domenica 29 agosto 2021

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


**) “Kabul 2021”
Il terrore è bloccato negli sguardi
ora che i talebani hanno il potere
di distruggere ogni illusione.
Nulla vale la storia per gli inganni
che ricamano gli orrori.
E’ la forza di un lampo fugace
fuori del tempo, lungo il bilico che frana
per l’umanità in atomi mortali.
Lo strazio rimbalza fra le madri
che allontanano i bimbi, lacerando
ogni dubbio offrono pianto,
in altri paralleli, senza più badare
alle sospensioni che la notte conduce.
A nulla vale la preghiera verso luci
nel mistero delle vene recise,
nell’orrore del mostro camicaze,
in lenta processione verso un altro asilo
inesorabile ed indeterminato.
Ha insegnato ben poco il secolo passato
se un atroce destino insiste nelle menti
bacate da ignoranza,
inseguendo inusitate ombre, invereconde polveri
sull’orlo avvizzito dei rifiuti,
e sempre più lontano dai diritti morali,
dove langue ogni tentativo di evasione.
Nelle stesse ore il mondo intero
ricade nelle spire dell’ignoto.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

sabato 28 agosto 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELA FAZIO


**Raffaela Fazio – Meccanica dei solidi--puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2021 – pag. 85 - € 12,00
Meccanica dei solidi include uno scritto introduttivo di Paolo Ruffilli intitolato L’attraversamento del limite e al termine della sequenza delle poesie il brano di Giancarlo Pontiggia L’ago della bilancia.
Ogni componimento della raccolta presenta a fronte la traduzione in inglese.
La meccanica è una parte della fisica che studia il moto e l’equilibrio dei corpi e definire un volume di poesia Meccanica dei corpi è un fatto spiazzante per l’avvicinamento di fisica e letteratura e questo dimostra che in poesia tutto può essere detto e che qui i solidi hanno una valenza simbolica e metaforica nell’essere espressione, per una forma di spostamento semantico, presumibilmente anche delle emozioni e dei sentimenti che costituiscono quello che la poesia può veicolare in ogni lettore.
Come scrive Ruffilli mai titolo poteva essere più indovinato per questo libro nel dettaglio del particolare e nell’estensione simbolica della definizione. Non solo perché di meccanica dei solidi si sta parlando mentre avviene l’accadimento della prima poesia ma anche perché gli avvenimenti di tutti i testi della raccolta hanno a che fare con lo stesso processo.
Un primo elemento da prendere in considerazione nella poetica della Fazio espressa in questo libro è la forte dose di corporeità di fisicità nelle descrizioni che produce tramite immagini crude e talvolta violente che hanno il dono del turbamento: Per lui un quinto colpo/ Si schianta nella testa/ l’ultimo tratto di filo spinato. / E il carico scompare/.
Se in poesia tutto è presunto in questa raccolta domina una forma astratta nel dire le parole con urgenza nella loro rarefazione e compattezza attraverso maniere che sono sicuramente strutture anarchiche e che sforano l’alogico. Ed è presente incontrovertibilmente una venatura neo orfica che dà ai testi una forte impronta di magia e mistero.
Tutta la partita si gioca tra detto e non detto in un ipersegno che si realizza e che porta a quell’attraversamento del limite di cui parla Ruffilli. E se il limite stesso non è superato ma almeno attraversato questa è una cosa che può accedere solo in poesia perché la poesia stessa è sempre metafisica e raggiunge lo scopo raggiungendo l’indicibile.
C’è da mettere in luce che anche un tono assertivo epigrammatico con tonalità spesso gnomiche è presente nella raccolta che è veramente originale nel seguire Raffaela un personalissimo sperimentalismo. Domina un senso di onirismo purgatoriale in tutto il volume e vengono nominate situazioni estreme come nella descrizione di una persona che si lancia probabilmente nelle acque di un mare, di un fiume o di un lago per soccorrere un qualcuno che non riemerge.
Tutto è giocato in situazioni paradossali da nonsense non senza luci e ombre kafkiane o beckettiane e importante è la presenza di un tempo che non è quello lineare degli orologi e si avverte una forte atemporalità e vaghezza in quello che può essere considerato un esercizio di conoscenza.
*
RAFFAELE PIAZZA

giovedì 26 agosto 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI = VELLISE PILOTTI


