
secondo natura sottesa all’intensa
azzurrità. Gioca il sole con la neve
sciolta a entrare in di Alessia
di ragazza gli occhi e giungere
all’anima a illuminarla e Mirta
tra candele solari.
*

"Alessia felice in amore"

Azzurro cielo vestita per la vita
nel fondersi con il fondale oltre il tempo
ragazza Alessia al colmo della grazia
levigata dall’amore di ieri sera.
Fiorevole Alessia tra il roseto,
il melograno, gli aranci, i limoni
e la mimosa e il giallo nei capelli
biondi come la vita di ragazza Alessia
incantata dal paesaggio iridato
ad accadere negli occhi e giungere
all’anima di stella.
Alessia felice in amore ascolta
Uomini soli, dei Pooh e si stupisce
quando è detto Dio delle città
e dell’immensità, la foto di Mirta
nella tasca a portarla in cielo
per poi scendere nell’attesa dell’amica
che dia barlumi a lei, Alessia,
di inaudita gioia.
*

"Alessia promossa"

Trepida per d’Italiano 2
l’esame ha indossato
la minigonna rosa fuxia
Alessia mattinovestita per la vita.
Nel sottendersi all’asettico
spessore dell’aria per l’esame
il professore le chiede
di dire Laura del Canzoniere
di Petrarca. Risponde Alessia
fluviale. Poi di Dante La vita
nova e Alessia ragazza
nel pensare all’amato risponde.
Poi parla di Paolo e Francesca
del quinto canto della Commedia.
Trenta e lode e la vita è
una commedia, pensa Alessia.
*

"Alessia compra il rimmel"

Per via Chiaia nel passare Alessia
rosavestita per la vita nell’acquata
a bagnarla campita nell’esatto
grigio tinta neutra del cielo di
febbraio che dà stelle di fortuna
ad Alessia ragazza dell’ariete,
sottesa alle vetrine e in una vede
un rimmel che non aveva mai
provato per le ciglia dello sguardo
su Giovanni. Vuole ciglia
più lunghe Alessia per piacergli
e lo compra e paga €18.
Poi esce nel fluviale andare
della gente e il freddo la rigenera.
A casa allo specchio con gesto
esperto di sedicenne tinge lo
sguardo e si guarda più bella.
Squilla il telefonino: è lui!!
è lui!!! è lu!!!

Raffaele Piazza

INTERVENTO CRITICO PER ELENA SCHWARZ

ELENA SCHWARZ
Non è un caso che un volume di Elena Schwarz - EDITO DA FERMENTI - esca proprio nel 2018: si vuole infatti ricordare questa poetessa russa
nel settantesimo anno dalla sua nascita (1948-2018).
Il nome di Elena Schwarz è ben noto agli slavisti italiani,ma è giusto che varchi i confini del mondo accademico. Questo
lavoro si rivolge appunto ai lettori italiani, che amano la poesia,perché possano avere sempre più occasioni di leggere i testi di
una poetessa forte e vivace.
Ho cominciato a tradurre Elena Schwarz nel 2003, mentre lavoravo alla raccolta "La nuova poesia russa" (Milano), una
delle prime antologie di poeti russi contemporanei, uscite in Italia. Ho curato alcuni volumi di Elena Schwarz: San
Pietroburgo e l'oscurità soave (Venezia 2005), Gli omuncoli e altre storie (Sesto San Giovanni 2011, prosa), Così vivevano i
poeti (Pesaro 2013), Le opere di Arno Zart (Pesaro 2014).
L'intenzione è proseguire il mio lavoro di traduzione per presentare appieno questa poetessa, la cui carriera letteraria si è
protratta per quasi cinque decenni.
In un testo autobiografico Elena Schwarz si è definita “figlia dell'amore”: i genitori ebbero una
relazione breve e impetuosa. Il padre, Andrej Džedžula, professore universitario a Kiev, è sempre
stato lontano; la futura poetessa ha vissuto con la madre, Dina Schwarz, direttrice letteraria del
Grande Teatro Drammatico di Leningrado: è quindi cresciuta nell’ambiente teatrale. Ha seguito la
madre nelle varie tournée nell'URSS.
Ha studiato alla Facoltà di Lettere dell'Ateneo leningradese, ma ha interrotto dopo pochi mesi.
Nel 1971 si è laureata presso l’Istituto di Teatro, Musica e Cinematografia. Conoscendo le lingue
europee, ha tradotto opere letterarie per gli editori sovietici e poi russi.
Negli anni Settanta ha frequentato gli ambienti letterari clandestini, dove i suoi versi circolavano
in versione ciclostilata. I poeti underground si esibivano in letture fondamentalmente domestiche.
Era la “seconda cultura” leningradese con la sua intensa vita intellettuale a metà con le follie
provocate dai fumi dell'alcol. Tra i poeti dell'underground a lei più vicini: Viktor Krivulin, Sergej
Stratanovskij, Jurij Kublanovskij, Dmitrij Bobyšev, Michail Schwarzman.
Con l'avvento della perestrojka gorbačëviana ha potuto pubblicare anche in patria: sulle
principali riviste letterarie e in edizioni a sé stanti. La raccolta più completa, uscita in Russia, è
Sočinenija [Opere] (2002-13, in 5 volumi).
In un testo autobiografico la poetessa ha scritto: “Tra tutte le persone, più di tutti mi
entusiasmano: Mosè, Giobbe, Francesco d’Assisi. Colui che preferì celarsi dietro lo pseudonimo di
Shakespeare, la Cvetaeva, Alessandro il Macedone, K. G. Jung e Andrej Belyj. E Pitagora. E prima
anche – Chlebnikov e Mejerchol’d, Van Gogh. E ancora prima – Savonarola”.
La poetessa ha scritto di avere il sangue “giudaico, slavo, tartaro e zigano” (“Rozze correnti di
sangue barbaro:/Nel mio corpo...”) Appartiene alla tradizione cristiana, che rielabora in maniera
barocca. È una produzione poetica colma di misticismo, al di fuori di schemi e abitudini. Sono testi
che evitano oscenità, come pure i temi di attualità e di politica.
Elena Schwarz si è occupata a lungo di alchimia. Alla base de Le opere di Arno Zart c'è proprio
l’alchimia, in particolare quella del taoismo. La poetessa subordina questa disciplina a un processo
unico: la creazione del poeta. Come il metallo non nobile si tramuta in oro, così a livello umano il
verme diviene creatore, il corpo diviene spirito, la morte vita. Ella ha scritto: “L’alchimia nella
poesia non è solo un Opus magnum, non solo la creazione della pietra filosofale, non solo la
trasfigurazione dell’anima mediante la materia linguistica. È il principale compito spirituale, ma ci

