venerdì 29 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = CLAUDIO SPINOSA


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Leggendo “quore”, di Claudio Spinosa-------Casa Editrice: Youcanprint; Anno di ristampa: 2019; Pagg. 132; Prezzo: 11 euro.

Vige anche una scienza empirica per mezzo di cui i papabili seguaci attivano un principio tanto corporeo quanto passionale, stando a degli oggetti che vengono così usati per sviluppare delle alternative, con l’obiettivo di delucidare nuovamente su importanti significati: tutt’altro rispetto alle moderne vicissitudini che quantifichiamo, ma che non qualifichiamo guarda caso, a scapito dell’emotività, a causa delle “innumerevoli” sfumature da cogliere soffermandoci su qualsiasi forma di cultura… quando piuttosto, e il poeta in questione lo ribadisce, il Pensiero lo si può rapportare metodicamente grazie ai cosiddetti alchimisti con della naturalezza che ci lascerebbe esterrefatti, caratterizzando comunque al momento che se ne rilevi l’accezione una sorta di apertura incontrovertibile e continua, col raggiungimento di cime impervie del sapere a rischio dell’equilibrio psicofisico.

“Quando penso non ci sono
e mentre fuggo già ritorno”.

Nel retro di ogni fatto che accade in modo spontaneo, e quindi di ogni emozione da vivere, persiste un motivo di altissimo spessore dacché ne va dell’esistenza sfaccettabile sempre affinché la si evidenzi, che riguarda l’animazione dell’altrove… un qualcosa da concepire con l’alchimia, di essenziale per la storia degl’ideali, potendo appurare un processo d’evoluzione irrefrenabile.

“A che serve lottare quando tutto scompare?”.

Claudio verseggia non tralasciando in fondo l’attuale corso degli eventi, è in grado di abilitarsi comunicando, rispettando gli altri, in possesso di un’anima considerevole, energica e impetuosa alla messa in ballo dei valori, dall’inizio (con l’approfondimento di se stesso) alla fine (con la propensione a socializzare, coinvolto dalla dimensione terrena).

“… decidi tu quando è il caso di sorridere”.

In “Rituale” - la prima lirica di quore, di questa sua nuova raccolta - i versi si riferiscono a un percorso di conoscenza, a un attivismo incrollabile, che effettivamente lo si nota fino a leggere le parole sotto il titolo di “Trucevirgulto” e invocare con lui magari la felicità dei tempi trapassati, per esperienze illuminate flebilmente da una fonte primaria d’energia, dato il gelo emotivo.

I versi di Claudio pulsano entro un termine di paragone figurativo abbastanza impegnato; e spesso frizzano beffardamente, dimodoché il lettore possa perfino aderire all’evoluzione moderna, contemplando senza dare adito a della pesantezza le fragilità generabili dall’imponenza dell’Io, rendendosi complice momentaneo delle ansie di un’umanità delimitabile.

“Il giorno spreca il tempo
senza nulla in cambio
le stelle temporeggiano l’infinito
il vetro schiaccia il volto del bambino…”.

Il poeta vive incentivando sensazioni, dei particolari a prova di destino, con la memoria che sboccia invitando la persona amata a un minimo di reciprocità… nel tempo reale che va manifestato allo scopo di addolcire il domani, anche se in pratica le emozioni traggono origine esclusivamente dalla vecchia parola data con orgoglio.

“Quel che si dice vita
è solo un vanto di antiche promesse
quel che si dice vita
è già un fiore che sboccia nonostante il freddo”.

Non ha senso pregare che si respiri se non si rinasce, e in effetti i piccoli gesti diventano piacevoli solo se veniamo colti da un nuovo inizio, con lo stare insieme a sorprendere dei soggetti al culmine delle proprie solitudini… col pianeta Terra covato dall’individuo, da rianimare tramite esperienze occupabili, in sintonia graduale purché si abbia voglia di crescere.

Il rincretinimento dipende dal desiderio di voltare pagina per nuove scelte, dalla necessità di uscire fuori e oltrepassare il limite della ragione che c’imponiamo inutilmente come se costretti a soffrire; quando piuttosto sarebbe bene stare dietro a dei piaceri dettati dal fatto che le cose cambiano tutt’a un tratto.

“Quando l’ebrezza sfocia nel mistero
la materia si fa complice”.
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Vincenzo Calò

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCO TERRONE


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Francesco Terrone – Quando finisce la luce---Guido Miano Editore – Milano – 2019 – pag.87 – 4,00

Francesco Terrone è autore di numerose raccolte di poesia. La sua produzione poetica è trattata in varie opere pubblicate da Guido Miano Editore tra cui Storia della Letteratura Italiana. Il Secondo Novecento, vol. IV (2015), Itinerario Organico delle Critiche Letterarie alle Poesie di Francesco Terrone (2016). Dizionario Autori Italiani Contemporanei (2017), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo a Francesco Terrone.
Quando finisce la luce, il libro di poesia di Francesco Terrone che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Nazario Pardini esauriente e ricca di acribia.
L’opera è illustrata con fotografie di dipinti eseguiti con varie tecniche e di sculture in legno di molteplici autori.
Si crea così una interessante osmosi tra poesia e arti figurative anche se non necessariamente le poesie hanno un’attinenza con le sculture e i dipinti.
Del resto è indicativo a tale proposito l’inserimento nel testo prima della prefazione dello scritto Parallelismo delle arti di Michele Miano.
Il titolo della raccolta è tratto dall’ultimo verso del primo componimento intitolato La rondine e la zanzara.
Lo stesso titolo evoca un senso di perdita e di pessimismo un sentore di spleen che è tipico nelle opere anche di poeti contemporanei.
Del resto i poeti sono spesso ultrasensibili e la loro produzione poetica stessa diviene il viatico per superare le difficoltà della vita che non è arte e spesso dà scacco all’individuo.
La raccolta non scandita potrebbe essere letta come un poemetto o canzoniere amoroso e se è vero che l’amore stesso fa soffrire può riservare gioie ineffabili connesse alla capacità di controllare le emozioni e tutto questo discorso è connesso alla capacità d’amare che è espressione nelle persone di intelligenza e sensibilità nel manifestare i propri sentimenti.
Le poesie di Terrone neo liriche tout-court sono sempre in bilico tra gioia e dolore nel relazionarsi dell’io – poetante alla figura dell’amata nel creare situazioni nelle quali tutti potrebbero identificarsi.
È struggente il pathos espresso da Francesco in molte poesie per il manifestato timore di non essere ricambiato dalla sua donna.
Come contraltare incontriamo anche componimenti nei quali l’autore manifesta intima e profonda gioia vincendo la malinconia nel vivere lasciandosi andare nella sua passione.
In Ti amo il poeta ci presenta la rima cuore – amore che è tipica di molti poeti del passato.
L’amore stesso trova sfondo in contesti naturalistici anche idilliaci e le emozioni provate dal lettore si amplificano attraverso la contemporanea fruizione delle opere figurative che sono di grande pregio.
Il poeta esprime una notevole linearità dell’incanto attraverso composizioni che sfiorano anche l’elegiaco e si esprime con un versificare luminoso e narrativo nella sua forte chiarezza e immediatezza che ha una forte presa sul lettore.
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Raffaele Piazza

giovedì 28 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = CARLO DI LIETO

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Carlo Di Lieto: “La coscienza captiva in Maliardaria di Fabio Dainotti” – Ed. Sigma Libri – 2006 – pagg. 96 - € 9,00 –
Nella consueta sua agilità di scrittura Carlo Di Lieto ricama un vero e proprio saggio intorno alla poesia di Fabio Dainotti, ed in particolare per la silloge “Maliardaria”, che qui si presenta nella eleganza creativa offerta con spunti delicati di figure e vertiginosi contatti di immersioni.
“Dainotti esorcizza i fantasmi dell’inconscio, dietro la maschera della tradizione classica; – scrive Di Lieto- il poeta nella sapiente commistione di classico e moderno e nella sua “sorgiva freschezza”, come scrive di lui Marina Caracciolo, si riappropria di uno spazio, che va oltre il confine della frammentazione. Volendo tentare un primo bilancio critico di questa produzione, constatiamo, di buon grado, l’avvicendarsi di giudizi autorevoli…” Appaiono allora nella prefazione stralci da scritti di Giancarlo Pontiggia, Cesare Ruffato, Alberto Mario Moriconi, Rinaldo Caddeo, Giorgio Bàrberi Squarotti, Pietro Citati, Felice Piemontese, Dante Maffia, con estemporanei giudizi, che rielaborano notazioni, linguaggio, pensieri, nella originalità della forza espressiva.
“Come di consueto, il poeta ama i dettagli e cala il suo mondo, come più gli aggrada, nell’atmosfera del visibile, attraverso la levità della scrittura, che, talvolta, diventa respiro affannoso, quando viene colto dalla paura dell’angoscia e della disperazione”. Così i versi si alternano tra le figure di una realtà del quotidiano, agili o illusorie, e le pennellate colorate dei sentimenti, che affiorano nel sussurro o nella dichiarazione musicale. Qualche spunto filosofico fa capolino: “Questo corpo che è mio e non è mio/ è uno strumento forse un po' scordato,/ un’opera d’arte incompiuta./ Le forbici, il metro di legno,/ un manichino di gesso,/ la luce che filtra di sbieco/ nell’abbaino sul tetto.” Per ricordare che il bluff del vissuto ci attanaglia e ci rende materia duttile e plasmabile, ad ogni tentativo di esorcizzazione. Le pagine hanno il sottofondo della nostalgia, per la memoria che ricompone desideri.
Mi piace paragonare la tessitura di queste poesie al gioco delle stalattiti e delle stalagmiti, nel loro continuo aggregarsi per giungere alla fusione, e qui per raggiungere con la “parola” i tocchi che l’anima fonde nella incognita proposta dallo smarrimento.
Carlo Di Lieto ricompone il disincanto che catalizza la poesia, dal trasalimento dell’io che si propone alla proiezione delle lacerazioni, e nella sua ampia sintesi critica riesce a cogliere i vari significati, le diafane atmosfere, le gentili compostezze, i vaghi fantasmi della creatività.
Fabio Dainotti firma, nel raffinato strutturarsi del linguaggio, le agili dimensioni della musica che nel verso mimetizza l’impatto del linguaggio comune.
ANTONIO SPAGNUOLO
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SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

