venerdì 31 marzo 2023

POESIA = FABIO PETRILLI


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"SILENZIO"
Un tuffo nel silenzio
tra ricordi passati .
Cerco nella memoria voci e pensieri , rumorosi
Fermo il pensiero, nuoto nel silenzio : giungono verità .
Ancora mi rifugio in te
giudice non sindacabile di questo mondo
percosso dal tempo .
Fragile si scopre l’uomo.
*
"TRAMONTO"
Una pennellata ricolma di colore d’un pittore e il tramonto viene ricamato d’oro.
Con le nuvole si sciolgono i colori ed io mi incanto sempre di più mentre aspetto te.
L’ultimo raggio di sole , quello più rosso ti accoglie tra le sue braccia e tu felice corri verso me .
Il sole si rispecchia dentro il mare , nei tuoi capelli ti è rimasto l’oro e il vento ci gioca
e non me li fa baciare perché è geloso di questa felicità.
*
"UNA LACRIMA"
Una lacrima scende lentamente su quel bel viso.
Silenziosa ha deciso di abitare nei tuoi occhi .
Silenziosa accarezza le tue guance e sfiora le tue labbra.
Quanti livori porta con sé
Tutto tace
Mi emoziono ancora una volta mentre guardo l’altra immagine che ha conservato di te .
L’asciugherò con tutto l’Amore che merita delicatamente sfiorando i tuoi occhi lucidi.
Ma tu promettimi che non piangerai più
Promettimi che se avrai bisogno di me
E non mi troverai,
mi cercherai in un sogno ed io sarò lì ad aspettarti
sarò lì pronto a proteggerti.
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FABIO PETRILLI
**********
Fabio Petrilli , nato a Foggia il 9/3/2000, ha frequentato il Liceo Scientifico E.Medi di San Bartolomeo in Galdo , un piccolo paese in provincia di Benevento dove attualmente vive.
Sin dal Liceo la sua passione volge alle materie umanistiche.
Attualmente frequenta l'Università degli Studi del Molise a Campobasso dove ha intrapreso la facoltà di Lettere e Beni Culturali . Hanno parlato della sua scrittura poetica numerosi autori come Paolo Melandri, Sebastiano Impalà , Marzia Carocci , Adriana Sabato ( giornalista corrispondente presso il “ Quotidiano del Sud “ ) , Filippo Minacapilli e Michela Zanarella . Ha collaborato con la casa editrice “ Ivvi editore “ dove è presente in un libro intitolato “ Poesia Italiana “ . Ha ricevuto diverse menzioni di merito dalla casa editrice “ Aletti Editore". E' presente in diverse riviste di cultura.
Alcune sue poesie sono state tradotte in francese da Irene Duboeuf e in spagnolo e catalano da Joan Josep Barcelo i Bauca.
-vincitore del Panorama Internazionale delle Arti 2023 , sezione " Youth Awards " -Organizzato dalla Writers International Capital Foundation
Prossimamente in un futuro non molto lontano prevede l'uscita del suo primo libro di poesie.

giovedì 30 marzo 2023

RIVISTA = KENAVO'


** E' in distribuzione il numero di Marzo della rivsta "Kenavò" diretta con attenzioni particolari e con luminosa competenza da Fausta Genziana Le Piane.
- Paolo Ruffilli apre con "L'appartamento del conte di Mornay", un ricordo del pittore Eugène Delacroix. Nel sommario numerose notizie di avvenimenti culturali, un intervento di Corrado Alvaro, recensioni a firma di Fausta Genziana Le Piane, Silvia Mazza, Anita Napolitano,poesie di William Butler Yeats, Dante Maffia, Antonio Spagnuolo, Lidia Popa, Giuseppe Tacconelli, Maria Rosaria Catalano, Leopoldo Attolico, Anna Avelli,Pasqualina Di Blasio, Rosario Napoli, Paolo Carlucci. Da segnalare il corposo inserto allegato firmato da Plinio Perilli "Omaggio ad Antonio Coppola" -(1941-2022) poeta di fede, che aveva fede nella luce della poesia.
contatti: faustagenzianalepiane@virgilio.it

martedì 28 marzo 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


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“RIFLESSI E VELATURE”****Antonio Spagnuolo, il pittore delle emozioni
Con il termine velatura si intende una tecnica pittorica che consiste nella stesu-ra di uno strato di colore sopra un altro già asciutto. Lo strato fresco deve essere suf-ficientemente sottile da lasciare trasparire il tono sottostante. Ora il poeta Antonio Spagnuolo nella raccolta dal titolo Riflessi e velature, La valle del tempo, 2023, di-mostra di essere un pittore provetto che stende e ristende, sulla grande tela che è il mondo, una gamma infinita e variegata, di colori (incerto palpeggio dei colori) e sen-timenti. Ma, non si tratta solo di mettere un velo alla realtà per far sì che diventi più vaga, inaccessibile e sfuggente, si tratta anche di toglierlo il velo: velare – svelare, questo il compito dell’arte, che sia poesia, pittura o scultura:
Come un velario accumuli memorie
nell’improvviso squarcio dei pennelli
quasi sorpresa fin dove porta il segno.
Obliquo e tenero il rifugio che svela
macchie colorate di speranze.
( Paesaggi - per una mostra di pittura)
**
Nessun petalo ha tratti visibili
capaci di sfidare il tempo
e disvelare l’angolo celato di un imminente
inganno.
(Petali)
*
Spazi velati, sagome velate….mistero.
Baluginii, modulazioni, lampi, luci, visioni, intensità cangianti. Il poeta intreccia pennelli e incide con la spatola i colori dei sentimenti sulla grande tela della realtà, inseguendo illusioni, sogni (arcano lamento del sogno), figure incandescenti, ricordi (il fantasma dei ricordi), memorie. Nella lirica intitolata Rete il poeta, che si aggira in mezzo alle ombre, confessa di essere addirittura imprigionato nelle anguste spirali del sogno:
Come cani randagi
i miei ricordi rincorrono i momenti
che lasciammo interrotti, al dispetto
che riemerge e ricade nella mente.
Allontanandosi lo splendore del sogno
è presentimento di fine,
così l’incanto avrà termine!
Amare bellezze allo sguardo
i contorni di un cielo svanito
come amante segreto
o enigma da decifrare per ritorni.
Ad ogni stanza il suono si ripete
incredulo che fu squassato da uragani.
( Cani randagi)
Il tempo, inesorabile, non dà tregua, invano il poeta tenta di fermarlo:
Potresti ritornare solo un momento!
Il solo tempo che io tenti d’immergermi
nelle tue pupille e confondermi con te
nel vortice ignoto dell’eterno.
oppure:
Inutile giostra il susseguirsi
dei giorni ora che il tempo srotola
le ore nel ritmo incalzante del minuto,
oppure:
Inutile giostra il susseguirsi
dei giorni ora che il tempo srotola
le ore nel ritmo incalzante del minuto,
che insegue ingenuamente le intensità
cangianti.
(Visione)
*
E infine:
Come in una vertigine
si cancellano i ricordi senza tregua.
Ad uno ad uno nel mentre svaniscono
incidono le note della nostalgia
nella nebbia che avanza.
Tutto è nel dubbio di una mascherina
che rappezza i dettagli irripetibili
nel tempo che raccoglie il rimpianto.
Già stanco ed incolore
diviene inceneritore anche lo sguardo.
(Dubbio)
E con il tempo, si avvicina la morte, morte che il poeta definisce maligna…parlo al-lucinato…Silenzio, solitudine, ombra accompagnano Antonio quotidianamente.
Intensa la metafora della danza con la bella immagine della danza che turbina nel vento, che ci fa pensare ai Dervisci. Nello scorrere del tempo e degli anni, in cui la passione svanisce e la morte si avvicina, Antonio confessa: Inquieto e solo sono in attesa dell’impossibile (Danza). La danza è celebrazione, la danza è linguaggio. Lin-guaggio al di qua della parola: le danze nunziali degli uccelli lo mostrano; linguaggio al di à della parola: poiché là dove non bastano più le parole nasce la danza. Questa febbre, capace di afferrare e agitare fino alla frenesia ogni creatura, è la manifestazio-ne, spesso esplosiva, dell’istinto di Vita, che tende a ritrovare l’unità primaria in cui corpo e anima, creatore e creazione, visibile e invisibile, si ritrovano e si saldano, fuori dal tempo, in un’unica estasi. La danza celebra l’identificazione con ciò che non muore mai. Liberazione nell’estasi.
Nella lirica intitolata Tartaruga
La tartaruga conta i passi miei
quasi per impedire nel cammino
dolce groviglio delle stravaganze.
Ma il destino non molla e ci ha sorpresi
con le mani che conoscevano magie
ove l’incanto trasformava carezze
nel sublime ritocco dell’eterno.
la tartaruga diventa la rappresentazione dell’universo in quanto il suo carapace è roton-do come il cielo sopra e piatta sotto come la terra: da sola rappresenta una cosmogra-fia. Immortale grazie alla sua longevità, fertile, la tartaruga s’apparenta al poeta con il quale rivaleggia.
Il mostro:
Il mostro che mi porto dentro
a volte esplode nel ricordo
e traccia saette per rincorrere
il profilo che hai tracciato nell’ignoto.
(Meriggi)
E i riflessi? Ci sono, ci sono, tanto presenti attraverso tanti altri vocaboli quali lampeg-gio, luce, chiarore (è anche il titolo di una lirica), riverbero, abbaglio: certamente riflessi di ciò che è stato, dei ricordi (luce abbagliante dei ricordi), di una realtà costantemente sognata, intravista. sognata, che definisce, incerti colori di uno specchio (Onde). Da qui l’immagine del caleidoscopio (Sintesi, Confronti-Per una mostra di pittura) che restitui-sce brandelli variopinti di vita.
Fausta Genziana Le Piane