1 Elena Schwarz, Nel cristallo della stella Mizar, a cura di P. Galvagni, 2018, Fermenti Editrice.
sono molti segreti tecnici che si conoscono con gli anni, per i quali le dita diventano gialle per gli
acidi che disgregano i significati e le radici delle parole. L’essenza di un poeta si può comprendere
attraverso la materia dei suoni che rimangono dopo l’evaporazione di tutto il superfluo”.
Elena Schwarz è certamente uno degli autori più celebri dell’underground leningradese e quindi
della scena letteraria russa. I numerosi estimatori hanno creato una sorta di mitologia, inserendo la
poetessa in una nuova “torre d’avorio”. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti letterari, tra cui il
prestigioso premio Andrej Belyj (uno dei più autorevoli e longevi riconoscimenti letterari in Russia,
istituito nel 1978 e tuttora esistente), “Severnaja Pal’mira” (1999) “Triumf” (2003), “Znamja”
(2006).
La sua fama crescente l'ha resa celebre anche all'estero: è stata invitata a numerosi festival di
poesia in Europa e in America. Le sue poesie sono state tradotte in 17 lingue, tra cui il giapponese e
l’ebraico. Tra i volumi pubblicati in Europa: Paradise: selected poems (Newcastle upon Tyne 1993),
Das Blumentier, Gedichte (Düsseldorf 1999), La vierge chevauchant Venise et moi sur son épaule:
poèmes (Évian, Alidades 2003).
Elena Schwarz aveva un carattere particolare, iroso e battagliero. “Io sono una persona
complessa. Il subcosciente in me è come in una persona della società tribale, la coscienza –
medievale, e l’occhio – barocco.” Negli ultimi anni era vulnerabile, goffa. Era comunque una
persona immersa nel lavoro interiore mai interrotto. Come traduttore mi sono incontrato spesso con
lei, durante i miei soggiorni pietroburghesi. Abitava nel centro di San Pietroburgo insieme al suo
“hoka”, il minuscolo cagnolino giapponese di razza chin, in un appartamento dove regnavano le
icone antiche, i CD di musica lirica, tantissimi volumi.
È comparsa nel 2010 per una grave malattia (“Quando sarò morta,/ Volerò al nucleo della terra –
/Come una farfalla/ Su una candela). È sepolta nel cimitero Volkovskoe di San Pietroburgo, accanto
alla madre. Attualmente il critico pietroburghese Kirill Kozyrev si occupa di mantener viva la
memoria della poetessa, conservandone l'archivio (lettere, manoscritti, fotografie, etc.). È prevista
la creazione di un sito dedicato alla vita e all'opera della Schwarz.
La scomparsa della Schwarz per la poesia russa può esser paragonata solo alla morte di Brodskij
nel 1996.
Elena Schwarz ha scritto:“La poesia russa è del tutto incomprensibile al mondo, assolutamente
esoterica per esso. Ha accolto come affini quasi tutti i grandi poeti del mondo, ma, pur avendo
assorbito tutto questo e pur avendo generato qualcosa di teoricamente nuovo e significativo in un
senso spirituale e puramente poetico, è rimasta sconosciuta per le altre lingue. Se un giorno sarà
inventato, diciamo, un elmo magico, indossando il quale un francese o un inglese potrà
comprendere una lingua estranea (il russo) come propria, allora, forse, tra molti secoli essa
diventerà per la cultura mondiale come quella antica, e Mandel’štam sarà come Orazio, e anche io,
peccatrice, sarò qualcosa.”
Questa sua aspirazione a esser conosciuta e letta mi ha spinto in questi anni a tradurre e
pubblicare i suoi testi.
Nel 2001 la poetessa ha ricevuto dal Fondo Brodskij un “grant”, grazie al quale ha potuto
soggiornare in Italia (Roma, Villa Medici). A Bologna è stata profondamente colpita dalla pietà di
Nicolò dell’Arca nella chiesa di Santa Maria della Vita: “Lì una Maria calva, / ulula a squarciagola /
lacerando la bocca” (ciclo “Versi italiani”). Nel 2004 l'editore Nicola Crocetti l'ha invitata a
Perugia, a un festival di poesia. Il professor Stefano Garzonio, slavista dell'Università di Pisa, l'ha
invitata a Firenze al seminario “Dante nella poesia contemporanea” (Palazzo Vecchio – Gabinetto
Vieusseux).
Tra i poeti italiani, Paolo Ruffilli ha avuto a che fare con Elena Schwarz: ha pubblicato il
volume San Pietroburgo e l’oscurità soave presso le Edizioni del Leone, l'ha invitata a Fermo nel
2005, dove è stata premiata all'“Europe Festival”. Anche Serse Cardellini, poeta ed editore
marchigiano, ha molto apprezzato questa voce potente, pubblicandone due volumi. Davide
Rondoni, poeta e direttore del Centro di poesia contemporanea (UniBo), ha dialogato con lei in
occasione dell'“Amo Bologna festival”: abbiamo passeggiato con la poetessa a Bologna, sostando
nel giardino di via Broccaindosso, dov'era il melograno del Carducci.
Nel 2010, l'anno della morte della poetessa, due riviste italiane, “Poesia” e “L'Immaginazione”,
l'hanno ricordata, pubblicando nuove traduzioni.
Nell'ultimo periodo stava preparando per l'editore pietroburghese “Vita Nova” una corposa
biografia di Gabriele D'Annunzio, poeta che apprezzava e leggeva nell'originale italiano. Nel
marzo 2009 le ho portato dall’Italia alcuni libri sul “vate”, tra cui l'opera di Giordano Bruno Guerri,
che lei avrebbe letteralmente divorato. Nel 2010 è uscito postumo il volume Krylatyj ciklop [Il
ciclope alato] (più di 500 pagine).
Si può prevedere la presentazione di questo volume nei Laboratori di Poesia, tenuti a Roma da
Giorgio Linguaglossa, che ha già manifestato interesse per la poetessa. Anche l'Associazione “Italia
Russia” di Milano e il Centro di Poesia Contemporanea a Bologna possono essere contattati per
un'eventuale presentazione della Schwarz.
A San Pietroburgo nel corso del 2018 si prevedono varie iniziative (letture, incontri,
conferenze), in occasione dei settant'anni dalla nascita di Elena Schwarz. Inoltre il volume ora in
corso di pubblicazione presso Fermenti editrice, verrà conservato nell'archivio tenuto da Kirill
Kozyrev.
Paolo Galvagni