“In limine alla rosa” di Raffaele Piazza

L’ultimo libro di Raffaele Piazza, In Limine alla rosa, è il libro della sua maturità poetica, dove si può cogliere un tessuto concettuale profondo a sostegno della parola metamorfica, coniugata, come sempre, in infinite sfaccettature tra il lirico e il descrittivo. Il mondo evocato prevede un viaggio attraverso le forme della bellezza che nella simbiosi amorosa trova la sua più alta espressione Il poeta intesse un dialogo intenso e mai interrotto con un Tu femminile, capace e di suscitare e di condividere questa esperienza di attraversamento. Ed è così che si rende possibile la trasfigurazione dal reale all’ideale in un cammino che ha qualcosa di mistico. Il nucleo concettuale, di cui parlavo all’inizio, penso sia proprio questo: l’esperienza umana in tutta la sua ricchezza è il gradino per contemplare il cielo, per esprimere il desiderio di luce che anima questa ultima silloge del Piazza. Il linguaggio liquido e trasparente è una spia di questa esigenza profonda così come lo è il ritornare, nella parte finale della raccolta, alle due figure topiche, Alessia e Mirta, già presenti in altre sue opere, Le due donne sono figure tra il terreno e l’ideale, compagne anche esse di questa capacità di sconfinare in mondi altri, dove perfino la morte, come nel caso di Mirta, viene riassorbita dalle molteplici forme della vita.

Anna Cacciatore

mercoledì 27 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANNA VINCITORIO

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Anna Vincitorio: “In tempi diversi il mio ritorno” – Ed. Blu di Prussia – 2020 – pagg. 244- € 17,00 –
Antologia critica a cura di Carmelo Mezzasalma, un volume di saggi con in appendice alcune poesie edite ed inedite e due racconti. Ricco ed esaustivo contributo alla poesia di una poetessa che ha pubblicato, con numerosi riconoscimenti ed in piena maturità artistica, a partire dal 1974, distinguendosi anche come critica e saggista di considerevole spessore.
Qui il frastagliato e vitale percorso della poetessa prende respiro nell’intero discorso, articolato e preciso, che il relatore riesce a ricamare attraverso gli interventi critici di decine e decine di autori. Da Giorgio Bàrberi Squarotti a Maria Grazia Lenisa, da Paolo Ruffilli a Giovanni Chiellino, da Vittorio Vettori a Luciano Scateni, da Oreste Macrì a Nazario Pardini, da Renzo Ricchi a Liliana Porro Andriuoli, da Mario Dentone a Domenico Cara, per citarne soltanto alcuni, si intrecciano brevi saggi che illuminano l’opera intera di Anna Vincitorio. Sono sprazzi di letture o perle di commenti, suggestioni di proiezioni o affascinanti congratulazioni, racchiuse in un’ampia carezza di scrittura, che diviene a sua volta lo spaccato di vita, per fulminanti momenti che colpiscono nella felicità espressiva di tutti gli autori presenti. Una breve antologia propone infine alcune poesie tratte dai volumi editi e diverse poesie ancora inedite, in un florilegio flessibile nel linguaggio, raffinato e discreto per la sua inconfutabile validità intellettuale.
ANTONIO SPAGNUOLO

TRADUZIONE IN ARABO PER ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = CARLO OLIVARI

Carlo Olivari – Attualità di distacco e momenti passati--A. C. Ediemme Edizioni Italiane – Salerno – 2019 – pag. 89 - € 13.00

Carlo Olivari è nato a Genova, dove risiede attualmente. Laureato in Filosofia è stato per anni docente di ruolo nel Liceo Scientifico Martin Luther King della sua città. Appassionato di poesia fin dall’adolescenza, ha pubblicato numerosi volumi di liriche. È inserito in varie antologie e collabora a riviste come “La Nuova Tribuna Letteraria” e “Le Muse”. Ha conseguito molti premi e riconoscimenti. Molti i critici accreditati che si sono occupati della sua produzione.
Attualità di distacco e momenti passati, il libro del Nostro di cui ci occupiamo in questa sede, presenta una prefazione di Fulvio Castellani ricca di acribia.
La raccolta è scandita in due sezioni: Parte Prima Distacco e Parte Seconda Momenti passati.
Caratteristica particolare della raccolta è la forma di tutti componimenti, dei quali molti brevissimi, che sono tutti centrati sulla pagina.
I testi per il loro stile lapidario possono essere letti come degli epigrammi o degli aforismi e sono raffinati e ben cesellati.
Una stabile presenza di spleen e malinconia pervade le poesie che sono molto spesso riflessioni dell’io – poetante nel suo ripiegarsi solipsisticamente su sé stesso o nell’entrare nelle vite presunte di personaggi, soprattutto figure familiari, che sono dette con urgenza e con una buona presenza di affetto e sentimento.
Il distacco nominato nel titolo si riferisce alla riattualizzazione di momenti passati intesi non con aperture vanamente nostalgiche e tristi, ma con la sete e il tentativo di riviverli per un uso produttivo come una provenienza, se il passato stesso può essere maestro di vita e la felicità umana può essere affidata anche alla memoria, non solo quella dell’infanzia e dell’adolescenza.
Lapidarie le poesie di Olivari che tendono a sottolineare spesso la fugacità della vita e in questo il poeta segue le orme del suo carissimo padre Pietro poeta del quale lo stesso Carlo ha curato la pubblicazione di una raccolta di poesie postuma.
Il ritmo sincopato dei componimenti procede incalzante e ricco di musicalità e le poesie, ad esclusione di quelle brevissime, decollano sulla pagina leggermente per poi planare con eleganza nelle chiuse.
Anche una descrizione della natura coinvolge il poeta con splendide accensioni liriche quando vengono nominati alberi o il cielo e il mare.
A proposito del mare in Mar ligure vengono decantate le acque del luogo natio del poeta da lui amato con profonda passione e dal quale affiorano le sue radici.
Una patina di classicità tende a inverarsi nei componimenti e non manca il riferirsi all’età dell’innocenza che è l’infanzia. In Da rivierasca finestra d’infanzia bellissima poesia ritroviamo non solo neo lirismo ma anche idillio ed elegia quando vengono nominati olivi, edera, oleandri che divengono qui correlativi di una poetica della gioia quando il poeta si fa fanciullino pascoliano e riesce a stupirsi e a meravigliarsi con tutta l’anima.
Chiarezza rara nella poesia contemporanea insieme a luminosità connota questi versi icastici e nello stesso tempo leggeri e spesso nei componimenti lunghi in varie strofe si nota un lungo ed ininterrotto fluire delle parole.
E la religiosità. In Voce di Dio, composizione che chiude la raccolta, il poeta rivolgendosi al Signore dice che quest’ultimo è certamente conscio in lui con la sua altissima voce che è anche inconscia presenza nel suo intimo.
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Raffaele Piazza

martedì 26 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = DANIELE GIANCANE

