giovedì 31 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = EDITH DZIEDUSZYCKA

Edith Dzieduszycka, "Diario di un addio", Passigli Editore, 2007, pp.175

Raramente si avverte nella poesia contemporanea un distacco netto da ogni forma di inclinazione all’epigonismo, come succede invece in Diario di un addio di Edith Dzieduszycka. In questi versi la poesia viene ricondotta nell’alveo che le spetta quale espressione della profondità dell’essere volta a rivelazione di verità. La poesia di Edith è leopardianamente collegata con la morte. Con la morte di Michele, il compagno d’una vita. La forza di Diario di un addio, forza non ideologica ma etica, è nella intuizione della “morte” quale punto d’incontro, d’intersecazione tra le due categorie care a Carlo Diano: la morte come evento supremo e la morte come estrema forma. Nella difesa della propria cifra stilistica personale, la Dzieduszycka lega l’esercizio poetico strettamente alla forma/evento morte, meglio, alla contemplazione della morte. Ma proprio in quest’atto Edith Dzieduszycka pone l’esperienza poetica come strumento, l’unico strumento, capace di trasformare la meditatio mortis in vittoria sulla morte. La poesia di Edith de Hody Dzieduszycka viene da lontano, una lontananza di spazio e di tempo, di geografia e di storia, di paesaggi e di vicende; abitatrice di spazi, Edith abita da poeta soprattutto le parole e la poesia di questa raccolta icasticamente riesce a dire tanto in fatto di "parole abitate". “Rose rosse/ mi offrivi per/ i miei compleanni/ rose rosse/ ti resi”. Così Edith in Rose. Le rose come “ultima coperta” per Michele che da lei si diparte. È un gesto estetico possente, chiaro, definitivo. E’ un gesto estetico più forte della morte. Diario di un addio come punto di convergenza di varie poetiche (poetica dell’oggetto, poetica dell’assenza, poetica della memoria, poetica dell’aura e dell’hic et nunc) ad elevata resa estetica per una “parola” necessaria, in grado di vibrare in una fono-prosodia ad alta tensione ritmica, di fine qualità espressiva e di icastica potenza simbolico-allusiva. In La Belligeranza del Tramonto (2006) di Giorgio Linguaglossa, il filosofo Ipponatte parla:«Non amate i fiori che nascono tra i fiori». Di questa massima Edith Dzieduszycka ha fatto propria l’esortazione linguaglossiana e si è sottratta a ogni tentazione epigonica. In una nota Giorgio Linguaglossa scrive:«Lo stile di Edith: una dizione diretta delle cose, una nominazione di oggetti che se ne stanno lì nella inappariscenza della loro presenza, quegli oggetti che ci accompagnano e che sopravvivono dopo la morte di un nostro caro, o di noi stessi. Gli oggetti allora parlano. Diventano misteriosi. Ricordano qualcuno che è stato con loro. Il loro mutismo ci parla con forza[…]. Quando la poesia di Edith si trova a dover fare i conti con la morte, allora, a mio avviso, attinge gli esiti più alti. In fin dei conti è questa la lezione di Edith sul tema dell’«autenticità», di volerci offrire un breviario, un Tagebuch di pensieri che ci attraversano, proprio come gli oggetti che attraversano la nostra esistenza[…]». Per Linguaglossa è anche una «poesia degli oggetti» questa di Edith Dzieduszycka, ma di oggetti colti nel punto critico di convertirsi in "cose", come deve essere necessariamente nella poesia verso l'autenticità, come ad esempio in questi versi (Alone): “ Mi circonda/ un alone di nebbia/ una patina grigia/posata sulle cose/ Amaro/ il sapore dell’onda/ che mi avvolge/ come scura/pesante/la terra che ti copre.” ove si avverte la precarietà del pensiero non identificante che indugia sulle cose. Ma proprio da tale precarietà il poeta assume la consapevolezza che ciò che possono dare le parole poetiche forse non è granché, ma è pur sempre qualcosa di insostituibile, di importante nella mai tranquilla economia del vivere.

Gino Rago

mercoledì 30 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

Antonio Spagnuolo, "Canzoniere dell’assenza", Edizioni Kairos, Napoli, 2018, pp.91 - Prefazione di Silvio Perrella -
Quale postura etico-estetica assume Antonio Spagnuolo in Canzoniere dell'assenza, libro poetico nel quale il poeta-medico di Napoli volge l'occhio-sguardo-cuore verso Elena, l'amata compagna d'una vita? Sulla scia di Montale ma soltanto come progetto di poesia, o intenzioni d’ars poetica, in realtà però affrancandosi linguisticamente dal poeta de Le Occasioni, Spagnuolo scrive i suoi Xenia in un tessuto poetico verso l'assenza e nell'assenza dell’amata nel suo viaggio solitario verso l'onniscienza. Ogni poesia di questo Canzoniere è correlativo metafisico, oggettivo, di un mazzo di rose, il dono del poeta che lavora con fiori-parole da depositare sulla lastra di marmo della persona che occupò il centro della vita di chi resta su quest’altra sponda, battuto dalle tempeste della perdita, del vuoto, dell'assenza. "Desideravi un'altra primavera" dice Antonio Spagnuolo in questo verso struggente. Il quale verso, tuttavia, se suona come secco rimprovero al mondo in grado di sopprimere il desiderio di Elena di un'altra stagione di rinascita e di erbe nuove e fiori, lo stesso verso suona anche come secco, deciso gesto estetico, un atto estetico più forte della morte. Con questo gesto estetico il poeta vince la morte, anche se a un certo punto, arreso, ma solo in apparenza, Antonio Spagnuolo bisbiglia, più a sé che ad Elena, "Non ho più doni" [Attese]. In Prefazione, Silvio Perrella, dotto, padrone della lingua, capace com'è di entrare nella energia interna dei versi del Canzoniere di Antonio Spagnuolo, suggerisce l'idea che in fondo anche questa poesia è nel contempo "arte del linguaggio" e "arte conoscitiva" e se come arte del linguaggio si radica nella lingua, come arte conoscitiva la poesia di Spagnuolo è in grado di radicarsi nella storia, una storia personale ma che il poeta riesce a dilatare a storia universale. Una cifra [tutta di Spagnuolo] tuttavia merita io credo di essere evidenziata di questo libro poetico: i titoli che il poeta adotta per le poesie della raccolta [Tenerezza, Menzogne, Demone, Ricordi, Mani, Smerigli, Naufragi, Perle, Sonni, Luna, per citarne alcuni], tutti sostantivi che come tali possono essere accolti come i frammenti d'una vita in cui cercare gesti, atti, voci, suoni, fruscii, odori, colori dell'amata assente per riempirne l'assenza o quella che Barthes ha indicato come «presenza dell’assenza»,per catturarne il vuoto, come fa il vasaio di Heidegger con la brocca. Ma viene riproposto alla critica o all’accostamento analitico ai versi il vecchio problema del “segno-simbolo” nel suo dialettico rapporto con il “significato”, problema irrisolto che attraversa ancora gli scontri fra nominalisti («res sunt consequentia nominum») e realisti («nomina sunt consequentia rerum»). Scrive Antonio Spagnuolo:
«[…]L’iride improvvisa ha il mandorlo della gioventù Qualche bisbiglio tra le linee tracciate nei cristalli Per rilanciare promesse. La tua assenza scivola[…]». Ora, rivolgendomi a un lettore immaginario di poesia, sento di dovergli chiedere di non correre oltre. Di fermarsi un istante non già sulla mia nota ma su questi versi estratti dalla raccolta Canzoniere dell’assenza. Perché chiedo questa prova? Perché in poesia il lettore non è meno «creativo» del poeta che fabbrica i suoi versi. E anche perché un testo poetico che sia tale non è mai materiale di consumo, né potrà mai essere una merce usa-e-getta. Un testo poetico al contrario è sempre destinato al ri-uso poiché come insieme di parole strutturate, organizzate in forma stabile, un testo poetico se ri-letto non soltanto non si usura, non soltanto le parole del poeta non perdono valore, ma ne acquistano a ogni ri-lettura. Aggiungerei che ogni scritto critico, dalla semplice nota alla recensione al saggio e fino alla storia letteraria, dovrebbe avere la valenza di un «invito alla lettura» di un certo poeta; dovrebbe essere cioè «il dito che indica la luna» e nulla di più, ma sappiamo che quasi tutti i lettori invece tendono a soffermarsi sul dito del critico e non spingono mai lo sguardo sulla luna-poesia indicata dal suo dito. «[…]Sulle mie ossa in bilico/ La mia rassegnazione non ha più posto».
Sono versi che pur in differenti prosodie ma con in comune l’identico metro elegiaco possono benissimo andare a confluire in quella immensa miniera di epigrammi a noi giunta come Antologia Palatina, come mostra l’epigramma di Meleagro che da essa estraggo: Meleagro, da Antologia Palatina «[…] Ma al mattino si sentì un grido. Il coro mutò in nenia funebre il canto. La stessa torcia dopo avere rischiarato il letto nuziale Accompagnò con la sua luce l’ultimo viaggio».
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Gino Rago

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROBERTO MAGGIANI

Roberto Maggiani – Angeli in volo--- Edizioni L’Arca Felice – Salerno - 2019 – pagg. 15 (su fotografie di Paolo Maggiani).

Il testo che prendiamo in considerazione in questa sede è una plaquette pubblicata nella collana Coincidenze delle Edizioni L’Arca Felice, a cura di Mario Fresa. La raccolta è comprensiva di dieci poesie di Roberto Maggiani scritte su fotografie di Paolo Maggiani. I rapporti multidisciplinari tra le arti sono sempre molto interessanti e possono, attualmente, in un mondo occidentale, sempre più invaso e segnato dal propagarsi dei mass-media, per il fenomeno della globalizzazione, segnare una svolta nell’estetica, nella produzione e fruizione artistica, perché diverse forme d’arte, affiancandosi e fondendosi l’una con l’altra possono potenziarsi a vicenda, fondendosi tra loro, come in questo caso, poesia e fotografia. Come è scritto nelle note alla plaquette, il poeta Roberto Maggiani, autore delle poesie comprese in questa raccolta, è nato a Carrara nel 1968. È laureato in fisica e si occupa di divulgazione scientifica, vive e lavora a Roma. È autore di quattro raccolte di poesie: Sì dopo s’, 1998, Forme e informe, 2000, L’indicibile, 2006, e Cielo indiviso, 2008; Paolo Maggiani, autore delle fotografie, incluse nel testo è fotografo carrarese stimato e apprezzato per la sua fotografia attenta ai particolari che spesso sfuggono all’occhio, attraverso personali inquadrature e prospettive che risaltano le forme, i colori e i loro contrasti e/o armonie. Sono due le fotografie di Paolo Maggiani, che l’autore presenta in quest’opera, una in bianco e nero e una a colori: quella a colori è inclusa nel testo autonomamente su elegante cartoncino ed è numerata (199 copie). Difficile stabilire la natura delle immagini delle due fotografie, immagini, che, pur essendo una a colori e una in bianco nero hanno, in modo incontrovertibile, qualcosa in comune. In entrambe possiamo osservare fasci di luce, come esplosioni di tinte luminose, a comporre disegni e arabeschi. Nella foto in bianco e nero, senza difficoltà possiamo scorgere in primo piano una stella che pare navigare, come sospesa in un cielo sul quale si staglia, uno sfondo scuro; inoltre altre linee e fonti di luminosità costellano l’immagine, dando un risultato surreale; trapela da questa fotografia, intitolata L’entrata e scattata nel 2007, un senso di perturbante mistero. Dalla foto a colori emergono tinte scure in basso sulle quali si staglia un disegno dorato, che potrebbe essere quello di uno strumento musicale; spostando lo sguardo verso l’alto notiamo strisce arancio e gialle e poi un azzurro striato da macchie bianche parallele simili a fasci di nuvole. Anche nella fotografia a colori notiamo una certa quota di surrealismo, che si sprigiona in un accentuato e vivace cromatismo in tutte le sfumature dell’opera, che ha un aspetto geometrico. Alla suddetta descrizione di cieli e stelle, felicemente s’intona il titolo della plaquette, Angeli in volo, perché proprio le foto potrebbero essere campiture per voli di angeli e anche il titolo della fotografia L’entrata, bene si armonizza con il titolo della poesia d’apertura della raccolta angeli all’inizio del mondo, perché potremmo immaginare “l’entrata”, come una causa prima della creazione, un movimento essenziale nella costituzione dell’universo, che sia opera di un Creatore o semplicemente frutto di quello che astronomi o i fisici chiamano Big Ben :-“per sorte o per arte/ il mondo iniziò/ come un pensiero vorticante/ attraverso le pareti del nulla/// fu creato ex nihilo// angeli impetuosi/ spendendo l loro tempo/ a comporre i colori/ delle cose/ che sarebbero diventate universo/ da lì a poco// all’inizio fu un gioco senza dio/ (che venne dopo a porre l’anima// e lasciò angeli custodi// invisibili arie venticelli brezze/ onde)”/; è una poesia, sia pur composita, caratterizzata da grande chiarezza, quella di Roberto Maggiani, vagamente verticale e presenta una notevole eleganza formale; il ritmo è sostenuto e incalzante, anche per la diversità della lunghezza dei singoli versi. Il risultato è quello della compattezza espressiva a livello del singolo componimento e anche a livello dei vari componimenti come insieme, per cui il testo può avere un’unità poematica ed essere definito poemetto, tutto giocato sul tema della Creazione e sul benefico volo degli angeli. Bella anche la seconda sequenza intitolata L’entrata, che è divisa in due parti e che, ovviamente, pare essere ispirata tout-court dall’omonima fotografia in bianco e nero:-“1 /una mano scostò il velo/ e la specie umana uscì/ dal luogo sacro// anche gli dei entrarono nel mondo/ su invito degli uomini/ in sordina/ dietro agli angeli luminosi/ (in fondo ce n’era bisogno/ per intendere la natura/ prima della scienza) 2 le stelle si diedero la materia/ del corpo/ invece gli angeli rimasero invisibili/ senza anatomia// ma non è così raro vederli muovere/ tra le geometri del mondo/ (linea piano sella o sfera)/// sono loro a portare/ annunci e gravidanze/ fin dalla cacciata/ quando divenne fuoco// l’entrata dalla quale continuano/ a giungere innumerevoli anime// bambini senza nome/ a cui gli angeli si affiancano/ dal grembo delle madri//” Anche se Dio viene detto con la minuscola, e vengono nominati gli dei. Un forte senso di religiosità pare trasparire da questi versi intrisi di misticismo ma anche di carnalità quando bambini senza nome/ a cui gli angeli si affiancano/ dal grembo delle madri. Nella poesia L’entrata riscontriamo di nuovo il tema creazionistico, come momento in cui si sparge nel cosmo o universo la vita e potrebbe venire in mente un’opera artistica, in campo musicale, La Creazione di Haydn. Un’opera compiuta ad alto livello, nello specifico delle due forme espressive, Angeli in volo, efficace ed originale, soprattutto per la materia trattata.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = CARLO DI LEGGE