venerdì 16 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = MATILDE VITTORIA LARICCHIA

Matilde Vittoria Laricchia – "Non ci sono foto ma qualcosa è rimasto" --
puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2017 – pagg. 47 - €8,00

Matilde Vittoria Laricchia è nata nel 1985 a Livorno, dove vive dopo aver abitato in numerose città; questa è la sua raccolta di esordio.
“Non ci sono foto ma qualcosa è rimasto” è un testo scandito in tre sezioni: intitolate: “Sempre”, “Durante” e “Dopo”.
Già dai titoli dei suddetti segmenti si evince che nella raccolta è centrale il tema del tempo.
Il testo è preceduto da un componimento introduttivo senza titolo, che ha un carattere programmatico diviso in tre strofe; in esso si riscontra una grande chiarezza e trasparenza del dettato ed è presente il tema della metamorfosi.
Nella suddetta poesia la poeta afferma che un giorno esplose e che proiettata in pezzi avanti ha tastato cieca attorno per sperare in qualche coccio.
La composizione è originale, dal taglio narrativo, e connotata da una dizione icastica e sicura, caratterizzata da una certa pesantezza, che si coniuga con lentezza, senza che queste due ultime caratteristiche debbano essere intese in un’accezione negativa.
Le poesie sono pronunciate in prima persona e la Larricchia riesce a creare, nel tessuto linguistico, sospensione e mistero.
Contrariamente a quella iniziale, le poesie delle tre parti, che presentano una certa organicità, sono leggere e scattanti e da esse traspare una certa magia, che si coniuga a visionarietà.
Inoltre è presente una certa forma anarchica nei versi, che a volte sfiorano l’alogico e il misterioso.
L’io poetante è fortemente autocentrato e si assiste al ripiegarsi dell’autrice su se stessa, alla ricerca del vero senso della vita, attraverso una parola detta con urgenza, non senza l’apertura verso un tu del quale ogni riferimento resta presunto.
Tutte le poesie sono costituite da frasi brevi molto incisive: la giovane poeta riflette sulla sua condizione di persona che si trova ad affrontare la vita che si svela nel rapporto con l’alterità e nelle situazioni quotidiane più svariate.
La poetica dell’autrice può essere definita antilirica tout-court e sua cifra dominante pare essere considerata una sua certa vena esistenzialistica.
Particolarmente interessante la composizione Sono parola, tratta dalla prima sezione; in questa poesia si crea un intrigante gioco di rimandi dal foglio scritto, alla mente poetante, che divengono una cosa sola, in un procedimento che non ha nessuna traccia di autocompiacimento.
Il libro, complessivamente, può essere considerato un poemetto e ogni sua singola parte può essere vista come una variazione sullo stesso tema, che è quello della ricerca di un equilibrio nello stare al mondo, nel tentativo di abitare poeticamente la terra.
La vita è sempre la stessa nel suo eterno ritorno, nel suo giornaliero riaccadere e solo la poesia e la sua pratica, attraverso la scrittura, riescono ad infonderle un senso profondo; queste sensazioni si percepiscono anche attraverso la lettura del titolo della raccolta (Non ci sono foto ma qualcosa è rimasto), attraverso il quale l’autrice vuole darci il sentimento di una memoria salvifica, la nostra provenienza, che è viatico verso l’attimo presente: infatti dei momenti belli e felici, anche se non ci sono fotografie a suggellarli, rimane sempre una traccia indelebile nelle nostre menti,
*
Raffaele Piazza