Vellise Pilotti: "Daccapo" - Ed. Biblioteca dei leoni - 2021- pagg. 72 - € 10,00
Nel vorticoso registro dell’incanto autobiografico le poesie si avvicendano in un continuo ininterrotto sussurro che dalla memoria giunge all’illusione, dal sogno giunge al contatto.
Il linguaggio poetico è una continua scoperta. Semplice, asciutto, scarno, efficace, essenziale, pulito, ma sempre suggestivo; poi materico, complesso, ornato, potente, puro, platonico, erotico, lucente, sonoro. Un delicato incanto che traspare nella carica sottesa dell’amore, affinchè della poesia nulla andasse perduto del vissuto e del non detto. Soprattutto incisiva la memoria, a volte minima trasparenza di accadimenti, a volte incisiva luminosità di contatti umani.. Un contatto vero, carnale, che è andato oltre i gesti e le parole. Un contatto con la natura irrequieta e affollata, sempre pronta a meraviglie. Vellise ha cercato di vedere le persone così come sono, con le loro debolezze e le loro grandezze e in mezzo ai mille nodi che la quotidianità intreccia, rintracciando con serenità il granello di purezza che la metafora riesce a ricamare. “Ho viaggiato/ per i campi/ dell’anima mia/ e quella che sono oggi/ ieri non ero./ Le risposte/ ci sono già/ ci vogliono le domande giuste.” Ha cercato i segnali che i germogli riescono a decifrare tra “ i colori/ che foggiano aquiloni/ che volano sempre più su/ nel cielo./ E’ tempo/ di togliere la maschera./ E’ tempo/ di scoprire le carte./ Il re di cuori/ vince.”
*
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = SILVIO RAFFO


**Silvio Raffo – Il giovane dolore---Puntoacapo – Pasturana (AL) – 2021 – pag. 61 - € 12,00
Il giovane dolore è una raccolta di poesie che per la sua unitarietà tematica, contenutistica stilistica e semantica potrebbe essere considerata un poemetto e questo dato è avvalorato dal fatto che i componimenti del volume non sono scanditi in sezioni, elemento che ne accresce la fluidità.
Ai testi segue un’appendice che include i seguenti due scritti: la postfazione Scordato dal dolore di Silvio Aman, e la nota Il tenero fanciullo non vuole morire. Trionfo dell’ossimoro e non -sentimento del tempo ne Il giovane dolore di Silvio Raffo di Sacha Piersanti. Cifra essenziale della poetica di Raffo pare essere una vena intellettualistica e speculativa espressa in strutture che tendono all’anarchico e a volte quasi all’alogico con una forte componente neo orfica.
Il lettore s’imbatte in testi che trasmettono emozioni rarefatte e si tratta di componimenti che per essere compresi devono essere letti più di una volta con attenzione. Per entrare nel merito del messaggio che Silvio vuole lanciarci con questa silloge bisogna partire dal titolo il giovane dolore che è da interpretare. Pare essere un dolore universale, quello della condizione umana, ma come ha scritto Franco Battiato in un suo testo, la gioia e il dolore dell’esistere, il poeta lascia trapelare tra le righe che vi possono essere anche la felicità, la serenità e la gioia nella vita che non esisterebbero se non ci fosse lo stesso dolore, a partire da quello del neonato che viene al mondo piangendo. Infatti, nella poesia eponima, il dolore può anche sorridere e quindi si crea un gioco di specchi e di rimandi di significati, in un contesto speculativo.
Inevitabilmente per assonanza viene in mente il celebre romanzo epistolare I dolori del giovane Werther di Goethe che fu scritto dal poeta tedesco per sublimare una sua giovanile delusione amorosa.
Solo Goethe che era un forte visto che l’amore stesso è forte come la morte poteva arrivare ad una simile lucida soluzione: fare suicidare il personaggio proiezione di sé stesso nella finzione per farsene una ragione nella vita reale delle sue pene amorose. E la letteratura salva non solo nell’espressione poetica perché sempre nella suddetta poesia è detto Il mondo un paradiso sconosciuto e questo è un verso veramente ottimistico perché se nella concezione religiosa cristiana il mondo stesso è per antonomasia cattivo, può diventare poeticamente un nuovo Eden, forse utopisticamente, come era il biblico Eden prima del peccato originale. Anche un tono assertivo, epigrammatico e quasi gnomico caratterizza queste composizioni dalle quali scaturisce una forte dose d’ipersegno attraverso la loro densità e attraverso il tema del detto e non detto.
Non a caso in Quello che eri diretta ad un tu il poeta scrive nel distico della chiusa: Tu la tua vita, paradiso e inferno/ io stesso sogno effimero ed eterno.
Un esercizio di conoscenza nel quale nulla è concesso al neolirico e all’elegiaco giocato con una tastiera analogica vincente contro lo scacco che da la vita stessa.
RAFFAELE PIAZZA

lunedì 16 agosto 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIULIANO LADOLFI