Carlo Di Legge – Multiverso – Di quel colore che soccorre, a volte--Puntoacapo – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 73 - € 12,00

Carlo Di Legge (Salerno 1848), dopo il contributo al volume La polifonia estetica (Milano, 1996) ha pubblicato vari saggi filosofici. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia. Un campione rappresentativo delle sue poesie si trova nel volume Poeti e pittori di secondo tempo (Napoli, 2013). Multiverso, il libro di poesie del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è preceduto da una nota del poeta stesso nella quale egli accenna alle ragioni della sua poetica.
Il testo è scandito nelle seguenti sezioni: quella eponima, Noi siamo qui, Versioni d’inverno, Passaggi dell’incerta luce, Di quel colore che scorre, A volte, Conseguenze.
Alla nota dell’autore, prima delle varie parti, seguono i due versi Ad A.: /Quello che siamo e che saremo sempre/ può bastare, anzi è tutto quello che serve/, distico nel quale si respira un afflato ontologico e metafisico che ha un carattere programmatico.
Il termine Multiverso diviene emblema e categoria dell’esserci nel mondo:/ Sei vivo, dunque, nel mondo di/ tutti i mondi dei viventi: il Multiverso/.
Una certa chiarezza e musicalità dei dettati, che si coniuga ad una vena intellettualistica, è la cifra dominante del poiein dell’autore che realizza composizioni tutte raffinate e ben cesellate nella loro leggerezza ed icasticità.
Perdura un tono sognante e visionario nello stesso tempo e i testi si aprono ad accensioni e spegnimenti lirici.
Il poeta produce poesie pervase da magia e sospensione che hanno un carattere vagamente narrativo, prosastico e affabulante.
Anche una vena vagamente mistica persiste in alcune composizioni come nel passaggio della poesia eponima lunga:/ il mondo è una basilica evidente, misteriosa, / lune e soli/ come lampade appese/ e i grappoli di uccelli sotto le navate/.
Nel suddetto componimento è tessuta mirabilmente una trama esistenziale nello stabile tentativo di abitare poeticamente la terra in un gioco di specchi sull’apparire ed è presente la tematica del viaggio come sogno ad occhi aperti, un viaggio in treno che diviene simbolo del tempo lineare che scorre; è tutto un lungo discorso di vaga bellezza che ha un forte afflato filosofico e intonato è il titolo Multiverso che esprime una forte carica di tensione verso l’ipersegno quasi come se il senso del singolo verso si moltiplicasse appunto in un multiverso nella sua carica semantica.
Non solo i massimi sistemi, espressi simbolicamente, ma anche una forma di quotidianità è detta spesso con urgenza con immagini minimalistiche come quella dei gatti nei garage che lasciano zampe di pioggia sul cofano dell’auto.
Un senso di mistero dolce più che inquietante serpeggia nei componimenti.
Anche un tu presumibilmente femminile del quale ogni riferimento resta taciuto al quale il poeta si rivolge emerge nella raccolta e ad esso il poeta si dichiara con accorato sentimento empatico.
Una poetica dell’intelligenza e della coscienza letteraria scaltrita si rivela nella consapevolezza di stupire ed emozionare il lettore.
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Raffaele Piazza

lunedì 28 ottobre 2019

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Attesa di Alessia"

Poi con il pensiero
nell’albereto della Vergine
sente una voce Alessia
a dirle di non preoccuparsi
e che lui arriverà
e secondo natura
faranno l’amore.
Attesa di Alessia
un velo di lacrime
sull’azzurro degli occhi
pianto leggero
il trucco a scioglierle
messo con amore per lui.
E se non viene?
E se mi lascia?
Poi dalla soglia della
casa da consumare
in due lui entra.
Radiosa ragazza
Alessia nel baciarlo
sottesa a un perfetto
momento.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = FABIO PELOSI

Fabio Pelosi – Sottocutanea-- FORMAT- puntoacapo - Pasturana (Al) – 2019 – pag. 47 - €8,00

Fabio Pelosi è nato ad Avellino nel 1973 e, nonostante la giovane età, è riuscito a raggiungere una notevole maturità espressiva e uno stile e una forma veramente originali: già nelle sue raccolte precedenti, Il sonno leggero del padrone e Di candide verità, Pelosi aveva trovato esiti felici e sorprendenti; con Sottocutanea l’autore ottiene, con un testo breve per estensione, un risultato che lascia favorevolmente sorpreso il critico per un articolarsi di una stesura, composita anche se non scandita, che mette in mostra una grande sensibilità e condensazione, che fanno dell’autore, non certo una promessa, ma una realtà sicura e unica nel panorama della poesia italiana di inizio millennio. Da notare che tutti i componimenti di Pelosi sono provvisti di titolo e ciò mette in luce uno dei sui pregi essenziali e peculiari della sua scrittura, quella che Italo Calvino, nelle Lezioni americane, chiamava precisione. Da mettere in rilievo una Piccola nota iniziale dell’autore: - “Sottocutanea è verità nemmeno tanto nascosta. È introduzione e tema nel contempo- “; verità non del tutto nascosta e introduzione, dice Pelosi, facendo trasparire i velatissimi intenti di un autobiografismo vaghissimo, proprio in quella parola verità se, per chi scrive, la parola è sangue e carne che si fa parola dalla penna dello stesso autore.
Sottocutanea è una raccolta meditata negli anni, con la quale si riaffaccia sul davanzale dell’ingegno lo stesso Pelosi, che emerge felicemente attraverso la sua scrittura intelligente e sorvegliata Somiglia, la sua, a una scrittura automatica e in parte lo è. La poesia di Pelosi appare essere intrusiva, cacciarsi in qualche modo sottopelle, al di là dell’intonaco delle appartenenze, vuole essere permanente nell’impressione del senso, carica di potenziali rifrazioni che permeano intelletto e pneuma. E non si può disconoscere a questi versi certo non smatassandoli sull’unghia, non risolti dalle difficoltà della fretta, un’impronta che sbalza dalla pagina per interessare, anche urticando, le regioni dell’ascolto fondo, intenso, proficuo, attivo che in progress si matura e poi accade in piani di assimilazioni interiori. Già il titolo Sottocutanea, che in termini semplicistici indica un tipo di iniezione in cui il medicinale deve venire iniettato in profondità, ci fa pensare a qualcosa di profondo sotteso alle intenzioni dell’autore, a introdurci in un mondo profondo del corpo e della scrittura in cui per dirla con Seamous Heaney, premio Nobel irlandese, la penna (in questo caso penna-ago) può divenire strumento paragonabile ad una vanga o ad una zappa per scavare nel terreno. Il titolo Sottocutanea ci fa pensare anche all’intrapreso discorso neoorfico del giovane poeta che arriva a regalarci esiti in componimenti oscuri e misteriosi nel senso buono, senza cadere ma nei pericoli di una vaghezza informe, ma mantenendosi sempre nei limiti ben individuati di un inconscio controllato.
Visto dunque tutto quanto suddetto, non sorprende che il primo componimento della raccolta sia intitolato Senso:-“//Ed il senso non conobbe interi/ Diverso percorso segue/ di sangue occultato,/ ha inverso destino di un monoteistico/ conflitto dei sensi.// Il tatto dell’amore scorre come liquido/ radente il suolo carne altrui/
Confida nell’ebbrezza emancipata/ d’un amante imberbe,/ di un consapevole adulterio.// E noi qui a riprendere risposte/ per sfuggire all’ennesima domanda d’amore./ A vibrare di suoni improbi/ figli di un senso solo// Non acquista parola i diniego/ non conosce esclamazione/ il sottrarsi all’amore bendaggio//: tra vago misticismo e pressante corporeità il discorso in questa poesia si svolge elegante e sinuoso attraverso le strofe. C’è da notare, innanzitutto, una forte eleganza formale dell’autore nel descrivere un erotismo legato indissolubilmente al corpo. C’è inquietudine che serpeggia per tutta la composizione e viene detta anche la parola adulterio che sconfina in una scabrosa situazione amorosa se l’amante è imberbe. Questa poesia, nella sua compiutezza, risulta essere veramente epidermica, sembra che l’io poetante dialoghi con la percezione del proprio corpo, la sua propriocezione, proiettandola su altri corpi di cui tutto viene taciuto: ecco dunque il senso che è in primo luogo essere esseri umani di carne e sangue se, è vero che, niente che è nell’intelletto non passa prima per i sensi.
Un vero e proprio consapevole esercizio di conoscenza, questo di Fabio Pelosi, articolato e complesso, affabulante e controllato dettato da una forte coscienza letteraria, rara in un autore così giovane. Un’acutezza generosa, una vitalità battagliera sono all’ingaggio dell’intelletto in un’opera che non ostenta frangiflutti, impegnata com’è a ricorrere a una parola rapsoda che in un sol tempo fende e ricuce suono e significato, crosta di superficie e spazio bianco, sottocutaneo, appunto. Pelosi è un autore da cui attendiamo con ansia le prossime pubblicazioni.
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Raffaele Piazza

domenica 27 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = MAURO DE MARIA