domenica 26 marzo 2023

NOTIZIE = CARLA BERTOLA


*** Carla Bertola ci ha lasciati . Dal 1978 fondatrice e direttrice della rivista "Offerta speciale", redatta assieme ad Alberto Vitacchio, con la quale si è distinta nel campo culturale, offrendo al pubblico della poesia scelte severe e di altissimo livello. Carla Bertola è nata nel 1935 a Torino. Artista visuale,scrittrice, performer e promotrice di iniziative culturali ha partecipato a moltissime mostre internazionali. Numerose le mostre individuali così come le performances di poesia sonora e d'azione in varie città europee oltre che in Canada Messico Brasile Cuba. È stata Artist in Residence presso il Sirius Arts Centre in Irlanda nel 2010. Edita e dirige dal 1978 insieme a Alberto Vitacchio la rivista internazionale multimediale Offerta Speciale. I suoi libri verbovisuali libri d’artista e poesie si trovano in molti cataloghi antologie collezioni pubbliche e private riviste cartacee e online (Otoliths Ulu-late Margutte Utsanga etc). Una rappresentativa selezione delle sue opere è presente al Museo della Carale in Ivrea. Tra le antologie PoesiaTotale (Mantova 1998) A point of View Visual '90 (Russia 1998) Libri d'Artista in Italia (Torino 1999) International Artists' Books (Ungheria 2000).

lunedì 20 marzo 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = CESARE VERGATI


**Cesare Vergati, "Aforismi a porte aperte", ExCogita editore di Luciana Bianciardi, Milano novembre 2022.
Sotto l’insegna del sermo brevis, in questi Aforismi a porte aperte di Cesare Vergati, ci sono le caratteristiche retoriche fondamentali della tradizione della scrittura aforistica, da La Rochefoucauld, a Leopardi, Wilde, Nietzsche, Cioran, Bufalino: antitesi, paradossi, ossimori, peripezie, antifrasi. A cui si associano figure retoriche del suono, più tipiche del sermo poeticus: allitterazioni, assonanze, consonanze, rime, paronomasie.
C’è una cifra inconfondibile che costituisce lo stigma di questi aforismi. Questa cifra non è designata da una scelta ideologica o teorica ma dallo stile. Sgorga dall’accurata ricerca di un vocabolario, garbato e impertinente, forbito e ruvido, obsoleto e attuale. Deriva da una costruzione ellittica concisa, cristallina e reticente, (non a caso un maestro della reticenza, Giampiero Neri, dialoga, alla fine del libro, con l’autore), della frase che fa librare, con acrobatica e calcolata leggerezza, il senso poliedrico dei testi, senza perdersi nei cieli o sfracellarsi a terra o farsi inchiodare da un significato unico.
L’aforisma rimane in bilico sul contrario. È come se gli opposti si contaminassero e capovolgendosi l’uno nell’altro, l’un l’altro s’intridessero, risemantizzando il contrario e il contrario del contrario.
«La capacità di sopravvivenza della speranza non eguaglia quella della disperanza» (p.22). L’economia semantica apparente di questo testo s’impernia sull’antitesi speranza/disperanza. L’autore, però, non usa il contrario lessicale normale di speranza, cioè disperazione, ma adotta un vocabolo arcaico e post-moderno: disperanza. L’uguaglianza fonetica, fondata sulla particella sper e sulla rima anza, richiamano e rimbalzano sulla rima interna della/quella/della. Viene innescato un effetto eco che attenua l’antinomia e fa emergere il sintagma iniziale: la capacità di sopravvivenza. Speranza e disperanza sono posti in un’oscillazione altalenante dall’una all’altra che induce un riverbero dell’una sull’altra. Capacità di sopravvivenza riceve un rilievo che la isola, la rende, quasi, autonoma.
Lo stesso meccanismo dell’antitesi e del quasi uguale semantico in «Il piacere ambisce alla stessa intensità del dolore» (p.23). L’antitesi semantica piacere/dolore, sul piano del significante è una consonanza che mette al centro l’allitterazione delle esse: “stessa intensità”. Come nell’aforisma precedente gli opposti tendono a ibridarsi, anche per l’uso di ambisce, un verbo intenzionale. Il senso profondo, ironico, s’impernia su di uno scarto sottile: piacere e dolore si assomigliano e tendono a diventare quasi la stessa cosa. La differenza, il quasi, è l’intensità. Il piacere, per quanto aspiri a raggiungere il dolore, non potrà mai eguagliarlo. La differenza è incolmabile. Il dolore è più forte.
Presenta una geometria analoga l’aforisma: «L’orrore non si lascia intimorire dal terrore» (p.26). La polarità, questa volta, si gioca su due parole contigue sia per significato sia per il significante, tanto da costituire una paronomasia. Il guizzo, l’esprit, scaturisce nel mezzo, intimorire, che è anche in allitterazione con orrore e terrore. Il centro, “non si lascia intimorire”, è un corollario paradossale e ironico dell’incontro tra orrore e terrore. L’orrore, anche se sfocia dal terrore, non si fa condizionare, va per la sua strada, è una variabile indipendente.
L’aforisma: «La mosca bianca non posa su escrementi» (p.26) sviluppa un’antitesi su di un piano visivo e simbolico. La mosca bianca è un insetto parassita ma è soprattutto una metafora della lingua che indica rarità. Inevitabile il raffronto con le altre mosche, quelle che sugli escrementi, invece, camminano volentieri e se ne nutrono, le mosche nere, con tutta la gamma ironica di significati, anche sociali, che questa allusione porta con sé. «Si plaude al nugolo cui si appartiene» (p.45). Di nuovo un ritmo ternario che mette al centro un vocabolo arcaico, nugolo, forma desueta di nuvolo, (nuvola oscura, caterva, moltitudine, sciame), in catacresi di solito abbinata a insetti (nugolo di moscerini), per dire: gruppo caotico ma denso, oscuro, rumoroso e fastidioso. È marcata e aguzza l’ironia associata alla voce si plaude, anch’essa forma letteraria, vicina al latino. Il gusto per la forma obsoleta, antica, non appartiene tanto a una poetica dell’indeterminato, come per Leopardi, quanto a una formulazione sfumata, minuziosa, dell’ironia, che acuisce la pointe antifrastica.
L’orizzonte della panoramica del mondo e di riflessioni che offrono questi aforismi a porte aperte, è ampia, multiforme, sfaccettata. L’ellisse li governa come un sortilegio che scava nella lingua dei loci communes, delle frasi fatte, dei proverbi e dei motti, togliendo la patina gialla che vi si accumula con l’uso quotidiano. Dissestando il senso comune, Vergati rimette in sesto le parole, in un nuovo circuito semantico, che ridona loro lucentezza.
*
RINALDO CADDEO

domenica 19 marzo 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = LORENZO SPURIO