**Giuliano Ladolfi –La notte oscura di Maria--Puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2021 – pag. 69 - € 12,00
La notte oscura di Maria presenta uno scritto introduttivo di Giulio Greco intitolato Il silenzio di Dio e una postfazione di Ivan Fedeli entrambi acuti sensibili e ben centrati.
Come scrive Greco il titolo del poemetto di Giuliano Ladolfi si riferisce al testo di San Giovanni della Croce Notte oscura, in cui il mistico descrive il momento della propria esistenza quando il buio prende il sopravvento sull’esperienza umana e religiosa. In questo lavoro l’autore immagina che in una simile fase sia entrata anche la Madre di Dio nella notte successiva alla crocifissione, morte e sepoltura di Gesù, in un dormiveglia durante il quale i pensieri s’intrecciano, si urtano e si affastellano e non giunge il sonno a concedere riposo e le domande assalgono l’anima angosciata senza possibilità di risposta.
La scrittura di Ladolfi è abbastanza chiara e veicolata da essa viene detta con urgenza la parola di Maria, il suo flusso di coscienza che si fa poesia sublime, affabulante e ricchissima di senso nella sua tensione narrativa nella quale non mancano accensioni e spegnimenti nel netto evadere dalla lingua standard. E la Vergine Maria, affranta prima della resurrezione, si rivolge a Dio Padre stesso proprio nella sua notte oscura come una creatura fragile e piena di paura e angoscia nel suo avere perso la speranza. Prima di essere Madre di Dio è una madre come tutte le altre che ha portato un figlio nel grembo, l’ha partorito, cresciuto e allevato e quindi rivela nella sua psicologia i tratti di una madre distrutta dal dolore perché presumibilmente non sa che il suo figlio il terzo giorno risorgerà.
Da notare che la fluidità dell’opera molto compatta e coesa nella sua essenza e nella sua stesura viene raggiunta consapevolmente dall’autore perché le poesie fluiscono come una melodia infinita, in lunga ed ininterrotta sequenza e questo avviene anche perché sono tutte prive di titolo. È affascinante il lavoro del Nostro nel suo calarsi empaticamente nell’anima di Maria e sa rendere al lettore il pensiero di una donna che sottende tutta la sua rabbia contro il male.
Cristo non ha ancora trionfato nella Resurrezione e Maria è in preda al massimo del dolore proprio per quella spada che le ha trafitto l’anima come era stato profetizzato. Maria rivolgendosi a Dio gli chiede se anche lei debba salire sulla croce e se lo stesso Dio è afflitto.
È il vangelo riscritto poeticamente quello di Giuliano e formalmente avviene un perfetto controllo nei versi debordanti e controllati nello stesso tempo armonici e densissimi.
Strutturalmente si tratta di un linguaggio intriso ovviamente innanzi tutto di misticismo e per l'umanità di Maria di cui si diceva il testo può essere appprezzato anche da un lettore non credente.
Un esercizio di conoscenza attraverso il monologo di Maria prima che il silenzio dell'interlocutore Dio finisca con il Verbo Incarnato nel suo risuscitare e dire "Pace a voi"!!
RAFFAELE PIAZZA

domenica 15 agosto 2021

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


**“Azzurri”
Trafiggemmo nel cielo alcuni azzurri
pastello,
ché non avevi spazi ad inseguire favole.
Era la storia che spezzava gli anni
tra le mie parole,
la paura di un flauto ferito
da quel dio insolito schermato fra i cespugli.
Nei solchi il tuo mantello , le unghie
del silenzio per ritorni d’amore,
nel gesto incaute occasioni.
Là dove c’erano glicini o soltanto
segni di una possibile scomparsa,
compaiono le orme delle nostre scansioni,
compaiono i giorni del giardino
che ripete il mio gesto.
Resta sospeso un capogiro
nel quaderno di un’ora.
Un filo tenue che ha soltanto un verso,
segnato come il codice che avvincerà il mio sonno,
scambia il tuo piede nel raro bisbiglio
delle armonie perdute.
In questa attesa il tempo ha meridiane
che deformano il viso .
*
ANTONIO SPAGNULO

lunedì 9 agosto 2021

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


**“Vagabondo”**
Trappola l’autunno con i boccioli che non potrai toccare!
Che tu possa ritornare è un assurdo, eppure io cerco ancora,
tra le pieghe che le coltri disegnano, le forme della tua carne.
Nel letto, che la morte ha concesso, il tuo nudo è di marmo rosato.
E il tempo sembra interrompere vibrazioni di luci
mentre l’immagine allunga a sbalzi timorosamente.
Nella dissolvenza dell’abbandono ho visto giungere il buio
ad occhi aperti, e resta l’improbabile vagabondaggio
fra le memorie, insieme con l’apprensione del sopravvivere,
vigile e insonne nel terribile frastuono del pensiero.
La divina follia è un festoso scattar dalla tomba
tra i colori dei vetri ed il filtrare dei fiori profumati,
più oltre si udiva il canto di un flauto solitario
lento nello staccare le note in attesa del segreto di un’ora tarda.
Avrei dovuto aspettare il riflesso di un raggio
Ma la fuga gioca con la punta delle scarpe.
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 8 agosto 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO FERRANTE