Mauro De Maria, Gli orecchini, Book Editore, 2019.-- Pagg. 96 - € 14,00

La raccolta di poesie dello scrittore parmigiano Mauro De Maria intitolata "Gli orecchini" (Book Editore) assomiglia a un signorile castello medioevale che abbina eleganza e possanza, capace allo stesso tempo di resistere agli urti e agli assalti dei nemici e di accogliere nelle stanze e nei saloni una corte raffinata e colta.
Come le precedenti raccolte, anche quest’ultima potrebbe essere paragonata a una fortezza che non va affrontata d’impeto, ma girandoci pazientemente attorno, chiedendo ripetutamente di entrare e di essere ammessi, finché una porta si apre e si viene accolti e ospitati: conquistati e contemporaneamente conquistatori. I versi, che fino a quel momento apparivano ostici ed ermetici, si rendono più amabili e tersi e si avvicinano a noi lettori. Ci chiedono di ascoltare il discorso amoroso (“ed invero ogni atto con te / era pregno d’amore”) che con stile impeccabile e linguaggio forbito, con “perizia d’orafo” e “culto verbale”, raccontano; ci invitano a partecipare allo spettacolo cortese che recitano e rappresentano davanti ai nostri sguardi .Se dovessi individuare un luogo dove ambientare questa storia, sceglierei la Camera d’Oro del quattrocentesco Castello di Torrechiara, sulle colline parmensi, le cui pitture celebrano l’amore fra il conte Pier Maria Rossi e l’amante-amata Bianca Pellegrini; sulle formelle delle pareti, un tempo rivestite d’oro, risalta il motto “nunc et semper”.
Certo, non dobbiamo avere la pretesa di comprendere tutto fino in fondo e presto, di essere coinvolti interamente: la distanza rappresenta una garanzia di decoro che nel libro non viene mai meno. Le quasi dieci pagine di note e chiarimenti comunque ci soccorrono e aiutano a comprendere meglio.
Nelle annotazioni esplicative e nei testi de Gli orecchini ricorre il nome del “Montale collocato fra Occasioni e Bufera. Tale paradigma originario viene dichiarato dall’autore fin dalla soglia d’ingresso del libro, un titolo che richiama una delle poesie più celebri e più allegoricamente impegnative di questo Montale di mezzo”, mette in risalto il critico e poeta Alberto Bertoni nella sua nota.
L’autore non ci riporta al passato prossimo bensì all’antico, ad atmosfere preziose e rare, a rituali, comportamenti e gesti desueti e tramontati, a riferimenti letterari che ritornano alle origini (per esempio al Dante della Commedia e della Vita Nova e al Petrarca del Canzoniere e dei Trionfi). Ballate, madrigali, canzoni, sonetti, forme e componimenti poetici vengono qua e là riproposti e rielaborati: scelte espressive e “giochi verbali”.
Il dramma e il dolore dell’assenza (“ed ora che la terra ti ha coperta / invidio gli altri mondi”) si mescolano al sentimento, alla passione e all’estasi del rapporto amoroso (“perché di te amo tutto / e tutto ho amato”; “perché al celeste suono del tuo cuore / il mio sempre ha danzato”), alla nostalgia del desiderio (“svegliarsi nell’attesa di vederti / e poterti parlare / o pranzare con te”), all’attesa di una rinnovata, salvifica apparizione (“perché tu possa ritornarmi accanto”; “che l’amore non muore”), ai miraggi della memoria (“immagine incorporea che riannoda / a ciò ch’è stato quello che ci fu tolto”), alle amarezze e alle delusioni (“e basta un niente a mutare in metallo / l’oro di una felicità promessa”), alle tracce indelebili e splendenti che l’amore lascia in eredità: “se nel filo di luce/ che fora l’orizzonte/ palpita l’oro dei tuoi orecchini”.
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Giancarlo Baroni

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE URRARO

Raffaele Urraro – Poesie--Marcos Edizioni – Napoli – 2019 – pagg. 111 - € 10,00

L’autore del libro, che prendiamo in considerazione in questa sede, è nato e vive a San Giuseppe Vesuviano e ha pubblicato numerose raccolte di poesia e di saggistica. "Poesie" è un libro dal tono narrativo e prosastico che ha per cifra fondamentale una certa originalità che si riscontra, particolarmente, nell’accostamento dell’italiano e del dialetto napoletano in uno stesso componimento: si tratta di un’opera che ha per contenuti tematiche intimistiche e introspettive e anche politico-sociali. Il poeta, in questa raccolta, utilizza un linguaggio chiarissimo e quasi elementare, caratterizzato da una scarsa densità metaforica e sinestesica, linguaggio che s’impenna, a volte, in accensioni, ma che, quasi sempre, è piano e caratterizzato da uno scarto poetico minimo dalla lingua standard. Tutte le poesie della raccolta, scandita nelle sezioni La parola e il sangue e La danza delle stelle, sono costituite da varie strofe e il ritmo è sempre sostenuto; possiamo riscontrare anche una certa musicalità nel dettato. Non mancano componimenti che presentano una certa tensione filosofica e speculativa. La raccolta è preceduta da una dedica: in tale breve scritto si dice che il libro è dedicato a tutte le donne che lottano per la loro liberazione dalla schiavitù in qualunque paese e sotto qualsiasi forma essa si manifesta; in modo particolare il libro è dedicato alla poetessa araba Nazu al Malaka e al suo impegno civile e a Neda Sades Hasssein, morta quest’anno per la libertà dell’Iran. A volte, e questo è un elemento positivo, Raffaele Urraro riesce a distendere sulla pagina versi icastici e forti, molto densi dal punto di vista semantico come nella poesia che segna l’incipit del volume, intitolata voglio morire con la parola in bocca:-“/ voglio morire con il fiore in bocca/ la parola per dire/ la parola per parlare una parola/ meno stanca di niente// se mi perdo nel bosco/ a scambiare parole/ non ho più la forza di parlare// la violenza piovuta/ dalle nostre fantasie/ sul mondo di parole/ ha tolto alla parola/ la parola di bocca-…”/; questa poesia può essere letta come un componimento poetico che riflette su se stesso e il senso potrebbe essere quello della parola stessa che si stacca da terra e s’invera sulla pagina scritta, superando l’afasia e la morte, due elementi che, in questo contesto, sembrano entrare in simbiosi. Particolarmente significativa la strofa finale di questa poesia, che ha un tono spiccatamente filosofico-esistenzialistico:-/” ma è ora di stringere il cerchio/ intorno alla vita e dire con il cuore in sussulto/ che fare poesia/ è calarsi nella notte/ con mente, cuore, corpo, anima/ e infrangersi sulle rocce delle cose/ e poi in/ formare una parola/ che scenda dritta nelle ombre/ a portare una fiammella/ di verità scrostata/ dal nulla dell’oblio/ o dall’oblio del nulla-/”: in questi versi si nota una vissuta e intensa riflessione sulla scrittura poetica stessa, nel suo trarre essenza e linfa nell’atto dell’io-poetante di calarsi in zone che il giorno non conosce. È misteriosa la descrizione notturna in questa poesia, in cui il denso buio, dal quale è circondato il poeta, pare farsi, denso inchiostro nero per scrivere, appunto, versi. C’è da notare che entrambi i testi citati fanno parte della prima sezione del libro: è lo stesso Urraro a darci, nella premessa una motivazione esauriente sul senso delle due scansioni del libro; così scrive l’autore:-“ Nella prima sezione del testo ho raccolto i testi composti sotto la spinta e la provocazione della realtà, nella seconda ho raccolto i testi composti nei momenti in cui cullavo il mio pensiero trascinandolo lungo un itinerario dalla terra alle stelle, stelle che assumono, di volta in volta, un significato diverso, ora simbolico, ora allusivo, ora metaforico, ora immaginario, e presentano, perciò una molteplicità semantica…”. Le parole in se stesse possono essere protagoniste delle poesie, le parole dette dal poeta si animano e divengono tema centrale di alcuni componimenti, come, ad esempio, in rimbalzano le mie parole:-“rimbalzano le mie parole/ dalla terra di creta,/ al cielo di cristallo/ e non trovano nulla/ trovano soltanto/ il silenzio dell’assenza ombra grigia/ che pigia le nevrosi/ del sogno// l’uomo è solo…/”: c’è in questi versi una valenza filosofica e una riflessione sulla parola che si riflette su se stessa. A volte, nelle poesie raccolte in questo libro, troviamo una vena sociopolitica tout-court come in siamo noi gli irakeni! che ha per tema i morti della guerra in Iraq: c’è da notare che le poesie della raccolta iniziano con la lettera minuscola, così come i loro titoli; inoltre c’è da notare che la punteggiatura compare raramente nelle poesie, che hanno, talvolta, una certa fluidità e una certa compattezza. Raffaele Urraro, con queste poesie, semplici nella forma, ma dai contenuti profondi, riesce a produrre un testo gradevole per il lettore, a volte, anzi spesso, giocando con le parole, come nella poesia chi so? chi simme? scritta in parte in dialetto napoletano, in parte in italiano in cui l’io-poetante afferma di non sapere più chi sia né chi siano gli altri che lo circondano: - “io e gli altri/ chi cazzo simme…? /”. Si arriva, in questa poesia, ad una paradossale perdita del proprio io che, detta nel tono scherzoso del napoletano, diviene davvero divertente. Urraro s’interroga sul senso della vita, delle diversità delle nazioni, della ricerca di una serenità, se non di una felicità, attraversando con i versi situazioni che scavano nell’interiorità dell’io-poetante e situazioni proiettate nel mondo esterno. Si incontrano nel libro chiarezza e semplicità espressiva, elementi molto rari nel panorama della poesia italiana contemporanea.
*
Raffaele Piazza

sabato 26 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

Francesca Lo Bue :"I canti del Pilota" - Soc. Ed. Dante Alighieri - 2019 - pagg. 136 - € 9,50

La Lo Bue nelle sue produzioni poetiche degli ultimi anni privilegia degli itinerari che pongono al centro delle poesie il tema del viaggio. Ciò si verifica costruendo una terza navigazione che completa le due classiche della conoscenza scientifica e della filosofia in una dinamica espressiva nella quale l’immaginazione dà forma all’avventura esistenziale coinvolgendo il mondo e l’interiorità. In questa situazione, la parola che costituiva nella sua produzione precedente i luoghi delle emozioni, si propone di esprimere come di consueto una produzione poetica che valorizza la creatività nel parallelismo delle due lingue, quella italiana e quella spagnola. Abbiamo così dei componimenti poetici nei quali la figura del pilota diventa una metafora che. attraverso i registri dei suoni, dei colori e dei sentimenti, permette di dare forma simbolica ai paesaggi del reale e ai vissuti dell’anima. In tal modo la produzione della Lo Bue riesce a trovare delle manifestazioni nuove ed originali della sua produzione letteraria pur conservando un’unità di fondo del suo pensiero immaginativo.

Aurelio Rizzacasa

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALFREDO RIENZI

Alfredo Rienzi – Partenze e promesse. Presagi--Puntoacapo – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 121 - € 16,00

Alfredo Rienzi, nato a Venosa nel 1959, vive a Torino. È poeta e saggista e ha pubblicato molti libri di poesia. È presente in numerose raccolte antologiche e autorevoli critici hanno scritto sulla sua opera.
Partenze e promesse. Presagi, il libro di poesia di Alfredo Rienzi di cui ci occupiamo in questa sede, presenta una prefazione di Dario Capello e una postfazione di Ivan Fedeli entrambe esaurienti e ricche di acribia.
Il testo è scandito nelle seguenti sezioni: Seconda partenza e promessa, Partenza e prima promessa, Il presagio, Cinque più due profezie postume, Conosco la data della mia morte e Presagi minori.
Il primo dato che emerge dalla lettura è quello di una struttura architettonica dei tessuti linguistici articolata, composita e complessa sottesa alla vena intellettualistica dell’autore.
In Si torna dove si era già stati, il primo componimento della raccolta, si nota nel titolo una similitudine con il verso di Milo De Angelis /dove eravamo già stati/ e Rienzi si ritrova a scrivere sul tema del cronotopo quando dice con urgenza: / i luoghi sono infiniti, i giorni/ ora grappoli diradati/ nell’inserire una vaghissima spazialità nella temporalità.
Proprio la tematica del tempo, connessa a quella del ritrovamento, della strada nell’orma è centrale nella ricerca di una provenienza che non può essere che il passato prossimo o remoto che sia.
Si avverte una natura rarefatta nella raccolta quando sono detti monti valli e radure.
La cifra distintiva della poetica di Alfredo la ritroviamo nell’icasticità dei versi che sono anche leggeri, luminosi e scattanti ed emerge una grandissima e magistrale precisione del poeta nel suo aggregare ogni singola unità minima con le altre, producendo immagini ricchissime semanticamente d’ipersegno nel loro rimandare ai loro relativi correlativi oggettivi.
Rienzi riesce a creare bellissime e suggestive atmosfere cariche di magia ed onirismo purgatoriale e a volte emerge un ripiegamento del poiein su sé stesso:/dicono questi versi/ di nulla che succede/ non descrivono fatti/…
A volte il poeta si rivolge ad un tu del quale ogni riferimento resta taciuto e che rimane nel mistero, mistero che sembra essere il protagonista e il filo rosso tra le parti nel notevolissimo libro.
Pur essendo in prevalenza antilirica la poetica espressa da Rienzi si rivela in immagini meravigliose attraverso accensioni neo liriche come nei versi:/ perché è con l’acqua che laverò i tuoi passi, con la rugiada/ la bocca/ versi che confermano la densità sinestesica e metaforica delle poesie della raccolta, elemento che è costante in tutta la stesura.
È tutta una ricerca del senso che si rivela nelle composizioni e compagni dell’autore in attimi pacati possono essere il salice e il rovere e viene in mente Ponge che ha scritto che sarebbe bello se l’albero potesse parlare.
Ma il poeta è conscio del fatto che nella vita si deve essere vigili e nella pace del verde prepara la sua quotidiana battaglia ovviamente pacifica.
E non manca la tematica generazionale quando sono nominati figli, fratelli e madri che sembrano attenti nello sperimentare il profitto domestico.
Un grande libro sul quale si potrebbe scrivere un intero saggio.
*
Raffaele Piazza

venerdì 25 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

Raffaele Piazza : “Alessia e Mirta” - Ed. Ibisskos Ulivieri- 2019 - pagg. 52- € 12,00

Alla interessante raccolta “Alessia e Mirta” di Raffaele Piazza, edita da Ibisskos Ulivieri, ci si accosta esitanti e si procede cautamente nella lettura, turbati dalla densità concettuale che pian piano si dirada in virtù dei tanti riferimenti alla concretezza del vivere, fino ad arrivare dove le due figure femminili evocate dal titolo svelano il filo rosso che le unisce: l’abbandono. Temuto da parte di Alessia e dolorosamente realizzato da Mirta.
Sulla prudenza iniziale, allora, prevale nel lettore un’ansia di sapere, di conoscere, di cercare consonanze con il proprio vissuto e “ragazza Alessia”, che trova la sicurezza necessaria per procedere nella vita facendo l’amore con Giovanni, si accampa come un antidoto all’angoscia che Mirta incarna e che ogni lettore, in quella forma o in altre, può aver sperimentato.
Se Alessia è gioiosa sensualità che esplora la terra, Mirta è spirito che dall’«oltrecielo» detta, all’amico che la piange, una poesia.
Anche questo intenso, dolente dialogo terra-cielo, reso con raffinata maestria verbale da Raffaele Piazza, può essere ravvisato come un senso possibile del “fare” poesia.