venerdì 9 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = DARIO DE SERRI

Dario De Serri- Come le nuvole sopra Berlino----- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2017 – pag. 203 - € 18,00

Dario De Serri è nato a Ferrara nel 1974 e dal 2008 vive a Berlino. Negli anni ha partecipato a concorsi nazionali e internazionali, pubblicato testi su riviste specializzate. Nel 2011 vince il Premio “Laurentum” nella categoria “Italiani nel Mondo”. Nel 2012 e 2013 è nei primi tre finalisti della sezione opere internazionali al Premio “Vignola”
Come le nuvole sopra Berlino è un testo molto composito e articolato architettonicamente e non a caso è costituito da parti in prosa (vagamente poetica) e da numerose sezioni di poesia, per cui, in senso lato, potrebbe essere considerato un ipertesto.
Il libro presenta uno scritto introduttivo di Emanuele Spano intitolato La Berlino di De Serri tra la vertigine del cielo ed il richiamo della terra e una nota di postfazione di Mauro Ferrari.
Profondità e scavo psicologico, introspettivo caratterizzano quest’opera originalissima che diviene emblematica nel nostro postmoderno occidentale nel suo riferimento alla città di Berlino dopo la riunificazione della Germania.
Proprio per la suddetta riunificazione dal 1989 non si parla più di Berlino est e di Berlino ovest ma di un’unica grande città dopo l’incruenta caduta del muro storico che divideva le due città.
Non a caso, in questo libro affascinante e avvincente la parola forte libertà, riflettendosi su sé stessa, partendo dalla sfera politica e pubblica, si riferisce successivamente al privato, definendosi in tutti i modi come fondamento caratterizzante della dignità sia della collettività, della società, sia del singolo e la libertà stessa diviene fondamento in sé stessa dell’amore, come vuole farci intendere l’autore.
Proprio per questo così scrive De Serra nell’Introduzione, sottotitolata Città di Plato: Questo libro parla d’amore, di libertà, per noi e per il mondo che ci circonda, del rischio che comportano la verità e la lealtà, l’essere e il riconoscere se stessi, la difficile accettazione del cambiamento e della fine, perfino nei sentimenti più nobili. Questo libro dice della libertà di scelta, lasciata – ad ogni costo- a chi ci circonda, soprattutto a chi ci ama e a chi ci sta vicino o che vorremmo più vicino, a chi ogni giorno decide – in piena coscienza -, se continuare o meno a restare nella nostra vita. Racconta la sfida del rinnovamento, il dubbio dell’ovvio, di ciò che – si dice – è sempre stato così.
Tale brano è sotteso all’implicita convinzione della possibilità dell’esistenza della felicità nella vita umana che si realizza proprio nel binomio amore – libertà, fattori che si coniugano nel loro produrre senso, il vero senso della vita.
Ed è ovvio e sottinteso, potremmo aggiungere, che qui entra in gioco la capacità d’amare per cui, per qualsiasi persona, il fatto di essere riamata dalle figure amate, in primis la compagna o il compagno di vita e i figli, dipende in gran parte dal proprio comportamento nel relazionarsi e interagire con gli oggetti amati.
Le poesie che fanno da controcanto alle parti in prosa possono essere senz’altro essere definite come poemetti collegati gli uni con gli altri e c’è sempre un “tu” al quale il poeta si rivolge, presumibilmente l’amata.
La cifra essenziale della poetica di De Serri è quella della vaghezza delle situazioni descritte che evocano una forte carica di mistero tra accensioni e spegnimenti.
*
Raffaele Piazza