**Antonio Ferrante, Non Rompermi… PandiLettere, Roma, 2021**
Antonio Ferrante ha spaziato dall’interpretazione alla regia fino alla scrittura. Ha interpretato ruoli in teatro, per la TV, per il cinema, ha recitato in spettacoli scritti e diretti da lui stesso. Inoltre ha pubblicato libri utili per chiunque voglia avvicinarsi alla professione dell’attore. Negli anni ha lavorato in teatro con Monicelli, Missiroli, Glejeses (in “Francesco e il Re” con Ugo Pagliaia, Paola Gassman e Philippe Leroy). Nel cinema è stato diretto tra gli altri da M. Risi, M.T. Giordana, M. Calopresti, Ridley Scott, E. Crialese. In televisione tra le tante fiction vanno segnalate quelle di grandissimo successo quali “Un posto al sole” e “ Don Matteo 3” . Ha pubblicato “Parlar chiaro non soltanto a teatro” (Manuale di dizione), “Laboratorio attore”, “Teoria e tecnica della recitazione da Luigi Riccoboni a Eleonora Duse” (con presentazione di Enrico Fiore), “Le cinque fasi dell’animazione” (Disegni di Michele Monetta). Naturalmente potrete trovare molte altre informazioni sul suo sito. www.antonio-ferrante.it.
Ed ora ecco apparire, come una specie di nuovo fiore del male, questo suo libro di poesie.
Un libro “scorretto”, fuori dai canoni della poesia che ti aspetti, un libro che è uno sberleffo, a volte persino uno schiaffo, al mondo della poesia e dell’arte in generale che si auto- considerano seri. Ferrante con questo libro, sanguigno e sincero, è come se ci facesse tornare indietro ai tempi delle atellane (non a caso Ferrante è soprattutto uomo di teatro), ai testi satirici, alle invettive dell’antichità. Ferrante con stile diretto, graffiante, spavaldo utilizza rime, assonanze, allitterazioni per prendere in giro chi si prende sul serio e d’altra parte lui stesso rivendica subito e apertamente di essere prima di tutto un artista e non un poeta.
Non sono un poeta di professione,
sono un artista, scrivo ciò che vedo
che è degno della mia attenzione.
Lancio in versi il mio debole grido.
Non badate alla forma, alla rima,
per me il concetto viene prima.
Leopardi mi sputerebbe in faccia,
non voglio che la mia voce taccia. (pag. 11)
Il progetto è dunque chiaro: prendere o lasciare. Ferrante, nel libro che la giovane e dinamica casa editrice PandiLettere diretta da Lara Di Carlo ora pubblica, esplicitamente vuole rifiutare ogni etichetta, intende respingere al mittente tutti i convenevoli ipocriti del mondo della cultura, della poesia e del teatro in particolare. Un mondo in cui tutti ufficialmente si vogliono bene, tutti sempre pronti a spellarsi le mani per applaudire il “collega” che in realtà s’invidia, si detesta. Un mondo in cui domina in realtà la concorrenza, il risentimento, in cui si sgomita mascherandosi con pacche sulle spalle e falsi sorrisi. Un mondo fatto di retorica, luoghi comuni, un mondo in cui dominano le conventicole, i favori e in cui specie oggi, si pensa di far carriera senza faticare, senza studiare. E Ferrante non ha paura di lanciare il suo sberleffo, ad esempio, ai presunti poeti ( e poi allargherà ai presunti presuntuosi attori) quando scrive la poesia “Per essere poeti bisogna avere tempo” (pag. 12) mettendo in gioco anche l’icona di Pierpaolo Pasolini:
Ore e ore di solitudine è il solo modo
Pier Paolo Anima Bella, amico degli ultimi
Fantasia accesa, per bruciare l’ipocrisia.
….
Vittima della tua sete di conoscenza
Tradito da tutti coloro che hai aiutato
Ingenuo Bambino salvatore del mondo.
….
Usato come un ricordo da incorniciare
Vessillo di un’Italia che verrà
Con italiani di future generazioni
Diversi di tutti i generi e condizione
In che cosa siete diversi se non celebrate
Ogni due novembre santo Pasolini.
Ferrante, da autentico iconoclasta, non teme di misurarsi con il mondo della cultura e lo fa col gusto e lo spirito del giullare che può permettersi di dire la verità ora con una risata, ora con il sarcasmo o l’ironia velata dell’esperienza. Ma sempre camminando sulla lama sottile della malinconia, come bene sanno gli attori di teatro.