Rita Imperatori

giovedì 24 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = RITA PACILIO

Rita Pacilio : “La venatura della viola” - Giuliano Ladolfi editore- 2019 – pagg. 58 - € 10,00 –
Ripercorrere a saltelli un immaginario sentiero ricco di sospensioni e di sorprese, fascinosamente ammantato di figurazioni multicolore, è come il riflesso sospeso ed improvviso delle impreviste fermate a prova di varianti, un transito ininterrotto che cerca di offrire con l’architettura variegata delle parole l’urgenza della illusione e del segno. Nella incisione della fantasia si accende il miracolo della natura e del tempo, che diventano metaforicamente illusione della ragione d’esistere ed imperfetta definizione della incertezza del divenire, un gioco dell’invisibile dentro il disegno della memoria, una partita continuamente aperta tra una voce che cerca risonanze e un canto che cerca risposte. “Se esistesse l’origine di una parola/ dovremmo baciare la sabbia e le conchiglie/ farlo in segreto, silenziosamente/ tracciare una virgola dopo l’apparenza/ allargarci sul gambo come fa la viola.” Così Rita Pacilio ricama frequentazioni di esperienze quotidiane che si ricuciono alle esperienze del limite del desiderio, quasi ad incidere nella psiche il risveglio della complicità, tra rimembranze e sensazioni che sollecitano gli emblemi astratti del pensiero. Ella non interroga la storia , ma della storia frequenta la silenziosa enigmatica profondità.
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 23 ottobre 2019

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Mirta ancora vive"

Nella mia mente azzurra
ancora così bruna e così
donna vivi, Mirta,
che ti sei ammazzata.
Mi rivolgo a chi è saggio
per chiedere parole
che leniscano il mio
dolore per il tuo suicidio.
E i saggi rispondono in coro:
la vita è un dono.
Cara Mirta davanti
alle tue ceneri ci sono
anche quelle di Gramsci.
E ancora i saggi dicono:
la vita è un mistero
come il nero dei tuoi occhi
che non esistono.
*

"Alessia esce a contemplare fiorevoli le stelle"

Selva oscura e il luogo è Napoli
che ancora esiste nell’anima di Alessia
ragazza al colmo della grazia
elargita dalla natura buona.
Selva oscura ed ha paura Alessia
tra dell’inchiostro della notte
neri alberi e pensa Alessia
al bene e al male. Poi una luce,
un varco, un’uscita, una speranza
a cui aggrapparsi se non è nuotando
esistere ma vita e sente i morti
e gli angeli Alessia. Passaggio magico
ed è sotto il firmamento di fiorevoli
stelle. Chiede aiuto alla Vergine
Alessia sottesa a vivida gioia
nell’invaderla senza saperne
il motivo ed è felice.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = SANDRO PIGNOTTI

Sandro Pignotti – Vita d’aria vola--Puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pagg. 117 - € 12.00
Sandro Pignotti, l’autore del libro che prendiamo in considerazione in questa
sede, è nato a Sanremo nel 1953. Nel 2004 pubblica la raccolta Un viaggio
inconsueto e quindi Mistocene. È presente nell’antologia del “Premio Astrolabio
2009”, edita da puntoacapo Editrice. Vita d’aria vola, raccolta composita e articolata
è scandita in quattro scansioni: Scritti sparsi, Cielo bigio, Grizzly, Studio d’esterno.
Tutto il testo è caratterizzato da una forte densità metaforica e sinestesica; è quasi
costante la presenza di un tu femminile, al quale il poeta spesso si rivolge. La
scrittura di Pignotti è permeata da un senso di sospensione e mistero e tutte le
composizioni del libro hanno un titolo. Molto evocativa la poesia Come sai, situata
nella prima sezione del libro: - “Avevo cominciato a comporre una cosa/ l’altra sera
forse…/ perlomeno a mente forse…/ E a mente recitavo di te forse…/ che vibrando
come fiori di pero/ oscillanti lievemente/ all’interno del loro aroma/ mi hai
consentito di entrare nel folto/ per seguire le tracce fragranti delle tue stagioni/” -.
Come sai ha per argomento lo stesso atto del comporre poesie; in questa poesia è
presente anche il tema erotico – amoroso, nel rivolgersi il poeta con tono accorato
all’amata alla quale dice di recitare versi dedicati a lei per raggiungerla nella
profondità della sua anima e nelle pieghe della sua mente (per seguire le tracce
fragranti delle tue stagioni). È chiara una componente di visionarietà, più o meno
accentuata, in questi versi, come in molti della raccolta. I componimenti poetici della
sezione Versi sparsi sono molto eterogenei tra loro. Il titolo della raccolta Vita d’aria
vola, ha in sé un forte senso programmatico, progettuale; infatti, cifra distintiva del
libro, è una tendenza forte all’ebbrezza nel senso del superamento degli angusti
confini del grigiore del quotidiano, come si avverte fortemente nel componimento
Splendido, che apre la sezione Cielo bigio. In rari casi, in questo libro, incontriamo
versi brevissimi, composti da una singola parola e questo tipo di versificazione
produce un forte straniamento. Una delle cifre distintive, della poetica di Sandro
Pignotti è quella della chiarezza e dell’essenzialità, che si riscontra nei versi di questo
autore. Programmatico il componimento Momenti 1-2-3-4-5, che costituisce l’incipit
della raccolta. Questa sequenza è permeata da una forte originalità ed è costituita da
cinque brevissimi frammenti, disposti come se ognuno fosse la tessera di un piccolo
mosaico, la parte di un insieme più vasto. Si tratta di versi in cui si riscontra un iopoetante molto autocentrato, che riflette su sé stesso. Alcuni versi di Momenti sono
costituiti da un’unica lapidaria parola. I versi di Momenti, come quelli della
successiva sequenza Colonne d’Ercole, sono caratterizzati da una forte componente
sperimentale, per l’inconsueta disposizione dei versi sula pagina; il contenuto delle
suddette sequenze è vago e caratterizzato da una forte tendenza alogica. Una
frequente aggettivazione connota queste poesie, spesso caratterizzate da un vago
senso di magia. Il poeta cerca spesso di instaurare un dialogo con un’evanescente
figura femminile, della quale ogni riferimento resta taciuto, a parte pochi particolari
della fisicità, come gli occhi a mandorla e i capelli neri. Il rivolgersi quasi costante a
questo tu femminile, pare essere il filo rosso di Vita d’aria vola, il motivo conduttore
dell’ordine del discorso. Qualsiasi sia il tema trattato dall’autore, qualsiasi sia la
forma del suo inverarsi, si incontra nella lettura questa interlocutrice, con la quale il
poeta si confida e alla quale il poeta si rivolge, immagine dell’eterno femminino. Del
resto il libro presenta molte sfaccettature e sono molte le possibilità del confronto con
l’amata. Formalmente il verso di Pignotti è quasi sempre ben controllato e
incontriamo una grande eleganza e levigatezza nel suo dettato. La disposizione delle
poesie sulla pagina è molto eterogenea e vi sono componimenti costituiti da una sola
strofa ed altri da più strofe; alcuni sono brevissimi e altri più estesi. Quello che
colpisce nel libro è una pluralità di registri espressivi e stilistici, che si riscontra in
tutto il testo. Nella polifonia di temi trattati dall’autore c’è pure quello della guerra,
tema sempre attuale, anche nel nostro postmoderno occidentale, caratterizzato dal
villaggio globale e dai mass-media, per cui pare di assistere in diretta alle guerre che,
purtroppo, continuano e perpetrarsi in ogni parte del mondo. Alta, in tal senso, la
poesia Guerra, situata nella scansione Grizzly:-“Finto orizzonte/ vento caldo/ porta
l’urto nel sangue// intorno/ i massacri si fanno fiume/ di corpi smembrati/ si fanno
fiume/ di pioggia rossastra// Un miraggio/ lambisce il sud/ ma suoni echi urli
giungono/ arrivano comunque/ tartassano le orecchie/ che odono quando soffiano i
venti caldi// anche a spalle girate/ l’alito gelido dell’Apocalisse/”- ; si tratta di un
componimento semplice, ma non elementare, che, nel parlare della guerra, non cade
mai nella retorica. La poesia di Pignotti si invera sulla pagina, come un esercizio di
conoscenza, venata da molte tonalità espressive e caratterizzata da molte
sfaccettature.
Raffaele Piazza

lunedì 21 ottobre 2019

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

RHYTHMS (FREQUENZE)

Your smile weighs on still on the flesh
Now devoid of words, while
Elsewhere the heart careens in search of
The proper rhythms, fearful of losing you.
When the night asks for different breaths
To prevent me from forgetting
The colors wane into the vastness
As if you were asleep.
Then to the silence of memory I turn,
To fend off the darkness that cuts a face
To the image that lived in my veins-

ANTONIO SPAGNUOLO
traduzione di Peter Carravetta

SEGNALAZIONE VOLUMI = SALVATORE ANZALONE

Salvatore Anzalone – Parole mancine-(Poesie dell’eros) -Edizioni Simple – Macerata – 2019 – pagg. 71 - € 12,00
Salvatore Anzalone, nato nel 1965, vive e lavora a Bologna; ha già
pubblicato due raccolte di poesie: Passatempi e missive, 2004 e L’equilibrio
dell’anima, 2007.
Parole mancine presenta una significativa prefazione di Antonio
Spagnuolo.
Per la sua forte unitarietà tematica e formale, la raccolta può essere
letta come un poemetto, strutturato in cinquantanove frammenti senza titolo,
elemento che ne accentua la compattezza.
Il libro si può considerare un canzoniere amoroso, che, per i contenuti,
potrebbe essere letto vagamente come un remake, in chiave postmoderna, di
quello petrarchesco, dedicato a madonna Laura.
È stabile nel testo la presenza di un “tu”, quello dell’amata, al quale
l’io-poetante si rivolge con trepidazione, ma anche con l’intrinseca sicurezza
di essere riamato.
Si avverte una certa musicalità nei versi, raggunta attraverso un ritmo
cadenzato e sincopato e si riscontra una grande eleganza nel tessuto
linguistico, nel poiein
Protagonista dell’opera è il sentimento amoroso del giovane poeta per
la sua ragazza che, per la maniera nella quale viene detto, nominato, ricorda
quello della tradizione medievale dell’amor cortese e del dolce stil novo,
elemento per il quale la fanciulla diviene una vera musa.
Per altri aspetti il poeta può essere avvicinato allo scrittore de “Il
Cantico dei Cantici” biblico per l’erotismo da lui messo in scena,
nell’associare la figura dell’amata ad immagini naturalistiche, a visioni di
elementi paesaggistici, tramite le quali è raffigurato il tema della metafora
vegetale.
I componimenti, che sono frequentemente suddivisi in strofe, spesso
terminano con un solo verso staccato, molto equilibrato, con il quale
raggiungono il loro climax, in modo icastico e composto, con una vera e
propria accensione.
La poetica di Anzalone è caratterizzata da nitore, chiarezza e
luminosità; il poeta padroneggia con abilità la sua materia, permeata da un
raffinato erotismo.
Tale elemento per come viene detto, sembra avvicinarsi più ad una
sorta di rievocazione in senso classico, che ad un’espressione pronunciata in
chiave neoromantica, per l’armonia e la compostezza della versificazione
che non ha traccia né di spleen né di streben.
Ogni poesia, per usare un’immagine musicale, può essere letta come
una variazione su un tema unico, quello del sentimento amoroso; intensa la
densità metaforica e sinestesica.
Si assiste all’interanimarsi del poeta con la sua ragazza, sia a livello di
pensieri e sensazioni, che in modo fisico e anche la trasgressione e la
complicità fanno parte della dimensione amorosa: il nostro sa dirle in modo
netto e senza autocompiacimenti, senza tracce di “mal d’aurora”.
Come scrive il prefatore, “il discorso poetico finisce con l’ebbrezza
degli infingimenti e senza ambiguità; la parola accetta sostanza e
affermazioni ad indicare un preciso punto di arrivo, un’assoluta conquista
del “possesso” tra mente e sangue, fra corpo e anima; l’’entità femminile
fisicamente si trova nel canale inquietante della valenza pittorica, è presente
in ogni composizione ed è percepita nel messaggio come vivo miraggio”.
La raccolta, che per il titolo pare riecheggiare un’idea di scaltrezza,
necessaria nei rapporti a due. può essere considerata anche un libro sotteso al
tentativo di perfezionamento della capacità d’amare della quale si parla in
l’Ars amandi di Ovidio e in L’arte di amare di Erich Fromm.
I due libri suddetti sono molto distanti tra loro nel tempo e mettono in
luce, entrambi, quel fattore x che è costituito dall’intelligenza che ognuno
dei partners deve mettere nei rapporti amorosi, per fare in modo che essi
siano felici e appaganti.
L’autore tratteggia la sua idea di erotismo come compresenza, nel suo
realizzarsi, dei cinque sensi e della mente, sensualità vissuta come un
movimento collettivo a due, per usare un termine del sociologo Alberoni.
La donna viene descritta nella bellezza della sua corporeità, detta nelle
sue parti, in modo molto preciso, punto di partenza per arrivare alla sua
interiorità.
*
Raffaele Piazza