giovedì 8 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

Viaggio attraverso "MOIRAS" di Francesca Lo Bue

Per questo libro dal titolo un po’ misterioso, che tratta di vita e di morte, Francesca Lo Bue ha abbandonato i colori vivaci delle precedenti raccolte, privilegiando i colori smorti, soprattutto il nero, in antitesi con il bianco della neve, delle colombe, delle nuvole, dell’occhio accecato dalla luce, del fiore dell’albero centenario, della tunica di Cesare, del sole, nonché di tutte le cose “calcinate”, aggettivo che Francesca predilige e ripete spesso nelle sue liriche.
Anche Moiras è una raccolta bilingue in cui l’autrice si muove a cavallo dei suoi due mondi culturali, italiano e argentino, con originale profilo. Il tema prediletto è quello di Roma (dove Francesca ha scelto di vivere dopo la parentesi in Argentina) e del suo tempo ancestrale, visto come malinconia delle emozioni che trascina inesorabilmente in quel limbo chiamato passato. Altri temi sono la vita, la morte, l’odio, le nebbie, il vento, il mare – che raccontano la loro parte nella storia, da coinvolti spettatori.
Dice Giacomo Leopardi che «per gustare e sentire la verità profonda espressa dal poeta bisogna avere forza di immaginazione, sentimento e capacità di porsi nei panni dello scrittore». E infatti questa raccolta, che contiene tutto quello che ci rende semplicemente uomini, cioè la sofferenza, l’amore, la voglia di combattere e tante altre emozioni che, per forza di cose, si fondono e ricompongono con l’ambiente che ci circonda e che trasfiguriamo coi nostri occhi, richiede consapevolmente uno sforzo al lettore. Si propone di intrigarlo con la potenza visiva delle scene evocate dove, misterioso, incombe il tempo.
Il tempo ricordato, il tempo previsto e atteso, il tempo vissuto e rimpianto, ma anche il tempo scandito dal mondo della clessidra, che si impone come specchio dell’esistenza, come modo per entrare, comprendere e mostrare il mondo reale. Sono autentiche elevazioni dell’anima verso il mistero ultimo che alberga oltre il nostro tempo e che, non potendolo prevedere, il poeta può solo cantare.
Si tratta di liriche che con brevi e istintive frasi hanno la capacità di racchiudere l’essenza e la purezza del sentimento, con versi di lunghezze diverse e l’uso di ossimori (agonia serena, dolcezza rabbiosa, oscurità amena, stella opaca, etc.).
*

Antonietta Tiberia

mercoledì 7 febbraio 2018

NOTIZIA DI PREMIO = APOLLO DIONISIACO

Premio Internazionale Apollo dionisiaco Roma 2018.
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L’Annuale di Poesia in voce, Arte in mostra e Critica in semiotica estetica delle opere.

L'Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea, polo no profit di libera creazione, ricerca e significazione del linguaggio poetico e artistico, in Convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, con il Patrocinio dell’ANCI, della Regione Lazio e di Roma Capitale, Presidente la prof.ssa Fulvia Minetti, bandisce la V Edizione 2018 del Premio Accademico Internazionale di Poesia e Arte Contemporanea “Apollo dionisiaco”, senza scopo di lucro e volto alla valorizzazione del senso dell’espressione creativa. Opere in poesia e opere d’arte visiva, in pittura, scultura, grafica e fotografia, edite o inedite, di autori e artisti di ogni età, formazione e nazionalità, sono attese via email all'indirizzo: accademia.poesiarte@libero.it entro l’8 giugno 2018.

L’evento artistico e letterario celebra il senso della bellezza dell’arte in tutti i suoi linguaggi d’espressione. L’arte è luogo di sintesi fra dionisiaco ed apollineo, fra corpo e mente, e azione rituale di nascita d’identità e di mondo nella trasfigurazione dei significati dell’umana verità.

L’Annuale d’incontro e premiazione di tutti gli artisti selezionati, fra Arte in mostra, Poesia in voce, Diplomi, Critica in semiotica estetica delle opere e i trofei Apollo dionisiaco in pregiata fusione artigianale del Laboratorio orafo di Via Margutta 51 in Roma, si terrà il 3 Novembre 2018, presso il Salone del duecentesco Castello della Castelluccia in Roma. Il bando del premio è su: www.accademiapoesiarte.it

Apre l’Antologia e la Mostra permanente on line al sito: www.accademiapoesiarte.com per Poeti e Artisti richiedenti anche fuori concorso.
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martedì 6 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIACOMO LERONNI

Giacomo Leronni – Le dimore dello spirito assente---- puntoacapo Editrice – Novi Ligure (AL) – 2017 – pag. 149 - € 15,00