Già perché questo libro ha naturalmente una spinta teatrale, anzi è l’universo del teatro che occupa, come ovvio, gran parte dei pensieri e dei versi di Ferrante. In primo luogo, i testi sono come dei monologhi, ora più brevi ora più articolati, che si rivolgono a volte direttamente a un pubblico immaginato presente o a personaggi mai indicati esplicitamente, ma solo allusivamente. E Ferrante rivendica questa sua posizione “privilegiata” di attore-artista-giullare, libero finalmente di dire quel che pensa sin dai primi versi: “Gli attori sono angeli venuti a maggio /Messaggeri d’amore per darci coraggio. /Sono un esercito laico di spiritualità, /lottano con le parole per la nostra libertà” (pag. 5). Il testo prosegue su questa linea sottolineando la diversità dell’attore-artista, diversità non di sostanza, ma di vedute, di posizione e soprattutto di spirito. E infatti conclude: “Non so quante cose sono vere/ in questa storia. / l’ho inventata per voi. / Non lo so /perché/ la verità/ per un attore /somiglia alla bugia./ So però/ che l’attore/ ha tanta fantasia” (pag. 8). E la fantasia è una delle protagoniste, da buon napoletano, del pensiero poetico di Ferrante.
Senza peli sulla lingua, come si addice alla commedia dell’arte, Ferrante scrive: “Io sono quello che porta il teatro,/sono il buffone dei vostri sollazzi, /ridendo e scherzando con la realtà/ vi rappresento la dura verità” (pag. 9). Così Ferrante prende di petto, nella poesia “Non rompermi …” che dà il titolo al libro, il mondo del teatro che non gli piace: “Fuori dal tempo sepolcri imbiancati/ voi siete tanti strumenti scordati/ sì voi componete sull’egoismo/ e sul vostro fottuto narcisismo”…” e se la prende con quelli che oggi pretendono di essere attori senza capire che “attore è possesso di corpo e voce/ di dedizione e sacrificio … Leggete male non cambiate tono /pontificate come un re sul trono … Amico bello hai mai dato il culo?/ Hai mai lavorato come un mulo?/ Il tuo talento può venir fuori/ se studi da che nasci a quando muori” (pag. 9 e 10).
Il contrasto tra l’autenticità e l’apparenza, tra verità e bugia è una delle chiavi dell’arte, di qualsiasi forma d’arte. Il conflitto, più o meno felice, tra rappresentazione e sostanza, tra forma e contenuto è la molla dialettica della cultura e Ferrante ne è consapevole data la sua storia e la sua esperienza artistica. E forse, con un pizzico di autocompiacimento comprensibile, difende il privilegio di poter-voler dire quel che pensa proprio perché conscio del contesto in cui vive e ha vissuto: Siamo fratelli figli del popolo…la gente onesta di questa nazione. Noi siamo quelli che con scrupolo … facciamo tutto con tanta passione, siamo abituati fin da bambini … a lavorare da mattina a sera …./ Oggi ci sono bulli in circolazione … ieri c’erano risse in ogni occasione.(pag. 13). Ci sono naturali spunti autobiografici o legati al proprio mestiere dunque: “Attore – regista- poi autore – amori vissuti, altri sublimati. Porte chiuse … le faremo sapere. Bocconi amari, provini truccati. Schiaffi in faccia per amor dell’arte” (pag. 13) e lo stesso accade nel testo “La recitazione” (pag. 15) dove egli si rivolge a un’allieva: “il comando comincia da te stesso/ l’anticamera del tuo successo”.
Fare l’attore mi ha dato tanta gioia interiore
Ma mi ha costretto a una vita solitaria.
Sono arrivato in porto sano e salvo
anche se ho perso i capelli, sono calvo.
…..
Fortunato son perché so
quel che dico e quel che faccio
e rido di chi m’ha detto : “pagliaccio”
(Il Pagliaccio, pag. 16)
Spirito ironico dunque, mescolato alla malinconia per una vita artistica fatta di fatiche e disagi, ma anche fortunata (un amico mi diceva che fare l’attore è sempre meglio che lavorare in miniera) e fatta di incontri, emozioni e di grandi consapevolezze. Perché questo filone dell’auto riflessione è l’altra linea di forza del libro. Una forma di auto riflessione che non resta però solo intimistica, ma che si apre a un sentimento più universale. Essere attore significa far parte di una storia, essere l’erede di un macrocosmo di esperienze concentrate in pochi attimi.
Per lui “il mondo è un palcoscenico” e Ferrante, con indubbia cognizione, attraversa quest’universo nel testo “Attore” (pag. 18) e ci regala un vivido e dolente ritratto della figura dell’attore che dapprima dice “Vivo d’arte dammi amore/ allieto la tua vita,/…” per poi proseguire dicendo “Già una volta fui giullare/ poi mi disser menestrello/… fui vassallo cavalier cortese dicitor/ giullare damerino, filosofo/ nel secolo dei lumi,/ nell’ottocento fui patriota/… “ e chiudere con “ ora son poeta Pierrot triste …/ tante maschere indossai …/ Ora più nessuno mi vuole, esco poco, sto in pensione/ son la storia dell’attore/ del teatro re e signore” (pag. 19). Questo è un bell’esempio di poesia-monologo attoriale che può ricordare mutatis mutandis certe performance di un Gigi Proietti, spirito dissacrante e ironico che ritroviamo anche nella poesia “Ho gli stessi pensieri” (pag. 20-21) dove Ferrante causticamente scrive: “Ho gli stessi pensieri di Ronconi/ di Bukowski Artaud Bene Stanisalvskij./ Ma non avendo delle sovvenzioni/ mi tocca corteggiare Barbareschi/ al Mercadante c’è il regista Andò./ Ma da indipendente e senza protezione/ fare un provino non mai ci andrò/ manco a Teatri Uniti con Martone / Destra e Sinistra presto si uniranno/ e avremo un gran teatro tutto l’anno”. Dicevamo della centralità della riflessione sulla figura dell’attore, “questi attori così fragili/ così fatui così inutili” (pag. 22), attori che spesso sono vittime del proprio narcisismo:
Caro Narciso
che studi a fare
se in televisione
non puoi andare,
butta alle ortiche
il tuo sapere,
fai uno spot
per Banca Intesa
così avrai maggior presa
e tante donne
per la tua contesa.
E per la par condicio di genere scrive nella poesia “Attrice”: ” --- ha fatto una carriera /Veloce!/ Ora è attrice, era già/ poetessa/ e on s’è neanche concessa!/ Aveva già conseguito/ il brevetto di /Domatrice” (pag. 24)
Ferrante è sempre però attento alle pause riflessive, intime, connesse a esperienze personali, talvolta anche velatamente liriche: “Uso la parola / per esercitare il mio mestiere./ Sono atti d’amore/ per continuare a vivere” (pag. 28), oppure quando scrive:
“solo la pietra non sente la mancanza/ non cerco più la gloria solo l’amore/ il suo che mi dà solo dolore” (pag. 30).
Così c’è spazio per versi d’amore come accade in “Mi manchi. (dedicata a un’attrice)” (pag. 42) oppure in “Poem of Anna “ (pag. 45), in “Amami” (pag. 47) ed in una serie di altre poesie in cui è più evidente una vena appunto più lirica. Poesie in cui Ferrante opera uno scambio sottile di maschere e personaggi ora alludendo a donne reali (come nel caso della poesia “L’ultimo amore” di pag. 51) ora confondendole con l’arte, il teatro stesso, la sua passione e vocazione principale: “Amo ciò che ami, ciò che tocchi, amo ciò che sogni,/ dove sei nata. /Destino è amarti lenire pena fati/ recitare tante storie portarti in scena. (Alla mia ultima Musa, pag. 50) E non manca l’inevitabile riferimento all’esperienza del coronavirus che ha chiuso la possibilità dell’incontro sociale: “Di questo passo col Coronavirus/ torna il detto Homo homini lupus” (pag. 31) e che ha aperto significative questioni sociali: “fantasma imprendibile mostra il volto/ se proprio vuoi colpire noi morali/ risparmia il popolo e tutti gli animali/ comincia dai più ricchi italiani/ e quelli nascosti nei Palazzi Vaticani” (pag. 33) Ferrante non rinuncia quindi alla invettiva, a prendere posizione contro ogni potere, in una visione anarchica della sua condizione di artista – attore – non poeta. Perché Ferrante rivendica il potere della fantasia “un cavallo che non puoi domare” e invita tutti a lasciarsi andare: “lasciati andare se vuoi creare/ Smettila di controllarti, di razionalizzare./ Fai affiorare i sentimenti./ Quelli nascosti sono i più importanti” (pag. 35) E questo è possibile nell’arte “che ti dà amore/ l’arte ti cambia la vita (pag. 39). L’ultima parte del libro ci regala quindi un Ferrante più meditativo, attento ai sussulti del cuore, alle emozioni senza però mai venir meno al suo spirito ribelle, errante. C’è sicuramente più malinconia nei suoi testi finali e quello con cui chiude il libro è altamente significativo del percorso personale e professionale, ma anche poetico, che l’autore ha voluto disegnare per noi. E con un colpo di teatro, attento a coinvolgere emotivamente il lettore-spettattore, egli scrive: Noi quelli di un tempo
non siamo più gli stessi.
Prima finì la guerra
poi le torri gemelle
ora la pandemia.
Avevo tre o quattro anni
poi più di sessanta
ora ne ho fatti ottanta.
Il Daimon definì
la mia vocazione
rima ora a professione.
Mi preparo a volare
cresco per invecchiare.
Nuda biografia
Resta la poesia.
(pag. 54)
Forse questa è la vera chiave del libro: una sofferta, rabbiosa riflessione sulla propria parabola artistica di attore che è tuttavia lo stesso arco della vita che l’autore ha attraversato. Ma Ferrante non si rassegna: non c’è mestizia, non c’è rinuncia. Ferrante è un combattente che guarda alla sostanza della cose. In questo libro, che è il suo primo libro di poesia, egli ci offre un sorprendente amalgama di teatro, rap e poesia. Un rap poetico che intreccia un impianto classicista, semplice e diretto con versi nostalgici e dissacranti. Non crediate , cari lettori, di trovare in questo libro versi perfetti, levigati dalle mode o dalle scuole poetiche in voga. Ma state certi che qui troverete le parole sincere di un uomo di spettacolo che si domanda:
… Siamo protagonisti del teatro
Della trama che componiamo
Quando la sala è vuota che facciamo?”
*
Stefano Vitale