domenica 20 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = IVAN FEDELI

Ivan Fedeli – La meraviglia-- Puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 - € 16,00
Ivan Fedeli (Monza 1964) insegna Lettere e si occupa di didattica della poesia.
Ha pubblicato diversi percorsi poetici, tra cui Abiti comuni (Il Ponte Vecchio),
Dialoghi a distanza nel volume Sette poeti del Premio Montale (Crocetti), Vie di fuga
(Biblioteca di Ciminiera), Un mondo mancato (Il Foglio, finalista Premio Caput Gauri),
Inventario della specie opaca (LietoColle, finalista Premio Sandro Penna e Teatro
naturale (puntoacapo).
Gli sono stati assegnati il “Premio Montale”, il “Premio Luzi” per l’inedito, il
Premio Gozzano” e il “Premio Vent’anni di Atelier”.
"La meraviglia", il libro del Nostro di cui ci occupiamo in questa sede, presenta
una prefazione di Tiziano Broggiato esauriente e ricca di acribia.
Come scrive il prefatore la nuova raccolta di Ivan Fedeli avrebbe potuto
benissimo intitolarsi La traversata di Milano se non fosse che questo titolo è già stato
inventato nel 1980 da Vittorio Sereni.
Le sezioni nelle quali il libro è scandito sono precedute dalla poesia eponima che
come qualche altra è scritta in corsivo
Le poesie della raccolta a volte presentano il titolo, a volte no e i titoli sono tutti
racchiusi tra parentesi, elemento originale che ne accresce il fascino.
Nella poesia iniziale memorabile l’incipit: semplici esistenze sul filo, quasi/
l’ombra avesse peso mentre il profilo/ sfugge e non c’è sguardo, versi di vaghissima
bellezza situati in un’atmosfera di dissolvenza e sospensione che ha qualcosa di
veramente magico.
Si stempera il resto della composizione in un’aurea che ha fortemente qualcosa
d’inquietante quando il poeta afferma che le esistenze sono particelle da fondo città in
uno smarrirsi mentre più in là ci sono le polveri dei camion e alberi al vento turbati.
Composita e articolata architettonicamente la raccolta scandita nelle seguenti
parti: Vite irrinunciabili, Code, Gli angeli, Aule, La grande bellezza, L’ora del grigio,
Il tavolo zoppo del bar, Dicono l’amore, Esercizi di felicità, Inventari.
Emerge l’elemento della quotidianità urbana.
Nella prima scansione, dopo una poesia in corsivo senza titolo che sembra
riprendere la suddetta per il tono vago nel descrivere esistenze, seguono componimenti
che, con qualche eccezione, costituiscono una galleria di personaggi maschili e
femminili alle prese con il tran tran giornaliero e il poeta con il suo descrittivismo crea
con le parole dei versi veri e propri ritratti che sono connotati da un certo realismo.
Serpeggia una forte dose d’ironia nel poiein del Nostro che è caratterizzato da
narratività e chiarezza quasi come se ogni singola poesia costituisse un racconto in
versi preciso e circostanziato.
E Milano è lo spazio scenico dove i personaggi recitano le loro vite.
Un certo minimalismo emerge nei componimenti per esempio nella descrizione
di gesti elementari come quello di aprire il finestrino di un’auto.
E ci sono tematiche forti come quelle dell’identità nel passaggio di una poesia
che così recita: /essere un altro solo per un soffio un cambio di marcia/: qui il poeta dà
un tono pirandelliano alla sua poesia ricordando Uno nessuno e centomila.
Nonostante la loro essenza narrativa i versi hanno un’intrinseca musicalità e un
ritmo serrato nel loro procedere per accumulo costituendo immagini.
Fortissima la densità semantica in un lavoro che è una riflessione sulla vita nel
nostro postmoderno occidentale e di raccolta in raccolta Fedeli senza mai ripetersi si
apre al tema della ricerca del senso nella nostra contemporaneità attraverso le figure
eterogenee nel loro essere calate nella montaliana ressa cristiana.
Ma come nella raccolta "A margine" prevale l’ottimismo e addirittura, a volte, una
capacità di stupirsi dell’autore nel suo specchiarsi nella sua gamma eterogenea di
figure.
Cifra essenziale è una capacità affabulatoria detta in versi e tutti noi potremmo
essere i modelli umani che Ivan dice con urgenza.
*
Raffaele Piazza

venerdì 18 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = DOMENICO CIPRIANO

Domenico Cipriano – "Novembre"- Transeuropa – Milano – 2019 – pagg. 39 - € 15,00
"Novembre" è un articolato e composito poemetto, che ha per tema il terremoto del 23
novembre 1980, che sconvolse e, in buona parte, distrusse Campania e Basilicata,
evento che ha lasciato molte tracce nella letteratura irpina degli ultimi decenni e che
fu un’esperienza incancellabile nella memoria; in certi casi sembra una ferita aperta.
Proprio questa ferita aperta diviene l’occasione della composizione del poemetto da
parte di Cipriano che, ai tempi del sisma, aveva dieci anni e che, vivendo a Guardia
Lombardi, ha vissuto di persona l’evento. Per ricordare diventano ossessivi i numeri.
Ecco allora la sequenza di 23 poesie, come la data del sisma, tutte composte da
“stanze” di sette versi (poesie eptastiche) e un prologo di 34: l’ora serale che spaccò
l’Italia 7,34. Ciò accadde un novembre lontano ma sempre presente, da cui il titolo e
l’introduzione di 11 versi (il numero corrispondente al mese di novembre). La cifra
essenziale della poetica di Cipriano è l’attaccamento radicato ai luoghi della sua
nascita e della sua vita, a partire dalla prima raccolta di versi Il continente perso,
uscito nel 2000, che ha per tema la fine dell’atavica civiltà contadina nella provincia
di Avellino e la perdita del suo retaggio culturale e antropologico a causa della
modernizzazione e dell’urbanizzazione. Cipriano sente fortemente il tema del
susseguirsi delle generazioni anche in Novembre ; nonostante la dolorosa materia
trattata, nessun autocompiacimento è presente nei versi di Cipriano, che sono scabri e
caratterizzati da una fortissima icasticità e da una notevole potenza espressiva;
ognuna delle sequenze del poemetto scorre in lunga ed ininterrotta sequenza e
presenta una certa autonomia, pur essendo indissolubilmente legata alle altre.
Protagonista dell’opera pare essere la terra stessa, nel suo squarciarsi a causa del
sisma, terra che, a livello archetipico, può essere vista come espressione di una natura
matrigna in senso leopardiano:-“trema la terra, le vene hanno sangue che geme e ti
riempie/ è un fiotto la terra, che lotta, sussulta,, avviluppa, confonde/ la terra che
affonda ti rende sua onda, presente in ogni lato/ soffoca il fiato, ti afferra, collutta, si
sbatte, si spacca, ti vuole/ e, combatti, chiede il contatto, ti attacca, ti abbatte, è
fuoco/…”- Attraverso il fluire delle sequenze, l’autore fa emergere uno scorrere di
moltissime immagini, che raffigurano scenari desolati di morti e sopravvissuti,
giungendo ad un effetto quasi cinematografico, attraverso tutto quello che ci presenta,
immagini che procedono per accumulo, sgorgano l’una dall’altra. Le ventitré poesie
sono precedute da un intro, che idealmente si lega al prologo finale: formalmente
intro e prologo sono caratterizzati entrambi da una forte verticalità, mentre le ventitré
composizioni presentano, nella maggior parte dei casi, versi lunghi e molto ben
controllati. Novembre è un’opera drammatica, caratterizzata da una grande crudezza,
e c’è, in essa, anche la componente di un grande realismo, che si esprime nelle
raffigurazione di una quotidianità molto concreta, relativa ai giorni più caldi del
terremoto, con le notizie frammentate, le persone conosciute, le visite inaspettate, i
ponti caduti le nuove scosse, i falò accesi, il pianto e le grida, tutti elementi che
vengono detti dall’io-poetante con grande efficacia. Un poemetto per non
dimenticare.
*
Raffaele Piazza

giovedì 17 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = PIERANGELA ROSSI

Pierangela Rossi – Polvere di stelle – Polvere di foglie--puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 152 - € 12,00
Pierangela Rossi (Gallarate 1956) vive a Milano, dove svolge attività di critica
poetica per il quotidiano Avvenire. Ha pubblicato numerose raccolte e plaquette di
poesia.
Il libro di poesia della Rossi, che prendiamo in considerazione in questa sede,
presenta una prefazione di Pier Damiano Ori esauriente e ricca di acribia nel delineare
le coordinate del testo.
La raccolta, pur essendo scandita in tre parti numerate, è connotata da una forte
unitarietà stilistica e contenutistica per la qual cosa potrebbe essere considerata un
poemetto.
I componimenti che la costituiscono sono nella stragrande maggioranza dei casi
brevi, compatti e senza titolo.
Quasi sempre i singoli versi iniziano con la lettera maiuscola, elemento che ne
accresce l’icasticità dei dettati e i sintagmi nel creare le immagini procedono per
accumulo e le raffigurazioni sembrano emergere le une dalle altre.
Suggestivo e intrigante il titolo e la polvere di stelle e quella di foglie divengono
simboli l’una della luce frazionata forse in fotoni, ma sempre protesa ad un misticismo
naturalistico e l’altra di un residuo vegetale secco, di qualcosa che ha un carattere molto
terrestre.
Particolarmente bella la poesia nella quale si parla delle due varietà di polveri e
veramente suggestiva a partire dall’incipit. - “Stamane polvere di stelle/ sui terrazzi
impigliata/.” -.
Centrale il componimento iniziale che si può considerare una breve
dichiarazione di poetica in versi che fa venire in mente l’assunto di Rimbaud che
affermava che il poeta è un veggente quando la poetessa dice con urgenza che i poeti
hanno accesso ad altri stati di coscienza.
Pierangela Rossi realizza una poetica descrittiva nella quale pare esserci il
riflesso dell’io – poetante nel suo ripiegarsi su sè stesso.
Un senso di vaga magia sembra essere il filo rosso che lega le varie composizioni
sottese ad una dizione precisa per la quale ogni singola unità minima si ritrova ad essere
precisamente incastonata sulla pagina e le poesie hanno spesso una valenza
programmatica e assertiva.
In un passaggio molto intenso sono dette le parole di un tu nel loro fiorire di
bellezza.
Un’aurea d’incontrovertibile fascino pervade i componimenti luminosi, veloci e
leggeri e al lettore pare di affondare nelle pagine colpito da grandi emozioni per la
densità metaforica, semantica e sinestesica dei dettati.
Prevale l’eleganza formale nei versi raffinati e ben cesellati.
A partire dalla raccolta Le avventure di un corpo – anima la Rossi fa propria nel
suo poiein un’idea di ottimismo e la corporeità anche qui diviene il viatico per arrivare
ad una forma di poesia che proprio dalla fisicità compie lo scatto e lo scarto memoriale
a livello ontologico nel tradursi in una parola cristallina.
*
Raffaele Piazza