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Daniele Giancane : “Che cos’è la poesia” – Ed. Tabula Fati – 2020 – pagg. 96 - € 9,00
Affascinante iter all’interno della ricerca saggistica che distingue la visibilità e l’importanza di un’arte che da secoli rimane invece sempre considerata come secondaria.
Scrive Giancane: “Tanti – troppi- pubblicano libri di poesia o postano poesie sui social senza sapere nulla. Pensando che la poesia sia soltanto una libera espressione di sentimenti. E non è affatto così. E, quindi, rivalorizzando facebook come strumento di trasmissione culturale e indotto da una mia propensione ad insegnare (nel senso del voler comunicare ad altri interessati l’esito di ricerche, di studi, di letture), ho dato mano ad un vero e proprio corso di mini-lezioni attorno alla poesia, che vuol essere – dunque – una specie di vademecum per chi si dedica a quest’arte, soprattutto i giovani, gli esordienti, o – comunque – tutti coloro che non hanno riflettuto abbastanza sull’essenza della poesia.” Una raccolta che coinvolge per la schiettezza con la quale viene presentata, vuoi per la limpida scrittura che la distingue, nella capacità unica del docente, vuoi per l’ampio panorama che manifesta nei suoi trentatré capitoli. Da “La scelta di un serio editore” a “La poesia tra estasi e tragedia”, da “La necessità dei maestri” a “Non c’è poeta senza metafora”, da “Il poeta e i ferri del mestiere” a “Forse la vera poesia è quella dei cantautori”, per citarne soltanto qualcuno, tra le pagine che con garbo linguistico rincorrono momenti di accattivante svelamento di alchimie. I suggerimenti sono molteplici e validamente sostenuti, ed il poeta, se veramente riesce ad essere tale, conferma il suo pathos nella realtà che circonda, con la sorprendente visione di un mondo sempre in fieri, accostato con il palpito dell’emozione ed il fuoco dei sentimenti.
Meccanismo acuto e geniale teso alla comunicazione, con squarci di idee improvvise e contributi vertiginosamente colorati.
ANTONIO SPAGNUOLO

lunedì 25 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO :
Gent.mo Antonio Spagnuolo, nel ringraziarLa per il dono del suo "Svestire le memorie", mi permetta di dirLe che sono ammirato e finanche stupito per l'amore che Lei ha per la vita. Riesce a rendere "attuale" la memoria, a "svestirla" del passato rivivendolo. Solleva il "macigno del così fu" sublimandolo nel suo presente: "Dolce nell'abbandono del tuo nudo, /sospeso come vortice di danza,/ la carezza dl tempo ha il rintocco / di una musica lieve, modulata". Nel suo presente, che conosce il dolore dell'assenza: "Un ombra la tua immagine che torna / quasi fuggendo, sospesa tra le scale, ad incontrare illusioni clandestine...". Eppure ancora forte di un amore capace di immagini colme di vita, ove l'anima anela al corpo: "Una disperata finzione mi sorprende / e chiudo gli occhi per sognare il tuo labbro." Potrei continuare a lungo. Ma mi fermo. Leggendo le Sue poesie - un canto all'amore per la vita, ed alla "felicità" di questo amore - un pensiero mi tornava costante. Non mio, ma di un poeta che amo, Hoelderlin: glieli trascrivo nella sua lingua, li prenda come "mio" commento alle sue poesie, che io non avrei saputo fare con parole mie:

"Denn schwer ist zu tragen / das Unglueck, aber schwerer das Glueck." (Der Rhein).

Un saluto cordiale e grato, Vincenzo Vitiello

SEGNALAZIONE VOLUMI = PADRE ELIA SPEZZANO

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Padre Elia Spezzano – Croci del Sud---puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2020 – pag. 75 - € 12,00

Croci del Sud, la raccolta di poesie di Padre Elia Spezzano che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Fabrizio Centofanti acuta e ricca di acribia.
Come scrive lo stesso critico la poesia di Spezzano è bellezza che si incammina verso la notte del senso, la sofferenza dell’uomo che ogni volta rinasce dalla tomba come musica triste e malinconica, ma così vitale che sembra provenire dalla terra di Dio.
Una certa forma di pessimismo cristiano connota dunque i componimenti di Padre Elia atteggiamento verso la vita che riecheggia, seppure sotto coordinate diverse, quello di David Maria Turoldo poeta e sacerdote anche lui.
Del resto quanto suddetto trapela anche dalla dedica che il religioso mette in calce al suo libro: ai disorientati, ai perdenti, ai dimenticati e non si deve dimenticare che nei vangeli Gesù nel discorso della Montagna esprime lo stesso concetto quando afferma che saranno beati nel regno dei cieli quelli che piangono, i poveri e i perseguitati in perfetta sintonia con l’idea cardine che anima questo libro che non casualmente si chiama Croci del Sud, perché proprio le regioni meridionali dell’Italia sono le più penalizzate nel nostro sistema socioeconomica come già stigmatizzato da Carlo Levi nel suo famosissimo romanzo Cristo si è fermato ad Eboli.
Il libro è scandito nella sezione eponima e nella sezione Altre poesie.
Ma c’è anche una luce di ottimismo nei versi di Spezzano quando l’io-poetante nomina con urgenza la libertà sottendendo nel suo discorso che questa è la prima cosa per l’essere umano e che quindi non essendo più creature, ma diventando persone la libertà può essere raggiunta, viatico per la felicità.
Pur nella sua condizione di sacerdote il Nostro nei suoi versi dalla chiarezza cristallina e dalla grande leggerezza e icasticità rivela di essere pienamente consapevole del tempo postmoderno che viviamo e ha un’acuta visione del mondo dimostrando di non essere solo un contemplativo.
Da notare che tutti i versi iniziano con la lettera maiuscola e questo elemento li rende vibranti ed emozionanti per il lettore.
Come un denso poemetto l’ordine del discorso si sdipana quasi cogliendo un unico filo rosso e tutto il flusso di pensiero dell’autore in lunga ed ininterrotta sequenza si fa poesia.
Spezzano punta acutamente la sua cinepresa sul mondo attuale e la compassione per la sorte degli ultimi vittime delle guerre e delle ingiustizie sembra essere il tono dominante dell’intera raccolta.
E quindi un Cristo vivo sembra essere dietro le quinte del teatro di Spezzano perché il poeta compiange con dolore quelli che sono messi in croce nella nostra società come Gesù, come i bambini africani che muoiono di fame, i migranti, le vittime delle guerre e della criminalità organizzata.
Quindi un taglio sociologico ha quest’opera e non a caso proprio il Cristo è stato definito nel suo messaggio il primo socialista.
Il versificare è fluido e controllato e le immagini sgorgano le une dalle altre in una fantasmagoria mai ripetitiva.
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Raffaele Piazza

venerdì 22 maggio 2020

POESIA = FRANCESCA LO BUE

Alla morte della madre
"per le madri morte di coronavirus...."
E dissero no quando arrivò la morte della Madre.
Voleva essere solo lei,
materia piccola e oscura
nel respiro sacro della dipartita eterna.
Erompeva il sacrificio estremo della Madre abbattuta,
per i corridoi bianchi dello sconforto
si affrettavano tacchettando
mentre prevaleva la loro rappresentazione.
Scena di congiura, truffa e pena,
per allontanarmi dal risveglio petreo della Madre.
si parlava , si espiava,
allontanavano i miei passi dal cuore ansimante e livido,
dal calore della mano inerte,
dall’aria dolce delle parole ultime
che sfumavano nell’aria vorace
verso ruote di causalità e giustizia.
Dove ti sei allontanata senza un ultimo segnale,
senza un enigmatico cenno di speranza?
Cadevi.
Cadevi nella pietra perenne
senza la croce delle mie dita tremanti.
Sono pietre aguzze.
Si disperdono dal centro della giustizia,
fuggono dalle mura sottili degli Angeli della pace.
*

A la muerte de la madre

Dijeron no, cuando llegó la muerte de la Madre.
Quería ser solo ellos,
pequeña materia oscura cuando
el respirar sagrado llamaba para el traspaso eterno.
Era el sacrificio extremo de la Madre abatida,
por los corredores blancos de la Casa de la Enfermedad
se agitaban y apuraban taconeando
mientras resaltaban las muecas de la representación.
Escena de conjura, trampa y pena,
para alejarme del despertar pétreo de la Madre.
Hablaban y espiaban,
alejaban mis pasos de su corazón jadeante y lívido
del calor de su mano ya inerte,
del aire tierno de las palabras últimas
que esfumaban en el aire voraz
hacia ruedas de causalidad y justicia.
¿Dónde te alejaste sin un señal último,
sin un enigmático signo de esperanza.
Son piedras agudas.
Se dispersan del centro de la Justicia,
huyen de las murallas sutiles de los ángeles de la paz.
*
Poesia di Francesca Lo Bue

Una madre, tutte le madri. La Madre. Francesca Lo Bue affronta in questa poesia la morte nel momento in cui essa coglie chi ci dà la vita, e fa del testo una scena teatrale, un teatro del mondo ove ricreare il mistero più alto e inconoscibile. Ignoti personaggi, col loro ossessivo battere di tacchi, per corridoi bianchi (forse dobbiamo pensare ai corridoi degli ospedali inondati di fastidiosa luce al neon?) mettono su una pantomima di truffa e macchinazione, insensibili al “sacrificio estremo” della morte di una Madre. Possiamo pensare a intrighi orditi intorno a interessi economici legati alla morte degli anziani: pensioni, lasciti, donazioni, rette da saldare..., cacciatori di eredità. La poetessa fonde così l'alto e il basso, il divino e l'umano, il sacro e il meschino. Sì il divino, perché sembra rivere qui una rivisitazione della Passione, vista dal punto di vista della Madre,

descritta con adagi mariani. È una Madre abbattuta, che cade tra le pietre del selciato, ha perso la Croce del figlio (v. 21). Unione tra i due poli, il mistero. Perché la morte? E, ancor di più, perché l'inganno, da cui non sembra immune neanche la Madre, se manca di “un enigmatico cenno di speranza”? Forse, vien da pensare, perché l'inganno e la truffa sono l'essenza del mondo, il cuore della materia, pur nella raffinazione e nella sublimazione della morte. Risposta può essere l'anelito alla giustizia, esplicitamente richiamata. Giustizia però non umana, ma anch'essa divina, se destinata a sfumare vero le “mura...degli Angeli della Pace”.