sabato 7 agosto 2021

SEGNALAZINE VOLUMI = CARLA BARIFFI


**Carla Bariffi –Forma mentis---Puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2021 – pag. 116 - € 14,00
Forma mentis, volume di poesie di Carla Bariffi, presenta una prefazione di Ivan Fedeli centrata, sensibile e acuta.
La raccolta non è scandita e anche per il fatto che tutte le poesie sono senza titolo può essere considerata un poemetto.
Poetica per certi aspetti definibile dei luoghi quella espressa dalla poetessa in questa silloge dal tono vagamente neolirico e anche le descrizioni naturalistiche giocano un ruolo importante. Scrittura avvertita e ben controllata quella della Bariffi e che ha un tono affabulante e sottende sempre implicitamente una forte presenza di non detto laddove i versi si aprono ad una forte dose d’ipersegno.
Da mettere in rilievo il ritmo sincopato dei versi stessi che sgorgano gli uni dagli altri producendo una notevole musicalità. Non manca una vena ironicamente intellettualistica e speculativa come nel componimento breve: - “Si celebrano le morti/ come fossero matrimoni/ - Un senso di magia naturalistica pervade le descrizioni armoniche, raffinate e ben cesellate. fiori e platea/ musica d’organo/ Il resto è scansione dell’io” Anche il tema del tempo è presente e la poetessa pare giocare su vari registri espressivi differenti tra loro e che vanno da quelli veramente chiari a quelli anarchici che sfiorano l’alogico e tutto pare essere sotteso ad una cifra distintiva elegante e i componimenti, che hanno qualcosa di esistenzialistico e sono per la maggior parte brevi. sembrano decollare sulla pagina per poi planare dolcemente nelle armoniche chiuse senza nessuno sforzo apparente. Generalmente le composizioni sono molto brevi e concentrate e hanno un tono epigrammatico e gnomico.
Leggerezza, icasticità, precisione, compattezza e luminosità sembrano connotate i componimenti della raccolta alla quale, per il suo carattere filosofico e intellettualistico, si adegua bene il titolo Forma mentis e la stessa forma della poesia è sempre ben controllata nel procedere del poiein.
E talvolta emerge la presenza di un tu del quale ogni riferimento resta taciuto al quale Carla si rivolge Delineare le tue labbra/sul ciglio serale bagnato… Prevalgono la sospensione e la visionarietà nei versi armonici, ben calibrati di quello che è un modo originale di fare poesia tutto mentale e nel quale tutto diviene esercizio di conoscenza come è confermato nei versi girano i pensieri liberi/ coriandoli di luce inesauribile. La mente intesa dalla poetessa è inserita nel cronotopo spazio-temporale ma pare anche essere inserita nell’atemporalità nella vaghezza delle atmosfere che si vengono a creare attraverso l’aggregarsi di unità minime sulla pagina che si fanno poesie, unità minime, sintagmi come mattoni di muri ben coesi o sinopie prima di divenire mosaici di notevole suggestione.
*
Raffaele Piazza

domenica 1 agosto 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI = TERESA TROPIANO