**Lorenzo Spurio: “ TRA GLI ARANCI E LA MENTA – Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca”, Collana L’Appello – Poetikanten Edizioni dell’Associazione Culturale Ilfilorosso di Rogliano (CS), Seconda edizione Anno 2020, Euro 10,00, pagg.65.
«[…] Lungo una strada va/ la morte incoronata/ di fiori d’arancio appassiti./ Canta e canta/ una canzone/ sulla chitarra bianca,/ e canta, canta, canta.// Sulle torri gialle/ tacciono le campane.// Il vento con la polvere/ compone prore d’argento.» (Dalla poesia Clamore di Federico García Lorca, tratta dal libro monografico n°5 Federico García Lorca – POESIE, Collana “La Grande Poesia – Corriere della Sera”, Edizione speciale per il Corriere della Sera, RCS Quotidiani S.p.A. di Milano, Anno 2004, pag.49).
L’omaggio poetico che il saggista scrittore critico letterario della provincia di Ancona, Lorenzo Spurio, ha voluto dedicare a uno dei più importanti personaggi della letteratura spagnola del primo Novecento, Federico García Lorca (1898-1936), assomiglia alla magistrale e temeraria entrata dell’abile surfista nella galleria d’acqua provvisoria dell’onda ‘perfetta’, fino a percorrerla tutta prima del suo rovescio sulla superficie marina.
Gli aranci sono in riferimento alle terre calde che li producono, terre assolate dove gli inverni sono miti come la nostra Italia del Sud, le regioni mediterranee, piuttosto che la Spagna dove sul finire dell’Ottocento nacque, nei pressi di Granada in Andalusia (zona della Spagna meridionale) colui che divenne il poeta e non solo, Federico García Lorca, della vita con tutte le sue inquietudini soprattutto imbevuta di pianto e di sangue, di paesaggi coi suoi fiori frutti e plurimi colori, di giustizia mancata e di surrealismo che s’andava affermando in quegli anni del secolo moderno – lo scrittore andaluso fu amico fraterno dell’artista catalano inquieto e stravagante surrealista, Salvador Dalì, a cui destinò la sua prosa poetica titolata Ode a Salvador Dalí.
La menta perché probabilmente in mezzo a tanta inclemente arsura di terre infuocate dai raggi solari, essa come erba aromatica rappresenta la freschezza dei luoghi umidi dove nasce e così la figura eroica-letteraria dello stesso Lorca si staglia dal gruppo dell’oltre la decina di liriche che il poeta Lorenzo Spurio ha composto per Egli, morto prematuramente all’età di trentotto anni e che fece parte della memorabile “Generazione del ‘27” all’indomani dell’instaurazione del regima franchista contro la Repubblica dando il via alla guerra civile durata fino all’aprile 1939; cosicché il 19 agosto 1936 venne crudelmente fucilato il poeta Lorca dai sostenitori del dittatore Generale Francisco Franco (solo dopo la morte di quest’ultimo nel 1975 finalmente la produzione letteraria di García Lorca ha potuto meritare la divulgazione e il mondiale riconoscimento) a qualche chilometro da Granada, allacciandosi idealmente al celebre dipinto del precedente artista spagnolo ritrattista della famiglia reale di Carlo V, Francisco Goya, del 1814 titolato Fucilazioni del 3 maggio.
Dicevamo della rassomiglianza con l’immagine del provetto surfista perché i versi di Lorenzo Spurio diffondono un equilibrio perfetto in sintonia con quelli di Federico García Lorca: nel versificare la territorialità, gli ambienti caldi andalusi di Lorca il poeta delle Marche s’è unito all’universale respiro letterario ardente lorchiano fatto di attimi stillanti musicalità, dramma, simbolismo, surrealismo, ermetismo, passione lacerante e lacerata da improvvisi colpi di scena tra cui, fra i tanti, la morte per ferimento alle cinque della sera durante l’esibizione tipica spagnola, la corrida, dell’altro suo carissimo amico torero Ignacio Sánchez Mejías, a cui dedicò una lunghissima struggente poesia (1935), divisa in quattro parti, carica di valori correlati alla vita stessa fatta di dolore e di lotte.
Così ha composto il poeta Spurio in relazione a quell’episodio: «[…] Nelle tribolazioni invereconde e nella polvere/ paraventi di luna che fugge alla notte/ incunaboli di dolore in tabernacoli di pianto/ il fluido rosso fondamento di sacrificio.// Nelle cuevas gitane l’umidore sembrò placarsi;/ quella sera la luna non si presentò/ talmente impaurita preferì nascondersi/ ma alle cinque, tu, dov’eri? » (Dalla poesia La luna si nasconde, pagg.18-19).
Per comprendere appieno i testi poetici della silloge in questione dell’autore iesino, bisogna prima conoscere la breve eppure complessa esistenza del poeta Federico García Lorca, che crebbe in una famiglia dove non c’erano problemi economici dato che il padre era un ricco possidente terriero e la madre, seconda moglie, era insegnante ma di salute cagionevole per cui il piccolo Federico venne allattato dalla moglie del responsabile di un’azienda agricola, che aveva il compito di controllare i subalterni, e forse soprattutto per questo il poeta da adulto divenne il propugnatore del concetto d’uguaglianza tra gli uomini: dai gitani ai negri, agli ebrei, alla gente più umile…
La madre lasciò l’insegnamento per dedicarsi con cura all’educazione del figlio, trasmettendogli l’amore per la musica (il pianoforte) e stimolandogli una grande sensibilità, anche perché Federico García Lorca nacque sotto il Segno zodiacale d’Aria dei Gemelli, il 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros, votato alla parola, ai viaggi, alla curiosità, al protagonismo con già una platea interiore pronta ad applaudirlo, all’amicizia, alla novità sotto tutti i punti di vista.
La corrente surrealista, in ambito artistico e letterario, si fece largo dopo il primo decennio del Novecento in Francia, a proposito del poeta scrittore critico d’arte, Guillaume Apollinaire (1880-1918), che usò per primo il termine sur-réalisme e man mano entrarono a farne parte le teorie inerenti l’inconscio grazie specialmente alla psicoanalisi di Sigmund Freud, l’immaginazione liberata dalla ragione, la casualità, il sogno e in Spagna uno dei più importanti pittori surrealisti fu, appunto, Salvador Dalí, ammiratore sin dall’epoca universitaria di Lorca, il quale prima si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza poi passò a quella di Lettere, insieme al regista Luis Buñuel e un’altra importante amicizia di García Lorca fu quella col poeta cileno Pablo Neruda, più giovane di lui di sei anni e che visse fino al 1973, conosciuto a Buenos Aires e rivisto a Madrid nell’ultimo paio d’anni della sua breve esistenza.
Federico García Lorca fece anche molto teatro – andò in giro per i villaggi sperduti della Spagna con la compagnia teatrale ambulante La Barraca – scrivendo opere ispirate agli usi e costumi della sua Spagna fortemente legata alle tradizioni punzonate dalla condizione di subalternità della donna, le tragedie familiari dovute anche alla difesa dell’onore, le promesse da mantenere, l’amore contrastato e la morte sempre in agguato, che poi negli ultimi tempi evolse in una drammaturgia difficile da rappresentare perché assorbito dal mulinello surrealista.
«[…] La mia dimora è l’ambiente, l’anziano ulivo,/ l’oliva e la screpolata corteccia, la radice/ magnifica e atroce e la foglia a forma di lancia:/ cercatemi là, non lontano dal limoneto nauseante/ dove sosto ad abbeverarmi del nettare acido/ per tornare a vagare nei dintorni confusi/ e abitare smanioso ogni luogo del campo. » (Dalla poesia Non lontano dal limoneto, pagg.49-51).
**
Isabella Michela Affinito

venerdì 17 marzo 2023

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


Una poesia tradotta, dal volume "Riflessi e velature"
**Cani randagi**
Come cani randagi
i miei ricordi rincorrono i momenti
che lasciammo interrotti, al dispetto
che riemerge e ricade nella mente.
Allontanandosi lo splendore del sogno
è presentimento di fine,
così l’incanto avrà termine!
Amare bellezze allo sguardo
i contorni di un cielo svanito
come amante segreto
o enigma da decifrare per ritorni.
Ad ogni stanza il suono si ripete
incredulo che fu squassato da uragani
***
***
Chiens errants
Comme des chiens errants
mes souvenirs poursuivent les moments
que nous avons laissés en suspens, bien
que tout revienne et retombe dans la mémoire.
Dans l’éloignement la splendeur du rêve
est pressentiment d’un achèvement,
ainsi prendra fin l’enchantement !
Aimer ce qui est beau au regard
les contours d’un ciel évanoui
comme un amant secret
ou une énigme à déchiffrer en retour.
À chaque stance le son se répète
ne croyant pas qu’il fut bouleversé par des ouragans
***
Traduzione inedita : Irène Dubœuf

POESIA = GIUSEPPINA PALO


**Le valigie di una donna**
Le valigie di una donna profumano
di terre inesplorate,
vestite di foreste fluttuanti;
da opachi finestrini si intravedono
profili sinuosi,
coperti da piume sgargianti.
E i suoni dei sensi confondono
fra pizzi e letti d'ottone,
da allora sognanti;
quando bionde trecce tesséano,
su tovaglie di imbanditi cortili,
le nozze festanti.
****
E lei si addormentò presso un viaggio negli anni '20...
"La sposa sognava l'amore, poggiata sul tenero guanciale, fra eleganza e raffinatezza." Mentre a Parigi si ballava il Charleston una giovane sposa si congedò dalla sala. Ella indossava un abito a colonna, in seta, impreziosito da perle e swarovski. Un cappellino con velette copriva i capelli di morbide onde. Luci di candele si riflettevano nei brillanti cristalli, colmi di champagne. Posaterie in argento su tovaglie bianche, di pizzo a uncinetto, si accompagnavano a porcellane in stile inglese. Si cambiò in fretta. Le sfumature argento e dorate del crepuscolo, fra pailettes di stelle, sul suo vestito rosa cipria, scintillavano in un'armonia cosmica.
**
Cambio di scena
08:58 300 Km/h │7 Carrozza
Gli imbrattati declivi dei fiori
scendevano su pavimenti in movimento.
Uno steward immaginario parlò:
«Buongiorno, desidera?».
Signora: «Sono la signora di 30 anni fa,
dove sono gli specchi e i velluti?».
Steward: «La velocità li ha distanziati nei musei.
E i tasti dei notebook hanno preso il posto degli occhi».
Signora: «Non trovo i miei campi di grano e di fieno
e il caldo e il bianco nell'aria!».
Steward: «Sono svaniti nel nulla.
Clima e virus li hanno dimezzati».
Signora: «Ma quel sole, quel sole e quel caldo
delle Hit-Parade d'estate dove sono?».
Free Wi-Fi in the train
Steward: «Senta signora, il tempo del lavoro
ha curvato la sua schiena, ha ridotto le sue forze,
ha cancellato gli anni belli della giovinezza».
È obbligatorio indossare la mascherina
durante tutta la durata del viaggio
E i tunnel cancellavano visioni e pizzicavano le orecchie.
Signora: «Rieccoli! Rieccoli! I campi ed i pini,
li vedo. Mi ha mentito».
E gli uccelli trafissero coi becchi la terra scrivendo:
"Ciò che muore ritorna".
→ 09:22 28°C Fine del percorso
*
GIUSEPPINA PALO ***
***
Giuseppina Palo è nata a Eboli (Salerno) nel 1965. Ha pubblicato: Il dono selvaggio e Favole moderne, Edizioni Ripostes, Dell’Amore eterno, Edizioni "Il Saggio" Ars poetica, Viaggio in Veneto lungo le rotte del tempo, Casa Editrice Pagine.