martedì 15 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = CHIARA OLIVERO

CHIARA OLIVERO, "Geometrie della notte", Pasturana (Al), puntoacapo Editrice, 2014, pagg. 53, euro 8,50
Chiara Olivero nasce a Casale Monferrato nel 1980; Geometrie della
notte è la sua raccolta di esordio.
Il testo non è scandito in sezioni e, come scrive Roberto Agostini
nell’introduzione, rimanda alla tradizione lirica; si nota l’influenza di vari
modelli, dall’idillio dei Greci e di Leopardi ai testi dei crepuscolari.
Quella dell’autrice è una poetica del nitore, caratterizzata da una vena
neolirica pervasa da rarefatta dolcezza.
La forma è levigata e controllata nel suo svolgersi attraverso il ritmo
cadenzato, elegante nella sua vaga musicalità e l’io-poetante è molto
autocentrato.
Nei componimenti la poeta si rivolge spesso ad un tu, del quale quasi
ogni riferimento resta taciuto, e si può presumere che si tratti della figura
dell’amato.
Il dettato che connota la raccolta è permeato da chiarezza, limpidezza
e luminosità, qualità che emergono in un tessuto linguistico che presenta
spesso un tono colloquiale.
Le chiuse dei componimenti sono spesso di tono alto e caratterizzate
da accensioni subitanee.
Seguendo il filo rosso della lettura di Geometrie della notte, sembra di
inoltrarsi in un sentiero terso, di respirare un’atmosfera cristallina, anche
quando la Olivero, e questo avviene spesso, tocca temi dolorosi come il male
di vivere e la difficoltà di affrontare la quotidianità.
È implicito che proprio la pratica del poiein, secondo la Olivero, sia il
miglior antidoto per affrontare la vita, che non è poesia, ma che nella vera
poesia può trovare il varco, per citare Montale, per emergere dalle difficoltà;
difficoltà connaturate all’essere sotto specie umana, per dirla con Luzi.
Il tema del titolo trova la sua realizzazione in Geometrie, uno dei testi
più alti della raccolta, nel quale Chiara afferma di essere stata una linea retta,
che voleva essere un cerchio e che ora è solo un punto sperso nell’universo,
invisibile agli occhi e che nessuno vedrà.
Le stesse geometrie trovano il loro senso notturno nella tematica
espressa nel componimento Anestesia, che apre il libro, nel quale l’autrice
descrive il rinvenimento della pace del corpo e dell’anima proprio tramite un
evento carico di angustia.
Qui l’anestesia stessa è detta come un balsamo dolce che scioglie i
nodi intricati del cuore, quasi come una droga o uno psicofarmaco.
Oltre ai toni dolorosi e ombrosi sono presenti nel testo spesso
situazioni gioiose e quasi idilliache, che fanno trasparire luce e forza
Statisticamente sono proprio le poesie ottimiste a prevalere, venate da
un grande amore per la vita e da riflessioni profonde sull’esistere, sentimenti
che fanno da vettori per versi modellati secondo il tema della speranza.
Elemento costante, nel tessuto linguistico dell’autrice sono la
precisione e la leggerezza di versi molto ‘scattanti’.
L’aggettivazione è frequente e porta al delinearsi di molte sfumature
semantiche; tutti i componimenti sono icastici e bene cesellati con
raffinatezza sulla pagina.
La chiave interpretativa del testo consiste in un approccio consapevole
alla vita e alla bellezza messe su un piano di reciproca osmosi (ci sono
profondi richiami che vanno dall’una all’altra).
Questa fede nella forza salvifica della parola poetica è messa bene in
luce in Il poeta, composizione nella quale con parole semplici ma non
semplicistiche, Chiara afferma, rimbaudianamente, che il vero poeta è un
veggente.
*
Raffaele Piazza

lunedì 14 ottobre 2019

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


"Alessia sexy"

A via Roma Alessia in minigonna
azzurra e calze autoreggenti
e scarpe nere cammina nel fresco
sulla pelle del 22/10 a entrarle
nell’anima. Gli uomini
a guardare Alessia con desiderio
si voltano per guardarla
e ragazza Alessia se ne accorge
mentre ha paura di essere lasciata
poi squilla il telefonino
È LUI!!!
*

"Alessia nel fiorevole albereto"

Pini d’intatta meraviglia
dove sta Alessia con il sogno
e attende la disadorna via
serale in attesa di Giovanni
con la macchina. Attesa. Attesa.
Attesa. Ride da sola Alessia
nel contemplare una coccinella
che si è posata su una mano
nel fiorevole albereto
dove un anno fa l’amore
ha fatto nel disegnare l’infinita
vita e almeno pareggiare
la partita.
*

"Alessia e la spaziale missione"

USA alla Nasa ragazza Alessia
astronauta per una nuova
missione e sta infinitamente
ragazza Alessia nella spaziale
tuta nell’assenza di gravità rosa.
Razzo a partire per la luna
dove c’è Mirta e pensa Alessia
al suo ragazzo e spera
che dopo l’atterraggio
non la lasci, il ritorno
sul pianeta terra. Velocità
quasi della luce della spaziale
navicella e sono un ricordo
lontano le nuvole e fermo il
tempo. Un attimo ed è il
suolo della luna Esce Alessia
e cammina e vede Mirta – anima
verso di lei avanzare
e si accende l’anima di Alessia.
*

"Sento"

Sento scendere in me questa
storia di poesia e vita che
non è poesia, Felice.
Le azzurrità di marzo giocano
a investirmi di gioia.
Tu scrivi, io leggo, l'albero
cavo di Ischia ancora esiste
(lo rivedrò ad aprile).
E poi i libri letti e una vita
(ripeto vita) se la felicità
è nascosta ed è la meta.
I jet per New York, li ci sono
i nostri figli per essere lieti
nella vacanza amena.
Non mi deluderà la verità
di un sorriso sincero
né una goccia di compassione
vera.
(22 3 17)
*

"Adesso madre
acqua"

Il mare verde di sale nella liquidità della brina
dei tuoi occhi uguali all'acqua mediterranea
nella gioia del senso di anime nostre a toccarsi
nelle labbra. Tu nella comunicazione di purissima
fisicità, ragazza - pianta, nel tempo anteriore
amniotico passato prossimo di desideri, amanti noi,
lungo l'acqua di mare e pioggiache dà battesimi,
tu, Laura, mi nominavi pesciolino bagnato o d'oro
(quello della fiaba che racconti al tuo bambino.
Raffaele Piazza
*
"Adesso madre
fuoco"

Ci contiene la camera annudata dal tempo
pareti calcinate ed è agosto nel cuore duale
nei sensi rievocati di chiara brezza calda
in orgasmi dopo il cielo nell'anima nei corpi
fiori, piacere creato da Dio che ci raggiunge
in bianco di perla da me a te nel fiore della tua bocca
e si spande nel resto del letto, margherite fiorite
dei tuoi misteri.
*

"Alessia fiorevole a scuola"

Aula a contenere Alessia
e i compagni e le compagne
fiorevole scuola a entrare
nei pensieri di Alessia
e la parola amore.
(doveva piovere e c’è il sole).
Venga Rossi Alessia
dice di greco il professore.
E stringendo la penna rosa
nella destra affilata alla cattedra
va Alessia ragazza
ansia a stellarla. Legge
il greco antico Alessia
e poi traduce: Subito giunse
l’aurora dal bel trono
che sveglio lei Nausica
dal bel peplo. Subito si ricordò
del sogno. Otto, Rossi, dice il
professore! Si ricorda anche
Alessia del suo sogno
e guarda alle pareti
d’incontaminati paesaggi
i poster.
*

"Alessia e la luna in tasca"

Si è svegliata con le cose
sue ragazza dopo tre giorni
di ritardo. Ringrazia la Vergine
per non esserci rimasta.
Pensa a Veronica Alessia
che ha un bambino avuto
a 16 anni (la vita a cambiarle)
ed è ragazza madre.
Non basta che lui stia attento
perché Veronica è restata
incinta anche se è stato attento lui.
Non mi vergognerò
pensa Alessia di entrare
nella farmacia dei desideri
e di comprare i preservativi.
*

"Alessia attende il freddo"

Aria d’ottobre per Alessia
epifania di gennaio ad attenderla
il freddo consecutivo dalla pelle
all’anima a rigenerarla.
Lungomare del salernitano
a tornare con forza nella mente
di Alessia ragazza e del nutrimento
la casa. E Salerno era fredda
e lì lavorava come medico
di Alessia il nonno. E Alessia
sudando nell’aria tiepida
chiede pace del pozzo
del cuore alla Vergine.
Poi le parole saranno fredde.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALBERTO CAPPI

Alberto Cappi – Poesie 1973 – 2006 - FORMAT – puntoacapo – Pasturana (Al) – 2009 - pagg. 311 - € 20,00
Alberto Cappi nasce a Revere (MN) nel 1940, e muore a Ostiglia nel 2009. È stato poeta, saggista e traduttore.
Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede include le seguenti raccolte
di poesie di Cappi: Alfabeto (Milano 1973), 7, (Torino, 1976), Mapa (Mantova,
1980), Per Versioni (Milano, 1984), Casa delle forme (Udine, 1992), Piccoli dei
(Faenza, 1994), Il sereno untore, (Latina, 1997), Quaderno mantovano, (Mantova,
1999), Quattro canti, (Faenza, 2000), Visitazioni, (Ascoli Piceno, 2001), Libro di
terra (Civitanova Marche, 2003), La casa del custode, (Bologna, 2004), La bontà
animale, (Faenza, 2006). Cappi è un poeta dalla cifra originalissima, che ha
attraversato ormai quattro decenni di vita poetica, compiendo un percorso coerente,
esito alto di una forte coscienza letteraria, presente in lui fin dalla pubblicazione del
primo libro di poesia intitolato Passo passo, (Firenze 1963). Con il passare degli
anni, lo stile di Cappi ha avuto una forte evoluzione, risultato anche di
un’assimilazione, da parte dell’autore, delle correnti poetiche che si sono sviluppate
in Italia, e non solo in Italia, nel corso degli anni. Il poeta, negli anni Sessanta e
Settanta, è stato influenzato da un certo sperimentalismo filosofico, attento al
pensiero d’oltralpe. C’è stato un momento di passaggio, di mutamento nello stile e
nella forma della poesia di questo autore: infatti Cappi ha prodotto, inizialmente,
come dice Mauro Ferrari nello scritto intitolato Per Alberto Cappi, per la sua poesia,
scritto inserito nel volume, una poesia dispersa e frammentaria sulla pagina,
disseminata a livello di significante e opaca a livello di significato, poesia che,
all’avvio degli anni Ottanta, si è illuminata, gradualmente, di una nuova trasparenza
del dire, con un’urgenza di dare voce alla propria interiorità che si depositava sulla
pagina in un verso minimale, ma mai minimalista, e musicalmente attentissimo, quasi
ammantato di silenzio. Sono i versi composti nei due decenni a seguire, davvero
sussurri di chi non grida una propria identità, ma punta su uno stile pacato come
l’unico e forse ultimo modo di comunicare che possa dirsi davvero umano, ridando
senso a quella parola tremenda che è “Io”, dietro la quale si avvertono sia un “Noi”,
sa l’alterità di un “Voi”, che va ricondotto a una paziente condivisione, con
amorevole Cura Il momento centrale dell’evoluzione dello stile di Cappi, attraverso
il cambiamento della forma, avviene nel passaggio dalla raccolta Mapa, del 1980, ,al
testo Per Versioni, pubblicato nel 1984; mentre fino a Mapa, la poetica di Alberto
Cappi è vagamente sperimentale, pur essendo distante da quella del Gruppo ’63, con
Per Versioni, la stessa poetica dell’autore approda a forme già più strutturate, a
poesie, nella maggior parte dei casi brevissime e caratterizzate da venature
filosofiche: è proprio la differenza della disposizione dei versi sulla pagina , il primo
dato che balza agli occhi del lettore delle poesie nelle due fasi della produzione di
Cappi: infatti, prima di Per Versioni, le poesie dell’autore sono costituite da sintagmi
sparsi sul bianco de foglio in modo irregolare; inoltre si tratta di poesie prive di nessi
logici chiari e distinti, anzi tendenti spesso all’alogico. A partire da Per Versioni,
come si accennava, si assiste ad un processo di normalizzazione della forma, che
consiste nell’uscire totalmente dagli sperimentalismi, con una produzione di testi
molto concentrati e anche oscuri nei significati, caratterizzati da allitterazioni e
assonanze frequenti. C’è comunque un denominatore comune che caratterizza i due
momenti del percorso poetico di Cappi: questo punto in comune può essere
individuato nella originalità di uno stile sempre controllatissimo e levigato, del tutto
privo della minima traccia di liricità.
*
Raffaele Piazza

domenica 13 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = RITA IMPERATORI