Giacomo Leronni (Gioia del Colle, 1963) ha pubblicato molti suoi testi su alcune importanti riviste del settore. Ha vinto, fra gli altri, per l’inedito, il Premio Nazionale di Poesia “LericiPea” (1998) e il Premio Nazionale Castelfiorentino (2009). Polvere del bene (Manni 2008) è il suo primo libro. Altri suoi testi inediti sono confluiti in numerose antologie.
Le dimore dello spirito assente, il libro del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una postfazione di Massimo Morasso ricca di acribia intitolata L’impavida poesia dei minimi spazi.
La raccolta, molto estesa, è ottimamente strutturata architettonicamente e si articola nelle seguenti sezioni: Lezioni dall’oscurità, Consegne dello sguardo e Neve francese.
Quasi tutte le composizioni sono senza titolo e questo elemento ne accresce il senso di mistero.
Particolarmente intrigante nella sua originalità la composizione di apertura intitolata Dichiarazione di poetica, poesia programmatica nella quale vengono citati termini dello stesso poiein poetico, come verbosità, discorso paludato, fasto retorico, ridondanza e cornici esornative
Il suddetto componimento costituisce una riflessione della poesia su sé stessa e si chiude con i versi significativi e icastici: - “…/chi parla adesso è asciutto/ un corpo scarnificato/ evaporato//nient’altro che un’anima/”.
Questi sintagmi confermano la concezione dello scatto e scarto biologico che è alla base del fare poetico che sottende il pensiero creativo che resta invisibile e si traduce nella versificazione.
Non a caso la sezione nella quale è inserita questa poesia, che è la più corposa della raccolta è intitolata Lezioni dall’oscurità: in questa maniera il poeta si rivela come consapevole della provenienza inconscia della poesia stessa che scatrisce da regioni della mente che il giorno non conosce.
È così descritta implicitamente la genesi delle composizioni poetiche nel loro decollare e venire alla luce nelle pagine dei libri di poesia.
Cifra essenziale della poetica di Giacomo pare essere quella di un costante senso di sospensione e mistero del quale sono imbevute tutte le composizioni che compongono la raccolta.
Con un linguaggio del tutto antilirico e anti elegiaco il poeta ci consegna un materiale nel quale domina il fattore speculativo e proprio i componimenti medesimi divengono le dimore dello spirito assente, afflato che scompare nel vuoto o nel nulla dopo averle create.
Diviene così una poesia filosofica ed intellettualistica quella di Leronni nella quale sono detti l’essere e il tempo che dominano una natura che emerge in superficie con pochi riferimenti.
A livello formale tutte le composizioni, sempre articolate in varie strofe, sono eleganti e ben risolte.
Anche una vena anarchica, che a volte sfiora l’alogico, è peculiare di questo lavoro che, nel nostro panorama, costituisce un unicum e il discorso procede sempre per illuminazioni e subitanei spegnimenti.
*
Raffaele Piazza

POESIA = CARMINE LUBRANO -

"nova Letania per Emilio Villa"

e via verso il vesuvio
tra briciole esplose e vomiti in vitrum
vomiti silenti le cicatrici in tinte declinate
ai labirinti teneri patetico preludio ignoto cielo rapito
nella notte delle stelle e dei canti la letania di Emilio
per Carmelo
Bene
e la tempesta napolitana*
in questo incontinente comizio rimario rusario
e strilli stizzosi e mozzichi e sanguinolenti sangennari
quatte mappine ammuntunate e strummole e piquogne
sciusce 'e viento lu mare saglire n cielo e cielo lampiava

e via verso il vesuvio
la pigrizia de li astri e la vertigine
col rischio della voce nella cruna d'una fottuta fogna pietosa
e Trinculo fete de pisciazza
e puozze jettare lu sango
crocifissioni e danze e rutti erotizzati ( allusivi )

e via verso il vesuvio ( sarà una bella giornata )
di sesso stralunato tempesta e musica sonetti
e santo santo proponimento lo cancelliero e lo papa
scandali di democrazia testimoni incarnati
in bordella mignotte scapigliate scalze stracciate

e ci si sguazza dentro a l'inganno ( mirabile )
ch'apre il core a l'ortica ch'intrica
e chini i garofani ai gambi spinosi alli equi-voci
detriti di prosodia e che sorride
istantia nigra nido sexus sibylla deliriis

e via verso il vesuvio
appizzate li rrecchie
l'inchiostro invade s'inventa feria coi vermi
tra atipici sismi e ninfe tra gigli
nude nebbie e nodi e tenie tuoni
incastri endotermici trastulli gingilli
barocchi liofanti
che lengua Amor osa Amor che plora e si lamenta
amor ch'al corpo sano ha procurato scabbia
co' l'Immanuel Romano il bisbidis e l'asmo il rasmo
la superchia parola morduta eiaculanno lampe fummo e fuoco e fuoco e fiamme
all'arruzzata carcassa da surece e zoccole tutta rusecata
e via verso il vesuvio
e puozza jettare lu sango
buffone cu li campanielle a lu cappuccio
**
* da "La tempesta" di William Shakespeare
nella traduzione in lingua napoletana
di Eduardo De Filippo
**