giovedì 16 marzo 2023

POESIA = PAOLO MELANDRI


**Quattordicesima Canzone**
"And all that day Nicea moved before me
And the cold grey air troubled her not For all her naked beauty, bit not the tropic skin,
And the long slender feet lit on the curb’s marge And her moving height went before me,
We alone having being."
*********
“Che cosa resterebbe, poi?” «La grazia
della tua impronta delicata, sempre».
Così risposi e in me solcai la traccia
di squarcio in carne viva. Era dicembre.
L’effigie del tuo volto opalescente
sbocciava lume di miniata icona
nel fioco encausto di penombra inerte,
piovoso abbaglio in fregio che risuona
di vespero modale – e mi disperse.
Oggi tutto è l’arpeggio di un tuo gesto
sui neumi sibillini del precario:
la mia gioia t’esplora oltre il velario
del tempo, quale emblema in palinsesto
d’inesplicato amore estraneo al fiordo
scosceso e vacuo degli anfratti umani –
«Non chiuderli, ti supplico» ricordo
ch’io pensavo, «non chiudere i tuoi occhi,
limpidi specchi verdi ampi castani
laghi di sguardo ove splendi e trabocchi
in rugiada di aneliti inespressi…
Non chiuderli: scomparirebbe il mondo.
Lascia che il loro intrico di riflessi
moduli ancora il canto in cui trasfondo
il plenilunio della tua bellezza,
per avverare entrambi di noi stessi,
mentre l’ala del buio ci accarezza».
*
© Paolo Melandri (14. 3. 2023)
*****
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Paolo Melandri è nato a Faenza nel 1974; si è laureato in filologia classica, sotto la guida di Italo Mariotti, con una tesi sul poeta latino Ennio e sulla sua survie nelle letterature moderne. Ha pubblicato numerosi articoli dedicati ai rapporti intertestuali tra autori recenti e antichi, con una predilezione per Petrarca, Pascoli e D’Annunzio; collabora con alcune delle più importanti riviste italiane di filologia e di letteratura, tra cui «Rivista pascoliana», «Studi e problemi di critica testuale», «Maia», «Il lettore di provincia», «Rassegna dannunziana», ecc. Nel 2000 è uscita la sua prima raccolta di versi: Canti della Stagione Alta (Nightingale’s, a cura di A. Cappi e con illustrazioni di C. Reggiani); è tornato alla poesia nel 2006 con Novellette (Casanova Editore) e, di séguito, nel 2007, con Il fiore di Calliope (Campanotto Editore). Nel settembre del 2010 ha pubblicato Nell’anima (Quattordici poesie di Paolo Melandri musicate da Histrix e illustrate da Cesare Reggiani) per i tipi dell’editore Mobydick (collana “L’immaginario”). Nel 2011 ha scritto un contributo per il Libro-manifesto Per una nuova oggettività (Popolo Partecipazione Destino), di AA.VV., Pesaro (Edizioni Heliopolis). Nel 2012 ha pubblicato il saggio musicologico La Cetra Scordata (Intrattenimenti musicali con i grandi Maestri di un passato che non tornerà più), La Carmelina, Ferrara. Nel 2013 ha scritto Verso una rinascita del Galeotus come introduzione al testo letterario di Lamberto Caffarelli, in L. Caffarelli, Canti dei Tre Misteri e Galeotus, Lega, Faenza, pp. 75-88. È membro del “Comitato Scientifico per l’Edizione Nazionale delle opere di Giovanni Pascoli” e della “Società Torricelliana di Scienze e Lettere” di Faenza. Da ventitré anni è insegnante di Scuola Superiore, da ventuno di Liceo. Principali pubblicazioni su Riviste filologiche e altro: Paolo Melandri, Ennio, Pascolo e D’Annunzio, in «Rivista Pascoliana», 11 (1999), Bologna (Pàtron Editore), 1999, pp. 75-88 – questo contributo è stato recensito su «La rassegna della letteratura italiana», anno 104° serie IX, p.283 con le seguenti parole: “Paolo Melandri avanza l’ipotesi, assai plausibile, secondo la quale il D’Annunzio dell’ode Pour la résurrection latine meditasse sui passi di Ennio antologizzati nell’Epos pascoliano”; Paolo Melandri, Lo Scipio, Petrarca e i «Nuovi Annales», in «Studi e problemi di critica testuale», 61 (ott. 2000), pp. 5-27, dove, partendo dalla Suda e da Omero, l’autore tratta della fortuna della figura di Scipione – e delle opere che ad essa si sono ispirate – nella letteratura europea, antica e moderna, attraverso una fitta trama di corrispondenze e di richiami testuali, con un’apertura, a p. 21, alla celebre Studierzimmer del Faust di Goethe (a proposito della tecnica dell’“elenco ravvicinato”); Paolo Melandri, Echi di una notte mitica: da Ennio a Pascoli, «Maia», n.s., fasc. III, anno LII (sett.-dic. 2000), Bologna (Cappelli Editore), 2000, pp. 565-572, dove sono rintracciati riecheggiamenti tra opere di Ennio, Virigilio, Milton, Manzoni, Pascoli, con un’appendice sulla figura culturale di R. Bentley nell’ambito della filologia classica e dell’anglistica; Paolo Melandri, Gufi e poeti: un tòpos fra otto- e novecento, su «Il lettore di provincia», 2000, Ravenna, dove vengono confrontati aspetti dell’opera di Carducci, Apollinaire e Gadda, con un’indagine su alcune caratteristiche della produzione favolistica nel primo ’900; Paolo Melandri, Una rapsodomanzia pascolian-dannunziana, «Rassegna dannunziana», 39 (marzo 2001), pp. XVII-XXII, che ripropone, con alcune varianti, contributi precedentemente pubblicati; Paolo Melandri, Il testamento di un poeta bilingue, «Rassegna dannunziana», 40 (novembre 2001), pp. XXXI-XXXV, dove si sostiene la tesi del bilinguismo dannunziano partendo da un’esegesi dell’opera francese più sconosciuta di D’Annunzio: Le dit du sourd et muet qui fut miraculé en l’an de grâce 1266. Quest’opera viene confrontata con la Storia di S. Giuliano dai Trois contes di Flaubert; Paolo Melandri, Marine antiche e moderne da Minucio Felice a Proust (un tòpos decadente), «Studi e ricerche del Liceo Torricelli», vol. IV, Faenza, 2005; Paolo Melandri, Ebbrezze dionisiache di un vate astemio, «Rassegna dannunziana», 51 (marzo 2007), pp. LIII-LIX; Paolo Melandri, Presenze enoiche nella poesia di Pascoli, «Rivista pascoliana», 19 (2007), Bologna (Pàtron Editore) 2008, pp. 95-107; Paolo Melandri, Lineamenti di estetica del Primo Romanticismo (teoria e prassi), «Studi e ricerche del Liceo Torricelli», vol. VI, Faenza, 2008. Paolo Melandri, Verso una rinascita del Galeotus, in L. Caffarelli, Canti dei Tre Misteri e Galeotus, Faenza, Lega, 2013, pp. 75-88. Paolo Melandri, Steiner e Kandinsky nella produzione di Lamberto Caffarelli. Una storia locale ed europea, «Studi e ricerche del Liceo Torricelli», vol. IX, Faenza, 2013, pp. 39-54. Paolo Melandri, Ecumenismo e identità nazionale. «Considerazioni inattuali» sul ruolo della Germania in Europa attraverso una disamina dell’opera di Thomas Mann, «Torricelliana», 63-64, Faenza, 2013, pp. 111-132.

SEGNALAZIONE VOLUMI = CESARE VERGATI


**Cesare Vergati: “Cedro, il vogatore scapolo” – Ed.RxCogita 2022- pag.124 - € 12,00
Ma chi è questo Cedro che rincorre le pagine quale accorto viaggiatore a piedi (a stazione carrozza d’avorio) da un immenso senso del maliante a sconfinato ed indefettibile sentimentale scaturito da una linfa crepuscolare?
Strano personaggio dalle sfaccettature variegate che incontriamo vittima della fierezza che denuda l’orgoglio o protagonista di simboli presi in prestito dagli eventi quale “strappo e stravagante anello d’oro matto.” Da partecipe figura “dagli innumerevoli suoni” a ottimo nuotatore che “proverà in empatia singolare ebbrezza violento confronto.”
La scrittura di Cesare Vergati si distingue per le particolari versioni che il suo racconto riesce ad intrecciare, con frasi vertiginosamente articolate e ricami di pensieri quali proiettili in caduta libera.
Cedro ha un suo mondo di magie, dai colori svariati e lampeggianti, ha un ondeggiare che potrebbe sembrare il gioco di un voluttuoso o “divertito rammento quanto birichino” andirivieni della ambigua solitudine.
“Compreso e tutto presente immenso senso sconfinato d’ogni misura oltre su predella stante l’attimo proteso- a tremito caduta mela per voragine lembo.” Un susseguirsi di rilievi per i quali il personale gusto artistico rivela provocazioni, operando citazioni e provando ad ipnotizzare il lettore attraverso energie modificabili, e stupori intellettuali corali.
Ansie ed assilli, levità e trasparenze, memorie e illusioni, sono riprese del dettato e diventano motivi sviluppati in maniera del tutto personale.
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ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 12 marzo 2023