Rita Imperatori – Di questo nostro esistere--Puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 53 - € 12,00
"Di questo nostro esistere", la raccolta di poesie di Rita Imperatori che prendiamo
in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Ivan Fedeli esauriente e
ricca di acribia e una nota introduttiva dell’autrice stessa.
La poeta nei suoi intenti concepisce la filosofia, nel tradurla in poesia, come
analisi dell’esistenza, cioè del modo specifico, originale e proprio dell’uomo come
chiarimento del rapporto tra l’uomo e l’essere (società, mondo e Dio).
Proprio in questo rapporto l’io – poetante, che si potrebbe definire un noi è
sempre in bilico tra gioia e dolore nel porsi assillantemente domande nel tendere al
senso della vita che altro non può essere che quello della continuazione.
Questo senso s’invera nel continuum di unità minime che divengono versi che si
fanno poesie profondissime e intense nei contenuti e chiare nella forma luminosa,
icastica, leggera e narrativa nella sua immediatezza.
Per Imperatori siamo tutti “sotto specie umana”, per dirla con Mario Luzi, gettati
nella montaliana “ressa cristiana” dei giorni e la vita è una lotta o una battaglia
quotidiana che ha bisogno delle sue strategie.
Emblematica, rispetto a quanto suddetto, la prima poesia programmatica della
raccolta, che, per la sua unitarietà stilistica e contenutistica potrebbe essere considerata
un poemetto.
Nella suddetta composizione intitolata, Non c’è modo di stare sulla terra, è detta
con urgenza la condizione umana quando Rita afferma che vivendo sul pianeta terra è
inevitabile che sopraggiungano i dolori.
È detta qui anche la caducità dell’esistere, visto che alla fine saremo solo
memoria per alcuni.
Anche il tema del male è nominato quando viene affermato che secondo il libero
arbitrio si può lasciare a volte il solco del bene pur di vincere almeno una partita, o,
potremmo aggiungere, pareggiarla.
La poeta aggiunge che per ora distogliamo il pensiero dalle domande che minano
i percorsi consueti della mente e fingiamo di avere la serena consistenza delle pietre.
I versi si susseguono incalzanti di poesia in poesia con un’intrigante ritmo
cadenzato che crea una suadente musicalità attraverso stringhe irregolari imbevute da
una patina di classicità.
È necessario conoscere la propria provenienza per affrontare le nuove sfide e
quindi Imperatori ci mette di fronte ad un’originale ed efficace poetica tout-court
intellettualistica.
L’autrice in La speranza si apre all’ottimismo nel vivere la speranza stessa come
un lume che non chieda mano d’uomo.
La speranza stessa non si coltiva, tuttavia a volte si trova il bandolo per tutto e
anche per noi ride la cometa, immagine di notevole efficacia.
E si possono avere spalle forti simbolo della sicurezza nell’affrontare l’esistere
con tutte le sue contraddizioni.
In Guardami il cuore la poeta si rivolge al Signore, del quale dubita l’esistenza
in altri componimenti, e gli chiede appunto di scrutargli il cuore perché non sa più
pregare.
E qui c’è anche il senso del peccato quando l’autrice chiede a Dio il perdono e
la possibilità di espiare le proprie colpe.
Una forte valenza etica permea dunque questa raccolta nella quale la poesia
diviene preghiera anche laica.
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = ELIO PECORA

Elio Pecora – Simmetrie--- Mondadori (Mi) – 2019– pag. 122 - €12,00
In questo composito e compiuto testo, Elio Pecora, partendo dal corpo, dalla
“stanza del corpo”, ci conduce con sobrietà e saggezza, con elegante pacatezza di
stile, in un viaggio che attraversa una fitta molteplicità di esperienze, frutto dell’ansia
e del quotidiano affaccendarsi di una ressa di personaggi.
Il libro è scandito nelle seguenti sezioni: La stanza, Quadri cittadini,
Simmetrie, Imitazioni, Tragitti, L’occhio corto, Per altre misure.
Come si diceva, il tragitto, che l’autore ci presenta, parte dal corpo e il
segmento iniziale, La stanza, un poemetto, ha per oggetto il corpo, visto come
involucro che contiene l’essere umano, corpo cogitante, corpo che percepisce
dall’esterno un insieme di sensazioni e stimoli che arrivano alla mente, come se fosse
una stanza, per ognuno di noi:-“/E’ una stanza il corpo/ nido-cella-recinto./ Abito in
cui bastarsi,/ da non potersi assentare un istante./ Gabbia d’ossa e di arterie,/ di
dove assistere al mondo./ Fame sonno attesa incessante/ ansia dove placarsi,/ pozzo
dove annaspare./ Sangue, umore, feci/…”.
Molto efficace questa descrizione di Pecora, che non manca di crudezza,
soprattutto nel seguito del poemetto in cui il poeta parla del corpo, nelle sue varie età
(infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia), o del corpo malato.
Pur procedendo con una sua inconfondibile ed originale forma, l’autore,
attraverso le scansioni, ci presenta una grande varietà di registri espressivi e
prosodici, a partire da poesie criptiche e oscure, fino a poesie più chiare e lineari,
raggiungendo il massimo della chiarezza in L’occhio storto, parte importante del
libro, che è composta da microracconti in prosa.
Qui Pecora passa dai ritmi felicemente serrati, dalla concisione limpida della
sua scrittura in versi, a una prosa che sa presentarci situazioni di più concreta realtà,
agite da personaggi immersi nelle loro umanissime vicende, pur prevalendo, a livello
tematico, situazioni estreme, che hanno per soggetto, spesso, la pazzia, l’omicidio, il
male di vivere e l’omosessualità.
Sono lacerti di un mondo spiato, microracconti che mettono fulmineamente in
scena le inquietudini ordinarie o eccezionali di una piccola folla dai caratteri svariati,
ma i cui destini non potranno, infine, differenziarsi nel profondo. Simmetrie è, nella
sua stesura, un testo unitario e coerente, anche nella sua varietà di dinamiche e toni,
che sono tutti legati dal filo rosso, che consiste in una ricerca esistenziale sul tema
dell’esserci e dell’esperire come esseri umani contemporanei, attraverso vari
personaggi che il poeta presenta, personaggi che sono proiezioni del poeta e in cui il
lettore può identificarsi.
Le vite dei suddetti personaggi, uomini e donne di tutte le età, appaiono
inevitabilmente segnate dalla meraviglia e dalla gioia, dal dolore e dallo sgomento
dell’esserci, ma sempre nella consapevolezza che tutto finirà.
Dice l’autore con vibrante efficacia in un suo brevissimo componimento: - “/Il
vento del deserto cancella la pista/ La barca non lascia tracce nell’acqua/”.
La bellezza stessa, dunque, l’amore, l’emozione, il sentimento dell’esistere più
intenso, non potranno che sciogliersi in un vuoto che ne cancellerà le tracce.
Eppure, e questo è un dato positivo, tutto il percorso di queste Simmetrie
poetiche, tende a recuperarne il maggior numero possibile, dimostrando che la poesia
stessa può essere, attraverso, il parallelismo etico-estetico, un modo per raggiungere
nei versi e nella vita, che essi rispecchiano, il bene, l’equilibrio e la felicità. Nella sua
varietà, tutto è composto in un disegno unitario, coerente, sorretto dall’onestà morale
della sua ispirazione e del suo nobile progetto di poesia. In questa poetica tutto
scorre, divora, l’attimo non si lascia catturare, rimane una leopardiana contentezza
della finitudine, nonché penniana allegrezza nel dolore. Attraverso la suddetta varietà
prosodica, Pecora raggiunge una limpidezza e un’incisività nuove, che lo pongono tra
le voci più coese, profonde, sorprendenti e pensanti, della scrittura odierna. Si cita la
poesia (Improptu), tratta dalla sezione intitolata Per altre misure: - “/ Farneticano.
Che altro possono? La vita/ s’incarica di sfuggirgli. Vorrebbero/ ghermirla,
possederla come un vestito, / una sedia. / Invece vi stanno dentro, / tutti interi. E
almeno in parte sanno che, / a uscirne, sarebbero persi, definitivamente. / Pensano, Il
privilegio di pensare. Piuttosto/ annaspano, in un pozzo, col naso rivolto/ al filo di
luce che viene dall’alto…/”; pare sintetizzarsi, in questi versi, tutta la poetica e il
pensiero di cui è imbevuto questo libro: la vita è come il corpo, di cui si diceva, ci si
sta dentro ma non si riesce a prenderla saldamente tra le mani e, del resto, ad uscirne
ci si sentirebbe persi, ammesso che questo fosse possibile: ma anche qui c’è quella
salvezza, quella possibilità di essere felici per un’ attimo, che si materializza in quel
filo di luce che viene dall’alto: in un esistere precario, nel caos che Pecora ci
presenta, c’è sempre una possibilità di salvezza e quel caos, sia pure per un attimo in
senso heidegeriano, può diventare cosmo, e questo può bastarci.
Nella varietà di toni che ci vengono presentati nel poiein di Pecora in questo
libro, c’è anche una sfumatura vagamente lirica e musicale che incontriamo nei
seguenti versi brevi e distesi, che ben si armonizzano con l’insieme, versi tratti dalla
sezione Simmetrie, versi in cui emerge anche l’elemento naturalistico:-“/Stagione la
più cupa/ ma con le spore rinnova l’evento/ oppone allo sgomento/ un ritrovato
stupore// piede verso l’abisso// tra il sognante avvertito/ torna dov’è partito/ ed esce
nella veglia/ grido corto affocato/ ma, dentro stanze chiuse/ riannoda le confuse/
richiamate parole/…”: anche qui nella simmetria tra stupore e abisso, tramite la
parola poetica, si riesce a ritrovare il senso.
Raffaele Piazza