"CANTA "
Carmine canta co' lengua amor-osa
scovera Jorda pilosa i francisi poeti
del vomire in bordella la terra
le stagioni gli amori i cantautori
la minigonna ed i fiori tra i lunghi capelli
le anime corrose da idee luminose i dadaisti
les anarchistes musicisti ubriachi di jazz
che danzano la malinconia e bevono birra
tra cozze e patatine per inculare la luna nelle latrine
e ribes sanguinanti Carmine canta dei Santi
contro i berluscazzi che affogano nello sterco
tra piscio e cemento ami-anto con do nato
tarramoto e casoria escort import pompini lustrini
regine e mignotte attratte dal coitus interruptus
di una nuda italia che suda catarro camurria
tuosseco e munnezza a luci rosse cruci fissi Carminecanta l'Averno il verno l'inferno
rutto 'e Vesuvio cumane sulphitarie
la nuda bellezza nuda che si mostra
sporca di baci e di parole e lacrime antiche
Carmine canta stroppole d'ammore
l'asso di cuori l'occhio nel pozzo l'immensa dolcezza
del piacere impuro d'una letania a dismisura
che tra le rughe serpeggia e così sia penombra vertigine
enigma sonoro tra queste rime e quasi dimentiche

sorrisi ed inchiostri abbruciati Carmine canta
in questa Serenata Napulitana al Cabaret Voltaire
il vaffanculo blues maccarune ca' ricotta
e scarrafune cacamuro 'ndint' 'o scuro
'ndint' 'o scuro l'ultima canzone rusario de' criature

Carmine canta sa-sa sa-sa saziando la terra
tra sesso sasso matisse la febbre come l'incanto
il gatto il ratto il pane cotto ma vedi il fango ora il fango
ed i bambini i bambini e tu Edoardo in un sonetto
urgente emergente con inquieti ingredienti
arpe e mulattiere omofonia cancrena ed anestesia
il tuo fazzoletto rosso e la ricetta per cuocere tutto
cadaveri e logaritmi il conflitto tra cuore e mammelle

Carmine canta le brutte ferite marcite la puzza morduta
tra orrido e schifo il sudore del morbo secreto la rissa
nolana che deslippa mignotte tricchitracchi allocchiç
tarocchi mamalucchi la spaccastrommola che brucia e vomita
le nunziate ed i santi l'inferno de le puttane e de' ruffiani
ma vedi il fango ora il fango Carmine canta
'e ciento poesie d'ammore 'o mmare
'o mmare ca se jetta 'ndint' 'a lluna Carmine
canta la voglia di chiavarti nel tinello nel bordello
nella notte del Santo del Salento cu' lacrime cucente
e ccussi ssia
spassiunatamente
*
CARMINE LUBRANO ---

domenica 4 febbraio 2018

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“ Indugio ” ---

Rincorro la tua pallida brace , il tuo seno
che non appartiene più agli umani
nel solco che divide giorno da giorno.
Fisso nel sopracciglio
scommesse dal rosso dissociato,
fra caviglie e tempie,
ormai nel conforto
a guardia dell’ennesima ischemia.
Mollemente fra tempi sillabati
a trapanare reni
la tua parola è tuffo di balbuzie.
Soffocato stupore la sorpresa
nell’imprendibile soffio che rimanda
a costringere pieghe;
dal fondo del mio pensiero straniato
il timore adagiato nell’indugio.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = RAFFAELE PIAZZA



"Alessia nell’albereto sogna"

Sera di febbraio nell’intensificarsi
il freddo per Alessia ragazza
nell’albereto di abeti argentati.
Custodisce nell’anima il sogno
più bello Alessia ragazza da non
dire nemmeno a Giovanni
Tappeto d’aghi d’argento a fare
da letto ad Alessia nel diradarsi
della nebbia nel sognare cavalli
candidi e neve bianca come la vita.
Sottesa al vento Alessia nell’infinita
storia a proseguire.
*

"Alessia anima di ametista"

Alessia vestita d’ametista
tinta dell’anima di 18 grammi
nell’incielarsi nel colore
dell’azzurro tetto sulla fabula
che si fa favola della vita
se lo vogliono gli angeli,
felice Alessia nel riannodarsi
alla natura in fili di verde
d’erba per grazia gratis data
da Dio e l’amore dura
pari a donna Alessia, 16 anni
contati come semi.
*

"Alessia dopo le stelle"

Attimi di fili di luce
di stelle a entrare negli
occhi di Alessia e all’
anima di 18 grammi
giungere nell’interanimarsi
Alessia ragazza con l’iridato
sembiante delle voglie.
Vuole fare l’amore ragazza
Alessia nel vestirsi
nella trepida mattina
e telefona a Giovanni
(sono da te tra un’ora
fatti bella che lo facciamo).
Ansia a stellare Alessia
nel ricordare la lezione
del Maestro.
*

"Alessia al blu sottesa"

Sottesa Alessia ragazza al blu
di un cielo serico nell’apparire
Mirta nel fondale di una via
deserta pari a una dea
terrena, lei così bruna e così
donna tra bagliori d’alba e
semispente stelle nell’inalvearsi
nel sentiero chiarezza d’acque
in un rigo del pensiero a inumidire
del giorno la terra per germogli
di primavera ora che è febbraio
bianco e innocente come il freddo.
Responsi dal blu più che dalla
chiesa in un nuovo transito
di idee fino all’azalea.
*

"Alessia tra le alberate"