Rosa Rempiccia

giovedì 21 maggio 2020

RUBRICA = PAROLE A CAPO

LA NUOVA RUBRICA DI FERRARA = PAROLE A CAPO
INSERIMENTO DI GIOVEDI' 21 MAGGIO=
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mercoledì 20 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = PINO CORBO

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Pino Corbo, La logica delle falene, LietoColle, 2018, pp. 120, E. 13,oo
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"La disfania nei versi di Pino Corbo"

Anche Pino Corbo costruisce da artifex sapiente i suoi versi attorno all’Io, ma questo è altra cosa rispetto all’Io lirico diffuso che pretende di misurare, collocandosi al centro del mondo, la Storia e le verità dello stesso mondo. Questo è un Io consapevole della sua frammentazione e viene avvertito come decentrato, nell’ambito del decentramento generale che è alla base della crisi della comunità studiata da Jean-Luc Nancy.
Poco rimane da aggiungere alla dotta e pertinente ermeneutica di Giorgio Linguaglossa nella nota che accompagna i versi di Pino Corbo proposti oggi su questa densa pagina de L’Ombra delle Parole.

Ma se tento un accostamento analitico a questi versi, i quali, magistralmente, si misurano con il paradigma filosofico dello specchio:

“[…]

Lo specchio è la coscienza
che riflette altri se stessi,
immagine impalpabile del mondo
sospesa fra lo sguardo e il nulla[…]”

non posso fare a meno di ricordare la domanda che lo stesso Linguaglossa ha posto alla filosofia:

«C’è una differenza ontologica fra l’immagine allo specchio e l’immagine che sta nella mia testa?», domanda che subito chiama in causa Adorno e la sua idea di ‘specchio’ come concetto aporetico per eccellenza, aporia dello specchio in grado di convertire il «più concreto nel più astratto e quindi il più vero nel più falso». Lo specchio di Pino Corbo come “coscienza/che riflette altri se stessi” agisce convocando le idee centrali d’un moderno e problematico modo di fare poesia, oggi, e cioè la immagine, colta nel rapporto dialettico debitorio/creditorio fra immagine e parola secondo l’idea di Brodskij, che si fa sguardo che è poi lo sguardo del poeta verso il mondo, e il Nulla. Che a sua volta dialetticamente tira in ballo il Vuoto e la stessa idea di Barthes nella relazione specchio/vuoto.

Sicché questa poesia di Pino Corbo si va a collocare in una sorta di frammezzo, che qui è stato anche inteso come disfania, fra il dicibile e l’indicibile, il tutto in un dettato essenziale, senza i fronzoli e senza gli arabeschi di tanto truismario contemporaneo che degrada non di rado la «parola» a chiacchiera domenicale del solipsismo mentecatto e dell’ emozionalismo d’accatto.

Ricordo a hoc un pensiero sempre verde di Mario Lunetta sul compito estetico-etico-formale di uno scrittore ( o di un poeta), soprattutto in un tempo di pandemia e di vite sospese come questo. Mario Lunetta scrive:

«Compito di uno scrittore (o di un poeta) è di creare contraddizioni all’interno del senso comune egemone, di produrre enzimi fantastici indigeribili, di creare sconcerto nei confronti dell’universale obbedienza. Uno scrittore (o un poeta) che non sia scomodo e non procuri fastidi alla digestione del dominio delle menti, non è uno scrittore, è un addetto al servizio delle pulizie».

Del resto, nelle arti verbali e non verbali, José Saramago seppe dir la sua a proposito di scrittori (o poeti) apri-pista (pochissimi) o di seguaci nel gregarismo, nell’epigonismo, nel quotidianismo, anche se la questione delle questioni , di cui Pino Corbo mostra d’esser consapevole, rimane l’esplorazione del rapporto fra Essere e Linguaggio, da affiancare a un profondo lavoro sul logos, come per esempio mi pare che emerga almeno sul piano di una dichiarazione di «poetica della presenza dell’assenza» in questi cinque versi de Il peso del tempo

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Il peso del tempo

Due anni sopravvisse Isabella
due mesi Filomena.

Si ritrovano ora senza più il peso
del tempo vissuto,
attraversato finalmente.

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Gino Rago

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Pino Corbo è nato a Cosenza nel 1958.Ha pubblicato tre libri di poesia,Cerco nel vento, Schena, Fasano (BR), 1978; Il segreto del fuoco, Hellas, Firenze, 1984; In canto, Campanotto, Udine, 1995; sei plaquettes, Autodafé, En plein, Milano, 1996; Di notte, Pulcinoelefante, Osnago (LC),1997; Desiderio, Pulcinoelefante, Osnago (LC), 2000; Epifanie, Pulcinoelefante, Osnago (LC), 2002; Iscrizioni dell’ora, Sagittario, Genova,2004; Dittico, L’arca felice, Salerno, 2008; il saggio Il mondo non sa nulla. Pasolini poeta e “diseducatore”, Ionia, Cosenza, 1996. È stato redattore delle riviste “Inonija” (CS), “Quaderno” (MN), “Il rosso e il nero” (NA); attualmente lo è di “Capoverso” (CS).

martedì 19 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALBERTO RIZZI

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Alberto Rizzi : “Derive senza approdi” – Ed. Seautòs – 2020 – pagg. 60 – s.i.p.
Sembra una sentenza da approfondire quella che l’autore scrive in antefatto dichiarando: “è fatto assodato che scopo del viaggio non è raggiungere la meta fissata, ma il viaggio in se”. Raggiungere una meta potrebbe essere allora soltanto la scintilla provocatrice dello spostamento corporale, mentre il tragitto da percorrere, sia breve, sia lungo, è il vero attraversare nel tempo e nello spazio, alla scoperta dei motivi elementari di un iter.
La scrittura che contraddistingue queste pagine è tutta intessuta, con arguzia e lodevole cultura, da un sussulto continuo che vertiginosamente trasporta da un luogo all’altro con fraseggi da interpretare e centellinare… “perciò che d’ognipàrte che tu mente volgi/ sguardo/ cuore/ ecco che dentro stai/ meditabondo/ parte di un viaggio/ che senso dona o toglie/ ad ogni vita altrui/ e spesso/ (senza che n’abbia intendimento tu/ o anche volontà)/ pure tua pròpriavìta tua, di vita.” Il passo che il poeta traccia nel suo andare ha percorsi variabili e varianti, “seguendo marciapiedi crepati a volte come da afa zolle”, o “a lo scrosciar di pioggia che scartavetra la vista”, anche quando “il segno d’inchiostro sopra al foglio vale più del passo impresso sul fango del sentiero amico”, o se “il cuore cavalca ogni deriva forzando il battito delle vene col suo volere sacro che travalica gli approdi”.
Le immagini si concretizzano in una poesia magica, polisemica, interrotta da stravaganti fiammeggiamenti che nel turbine nascondono il concerto di visioni ed emozioni. Tutto lo spartito segna tappe chiaramente fulminanti, nella compattezza che cerca di cristallizzare l’alternarsi delle misure metriche, caratteristiche di questa raccolta.
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 17 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

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ANTONIO SPAGNUOLO: "POLVERI NELL’OMBRA"- Ed. Oèdipus (2019) Pagg. 96 - € 12,50