**Teresa Tropiano – Vivere di mare (PlaceBook Publishing)- 2021 - pagg.92 - € 10,40
Teresa, stringendo una distesa d’acqua, chiede di un distacco al calare di una fonte d’energia primaria, non potendo andare oltre, stare dietro a essa.
Lei è capace d’identificarsi in ogni cosa e di fare l’esatto contrario, mentre un’invocazione straordinaria le perdura amorevolmente. La poetessa sussurra al lettore che solo le tenebre perseverano, distante dal chiasso terreno.
In effetti con la solarità non si è in grado di considerare qualsiasi lampo di genio, cosicché questa donna si riserva una volontà costituita dal mutamento climatico purché esso sia languido, ottimale.
La durevolezza degl’intendimenti sembra che la tradisca, all’istintivo ascolto di una saggezza bestiale, che si può naturalmente impigrire.
A dimostrazione che ci vuole proprio continuità e sacrificio al fine di mettere a nudo una confessione, attenendosi al celestiale smarrimento.
“… nel desiderio d'un sospiro
d’aria rinfrescata.”
“Mani tremanti
tessono trecce
di pensieri…”
“Caldo è il tramonto
nella valle dei sogni
ove solo l'idea
si fa spazio alla vita.”
L’armoniosità delle parole della Tropiano sembra assieparsi per amore, essendo soggetta al bene immateriale.
Teresa scrive, promettendo di proseguire sfidando le tendenze, disperandosi… perché alla fine ciò le servirà ad amare il senso profondo del reale. Alla fine del giorno, la immagini come una passione inaudita, paesaggisticamente dimorante, nel momento in cui l’ispirazione si unicizza, si libera a prova di respiro.
Sì, le amorose virtù commuovono, purché si compattino.
Leggi, ed è come se ti levi le scarpe per attraversare una superficie al naturale, che odora di luce buona.
“Dintorno
quella magia ovattata
nel religioso silenzio
di anime solitarie
che aleggiano nell'aria
come vecchi fantasmi
mentre un cane abbaia
e mi riporta all'amara realtà.”
Con l’offuscamento e l’ira che si alternano, la Tropiano avanza le proprie riflessioni in scioltezza e in espansione. Un’alcova, al fine di alimentare della quiete e meravigliare con ali di pensiero, la si richiede in presenza di astri ogni volta pulsanti, toccabili.
L’aria e le sue correnti si convertono in vita, come a non voler perdere di vista una Luna che s’impigrisce serenamente, in un volo delicato, da spiccare. L’emozione allora appartiene all’assoluta voglia di agire col cuore, mentre in cielo gli anni passano leggiadri, lasciando un segno a prova d’affetto.
Una passione centellinabile quella della poetessa, con l’istinto a illuminarsi, in dote alla vita.
“Accompagnerò
il tuo lento respiro
lungo la battigia
delle rive proibite
e seguirò
le tue orme segnate
nello sprofondar
dell'antico desio.
Guarderò la tua ombra
svanire,
e quando l'onda
cancellerà la traccia,
smetterò io allor
di sognare.”
La luce di un nuovo giorno, cessata la stagione calda, sembra dura da cogliere subito, vista la saggezza di Dio che serve per costituire l’immaterialità da incarnare.
Frizza in tono minuscolo un insieme d’emozioni che deve straripare comunque, anche s’è impossibile procedere sul velluto… l’importante è che la paura di non farcela non ci sovrasti! La felicità rimbomba in amore… non avrebbe senso ridimensionarla soddisfacendo così una sete di nonsoché!
“Semmai un reato esiste
è quello di non vivere.”
“E butta in fondo al mare
i tristi tuoi pensieri.”
Tecnicamente, la poetessa appartiene a dei profili che traccia con familiarità e imprendibilità, e ne giovano le visioni, colorate e ambientate con lirismo nostalgico, essenziale.
La rappresentatività, di carattere antropologico, è di una semplicità che va dritta al punto, per una superficie eternamente riflettente. Colpisce della Tropiano il sostenuto garbo nella ricerca cromatica… per parole che si dissetano a una fonte d’ispirazione delicata e credibile, dall’immediato, fiabesco approccio. I suoi moti dell’anima arrecano al lettore un’atmosfera che si respira, l’attraversamento esistenziale, con passi leggeri ma pieni di emozioni, per un esercizio igienico, di resettamento mentale. Su certezze e scelte, l’acquisizione cognitiva pare fulminea sempre e solo di conseguenza.
Lento e avvolgente si fa il movimento descrittivo, per occasioni da far scattare a un sentimentalismo di pura vertigine.
Il ron ron esistenziale Teresa lo precisa esigendo cose stabili, forti come solo le emozioni possono essere.
Il lettore affronta sguardi d’immagini costituite da parole lievi come il vento, evocative come un’opera d’arte. Sì, priva di morbosità, la penna della poetessa sa essere una carezza nella speranza soffusa.
La sua partecipazione emotiva, densamente etica, non dimostra articolazione di pensiero, le implicazioni risultano immaginabili nella forza simbolica di una poesia spesso e volentieri sul limite del sogno, dallo sfondo che incide, che invita a un senso d’immersione. Versi con vocaboli umili, che mostrano una forte empatia con gli elementi della natura.
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VINCENZO CALO'