SAGGIO CRITICO = GIACOMO LEOPARDI


"Giacomo Leopardi : Il Rapporto Tra Il Nulla e la Vita"
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La storia della critica leopardiana ha assunto con difficoltà la figura di un Giacomo Leopardi filosofo. Soltanto nel 1947 apparvero due testi che segnarono una svolta all’interno della considerazione critica del pensiero di Leopardi: Leopardi progressivo di Cesare Luporini e La nuova poetica leopardiana di Walter Binni. Tali testi assumevano il pensiero di Giacomo Leopardi sulla base di un interesse che rimosse dal campo degli studi critici su Leopardi la centralità e soprattutto l’esclusività della poesia. Gran parte della critica si era fino ad allora rifiutata di considerare l’opera di Leopardi come un’opera di respiro europeo, e si era soffermata sulle riflessioni del poeta di Recanati, intendendole soltanto come l’espressione di un pensiero provinciale, a-sistematico, formulato da un poeta idillico. Frutto di un’esperienza individuale di dolore e solitudine isolati, tale pensiero non era suscettibile di una considerazione storicamente determinata che potesse assurgere a chiave di lettura di un’epoca, né tanto meno era degna di concettualizzazione in sede interpretativa, a discapito del conferimento di univocità a tutti gli scritti del recanatese, che perpetuarono nell’essere considerati ora come espressioni in termini idillici di una debolezza fisica e corporale dell’autore, ora come espressioni di una fenomenale capacità di resa stilistica e letteraria di temi e figure tipiche dell’infelicità romantica, ora come entrambe le cose. L’attenzione da parte di Luporini e Binni alla ricostruzione storica degli avvenimenti politici che potevano aver segnato l’evoluzione del pensiero di Leopardi, e la ricognizione di questi temi all’interno delle produzioni liriche del poeta, favorirono una lettura che faceva della dimensione politica e attiva quella centrale per l’elaborazione poetica e moralistica di Leopardi. I problemi dell’operosità, dell’attività, della prassi, vengono letti, in queste opere, come aspetti dell’analisi delle grandi azioni, che Leopardi accosta al tema dell’illusione, della virtù e del rapporto con la civiltà. Questo modo di intendere la riflessione di Leopardi sull’azione, con analisi dell’idea di progresso, e la sottolineatura della smentita da parte di Leopardi della perfettibilità dell’uomo e della civiltà, comporta però un sacrificio di quegli aspetti più cari ad un diverso e più recente filone di critica leopardiana, l’attenzione della quale si è spostata piuttosto su temi di carattere prettamente filosofico e ontologico. Tra tutti gli altri interessi della critica, non si può prescindere dal ritenere rilevante il modo in cui la vita attiva, intesa da Luporini e Binni - e da molti sostenitori e seguaci delle loro tesi quasi esclusivamente come eroismo e fonte di grandi azioni in ambito politico, possa essere letta sul piano dell’attenzione alla metafisica leopardiana, conseguentemente al rilievo che assume in questa prospettiva il tema del nulla. Questo diverso modo di approcciare il tema dell’attività nelle opere di Leopardi emerge una volta che dell’azione si sia sottolineata l’attenzione alla quotidianità, alla corporeità dell’esperienza, alla critica dello spiritualismo e alla definizione di alcune figure, esemplari per questi aspetti, sia all’interno della poetica leopardiana, sia all’interno dello Zibaldone. Tratto peculiare della critica leopardiana degli ultimi anni è proprio l’attenzione nei confronti del concetto di nulla leopardiano, che individua in Giacomo Leopardi un precursore rispetto a delle correnti del pensiero nichilistico o negativo. Alberto Caracciolo nel 1987 radunò i passaggi delle proprie opere all’interno di una raccolta “artigianale” intitolata significativamente Leopardi e il nichilismo. L’attenzione prestata da parte dello studioso all’interno delle diverse parti delle proprie opere nei confronti del nulla leopardiano nasce dichiaratamente da un’esperienza di vita da lui stesso definita «analoga» a quelle vissute da Leopardi e Heidegger nel corso delle loro esistenze. Tale vicinanza comportò, per lo studioso Caracciolo, una volontà di interessamento nei confronti di quelle che lui stesso definisce le tre «Leitworte: morte- Dio- tempo». In lui nacque così il rifiuto per la dimensione della critica che faceva di Leopardi e Heidegger un’espressione della crisi del pensiero borghese europeo in decadenza. Caracciolo interpreta la questione della meditazione sul nulla in modo da non leggere tale riflessione svolta da Leopardi come un motivo di evasione dall’impegno politico o di rifiuto pessimistico della vita. Egli si esprime contro la critica letteraria leopardiana, colpevole di generare in lui una «impressione di esaurimento», perché incapace di «sentire la domanda estetica come domanda totale». Nel caso della lettura di Croce nota una incapacità di comprendere la vera dimensione del vissuto leopardiano, da Croce stesso descritto come una «vita strozzata», come se Leopardi fosse stato un uomo da principio votato all’azione, ma ostacolato in ciò da una «forza bruta di carattere fisico e intrinseco». Vera natura di Leopardi, secondo Caracciolo, era quella della contemplazione, del senso vitale e poetico, che si spense interiormente in lui a causa dell’«aridità più quotidiana e insignificante». Coerentemente con questa ricostruzione, Caracciolo sottolinea «la coscienza vivissima che Leopardi ebbe del carattere religioso infinito e catartico dell’esperienza poetica rispetto alla bassezza e alla quotidianità, la coscienza della necessità della poesia perché si abbia vita morale», dando il proprio consenso all’interpretazione metafisico-religiosa della poesia leopardiana fornita da Vossler, per il quale «”il distacco del poeta dal cattolicesimo e il suo approdo alla metafisica del Nulla infinito” non rappresentano “lo spegnimento di ogni fede religiosa”, ma “il passaggio ad una forma tutta personale di religione seppure di inconsapevole religione”». L’«insopprimibile bisogno di trascendere il limite e il sensibile» si configura, secondo Caracciolo, come espressione di «un’esigenza religiosa anche se non si obiettivi in Dio». La critica di Caracciolo alla lettura di Croce del pensiero e della vita di Leopardi può essere compresa soprattutto facendo riferimento alla questione del nulla. Il riconoscimento, da parte di Caracciolo stesso, di una certa rilevanza al pensiero di Leopardi è giustificato, oltre che dalla presenza della riflessione sul problema della strutturalità del male nel mondo, anche da quella sul nihil stesso, cui Caracciolo attribuisce la caratteristica della bipolarità. Caracciolo confronta il testo del Cantico del Gallo Silvestre di Leopardi con Was ist Metaphysik? di Heidegger: essi rivelano che, quando si guardi a fondo, ci si accorge che ad essere determinante nel nichilismo non è la perdita di senso (Wertlösigkeit) legata al nihil inteso «come niente oggettivo e oggettivante», ma «il nihil come Nulla religioso». Nihil consiste perciò in un’espressione identica stante a significare due realtà «antagonistiche»: 40 il Nulla come «spazio trascendentale di Dio, di quello che assicura il senso, come scaturigine della fede e delle varie possibili figure della fede» e il niente «come negazione del senso, dell’esser degno di essere, come morte». Il dualismo è tra il Nulla religioso, che nell’interrogare privo di risposta dà senso all’«arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale» del Cantico; e il niente oggettivante, inteso in senso onto-assiologico, configurantesi come «bruto e muto». L’aspetto di trascendentalità caratterizzante lo spazio di Dio nella riflessione sul nichilismo svolta da parte di Caracciolo trova particolare giustificazione innanzitutto per merito della teoria sull’opera di genio di Giacomo Leopardi, la quale rappresenta «al vivo la nullità delle cose». Il rapporto tra la poesia e il male nel mondo è analizzato dallo stesso Caracciolo, e riconosciuto come strumento con valore catartico, «incontro dello Spazio della Trascendenza e del mondo» disvelante la dimensione della sofferenza. In una nuova forma della discussione sulla fede come fondamento delle opere, tale dolore risulta evocato e placato, attribuendo alle opere un valore solo se perseguite in coerenza con la dimensione della fede. L’inevitabilità della validità delle «tavole di legge» come «principio o imperativo o apriori dell’eterno» per l’uomo contemporaneo è dimostrata dal fatto che «nessuna critica finora ha anche solo scalfito la realtà vera allusa dalle parole» «assoluto, spirito, eternità». La lotta della poesia contro il male nel mondo appartiene alla realtà della fede perché consiste nel trovare un senso, o un maggior senso, proprio dove questo appariva assente. E questo intravedere una luce di senso nella negatività assoluta è l’esito della lirica di Leopardi: l’assunzione dell’angoscia si converte in «pace» e «gioia», divenendo il fondamento della possibilità stessa di agire. Caracciolo afferma, in sintesi, che nel pensiero di Leopardi la possibilità di «innumeri figure» trascendenti, personali o impersonali, indipendentemente dalla presenza di un Dio o meno, è espressa dalla bipolarità che il poeta di Recanati ha colto tra il nihil oggettivante di significato onto-assiologico e il nihil inteso nel senso del Nulla religioso, spazio della trascendenza che consente di intravedere un senso e di fondare l’«arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale» del Cantico del Gallo Silvestre. L’adesione alla critica che di Leopardi fece K. Vossler e l’attenzione per un aspetto per così dire “platonico mistico” e “salvifico-soterico” della concezione del Nulla in senso religioso per continuare ad utilizzare l’espressione caraccioliana – è oggetto generale di critica da parte di un altro autore del XX secolo: Sergio Givone. L’autore della Storia del nulla intraprende la sua lettura del pensiero di Leopardi a partire soprattutto dalla volontà di critica nei confronti degli sviluppi della lettura che del pensiero del poeta di Recanati dà un altro importante protagonista della critica leopardiana degli ultimi anni: Emanuele Severino. La contrapposizione tra i due interpreti si gioca sulla possibilità di considerare la questione del nulla leopardiano come «negazione pura e semplice di qualsiasi ontologia», per Severino, oppure come meontologia o metafisica del Nulla che preserva l’enigmaticità dell’essere che si converte nel nulla, per Givone. Le critiche rivolte a Severino da parte di Givone si possono riassumere in tre punti: innanzitutto il punto di vista sul nulla, impiantato sulla verità, verrebbe a dissiparsi se fosse fondata l’idea di una verità che è nulla, che è annientamento. Tale punto di vista o sguardo rende possibile il rapporto con la verità nonostante sembri negarla. Givone descrive questo sguardo definendolo come sguardo che accomuna poesia e filosofia all’interno del pensiero di Leopardi. Si tratta di un punto di vista capace di cogliere la verità in tutta la sua totalità di annientamento, ma che porta dentro di sé il nulla che la costituisce, non essendo esso stesso annientato nella dialettica tra verità ed illusione. Dunque la poesia diventa la «suprema ironia» che giunge alla verità al di là della verità stessa, illudendo e mentendo. L’ al di là in questione della verità non è la pura autotrasparenza del non essere di tutte le cose che sono, ma è laddove «la verità è sempre altra da sé, figlia del divenire». Il secondo aspetto della critica a Severino da parte di Givone intende esprimere una caratteristica propria del nulla stesso. Esso deve necessariamente stare metafisicamente al di là del processo temporale di dissolvimento proprio del cosiddetto divenire. Se così non fosse non avrebbe senso parlare di nulla come origine di tutte le cose - e Leopardi ne parla in un passo dello Zibaldone in modo più radicale delle sue stesse fonti di ispirazione. Givone lascia intendere come per lui Leopardi stesso consideri il nulla non stante «al culmine o alla fine di una parabola di consumazione», bensì come ciò in cui l’essere è convertito fin dall’inizio. Questa viene presentata come uno dei migliori argomenti a favore della meontologia o ontologia del nulla. Ma questo riconoscimento della volontà di Leopardi di non negare il fondamento non è sufficiente per illustrare la posizione di Givone, originale anche nei confronti degli altri autori sopra citati (Caracciolo e Vossler). La terza critica a Severino può dare ragione di tale originalità: riguarda il non annientamento delle cose da parte del nulla, ma il fatto che esse risultano dal nulla poste in evidenza in tutta la loro enigmaticità. Secondo Givone il pensiero di Leopardi si rapporta alla verità del nulla in modo estetico: la verità è libertà, perché libera fornendo all’uomo un’«autentica esperienza di libertà» attuando uno “sfondamento” di quello che può essere inteso come il presupposto che dovrebbe, secondo necessità, governare la realtà ossia il principio di ragione, inteso come ratio che tutto spiega ma che «tutto annichilisce». Per Givone in Leopardi la verità non si oppone all’illusione come nel nichilismo, ma ha luogo nell’illusione e nella menzogna. Si tratta di un platonismo eccentrico, di una meontologia, o ontologia del nulla, che privilegia la dimensione estetica del nulla. È ultranichilista nella sua volontà di superare il nichilismo all’interno del nichilismo stesso, fornendo una diversa visione dell’alternativa interna ad esso che contrappone mondo vero e mondo falso: la poesia e l’arte si presentano come «consolazione metafisica», da condannare per il loro carattere illusionistico, e da salvare per lo stesso