Stellante silenzio tra le
alberate ad avvolgere Alessia
rosa pesca vestita nell’
interanimarsi con l’iridato
sembiante di arcobaleno
dopo la pioggia su Napoli
che ancora esiste sottesa
al lungomare nella mente
di Alessia nel levigarsi
dei pensieri al vento.
Ed entra in scena il freddo
a riscaldarla l’abbraccio
con Giovanni e la storia
dei baci che continua.
*
Raffaele Piazza

sabato 3 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = MATTEO VERONESI

Matteo Veronesi : “Tempus tacendi” – ed. Alla chiara fonte- 2017 – pagg. 46 – s.i.p.
Non direi proprio che è tempo di tacere , se la poesia preme con le sue note musicali e con l’impegno che la ricerca della parola affida al poeta. Il segreto si cela nei versi e cerca in tutti i modi di palesarsi per risuonare tra le arcate di un tempio o fra le onde fragorose agli scogli . Ma il segreto diventa pensiero o figura per un proprio movimento interiore che mescola conoscenza e illusione. La voce sconfigge i silenzi e richiama “il muto canto degli angeli dagli abissi della calce” . A volte le riflessioni sono metafisiche, a volte romantiche , ancora stupefatte, crescendo in un interrogativo che si incide tra i versi ed il segno, capaci di coinvolgere per la fascinazione del ritmo e della orecchiabilità. L’incantamento della memoria ha una sua essenziale immaginazione che ripropone figure o luminosità , per un “mondo solo gorgo di colori/ un vortice di forme decomposte / ad avvolgere l’indice che addita / e sfiora il tutto e il niente / il pieno e il vuoto avvinti / alla colonna tenue dello spirito.”- Una strana e vivida richiesta circa il potere della parola ritorna in alcune pagine, quasi sfida a ricostruire il dettato di un pensiero fulminante : “ Del vuoto abbia la mia / parola la pienezza / arda al nero fuoco/ del non senso - / abbia la cieca / forza inesausta della debolezza.” – L’io autobiografico non sparisce e la voce narrante interviene in un continuo commento , immergendosi nella storia , nelle sorprese , nelle metafore , quasi a manipolazione della comune oralità, per suggerire colori e adagi fra persone , cose , avvenimenti , ricordi , speranze.
*
ANTONIO SPAGNUOLO .

venerdì 2 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = GUIDO GALDINI

Guido Galdini – Il disordine delle stanze--(Poesie 1979 – 2011)-- puntoacapo Editrice – Novi Ligure (Al) -2017 – pag. 109 - € 12,00

Guido Galdini è nato a Rovano (Brescia) dove tuttora risiede nel 1953. Si è laureato in ingegneria nel 1978. Lavora nel campo dell’informatica. Questa è la sua prima raccolta.
Il disordine delle stanze, il volume di poesie del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è un libro non scandito che, per la sua unitarietà stilistica e contenutistica e per il fatto che quasi tutte le composizioni non hanno titolo, potrebbe essere considerato un poemetto.
Una considerazione preliminare, che riguarda tutti i componimenti racchiusi nel corposo volume, consiste nel fatto che presentano una forma elegante e ben cesellata nella sua raffinatezza.
Le composizioni, che iniziano tutte con la lettera minuscola, elemento che ne accresce il fascino, evocando una lontana provenienza, sono tutte ben risolte nella loro leggerezza ed icasticità.
Non si può parlare di liricità tout-court per definire queste poesie ma di un lirismo accennato e di vaga bellezza.
Anche una certa vena neo – orfica s’intravede in molti componimenti che sono imbevuti di una forte carica di mistero, costituiti da immagini dove tutto resta magicamente presunto nel realizzarsi di una forte carica d’ipersegno.
Una parvenza intellettualistica sembra prevalere con tendenze speculative e filosofeggianti che spiazzano il lettore per una pronuncia detta con urgenza.
La prima poesia breve, costituita solo da quattro versi, sembra avere un carattere programmatico:-“ se una cosa hai da dire,/ dilla con una poesia,/ se non sai dirla con una poesia,/ che importanza ha mai dirla/-“.
Nella suddetta si accentua la concezione del valore salvifico della scrittura in versi perché il poeta descrive una situazione paradossale, invitando un tu, del quale ogni riferimento viene taciuto, ad esprimersi, anche nel linguaggio parlato, quotidiano presumibilmente, tramite la poesia per dire le cose.
Quindi, con poche parole, disposte con bravura, il poeta ci fa intendere che si potrebbe parlare recitando poesie nel linguaggio comune, cosa ovviamente paradossale e che pare avere un valore kafkiano.
Perché il titolo Il disordine delle stanze? La risposta potrebbe essere quella della visione di una realtà generalmente caotica, fatta appunto di stanze senza ordine; e quindi proprio la poesia stessa diventa un fattore di realizzazione di una consistenza ordinata, nonostante sia veramente sempre composita in tutte le sue sfaccettature. Del resto il termine stanza, non a caso, in poesia evoca il termine strofa.
Un passaggio dal caos al cosmo che può essere raggiunto solo attraverso una parola avvertita e suadente.
Una carica di sospensione nell’attimo tra il detto e il non detto emerge in queste poesie e cembra essere la cifra dominante della poetica dell’autore, frutto di una sapiente coscienza letteraria.
L’andamento dei versi è ritmato, pervaso da musicalità, attraverso il fluire dei sintagmi quasi sempre in lunga ed ininterrotta sequenza.
Illuminazioni e spegnimenti si susseguono e rendono piacevole la lettura per chi s’immerga in questo libro.
*
Raffaele Piazza