Il pianista quando si appresta a suonare un pezzo di rilievo artistico si prepara.
Lava accuratamente le mani. Si siede eretto sul tronco davanti alla tastiera.
Si concentra. Libero da altri pensieri dedica la sua totale attenzione al brano musicale.
In questa disposizione d’animo ho cominciato a leggere la raccolta Polveri nell’ombra.
Ho goduto della conoscenza di altre opere di Antonio Spagnuolo e, proprio per questo, ho deterso l’anima, mi sono svuotata per accogliere, ho attivato i sensi.
Non volevo perdermi il coinvolgimento emotivo che, per me, è il vero senso della scrittura: comunicare penetrando nel plesso solare, nostro sole interiore e centro di energia.
Ho declamato a voce alta tutta la silloge, senza mai interrompermi, dalla prima all’ultima pagina.
Ne è risultato un unico lungo spartito di Poesia.
Una singolare Elegia dedicata alla compianta amatissima moglie Elena.
Il tono delle oltre novanta pagine è meditativo e malinconico per una persistente condizione di infelicità dell’autore. Lontananza. Assenza. Abbandono. Ma è proprio lì che Elena continua la sua esistenza. Brevi e intense le liriche nella sintesi di una traccia.
Protagonisti: Vuoto e Silenzio, che disegnano “pieni” e “parole” di ricordi e mondo onirico.
../e ritorna la piuma improvvisa del ricordo.(pag.14)
../in questa solitudine perfettamente incisa/nel ricordo e nei segni,che permangono ancora./(pag.7)
../al vuoto della stanza, in questa vecchia casa/dove tutto è memoria./..
/e chiudo gli occhi per sognare il tuo labbro./ .. (pag.47)
../io prigioniero del sogno più crudele/sbrano nel vuoto tremando di illusioni.(pag.61)
../lentissimo silenzio della notte,/che avvolge ogni sembianza/Ma tu ormai non sei più con me!(pag.44)
../e ripeto l’intreccio dei silenzi/del tuo svanire.(pag.45)
Solo per fare alcuni esempi. Perché i versi si rincorrono nell’inganno del non dimenticare che smarrisce il poeta nel dissolversi di attimi, di immagini, di vissuto, di desiderato, che si trasformano in ossessione indiscreta dove tutto è fermo nell’attesa.
Un altro fatto che stimola la mia curiosità nella lettura di un libro di poesie è il posizionamento effettivo delle liriche nelle pagine che si susseguono. A volte è ben riconoscibile un vero e proprio progetto da parte dell’autore. Ma, in realtà, anche quando non sembrerebbe esserci una pianificazione precisa e razionale, a mio avviso, altre silenziose energie si allineano. Il Caso non esiste.
E così anche in Polveri nell’ombra ho trovato che non fosse una circostanza fortuita trovare proprio nel cuore, nel centro della sezione in versi, Amanti, dove c’è tutta quella sensualità-erotismo di cui è ricca la raccolta:
../Inseguo la pelle, il sudore, il tuo profumo/che tra le cosce evapora al mio tocco/..
../Ogni sussurro ti avvolge nel sogno/e mi componi realtà fuori dal mondo.(pag.35)
L’ultima parte titola NUOVO REGISTRO.
Leggo sul dizionario alla parola “registro”:
-Raccolta di annotazioni, quaderno di vario tipo in cui si scrive ciò di cui si vuole avere un’attestazione che si serve di un livello e stile espositivo a secondo del contesto-.
Infatti le pagine che concludono il testo sono in prosa poetica, dove anche la scarsità dell’uso degli articoli, con sostantivi incisivi, contribuisce ad avvolgere i corti brani in suggestioni enigmatiche e misteriche. Sicuramente criptica la prosa rispetto alla poesia avvalorata, pur nel verso libero, dall’armonia musicale spesso regalata dall’uso dell’endecasillabo.
Molto bella e significativa la chiusa di questo straordinario libro dove si celebra, con dolce sofferenza, la Vita nella Morte: Lascio riposare la mente ad occhi chiusi nello stupore di un fremito che cerca ancora di aggrapparsi alla vita.
Mi ha fatto tornare alla mente la frase che mi disse, diversi anni fa, l’allora novantenne pittore Francesco del Drago - l’inventore del rosso freddo e autore di straordinari, anche per dimensione, trittici astratti in acrilico dai colori che, in un turbinio di accenti, si ricompongono nell’unità della meraviglia -. Ecco l’anziano artista così si espresse:
- Non basta un’intera vita per recuperare lo stupore che avevamo da bambini -.
Antonio Spagnuolo lo ha recuperato quello STUPORE e noi lo ringraziamo.
LUCIANA VASILE
(16 maggio 2020)

venerdì 15 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = LEONE D'AMBROSIO

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LEONE D'AMBROSIO : "Le ombre curve" - Ed. Ensemble - 2020 - pagg.106 - € 12,00
Dalla "postfazione" : -Accettando e rielaborando la realtà che in un attimo diventa intermittenza per eterei fantasmi che smorzano il silenzio per divenire favola. Tutto il discorso poetico di Leone D'Ambrosio è una riserva di senso ed elaborazione per una urgenza su quel versante che diventa flusso continuo, vitale e risolvibile, come il respiro di un dormiente che comincia a placarsi a poco a poco tra i bagliori della distensione notturna, per riprendere improvvisamente l'affanno se il sogno accenna ai marosi. I segmenti emozionali si avvicendano in alcuni passaggi che il poeta segretamente elabora nella vita e per la vita, così come avviene per "Lo specchio di Lancan" racchiuso nell'essenziale dei nostri passi brevi, o per il succoso piatto offerto a Orson Welles, tra il baccalà e il sorriso di Togliatti, o per le vicissitudini della bicicletta di Neruda, su crinale di un soffio acronico, o per il disastro di Norcia, o tra le rotaie del Tram di Puski a sorpresa sul luogo della condanna a morte, e ancora per "un cielo chiso nei giorni e negli anni/ con la sorda morte accanto che insanguina" il Vietnam. Tutto si realizza in una ri/creazione impegnata attraverso le reti della memoria o del racconto, tra sentimenti e fantasie che convergono verso una identità in fieri, in un complesso spettro simbologico che interiorizza immagini e parole per tradurre in poesia ogni possibile scelta evocativa. -
Antonio Spagnuolo

giovedì 14 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO NESCI

Antonio Nesci – Scarpe senza lacci----puntoacapo Editrice – Pasturana – (AL) – 2018 – pag. 85 - € 12,00
Scarpe senza lacci, la raccolta di poesie di Antonio Nesci, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta un’attenta e acuta prefazione di Antonella Jacoli e una postfazione di Ivan Fedeli centrata e ricca di acribia.
Il volume è scandito in due sezioni: Corsa verso il fiume e Sasso frantumato.
Pare essere tema centrale del volume quello della ricerca della propria identità da parte dell’io-poetante tematica esplicitata per esempio nei seguenti versi: Ancora chi siamo? Chi sono amico e fratello nell’universo e L’illusione di esistere.
Il suddetto tema serpeggia costantemente nel fluire nei versi anche tra le righe in tutti i componimenti.
Nella poesia senza titolo sui lacci smarriti che riprende il titolo del libro i lacci delle scarpe stessi divengono correlativi oggettivi che rimandano a presunti legami persi presumibilmente di tipo amoroso o amicale.
Le scarpe senza lacci potrebbero essere anche metafora e simbolo dell’impossibilità di camminare nelle strade del mondo se la vita stessa è un viaggio che andando avanti nel tempo diviene sempre più difficile e che ha per termine il limite, la morte.
L’io poetante è sempre calato nella ressa cristiana montaliana e c’è anche il tema del peccato.
Il tono dell’ordine del discorso è narrativo e affabulante nella sua marcata discorsività intrinseca tanto che a volte pare di essere davanti a frammenti di prosa poetica.
Tutti i componimenti sono senza titolo e questo accresce la loro intrinseca indeterminatezza.
L’autore riesce a creare atmosfere di vaga bellezza tramite immagini cariche di magia e sospensione calate in una vaga aurea di onirismo purgatoriale
Un doloroso senso di inadeguatezza alla vita non tanto per l’inettitudine, ma più per l’incapacità di trovare armonia ed equilibrio, fusione con le cose, si nota nell’effondersi antilirico dell’io poetante.
Di tanto in tanto emerge nelle pagine un tu al quale il poeta si rivolge tu del quale ogni riferimento resta taciuto a parte il fatto che sia femminile e il poeta si rivolge a questa persona con dolcezza e tenerezza.
Nel riflettere sull’essenza ontologica dell’esserci sotto specie umana il poeta si chiede se siamo solo parole o il ritmo di una canzone che ritorna e rianima la speranza producendo un paradosso che fa riflettere.
L’io - poetante è molto autocentrato nel suo solipsistico ripiegarsi su sé stesso e dallo stesso inconscio emerge la fantasmagoria dei versi.
Anche una natura rarefatta soprattutto attraverso immagini vegetali emerge sullo spazio scenico di questo libro e non mancano descrizioni di piogge che s’inseriscono in materici paesaggi che divengono paesaggi dell’anima.
Uno stile e una forma raffinati e ben cesellati connotano i versi nel loro fluire sulla pagina e la poesia qui diviene tout-court esercizio di conoscenza.
Raffaele Piazza