venerdì 11 ottobre 2019

APPUNTI CRITICI = GIORGIO LINGUAGLOSSA


APPUNTI SULLA «GENERAZIONE PERDUTA» DEGLI ANNI DIECI
Raffaele Piazza Del sognato Milano, La Vita Felice, 2009
Lidia Are Caverni Colori d’alba Cosenza, Orizzonti Meridionali, 2010
Noi sappiamo che nell’epoca del declino delle «Grandi narrazioni» è avvenuta la moltiplicazione delle piccole narrazioni in una miriade di racconti miniaturizzati. La «Grande narrazione» si è risolta in una «Piccola narrazione», nella narrazione di piccoli mondi: il mondo dell’affettività privata, la rammemorazione del vissuto e la rivivibilità del «privato» nel presente «attualizzato». La modalità, il modus
che nella poesia del pre-moderno aveva a che fare con il «soggetto trascendentale» è stata sostituita dalla pluralità dei soggetti empirici e dall’egoità dell’attualità. Se ancora in Hölderlin e in Leopardi soggetto trascendentale e soggetto empirico coincidevano, noi oggi possiamo prendere atto che abbiamo accertato con evidenza assoluta che il «soggetto puro», in altri termini, il «soggetto trascendentale» che aveva
ancora «coscienza di sé», ha compiuto oggimai la sua traiettoria concettuale ed ha esaurito le sue
potenzialità «narrative», lasciando il pensiero estetico alle prese con i problemi derivanti dall’eclisse del
«soggetto».
Ormai non vi sono più che soggetti empirici: sul piano dell’etica questo significa il conflitto delle volontà (Nietzsche) e l’ideologizzazione della morale; sul piano dell’estetico ciò comporta che non vi è nient’altro che uomini empirici, l’uomo come soggetto scompare per diventare soggetto di scienza, soggetto del politico, soggetto della sfera artistica, soggetto del religioso, soggetto della divisione dei poteri e del
lavoro all’interno dello Stato democratico. In una parola: soggetto della democrazia. Presto però si è scoperto che il soggetto democratico che scriveva poesie o che colorava le tele o che scriveva i romanzi del nostro tempo altri non era che un complemento ideologizzato del «globale», insomma, che il «locale» altri non era che il riflesso (feticizzato) del «globale» Così, nell’agone democratico, al conflitto degli
impulsi mimetici della sfera artistica corrisponderebbe l’ideologizzazione inconsapevole dell’estetico. In una parola, il trionfo del soggetto empirico ha il suo portato e il suo sostrato nel fenomeno della defondamentalizzazione del soggetto (e la sua morte trascendentale) e nella disartizzazione dell’arte; cioè, l’esistenza non ha più il suo luogo «trascendentale» ma in compenso ha i suoi soggetti empirici con i loro
luoghi empirici e perimetrabili moltiplicabili all’infinito. Di qui una certa patina di esistenzialismo che si
avverte nella narrativa e nella poesia contemporanee.
E la poesia obbedisce supinamente a tale quadro di sproblematizzazione del «reale».
C’è da chiedersi come la poesia contemporanea possa replicare a tale contesto di sproblematizzazione del «reale»; c’è da chiedersi con che specie di «reale» l’arte moderna pensa di avere a che fare. A me pare che il libro di poesia di Raffaele Piazza abbia messo in campo un demoltiplicatore del «poetico», o meglio, un «riduttore» del poetico e che ciò sia il riflesso di quelle enormi forze motrici che hanno messo in campo
un demoltiplicatore dell’estetico in tutti i campi e in tutti gli aspetti del «reale» tramite la diffusione dell’estetico dall’architettura e dal design alle pareti dell’anima (se così possiamo dire), nel privato e nella privacy demoltiplicata e manifesta alla piena luce dei neon alogeni.
Direi che con la demoltiplicazione del «soggetto» siamo giunti a ridosso del «nuovo» soggetto empirico,
della ottimizzazione delle risorse umane nelle moderne economie a capitalizzazione del lavoro salariato.
Nella stragrande maggioranza dei romanzi e delle poesie contemporanee (anche di autori ritenuti del massimo rilievo!) appare evidente che i risultati di una tale demoltiplicazione non potevano essere diversi: il trionfo del minimalismo e della micrologia. L’ultimo libro di Milo De Angelis Quell’andarsene per il buio dei cortili (Milano, Mondadori 2010) ne è un esempio invulnerabile. Ma se il minimalismo (venato di un candido aproblematico e aproteico autologismo) è il portato di una potente vento di sproblematizzazione, ciò non toglie che vi sia anche chi opera, all’incontrario, per la via di una problematizzazione di ciò che la cultura della giustificazione aveva derubricato come irrilevante e minoritaria.
Nel mondo della democrazia del globale mediatizzato corrisponderebbe così la democrazia del minimalismo e dei soggetti empirici.
L’autologia è dunque l’involucro del soggetto empirico, il genere oggi prevalente nella narrativa e nella poesia, dove l’io si autocelebra sull’altare del «privato» opportunamente scisso e deturpato negli esiti più intelligenti in una galleria di situazioni e di maschere, in una liturgia con un linguaggio liturgico.
Nel libro di Raffaele Piazza Del sognato (Milano, La Vita Felice, 2009) c’è il personaggio della ragazza Alessia fotografato e visto come in radiografia, in un acquario, tra il sogno e la veglia, tutta una gamma di rifrangenze del ricordo e del sogno: c’è il «rossetto di Alessia», Alessia «è nuda nell’estate nella macchina», «non vuole avere un bambino», «le mutandine di Alessia 1998» etc., tutto un repertorio e una
fantasmagoria di temi e di spunti che Piazza sa trattare con grande esperienza. Uno stile emulsionato e gentile, frutto di tatto, di sapienza e di accortezza e di fugacità.
L’autologia di Raffaele Piazza (l’autore è nato nel 1963) è un libro «esemplare» ed emblematico della generazione che non ha mai saputo di essere una generazione, che ha avuto sì pessimi maestri, sì, e pessimi istrioni anche, una generazione alla quale nessuno mai ha consegnato il testimone della poesia critica di un Fortini e di un Angelo Maria Ripellino, della disperazione esistenziale di una Helle Busacca.
In una parola, la generazione che è passata improvvisamente e nel breve volgere di tempo dalla società del benessere a quella della stagnazione è quella che è rimasta priva della generazione di riferimento. Così, è capitato che dopo la «generazione invisibile» (alla quale appartengo anch’io, Giuseppe Pedota, Giorgia Stecher, Maria Marchesi, Maria Rosaria Madonna, Roberto Bertoldo, Laura Canciani etc.), quella nata
negli anni Sessanta e Settanta sia stata la «generazione inconsapevole», che si è perduta senza neanche
sapere di esserlo…
A questa «generazione perduta», e a Raffaele Piazza in particolare, che è tra i più dotati della sua
generazione, io mi sento di rivolgere un accorato monito: ritornare indietro alla problematizzazione di
tutto ciò che la cultura egemone aveva sproblematizzato, fare marcia indietro, innestare una potente
retromarcia, se si vuole in qualche modo incidere e lasciare una potente traccia ma all’incontrario.
«Contropelo rispetto al mondo» come scriveva Mandel’stam nei lontani anni Dieci del Novecento.
Ricominciare daccapo, ma dalla tradizione critica della poesia del tardo Novecento. Abbandonare la
lezione del minimalismo e del micrologismo.
Vorrei segnalare in questa sede una poetessa della generazione precedente, che fa una poesia apparentemente avulsa dall’attualità e dal «privato», che non pesca nella «cronaca» e nel «quotidiano», insomma, che fa una poesia diversa, Lidia Are Caverni Colori d’alba (Cosenza, Orizzonti Meridionali, 2010). Poesia placentale, immersa in uno stato amniotico, larvale, resurrezionale tenuta insieme
all'imperfetto, un tempo che indica una sospensione memoriale e una sospensione spazio-temporale di motilità più che di moti, di inazioni più che di azioni configurate e scandite. Severo nella sua versione antimoderna il discorso poetico della Are Caverni è tutto inscritto nell'ombra della caverna platonica dove vigono e vivono presenze larvali ed essenze iperuraniche immerse in una zona di albedini umbratili refrattarie alla struttura della coscienza e della Storia, tese alla felicità compossibile e impossibile, ad uno stato di verginità impossibile come un'utopia. Poesia dell'utopia e del sogno, dunque, refrattaria all'ordinamento della punteggiatura e al discorso logico articolato secondo una sequenza di proposizioni collegate e subordinate; poesia orizzontale di dulcedini smaltate che reca in sé, nel risvolto ctonio e sorgivo, una estraneità totale al «mondo» e alle contaminazioni della Storia. In tal senso poesia catafratta come dentro ad una testuggine stilistica che si chiude nel proprio alveo, con un sentore di ferinità e di albedini.
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GIORGIO LINGUAGLOSSA

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

Francesca Lo Bue : "Itinerari" - Ed. Dante Alighieri, Roma, 2017-
Circolarità e verticalità.
"Il libro emerge dall'oblio... è ricapitolazione... La storia, di per sé obliata, si vivifica quando c'è un
lettore". Così dice la poetessa Francesca Lo Bue nell'introduzione alla raccolta "Itinerari" (Roma,
2017), suggerendo che la propria opera cercherà di riannodare le fila di un discorso dimenticato,
seguendo un percorso di continuo ritorno. Del resto il titolo "Itinerari" non può che portare in
rilievo un desiderio cinetico. E i moti tracciati saranno di due tipi, circolare il primo, come si
diceva, verticale il secondo, ascendente per la precisione, dalla terra al cielo, come si scoprirà.
Rimaniamo per ora sul primo, cerchiamo di comprendere quale la traiettoria imboccata. Un
problema subito si pone: la poetessa dice che la storia è "obliata" e che necessita di un lettore. Ma
cosa mai si può leggere nella massa informe della dimenticanza? Nella introduzione già citata la
soluzione è porta nell'incipit: "Il libro è ritorno e restituzione, ripete miti, leggende, profezie e
ammaestramenti per restituire vite".
Il poeta dunque deve disegnare un'architettura di simboli e segni. La poesia è vaticinio, come nel
testo appunto intitolato "Mantica" che inizia con "Voce di poeti, voce d'alberi" e continua "Dalla
terra brumosa la voce d'un ritmo... quando la Pizia risponde al segnale". Simboli e miti e profeti. Il
testo successivo è "Artemidoro" in cui "i tuoni cercano la casa dell'oracolo. Pith, sveglia nella
radura della roccia, vede un'ora del Tutto".
D'altra parte riferimenti al mito, in specie greco-latino, sono un segno distintivo della raccolta e, in
genere, di tutta la poetica di Francesca Lo Bue. Così abbiamo Endimione, Antigone, l'Anabasi; ma
anche testi ispirati a suggestioni diverse, orientali, come "La chimera di Enkidu", o moderne come
"Gulliver".
Chiarito il metodo, spetta capire il punto d'arrivo del movimento, ovvero di inizio se moto circolare
è. Molti sono gli spunti, uno però illumina poderosamente. In "La forza" prima si invoca un "poeta
effimero" le cui "parole abbiano regno nella carne breve", poi si dice che "se prima nemmeno
sapevo di essere, né speravo di essere e non ero, ora sono un ammasso che parla, gioca e mangia".
L'esistenza nella sua spoglia realtà. Come in "Amicizia" ove "la virtù del dolore è la perdita, e la
perdita è nudità. E la nudità è libertà".
Tornati all'inizio possiamo ora volgere lo sguardo al moto retto, da giù in su. Una linea verticale,
dal terrestre all'uranico. Se l'essenza materiale, concreta, scabra sembrava prima il punto d'arrivo,
ora è oggettivamente correlata a una serie di termini ricorrenti di natura terrestre. Molto frequente è
il lessico legato agli elementi del suolo e del sottosuolo: parola frequentissima è "pietra", in tutte le
sue declinazioni e relazioni. Cippi, dolmen, iscrizioni, minerali preziosi. Ricchissimo poi il
vocabolario ispirato agli animali: le poesie sono popolate di draghi, pernici, leoni, lucciole; e
soprattutto colombe. Questo gentile uccello è esplicitamente apostrofato in "Le porte azzurre".
"Colomba.. Alza la voce verso il monte, verso la luce dell'arcobaleno... alzati, Colomba, dal ripudio
delle greggi, verso l'eredità del libro del Mistero". Ecco il desiderio di innalzamento, di
sublimazione. Di converso infatti fanno eco i vocaboli circoscritti nel campo del cielo e della luce.
Forse il colore più comune nella raccolta è l'azzurro.
Sempre alla colomba si rivolge nella poesia successiva, "L'acqua dell'aurora". "Colomba senz'ali...
Anela l'acqua dell'aurora, prendi forza dalle ali tarpate verso il regno dei fiumi celesti... Sorgi...
verso l'allegrezza dei nomi".
Così siamo giunti al termine. Dopo il ritrovamento dell'essere terraneo e corporeo, la purificazione
che decanta i puri nomi.
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Dott.ssa Rosa Rempiccia

mercoledì 9 ottobre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALFREDO RIENZI

Alfredo Rienzi – La parola postuma – Antologia e inediti -- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 129 - € 16,00
Alfredo Rienzi, nato a Venosa nel 1959, vive a Torino. È poeta e saggista e ha
pubblicato molti libri di poesia. È presente in numerose raccolte antologiche e
autorevoli critici hanno scritto sulla sua opera.
La raccolta di poesie di Rienzi, che prendiamo in considerazione in questa sede,
presenta una corposa prefazione di Giorgio Linguaglossa esauriente e ricca di acribia
e in chiusura un brano di Mario Marchisio intitolato Alfredo Rienzi, un poeta esoterico.
Il libro è scandito in due sezioni: la prima comprende un’antologia di testi editi
tratti dalle raccolte Oltrelinee, Simmetrie e Custodi e invasori, mentre la seconda
racchiude testi inediti prodotti tra il 2005 e il 2011 che hanno per titolo La parola
postuma.
La poetica del Nostro fortemente intellettualistica, antilirica e anti elegiaca si
realizza con poesie dalla forma anarchica che sfiora l’alogico.
Ha ragione Marchisio a definire Alfredo poeta esoterico per la sua oscurità, ma
se si leggono con attenzione queste poesie raffinate, ben cesellate ed avvertite si coglie
in esse una fortissima carica di senso ed una vaga consequenzialità.
Al lettore pare di affondare nel magma della pagina per riemergerne colpito da
una forte carica emozionale e lo stile del poeta è icastico e nello stesso tempo leggero,
luminoso e veloce.
Una vena neo orfica sembra essere la stabile cifra distintiva di Rienzi e
visionarietà e sospensione connotano l’ordine del discorso.
Nei componimenti più lunghi si nota una tensione affabulante e si tratta di una
poesia descrittiva nella sua intrinseca complessità.
Un’atmosfera d’inquietudine e di mistero serpeggia costantemente in questi testi
dalla forte carica evocativa e ombre e luci kafkiane sembrano continuamente quasi con
un’intermittenza pervadere le pagine.
Rienzi produce una poesia sperimentale anche se molto lontana da quella dei
poeti dei gruppi ’63 e ’93.
Un certo pessimismo sembra rivelarsi in questi componimenti nel suo
estrinsecarsi in versi tragici e affascinanti ontologicamente come quando il poeta
scrive: …/ma l’uomo che impone il prezzo e l’abuso/ è qualcuno che sempre ci
somiglia/ così che si confondono le storie/ le acque, i limiti tra vita e inerzia/, versi
tratti dalla composizione Per quanti giorni la luce ha coperto.
Notevolissima è costantemente la densità semantica che si coniuga a quella
metaforica e sinestesica.
Nei testi centrati sulla pagina si avverte una forte dose di tendenza
epigrammatica e una suadente musicalità prodotta dal ritmo sincopato.
Eppure talvolta nei tessuti linguistici si aprono squarci di speranza come in
Giungo sull’arenile a notte fonda quando viene detto un mistero troppo comune da
turbare i sogni.
E lo stesso mistero, dunque, può divenire una categoria tendente al superamento
del pessimismo, anche se immerso in atmosfere di onirismo purgatoriale.
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Raffaele Piazza