motivo della loro condanna. Givone, dunque, in questo senso asserisce che la tradizione del neoplatonismo a cui far assurgere il pensiero di Leopardi non è quella mistica, ma quella estetica: «l’accento cade sull’essere che è lasciato essere piuttosto che sull’essere che è al di là dell’essere. Cade sull’incanto e sull’enigma di un puro e libero star lì, piuttosto che sulla certezza, sul possesso, sulla piena soddisfazione. Ed esige uno sguardo che non chiede perché, o se lo chiede, è per far risuonare l’inoggettivabile, il non afferrabile dalla risposta». Il ruolo del nulla in merito a tale arcano enigmatico è quello di salvaguardare l’”essere come sono” proprio delle cose: «fragili, effimere, mortali» esse permangono proprio per questo nella loro dignità di «essere amate nella loro realtà sospesa tra una doppia negazione». Secondo Givone nel pensiero di Leopardi la verità è la libertà propria dell’Uno o nulla, la possibilità di manifestare la sua potenza indifferentemente negli opposti, la libertà dell’essere principio. È l’«arcano che il principio di ragione non può mai sciogliere e perciò suscita orrore e meraviglia, spavento e stupore, angoscia e incanto». Ed il ruolo di conciliatrice della realtà con la verità spetta alla poesia. L’Infinito di Leopardi assume spesso, tra i canti, il ruolo di somma espressione poetica di quel concetto di infinito che in molteplici passi dello Zibaldone, e non solo, trova la sua corrispettiva espressione in prosa. In questi testi non poetici Leopardi sostiene che l’infinito «è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia è un’idea, un sogno, non una realtà, pare che solamente quello che non esiste, la negazione dell’essere, il niente, possa essere senza limiti, e che l’infinito venga in sostanza a esser lo stesso che il nulla». Perciò, anche se per definirlo l’autore fa riferimento alla limitatezza dell’individuo, alla sua immaginazione, l’infinito stesso appare di fatto avere un legame con il nulla, a prescindere dal singolo che lo concepisce, ma per propria fattezza, per così dire, ontologica. Si rivela dunque interessante osservare come alcuni critici di Leopardi abbiano saputo cogliere il rapporto tra il nulla e l’infinito all’interno di questo componimento poetico che per eccellenza è dedicato al tema, e che come tale si dimostra essere una sorta di definitiva consacrazione della concettualizzazione di questo legame. In particolare si vedano le opere di Massimo Cacciari dedicate a Leopardi e un saggio di Cesare Luporini intitolato Assiologia e ontologia nel nichilismo di Leopardi, scritto qualche decennio dopo rispetto al saggio Leopardi progressivo. In esso Luporini considera il tratto assiologico-emozionale del nichilismo leopardiano. Il fallimento della capacità immaginativa e della facoltà intellettiva nel cogliere il nulla si deve al fatto che la rivelazione di esso avviene in termini emozionali, attraverso la noia e il tedio, autonomamente rispetto alla ragione. Secondo Luporini, in Leopardi «la realizzazione di siffatta possibilità strutturale» delle facoltà umane di immaginazione, intelletto - o ragione - e sentimento 84 affiora per la prima volta proprio in forma poetica in un canto come l’Infinito, che esprime attraverso la dolcezza finale del naufragare leopardiano in quel «mare», proprio quella sconfitta dell’intelletto e dell’immaginazione di fronte al coglimento del nulla. Se si conosce il nulla è solo grazie alla facoltà propria dell’uomo di sentire. Se il pensiero «annega» nell’infinito, per esso indominabile così come per l’immaginazione, così non fa il sentimento, che naufraga con dolcezza all’interno di esso. La dolcezza estatica non è espressione di misticismo, ma di un atto emotivo-assiologico. Di tale atto, sempre secondo Luporini, si impregna anche il nichilismo di Leopardi, che fa del disvalore emozionalmente percepito un’assiologia. Secondo Luporini il nichilismo di Leopardi deriva dal suo «sentirsi negato e cancellato dalle cose e dal mondo». In sostanza il nichilismo assiologico di Leopardi è, secondo Luporini, frutto del suo materialismo. Secondo le tesi di questo saggio sono venuti definitivamente meno, in questa fase del pensiero di Leopardi, il senso della vitalità, del valore della vita, a favore del sopravanzare del «senso della morte» presente in molti passaggi dello Zibaldone e delle Operette morali. In quanto antagonista del vitalismo, il senso della morte, appunto, si presenta come «senso del nulla totale», «vanità, o nullità di valore, di ogni esistente in quanto esistente». La conseguenza di questo è stata la smentita della «compattezza e coesione finalistica» propria della precedente concezione leopardiana della natura. Questa prospettiva è, per Luporini, la prima delle due concezioni della natura di Leopardi, e si presenta come il nucleo della lettura data alla produzione del poeta di Recanati, all’interno del testo di Luporini Leopardi progressivo. In realtà, qualora si voglia dare un respiro cronologico ai passi che vengono presi in considerazione da Luporini nel saggio dell’88, va sottolineato come Zib. 85 sia, come la numerazione stessa della pagina zibaldoniana indica chiaramente, un passo risalente proprio agli anni di stesura dell’Infinito, quindi certo non facente parte di quella fase in cui Luporini sostiene avvenire il solidificarsi della visione non più vitalistica della natura. Anche qualora si voglia confermare la suddivisione della concezione della natura leopardiana in diverse fasi di sviluppo, non si può affermare che questo passo faccia parte della fase di declino del vitalismo, ma se la percezione del senso del nulla è correttamente letta da Luporini come atto assiologico-emozionale, si deve cogliere in questo non tanto un’espressione anticipatrice della critica alla prima concezione della natura vitale, quanto un sintomo già piuttosto chiaro dell’importanza della meontologia di Leopardi, e si dimostrerà in che senso questa ontologia del nulla abbia influito sul suo modo di intendere il legame tra la vita attiva e il nulla. I versi dell’Infinito presi in considerazione all’interno del saggio intitolato Leopardi platonicus? scritto da Massimo Cacciari sono quelli che illustrano il naufragio del poeta nel mare dell’immensità, e la dolcezza sentita di questo naufragare. L’attenzione di Cacciari è rivolta alla descrizione del particolare tipo di platonismo che all’interprete è dato di riconoscere nelle pagine leopardiane: secondo Cacciari, Leopardi si accosta alle idee platoniche con la volontà di tenere ben saldi quei presupposti del suo pensiero materialista che lo avevano condotto alla negazione radicale di «ogni teleologismo, di ogni provvidenzialismo, di ogni retorica esaltazione della “dignità dell’uomo”». Leopardi è portavoce di un platonismo «duro, disincantato, affatto scevro da tutti quegli elementi dialetticoconciliativi che ne avevano pesantemente segnato la tradizione». Anche nei versi del famoso naufragio dell’Infinito, secondo Cacciari, un tale platonismo, spogliato dalla tradizione dialettica, tornato alla radice del suo rapporto con l’assoluto, conduce alla possibile comprensione della risposta alla seguente domanda: «ciò che criticamente reagisce al senso immanentistico- materialistico dominante nel procedere della ragione, può essere semplicemente la dimensione del “giovanile error”?». Con l’introduzione del problema del «procedere della ragione» Cacciari desidera fare affiorare la leopardiana concezione delle idee platoniche, chiarendo cosa Leopardi intenda più profondamente indicare con l’espressione «caro immaginar». Leopardi, secondo Cacciari, oppone l’immaginazione dell’«età fiorita» alla ragione, sulla base di uno scontro che però appare molto meno duro del contrasto tra quest’ultima e il pensiero, soprattutto sul piano della riflessione leopardiana sulle idee. La delicata analisi di Cacciari si contrappone implicitamente all’analisi delle facoltà umane fatta da Luporini nel saggio sopra analizzato, facendo emergere una ragione che non è pensiero, che si manifesta come «ratio calcolante», pretendente esclusività e totalità di dominio sul sapere, insaziabile volto dell’idea del nichilismo. Ma fa soprattutto affiorare il carattere di un pensiero che naufraga dolcemente nel mare dei «sovrumani silenzi» e della «profondissima quiete», leopardiane espressioni del nulla: l’«incanto che pensa» di Leopardi, «più resistente al procedere del vero effettuale di tutti gli altri “incanti dell’età più bella”» consente la salvezza rispetto alla pretesa insaziabile della ragione, che opera in modo tale che «discoprendo/ solo il nulla s’accresce». Perciò Cacciari risponde all’interrogazione su ciò che si oppone al senso immanentistico-materialistico della ragione: in Leopardi è il pensiero stesso ad essere soggetto antagonista in questa lotta. Il pensiero permette di osservare il mondo non riconoscendone l’intrinseca aporia costitutiva. In questo senso salva dal nichilismo della ragione che scoprendo accresce il nulla. Per Cacciari una volta distrutto l’oggetto del pensiero, ossia l’idea nel senso platonico, con tutto il suo carico di illusione, viene meno nell’uomo la capacità di stare, il momento dell’«en-ergheia», la possibilità di essere illusoriamente felice, perché l’individuo stesso è destinato all’insaziabile desiderio di sapere e scoprire. Il problema dell’azione può dirsi collegato a questa lettura del platonismo di Leopardi? Solo se ci si sofferma per un ulteriore approfondimento sul tema del pensiero.
Cacciari si occupa, tra gli altri, del problema dell’azione e del vivere occupato in un altro saggio sul Leopardi: Solitudine ospitale. Il solitario leopardiano è «sempre insieme al ricordo, incapace di oblio». Ma la sua solitudine, oltre ad ospitare il ricordo, è anche accogliente rispetto all’immaginazione: «continuo è il travaglio dell’immaginazione, che affligge il solitario». Tutto ciò è un «tormento» che è accompagnato anche dal pensare. La ragione della negatività del pensare, immaginare e ricordare del solitario sta tutta in questo: «nella solitudine raggiungiamo piena consapevolezza della nostra impossibilità di disperare», ossia si tratta di una solitudine priva di illusione, che immagina, ma tale immaginazione non permette l’oblio della «miseria e vanità del tutto». Secondo la lettura che Cacciari offre di Leopardi «l’”occupato”, che dimentica l’immaginare, per il quale l’immaginare è niente, potrebbe disperare e far dunque tacere la cura della speranza». Perciò colui che da solitario è anche inoccupato sa di non poter disperare, mentre l’occupato può disperare, perché dimentica di immaginare. Se l’occupazione viene letta in modo positivo rispetto alla possibilità di acquietare la speranza, l’accezione data all’immaginare è invece negativa in questo senso. Le idee di Leopardi sulla vita occupata non sono lette da Cacciari con riferimento alla possibilità che l’attività aumenti la speranza, ma l’esatto contrario: essa rende capaci di perdere la speranza, e quindi capaci di disperare. Ciò che al solitario, non occupato, non è dato, è invece tale disperazione. Per concludere: secondo Cacciari, in Leopardi, ragione, pensiero e azione sono tre dimensioni che si contendono l’individuo, ognuna delle quali gioca un ruolo diverso nei confronti dell’illusione. Se il pensiero si presenta come salvezza dal nichilismo della ragione, l’azione è salvezza dalla solitudine del pensiero. Ma in entrambi i casi l’illusione si conserva nella forza di quel «caro immaginar» che non sembra celare soltanto le illusioni del fanciullo o la favola dell’antico, ma che si fa facoltà creatrice dell’idea, secondo il mito di un «platonismo nuovissimo e disperato». Si deve tenere presente, per il momento, un ultimo lavoro, l’unico forse esplicitamente dedicato al problema della vita attiva in Leopardi, che fu scritto nel 1988 da Antimo Negri: Leopardi e i giorni del “lavoro usato”. Nel saggio dell’88 Negri si occupa del tema del “lavoro usato”, ponendo in evidenza non soltanto quasi tutti i frammenti delle opere di Leopardi in cui il tema della vita attiva e occupata in senso materiale viene trattato, ma lasciando aperto in finale di trattazione un aspetto che per la presente servirà da punto di partenza del ragionamento: gli «scritti in favore dell’attività» «hanno una motivazione che non è affatto quella che soggiace ad una valutazione del lavoro suggerita da preoccupazioni di ordine unicamente o prevalentemente politico, sociale ed economico». Il lavoro «usato» del v. 41 de’ Il Sabato del villaggio (e di molti altri passi dell’opera di Leopardi di cui si avrà modo di parlare nel prosieguo della trattazione) è inteso da Leopardi, secondo Negri, in senso aneconomico e apolitico, perché va inteso nel significato di «occupazione esterna» e come aderente al tema della «distrazione». Leopardi, secondo Negri, scorge «un margine “civile” contro la noia intesa come “mancamento e voto”» e problematizza il lavoro «all’interno di una meditazione di respiro metafisico che investe l’uomo nel suo destino esistenziale» e come «mezzo più efficace non tanto per guadagnare una felicità di fatto irraggiungibile quanto piuttosto per godere della maggior felicità possibile o meglio, forse, della minore infelicità possibile». Negri sostiene, in sintesi, che non ci si deve sentire esonerati dal considerare in senso critico «il senso più profondo dell’”invidia” che Leopardi nutre verso» gli animali, ma anche verso quegli uomini che sono attivi o occupati. Per Negri «il “Leopardi progressivo” non è tutto Leopardi». E questa conclusione, che dal tema di questi oggetti di invidia leopardiani apre a ulteriori approfondimenti in termini metafisici, è quanto da ora in poi ci interesserà approfondire.
*
GIOVANNI CARDONE