POESIA = NUOVA RUBRICA A FERRARA





Gian Paolo Bernini e Pier Luigi Guerrini inaugurano una nuova brillante rubrica di poesia :"Parole a capo", come inserto del quotidiano indipendente in rete "Ferrara Italia"-- Il primo numero cliccando :
https://www.ferraraitalia.it/parole-a-capo-alberto-ronchi-resta-e-altre-poesie-203221.html?
fbclid=IwAR3AiM1AyfOfsZDNBfDaTDCNfDFpt9A_DhqGjsK4QRforjFLgSTHQ-9WMtY

domenica 10 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

Recensione alla raccolta di R. Piazza "Del sognato", a cura di Valeria Borsa

Il titolo della raccolta poetica Del sognato, che si ritrova anche nella seconda parte dell’opera, pare trarre in inganno il lettore. Si viene immersi subito nella prima sezione Mediterranea in paesaggi con echi montaliani, di località marine dove maturano i limoni e il verde delle pere coltivato/a lungo nella serra della casa (in Messaggio dall’esilio). Qui si muovono muratori, donne con borse della spesa, stelle cadenti, tramonti: pennellate che ricordano la luminosità degli azzurri dei quadri di Chagall e la loro dimensione onirica, che si affaccia in scene descritte con realismo, ma vissute in modo poetico. Quindi il mare reale subito diventa metafora o mezzo di interpretazione del mondo: L’approccio con le onde/per scoperte abitate da poeta/ a lettore ambulacri di senso ( in Camere per internet).
Gli aggettivi richiamano alla liquidità e non si può allora sfuggire dalla correlazione con la liquidità del tempo, della sua fluidità che è una delle marche distintive nella produzione di Piazza. Il mare dà al poeta rivelazioni: Il panno del mare è il deserto più disabitato,/sulla riva si gioca a nascondersi /con le lame delle onde d'avorio. /E' facile accorgersi di essere vivi/raccogliendo una messe d'acque nel secchiello/del bambino.(in La messe del deserto) oppure rilascia frammenti, conchiglie, reliquie preziose.
Il mare- che in alcuni testi diventa il mare di internet e dei media- offre un insieme di momenti, di situazioni duali in cui la vita assume una nuova connotazione; quasi si completa e soddisfa il poeta, ma la labilità del momento trasporta in una situazione costante d’ansia latente, di attesa che il miracolo si ricompia.
Il miracolo è anche l’Amore, la donna amata in attimi fuggevoli e sfuggente: e fai presto a raggiungere il garage/prima che chiuda anche il tempo di noi in Uscita, presenza salvifica e rigenerante: Tu tocchi la mia solitudine e dalla ferita/viene fuori una combinazione di noi,/ piante adesso sempreverdi nelle rigenerazione ( in Piacere).
La donna o la ragazza Alessia, una Lei con cui fondersi nel piacere dell’orgasmo che è sospensione magica di tempo-spazio, fisicità ed anima e rappresenta una redenzione (cfr Piacere) che ha come corrispettivo la Poesia, la parola che concretizza e fissa l’attimo: Sparsa nel sogno di marea attende lei,/ fondali di scrittura, liberazione / di unità a farsi parole: testi… (in Fondali).
Altri segni, oggetti simbolo ricorrenti suggellano il ricordo: onde dove se vuoi puoi recuperare una conchiglia/e mettertela in casa sulla mensola.(in Camere per Internet) ; e le piantine del rosso della fragola,/le conchiglie e altre cose dell’attesa.(in L’icona); sono tanti segnali certi dell’accaduto, per quanto questo si percepisca tangibile e nel contempo già disperso in lontananze irraggiungibili, in un’atmosfera di sogno.
Ecco allora si comprende bene il titolo di tutta la raccolta Del sognato dove domina la vita/sogno vera, goduta pienamente e fatta di sensualità, piacere, gioie del quotidiano che assurgono a sogni realizzati e da alimentare ancora, senza tregua anche alle porte dell’inverno (Le siepi sono sul sogno/d’inverno alle porte in Amplesso nell’inverno) o quando il giorno ormai si è consumato Poi tutto inizia nella mente e si parte/nella sera che ha un cominciamento/e non una fine.( in La rotta del mare domestico), ma apre a nuove possibilità.
Quegli stessi oggetti simbolici diventano appigli, armi con cui affrontare l’attesa si deve elaborare l'attesa a delta/a delta, gioirne dopo e prima dell'incontro ( in Trittico a Capri) o aprono a riflessioni sullo scorrere del tempo e su squarci di futuro imperscrutabile. Concludo così con un alcuni versi di un testo significativo in tal senso da Le stanze (prologo), in cui si coglie negli interrogativi la profondità del pensiero di Piazza:

Poi vuoi sapere gli oggetti: il calendario
Pirelli duemiladue aggrappati a quel futuro di strada,
a dire poi nel duemilacinquecento o nel tremila,
si farà ancora? saremo ancora causati
in altre camere (vedremo ancora figure negli
arredamenti, l’oltrevita a consumarci
o il nulla).
*
Valeria Borsa

sabato 9 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROSSELLA LUONGO

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Rossella Luongo – Ieri e domani (poesie 2007- 2017)-- Edizioni Ensemble – Roma – 2017 – pag. 221 - € 18,00

Ieri e domani di Rossella Luongo, la corposa raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede, non è scandita e costituisce un insieme di testi prelevati dai vari libri dell’autrice, una delle voci poetiche più promettenti nel nostro panorama odierno vista anche l’ancora giovane età della poetessa.
Nel suo sapersi rinnovare di raccolta in raccolta la Luongo segue sempre il filo rosso di una scrittura neolirica, chiara e luminosa nella sua icastica leggerezza, qualunque siano gli argomenti trattati.
In apertura il libro presenta una nota critica di Lucianna Argentino intitolata Come un prisma.
A chiusura del volume ritroviamo una scelta di brani critici sulla Luongo a firma di autori notevoli tra i quali spicca quello di Giorgio Barberi Squarotti.
Ieri e domani, il titolo di questa summa dell’autrice irpina, è intrigante perché ci fa riflettere (e questo è sicuramente nelle intenzioni di Rossella) sul tema del tempo che se è una categoria negativa perché riporta al tema del limite, della finitezza e della morte, come tempo lineare, può trovare un varco salvifico nell’attimo in senso heideggeriano quando proprio il tempo stesso si ferma e diviene feritoia tra prima e dopo, Ieri e domani, appunto, e questo evento catartico può avvenire solo in poesia anche se però può riflettersi nella vita che se è una fotografia trova il suo negativo nella poesia stessa.
Spicca nella poetica della Luongo il tema dell’epica del quotidiano, quotidianità che per ognuno di noi si realizza come battaglia per risolvere situazioni speso difficili se la stessa intelligenza è definita tra l’altro come capacità di risolvere i problemi e se la vita stessa è spesso la pesantezza la poesia sia che sia praticata con la scrittura, sia come lettura, come tutte le arti in generale, riesce a rendere meno gravoso il fardello e riesce a dare luce e forza all’esistere stesso.
Sottesa una venatura elegiaca e creaturale quando la stessa creatura, che potrebbe essere incarnata dall’io – poetante, diviene persona per intrinseca necessità per difendersi.
È presente costantemente una dose di tenerezza e dolcezza nelle immagini connotate da un forte nitore.
Serpeggia in modo inquietante il dualismo bene – male in commistione con il dolore dell’esserci sotto specie umana.
Il dolore stesso però diviene il viatico per raggiungere la felicità che esiste ed è raggiungibile non solo nelle idilliache immagini della poesia che in questo caso ne è testimonianza.
In alcuni componimenti brevi e verticali si evidenzia la forte presenza di una forza assertiva per cui si riesce a sfiorare l’epigramma e del resto qui è tutto proteso in un ripiegamento su sé stessi dell’io – poetante nel suo riflettere sul senso che è finalizzato alla ludica gioia in ogni manifestazione esistenziale.
Natura che fa da sfondo al vivere che fluisce in tutte le sue sfaccettature e che è degno di essere vissuto.
*
Raffaele Piazza

venerdì 8 maggio 2020

POESIA = LUCIANA VASILE

*
"Dentro"
Le mani sul volto
chiusa nel sé
Lo sguardo alle palpebre
cortine abbassate
sul mondo che appare
che è
distratto alla luce
al vero celato
sotto sabbie che putride e mobili
scivolano. Perché
c’è più aria respiro speranza
se cerco dentro di me?
Mi sforzo
nel buio abisso interiore
mi abbandono
si apre un foro di azzurro
intenso per me
risalgo precipito
si spande mi avvolge
non cado galleggio
dentro e fuori di me
I sensi infiniti
l’azione nei verbi
posso uscire da me
*
"Rinascerò con te"
assetata rapisco versi
che sospiri di vento
sospingono
attenta raccatto
cenere di incomprensione
e solitudine
Inghirlandata di stupore bambino
mi regali parole di vita
là, dove prima
erano silenzi di morte
Poesia nascosta
in me sepolta
inconsapevole, ti ho trovata
inadeguata, ti ho liberata
*
LUCIANA VASILE -- dal volume "Libertà, attraverso Eros, Filia, Agape"

giovedì 7 maggio 2020

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

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"Alessia rinasce al Parco Virgiliano"

Politezza dell’aria nel sentiero
prealbare dopo l’ora blu
del sogno più soave campita
Alessia ragazza nell’azzurrità
a tesserle una veste.
Passeggiata al Parco Virgiliano
per rinascere tra i pini e il prato
dove nell’amore Alessia
era venuta in tempi belli.
Lo guarda negli occhi
nel decriptare il sentimento
e legge amore, quello vero.
Col tempo capirai, dice l’angelo.
*
Raffaele Piazza

mercoledì 6 maggio 2020

POESIA = ELOISA TICOZZI

*
I)

Il sogno è materia che si dissolve al mattino,
può essere incubo che cuce le tue mani
e respinge la benevolenza del risveglio
il mio incubo è cadere in un buco
di alveare
dove le api aprono la via a strani archetipi.
*
II)

Ricordo la mia nascita
un approvvigionamento di pensieri
da un'isola di mondo
un vagito intenso di neonato
incarnato in pelle e in sangue
carnivori d'affetto.
Poi mi affrettai a crescere
a svettare nelle proporzioni
con le mani plasmate da un inverno di neve
che convogliava la sua apocalisse nei miei occhi.
*
ELOISA TICOZZI

martedì 5 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = EWA LIPSKA


*
Ewa LIPSKA , Il lettore di impronte digitali e altre poesie, Donzelli Editore, Roma 2017, pp. 96, Euro 15 (a cura di Marina Ciccarini)

Anche da questo libro di Ewa Lipska (Cracovia 1945) emerge un tratto comune ad altre voci poetiche provenienti dalla stessa terra di Polonia, in particolare, la vena ironica, quasi sentenziosa che si avverte ad esempio nella poesia di Wisława Szymborska, con cui l’autrice ebbe fra l’altro un lungo rapporto d’amicizia e di complicità poetica. A qualcuno già il titolo, Il lettore di impronte digitali , sembra quasi quello di un noir, o di un romanzo, ma il cui mistero sul quale indagare qui è la vita stessa. Il racconto di frammenti di esistenza è nello svolgersi del tempo, e nel mondo, la cui rappresentazione non è mai regolare o lineare, né facilmente comprensibile. Qualche critico per questo ha parlato per la Lipska di poesia bustrofedica. Nella quartina conclusiva della poesia di apertura del libro, Rebus, si preannunciano atmosfera e cifra di tutta la raccolta poetica. Così scrive Ewa Lipska:

“[…]Il mondo
in cui vivevamo
si chiama Rebus
e se ne infischiava delle nostre domande.”