venerdì 10 marzo 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = CESARE VERGATI


**Cesare Vergati: “Aforismi a porte aperte” – Ed. ExCogita – 2022 – pag. 92 - € 12,00
Uno schema che funziona perfettamente per lo stile singolarissimo che si mischia tra accenti ben stagliati, nel richiamo di una personale consapevolezza delle identità e si aggancia alla giusta apposizione/ disgiunzione dell’ascolto.
La fusione che avviene tra l’esplosione del pensiero e l’incisione delle immagini in tutte queste pagine si associa costantemente ad una forma di coscienza, o meglio di conoscenza, che rende concreto sviluppo di opzioni esistenziali, tali da realizzare un colorato trattato che potremmo appellare poetico filosofico.
Le frasi, tutte brevi e fulminanti, scorrono facilmente alla lettura e incidono per quegli interrogativi che si aprono tra congiunzioni di musicalità e trasparenze, in quella visione panoramica che sembra ricamare versi, immagini, fantasie, simboli, allegorie, sempre in minuziose descrizioni e concrete prescrizioni.
“La prospettiva decreta il temine di un percorso.” – “L’invidia, un luogo comune” – “le luci deludono le ombre denudano” – “Quel che resta non resta” – “Ogni interprete lede i diritti del personaggio” – Sembra giocare con la retorica con un affascinante amalgama che va dal sussurro all’imperativo, cercando di dettare sentieri lastricati o recitare polimorfi aforismi.
Scrittura vivida e facilmente palpabile con la quale ogni paragone offre fugaci lampeggiamenti all’interno dell’inquietudine.
Coinvolgente infine la postfazione del compianto Giampiero Neri.
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ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 8 marzo 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUCIO ZANIBONI


**Lucio Zaniboni: “L’alfabeto delle stelle” – Edizioni Giuseppe Laterza – 2023- pag. 176 - € 18,00
Con la prestigiosa attenzione della perseveranza, con il flusso magico della creatività, con il pulsare irrefrenabile del tempo che avanza, Lucio Zaniboni lampeggia ancora una volta per la sua giovanile costanza.
Un itinerario multicolore si scioglie nella velocità del mutabile, quasi come una fuga che tra illusione ed agonismo ha sbalzi gravitazionali, ma realizza soste ponderate e ben salde. Tra luci ed ombre una tensione verso il vero, verso il luccichio della realtà quotidiana, sempre cercando di non smarrire il rifugio dell’io e della ragione. Attento scrutatore del sensibile e del narrabile, il poeta suggerisce con eleganza il luogo stesso della parola, del segno, del simbolo, delinea sentieri tortuosi o d’improvviso si adagia al languore delle visioni, cercando di interpretare nel ritmo il senso della metafora e della musica.
“Il libro, un’anima allo specchio/ e tra le righe, altre intere vite. / Una bugia colora il reale di rosa,/ altrove trasforma in lacrime l’inchiostro./ L’autore, vittima gladiatore, / nasconde il suo passato per pudore/ e nel racconto snoda il suo dolore.” Con pochi versi apre chiaramente un solitario lamento per quella improvvisa chiarezza dell’immaginazione e per la costatazione di un tangibile registro di sublimazione e evanescenza insieme.
Suddiviso in venti brevi sezioni il volume offre incursioni rapide che variano dalla vendemmia alla passeggiata, dalla geometria dei colori ai fantasmi della notte, dai rimbalzi del flipper al volo di un gabbiano, dalla preghiera sussurrata al singhiozzo di un tramonto, dall’inutile affanno dell’attesa al moto lento di un velo di menzogna.
“La poesia di Zaniboni si distingue non solo per la sua molto ricca tastiera contenutistica, – scrive Camelo Aliberti in prefazione – ma anche per la sua altezza stilistica unica, per la sua peculiarità e per i suoi elevati messaggi che solo essa può racchiudere in se e lanciare al mondo.” Egli tenta di cogliere quella energia salvifica che la poesia riesce a trasmettere tra l’inizio e la fine di ogni pensiero, tra i legami misteriosi dell’impressione e lo splendore che si accende intorno alla parola.
Si inscrive con sapiente cultura nell’orizzonte avvincente della tensione esistenziale, da tenace rappresentante delle pulsioni e da contemplativo artigiano della scrittura.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 7 marzo 2023