Il mondo che ci troviamo ad abitare è una realtà complessa da capire, una realtà enigmatica da leggere, da decodificare. Forse non ha senso andare alla ricerca di un significato da assegnare al mondo stesso e unica consolazione, ma anche unica arma, è l’ironia. Ad accompagnare questo ridicolo banchetto c’è come una interferenza acustica, quasi un rumore di fondo costante, «un chiasso pulsante di vita» che porta con sé tutte le sue ambivalenze, perché se il ‘chiasso’ è elemento negativo, fastidioso e faticoso da accogliere, la vita tuttavia è pur sempre ineludibile. Presentando alcune poesie della Lipska, (su L’Ombra delle Parole), Giorgio Linguaglossa scrive:«Ciò che resta al fondo della questione stilistica nella poesia di Ewa Lipska è lo statuto narrativo del discorso poetico, la narratività, lo specchio opaco dell’«io» poetico, il calco mimetico che ha preso il modello narrativo ad icona della propria procedura. Ewa Lipska accetta l’io narrante, posiziona i linguaggi allo stato di radura narrativa, li riposiziona in uno spazio comunicazionale come palestra dell’io narrante con il risultato di ritrovarsi tra le mani un continente stilisticamente magmatico. È sufficiente scorrere i titoli dei suoi libri per capire come il discorso poetico sia giunto nella zona grigia dove non c’è più alcun canone da mettere in discussione». Testimoniano il pensiero di Linguaglossa versi come questi della Lipska:

“[…]Odore di apocalisse e felicità./ Sulla riva un gruppo di persone/ si sforza di vendere il mare/ al fuoco. Un mercato senza cuore[…]/ Nel telefono della conchiglia marina/ un fruscio elettronico.”

Una conferma arriva anche dalla nota della curatrice Marina Ciccarini:«Il lettore di impronte digitali, rispettando la sua funzione, ci restituisce un’immagine nitida della mappa delle minuzie che compongono la nostra identità e trasporta chi legge in una realtà parallela in cui interagire usando i soli dispositivi della parola poetica e dell’immaginazione, potenti strumenti del nostro mondo, unico e irrefrenabile». La realtà di enigmi, turbata da rumori costanti, si dispiega tra passato e futuro ma senza offrire nulla che possa illuminare il presente. Emergono i dati disumani della contemporaneità: il frammentarsi del rapporto fisico fra le persone, il frantumarsi della natura e della bellezza, la solitudine, la rassegnazione, la perdita di senso della storia, l’oblio della memoria. Sono alcuni dei mali del nostro tempo e «non andrà diversamente/ l’emorragia del mare/ come sempre/ finirà con un diluvio».

I contesti che disegnano la quotidianità sono occupati da oggetti tecnologici:

«La solitudine non ha corpo./ Neppure quando ci abbraccia […] Volteggia sopra di noi/ come un aereo da ricognizione».

Per la Lipska sembra che davanti ai nostri occhi, nei pensieri, nei ricordi sia «finita la stagione della vita». Non ci sono né luce, né calore, né abbraccio; non ci sono persone, ma soltanto impronte, impronte digitali, marchi esclusivi che individuano univocamente il soggetto, ma che del soggetto stesso non sono in grado di dirci nulla.

Qualcuno ha pensato a Leopardi, leggendo Ewa Lipska, al suo pessimismo cosmico, in una scrittura senza sentimentalismo, ma tagliente, affilata, capace di saper incidere nel lettore il messaggio affidato alla sua poesia.

“[…] Non so nemmeno/ se è la storia che ha creato noi/ o se noi abbiamo creato la storia./ Se siamo solo l’eco/ di un cuore altrui.”

Ewa Lipska è nata nel 1945 a Cracovia, dove risiede. Le sue raccolte poetiche, molto note in patria e all’estero, sono tradotte in numerose lingue. Ha iniziato a pubblicare versi nel 1967 e da allora la sua attività non si è mai interrotta, neppure negli anni più difficili della storia polacca. È autrice di testi di canzoni divenute famose, di un romanzo (Sefer), di feuilleton, di prose poetiche e poesie in prosa. Nel 2016 ha debuttato anche come sceneggiatrice. A tale proposito Paolo Statuti propone una meditazione ad hoc di Piotr Matywiecki, poeta, critico letterario e saggista che sulla poetessa di Cracovia scrive: «La poesia di Ewa Lipska si distingue per la sua immaginazione insolitamente vivace. Con sorprendente disinvoltura nel suo mondo si può paragonare una classe scolastica alla storia dell’umanità, il traffico stradale al moto della mente, una malattia a un avvenimento pubblico. (Questo è anche il “metodo” poetico della Szymborska). Si avrebbe voglia di dire la Lipska è una poetessa sociale nel senso che non c’è per lei niente di intimo che non sia al tempo stesso quotidiano, formulabile sociologicamente».
*
Gino Rago
*
Tre poesie di Ewa Lipska---

Testimoni

Sempre meno testimoni
potrebbero confermare
che questa era una vita
con una fabbrica d’amore.

Che questo era un paese.
Una strada. Un numero.
Un vento che spargeva schiuma di latte.

Che erano ragazzi
di un’altra dimensione.
Ragazze a sirene spiegate.

La storia rendeva
false testimonianze.
Il tempo si scostava dalla verità.

I morti si sono avvalsi
della facoltà di non rispondere.

Gli eredi
non hanno chance.

**

Il coraggio

Il coraggio vive di momenti pericolosi.
È sempre stato audace e intransigente.
La tata ne ammirava la sicurezza di sé
quando infilavamo le dita
nelle prese elettriche
e ci trafiggeva una lucertola nera.

Veniva con noi in vacanza.
Teneva sempre d’occhio
contusioni lesioni ferite.
Poi saltavamo dalle rocce dritti in cielo.
Ormai a nostre spese. Il rischio si fregava le mani.

Quando provavamo a resuscitare i morti
a sangue freddo ci riempiva di proiettili mortali.
Quando stavamo al davanzale della finestra
diceva: vedo
come un vecchio giocatore di poker.

In certi incidenti guerre catastrofi
ci servivamo senza scrupoli di controfigure.

Oggi è sempre più spesso vittima dello stress.
Di notte ci copre con una gragnola di domande.
Rantola come un motore rabbioso e ha paura dell’altezza.

**

Il Big Bang

Forse è ancora vivo qualcuno
che è stato complice
della creazione di questo mondo?

Un artigiano. Un orafo.
Un meticoloso orologiaio.
(Lascio da parte
divinità taumaturghi bari).

Forse è ancora vivo il cameriere
che lo ha servito su un vassoio
simile alla pinna
di un disco volante?

O forse è ancora viva la miccia
che ci ha spostati verso il rosso?
(Secondo Edwin Hubble).

Una vecchia fune di canapa.
Uno sbeffeggiatore di fuochi d’artificio
e di girandole.

È sempre nei paraggi
dei nostri
incontri pirotecnici.

(da Il lettore di impronte digitali, Donzelli Editore, Roma, 2017) **

SEGNALAZIONE VOLUMI = CHIARA OLIVERO


*
Chiara Olivero – Tutte le distanze---puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2020 – pag. 58 - € 10,00

Chiara Olivero nasce a Casale Monferrato nel 1980; ha pubblicato la raccolta di poesie Geometrie della notte.
Tutte le distanze, la raccolta di poesie della Olivero che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta in apertura uno scritto introduttivo di Alessandra Paganardi dal titolo Una storia a lieto fine e al termine il brano di Roberto Agostini Alle origini chissà.

Si tratta di un testo non scandito che, per la sua coesione contenutistica, formale e semantica. potrebbe essere considerato un poemetto anche perché ogni composizione è numerata.
Da notare l’accorgimento non casuale dell’autrice di racchiudere tra parentesi alcuni de titoli dei componimenti.
Inizialmente sono citati i versi di Diego Mancino: Tutte le distanze/ piccole saranno, versi che bene s’intonano al clima del villaggio globale che tutti quotidianamente sperimentiamo e che si possono riferire anche ai rapporti interpersonali tra persone sia a livello amoroso che amicale.
Ha qualcosa di profetico il distico di Mancino e anche di ottimistico perché fa venire in mente la possibilità, che si connette alla volontà dell’io-poetante e di tutti di gettare ponti verso gli aspetti della società in generale e nei confronti di tutti quelli che abbiamo in considerazione, quelli a cui teniamo.
Emerge in molte composizioni un tu, del quale ogni riferimento resta taciuto, che potrebbe essere presumibilmente l’amato, al quale la poeta lancia messaggi e a questo proposito è bella l’immagine dell’eco che, dopo il nome del tu gridato dalla poetessa, glielo restituisse come se le appartenesse.
Cifra essenziale e fondante della poetica di Chiara pare essere una vena neo-lirica tout-court che trova la sua realizzazione nell’effusione dei sentimenti dell’io-poetante sia che si apra all’alterità, sia che si ripieghi solipsisticamente su sé stesso sempre in bilico tra gioia e dolore.
Anche leggiadri squarci naturalistici fanno da sfondo alla storia di chi scrive che pare fluire in lunga ed ininterrotta sequenza dalla prima all’ultima poesia come se ogni testo fosse la continuazione di quello precedente.
Si avverte quindi un’unitarietà della materia trattata e i temi fondamentali sembrano potersi identificare oltre che nell’amore, in una profonda riflessione sul senso della vita.
Così entra in scena il tempo che si realizza in una quotidianità che inevitabilmente si fa epica.
La forma è scattante leggera e icastica e i versi sono sempre ben levigati e cesellati e molte composizioni hanno qualcosa di epigrammatico.
Anche la corporeità e la fisicità sono dette con urgenza e a volte drammaticamente: Eri/ negli occhi/ sottopelle/ nelle vene. // Ora/ il mio corpo/ è una casa/ disabitata.
A volte c’è un realizzarsi delle categorie della tenerezza e della dolcezza in amore come in Pane e poesia nella quale, alternativamente, l’io-poetante e l’amato si fanno pane e poesia in un’immagine veramente suggestiva.
Si realizza anche la descrizione della poesia nella poesia quando in uno dei componimenti più belli l’autrice afferma che le parole camminano, corrono, più veloci di lei e tutto l’ordine complessivo del discorso sembra tendere ad un esercizio di conoscenza.
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Raffaele Piazza

sabato 2 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

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Francesca Lo Bue – Non te ne sei mai andato---Edizioni Progetto Cultura – Roma – 2009 – pag. 133 - € 10, 00

Francesca Lo Bue è nata a Lercara Friddi (PA); ha curato diversi studi letterari sia in italiano che in lingua spagnola; ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua spagnola, 2009 e il romanzo di viaggio Pedro Marciano, 2009 oltre alle raccolte di poesia Il libro errante, Moiras, I canti del pilota e Itinerari.
"Non te ne sei mai andato", il volume di poesie della Lo Bue che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta, accanto alla versione in italiano, quella spagnola a fronte.
Il testo trova la sua cifra distintiva in una poetica tout-court neolirica tramite l’effusione della voce poetica dell’io-poetante tra dolore e gioia, magia della parola sempre icastica e leggera e sospensione.
La partita nella raccolta si gioca in atmosfere umbratili e di onirismo purgatoriale quando il progetto di scrittura s’invera nell’oscurità che fa da sfondo anche se nei tessuti linguistici avvengono subitanee accensioni di luminosità felice antidoto contro la tenebra che sottende il male che è quello di vivere o anche quello che viene definito mal d’aurora.
Frequente è l’aggettivazione che rende definiti e precisi i sintagmi nel loro nitido articolarsi.
In Avrò un nome, una delle poesie più belle nella sua complessità, qualità che sottende tutti i componimenti del libro è presente il tema dell’identità e quello della nominazione (le cose esistono quando vengono dette).
I versi sono tutti raffinati, eleganti e ben cesellati e ben risolti nel loro magmatico dipanarsi sulla pagina.
Si percepisce una notevole profondità del pensiero che anima i versi stessi a dimostrazione dell’avvertita coscienza letteraria della poetessa.
Le immagini sgorgano le une dalle altre in periodi brevi e al centro del senso c’è l’essere umano hic et nunc gettato nella ressa cristiana dei giorni fin dalla nascita per la qual cosa la poetica di Francesca potrebbe essere considerata ontologica perché tutti i componimenti vedono nel loro etimo l’io-poetante nella sua tensione alla felicità cosa difficilissima da raggiungere anche se non è una chimera.
C’è una diffusa inquietudine sottesa al senso del mistero cosa che è qui molto accentuata e che si farà meno pressante nelle raccolte successive che sono maggiormente pervase da solarità.
Visionarietà e una certa vena anarchica, cose tra sé stesse connesse, serpeggiano nel dipanarsi dei versi come il filo di un gomitolo.
Come in Itinerari, raccolta successiva, incontriamo un Tu da sottolineare con la T maiuscola che per questo elemento riporta al concetto dell’essere se non a quello della trascendenza.
Viene spontaneo chiedersi il perché del titolo della raccolta Non te ne sei mai andato e se andarsene per estensione significa morire si potrebbe pensare che qui la poeta si rivolga ad un altro tu presumibilmente una figura a lei cara realmente esistente che è sopravvissuto, oppure si potrebbe pensare che la Lo Bue si rivolga a sé stessa.
Un libro dove poesia ed esistenzialismo si coniugano in un pregevole esercizio di conoscenza.
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Raffaele Piazza

venerdì 1 maggio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

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ANTONIO SPAGNUOLO: NEWSLETTER DI POESIA
BOMBACARTA-- LETTERA IN VERSI

Poeta che da molto tempo, essendo guidato da un moto istintivo dello spirito, quasi inconsapevolmente, crea, aderendo così alla letteratura italiana di cui è un illustre rappresentante, Antonio Spagnuolo è il poeta del profondo.

Difatti le sue poesie sembrano parlare al nostro animo, con suadenza e convincimento, per riportarci o farci rimanere nel tempo dell’amore. Un amore, il suo, percorso da una tristezza profonda, ma anche da una forza e da uno struggimento notevoli: "E se il dubbio fa cenno / la tua vocale morde le chitarre / trasfigura la luna /contro il delirio dell’evanescenza".

Un amore che fa sì che, quasi interamente, la sua poesia si trasformi in dialogo con la sua Elena, la sua compagna di vita, scomparsa anni fa e caricando così ancora di più la sua liricità di mal di vivere, ma non mutandola assolutamente, poiché essa resta in una proverbiale contrapposizione tra Thanatos ed Eros. "Ho paura delle tue sillabe perdute / tra i versi ancora incerti, che lasceranno una cifra / per comunicare astrazioni, o l’incognita / traccia di una soffice preghiera nei colori. (…) Forse il segnale che insegue modelli / ha teorie d’emozione, ed io ripeto / frantumi delle palpebre in silenzio".

Consunto dal dolore della separazione, Antonio Spagnulo è, perciò, abbandonato alle ondate del vivere in maniera incessante la sua poesia, che rappresenta, per lui, una valvola di sfogo contro gli assediamenti in cui sente costretto il suo animo e regalando, in tal modo, al mondo la sua lirica che si presenta forzata tra il prima, attimo di luce e di tessere armoniose, e il dopo, ansia primordiale del non detto e non fatto che crea melodie irripetibili. "Il silenzio incide giorno dopo giorno / il suo vuoto tra i ricordi / che ingombrano il cervello./ (…) Il silenzio pericolosamente fuori luogo / ha fame di pianti, (…) Così il mistero del dopo lascia i dubbi / al vertiginoso silenzio del presente,/ nel tempo di un miserere".

Anima quindi, che si fa anche desiderio carnale che imposta la sua vocazione di medico avvezzo alla corporalità dell’individuo, in una spazio onirico-esistenziale in cui tutti noi possiamo rispecchiarci e immaginarci. "Profumo di carne nel sortilegio della tua cera, / scolpita con le unghie, per stordire / mentre s’ingorga l’inguine brunito / stringendo anelli e porpore. (…) Anche nei silenzi trovo la rete col segno della fuga, e dei segreti sussurri / l’impossibile carezza della solita illusione".

Antonio Spagnuolo è dunque un poeta dell’incoscio che tende ad esplorare la purezza primordiale e la realtà contaminata dell’essere, in cui le parole sono il sudario e il fuoco sacro per redimere il tempo e per dipanare l’enorme sete di indizi percepiti.

Per concludere. se solo potessi collocarlo ad di là del tempo, lui sarebbe un nume dell’amore, il cardine di armoniose finestre fatte con minuscole tessere di parole, un individuo che scava nell’intimo suo e delle anime fuggenti in una resistente variante del raziocinio imperante, che, piano, è divenuto, in lui, coscienza degli anni, del tempo, della vita,
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Mariolina La Monica