POESIA = GEORGE NINA ELIAN


**
"LA GRAZIA CON CUI MUORE UNA FOGLIA"
ero stato l'uomo andato via per
mare e dimenticato lì nel cortile del
manicomio dove pioveva senza sosta e jimi
hendrix suonava la chitarra coi denti
di tutto quello che ho perso
non è rimasto niente
per nessuno
gli uccelli caldi tornano finalmente dai
paesi migratori
come ricordi in un tempo ricorrente
evocando la grazia
con cui muore una foglia
vicino all'ultima boa
●○●
"NOSTALGIA"
lei era seduta alla finestra e guardava la nevicata
il pazzo stava danzando attorno a una
sedia in fiamme
"lasciamo che i tristi consumino
il loro destino fino alla fine!" -- cantava lui
ulisse baciava l'albero maestro piangendo di felicità
come se avesse ripetuto all'infinito la storia
di una casa ritrovata dopo non so quanti millenni
noi avevamo passato la sessantina e facevamo
l'amore in un cimitero di automobili
con tutti i fari accesi.
qui. nel ghetto di tutti i mondi. qui,
alla periferia di tutto
*
GEORGE NINA ELIAN
____________________________________________________________________________-
George Nina ELIAN (Costel Drejoi). Poeta, saggista, traduttore, giornalista. Nato il 13 novembre 1964, Slatina (Romania).
Esordio: 1985, sulla rivista "Cronica" di Iaşi (Jassy), con poesia.
Libri di poesia: LUMINA CA SINGURĂTATE / LA LUCE COME SOLITUDINE - 2013; NINSOAREA SE ÎNTORSESE ÎN CER... / LA NEVE ERA TORNATA IN CIELO... - 2016; FERICIREA DIN VECINĂTATEA MORȚII / LA FELICITÀ NELLA VICINANZA DELLA MORTE - 2018; TIMPUL DIN AFARA CEASURILOR / IL TEMPO FUORI DAGLI OROLOGI - 2020; VERDELE CEAI AL MIEZULUI DE NOAPTE. Scrisori de dragoste / IL VERDE TÈ DELLA MEZZANOTTE. Lettere d'amore - 2021; NIMIC ALTCEVA / NIENT'ALTRO - 2022.
Traduzioni: Silvina Vuckovic, A IUBI ŞI A DĂRUI SUFLET (titolo originale: AMAR Y ALMAR) - poesie, 2015; Cleopatra Lorințiu, EL PAISAJE EN EL QUE FALTO / PEISAJUL DIN CARE LIPSESC (edizione bilingue romeno-spagnola) - poesie, 2017; Alexandru Cristian Miloș, UNIVERSUL ÎN MÂINI / L'UNIVERSO NELLE MANI (edizione bilingue romeno-italiana) - poesie, 2019.
Traduzioni delle sue poesie sono apparse in Messico, Argentina, Spagna, Italia, Cile, Brasile, Albania, Bulgaria. A sua volta, ha pubblicato e pubblica traduzioni di poesia italiana, francese, tedesca, serba, spagnola, portoghese e latinoamericana su riviste romene e di poesia romena su pubblicazioni in lingua spagnola.

lunedì 6 marzo 2023

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


**“Eppure”
Eppure era soltanto l’altro ieri
l’esame di licenza liceale.
Eppure era soltanto l’altro ieri
il primo bacio della nostra storia.
Eppure era soltanto l’altro ieri
il titolo acquisito di dottore.
Eppure era soltanto l’altro ieri
che ci sposammo col docile pastore.
Eppure era soltanto l’altro ieri
che venne al mondo il primo pargoletto.
Eppure era soltanto l’altro ieri
che festeggiammo cinquanta anniversari.
Eppure era soltanto l’altro ieri
che mi donasti un ultimo sorriso.
Tutto si ferma inesorabilmente
nel ricordo che spazza ogni mio ardore.
Incido infine vertebre invecchiate,
quasi per gioco, quasi per fermare
quella strana vertigine che annulla.
*
ANTONIO SPAGNUOLO *

domenica 5 marzo 2023

POESIA = YULEISY CRUZ LEZCANO


**Intimo esilio**
Insisto nel regalarti le mie barche,
inondazioni di carta piegate
nel dominio di ancore e oracoli,
saranno ondate di spettacoli
che ti riporteranno
alla esigua nazione dove sei nato.
Sarai un uomo rinato
con la promessa del sale,
con la polvere del ritorno
a quell’isola che avevi abbandonato
con il pretesto di conoscere
il mondo in un giorno.
In retrazione di equinozi di estate,
con l’ansia del tempo che passa
sarai quell’uomo che riconosce la sua casa
rivivendo le stagioni passate.
E dalle profondità dimenticate
non mendicherai i passi nel suolo
macchiati di distanza,
la rosa nautica ti riporterà
a quegli spazi integri
abitati dai giorni dell’infanzia.
°
**Gli occhi di Lampedusa**
Una crocetta e un fiore
sulle tombe dei morti senza nome,
per quelle anime ficcate sulla terra
come chiodi che senza speranza
piangono una tristezza senza lacrime.
Una crocetta e un fiore
per quei semi oscuri
che della vita hanno conosciuto
solo le spine infilate leste
su una pelle indurita dai calli.
Una crocetta adagio sulle tue colpe e le mie,
così da inoltrare un fiore con il cuore
e parlare con quelle parole mai nate,
per non dimenticare che anche le ossa,
senza un nome, hanno diritto alla vita.
La terra trema di morte,
le vittime raggelano
questo pugno di isola desolato,
che stride di ossa non identificate
che nel silenzio divengono polvere.
Terra alla terra e polvere alla polvere
nell’abbandono si disarticola la speranza,
mentre l’uomo siede sulla propria morte
tenendo come grani di clessidra
i suoi lembi di eterno, caduti.
Lungo il pensiero del trascorso
il mare sa raccontare ai sopravvissuti,
si apre come fontana dei rammenti
per dire che in quei corpi oramai spenti
è naufraga l’anima dei defunti.
Mare, mai azzurro all’ultimo sospiro,
l’ondata dei morti beve negli occhi di Lampedusa
che d’acqua torbida e di morte si bagna,
il mare s’affoga in bocca all’ultimo saluto
mentre l’anima si disperde nelle membra di un addio muto.
(dedicato alle vittime di Lampedusa)
°
YULEISY CRUZ LEZCANO
°
Yuleisy Cruz Lezcano, poetessa e scrittrice di origine cubana, nata il 13 marzo 1973, è emigrata in Italia dal 1992, in specifico a Bologna dove consegue le lauree in Scienze Biologiche e Laurea Magistrale in scienze infermieristiche e ostetricia. Lavora nella sanità pubblica.
Dal 2013 ha incominciato a partecipare a vari premi letterari, ottenendo ottimi risultati.
Ha pubblicato diversi libri ed è presente in diverse antologie italiane e internazionali. E' stata eletta membro onorario del Festival Internazionale di Tozeur, Tunisia.
Nel 2018 è stata giurato di diversi premi letterari e organizzatrice del Mini festival della poesia al femminile nel Comune di Signa (Fi).
E' collaboratrice dei blog Alessandria Today (https://alessandria.today/) e Il Giornale Letterario (https://www.ilgiornaleletterario.it/).
Le sue poesie sono state pubblicate in diverse riviste e antologie in lingua spagnola e inglese. Collabora con diverse riviste letterarie dell’America Latina in lingua spagnola. Al suo attivo numerosi volumi pubblicati tra il 2013 e il 2021.

sabato 4 marzo 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


**SULLE ALI DELLA LIBELLULA. “RICAMI DALLE FRANE” DI ANTONIO SPAGNUOLO.**
I “Ricami dalle frane” (Oedipus, 2021), prezioso libro di poesia di Antonio Spagnuolo, poeta napoletano che ha superato ormai i 91 anni − di cui gran parte dedicati alla poesia, oltre che al suo lavoro ordinario di medico − ripetono nel solco della memoria, con variazioni sapienti, i temi della produzione più recente, nata da una perdita, quella dell’amata moglie, Elena. Assenza contro cui si pone l’antidoto della poesia, la rielaborazione creativa del lutto. Negli ultimi volumi (tra cui “Proiezioni al crepuscolo”, Macabor, 2022 e “Riflessi e velature”, La valle del tempo,2023), affiorano insistentemente i ricordi della vita familiare con Elena e il tessuto dei versi, che ripete il disegno del dolore, si riempie di motivi nuovi, di vari punti di vista a partire dal vissuto, dall’esperienza. “Il cervo” che “si nasconde dietro le siepi incolte” e si lamenta per le ferite (p. 7) richiama con un parallelismo l’io poetico che nasconde le sue di “ferite”. Il dolore, come la luce che entra in un prisma, si scompone in tutti i suoi colori nell’ultima produzione di Spagnuolo ed è frequente, infatti, nella raccolta il riferimento alle gradazioni dei colori, come a p. 55: la ruota del pavone dal “variopinto colore” simboleggia le illusioni umane. In Ricami dalle frane, la solitudine nelle mura domestiche (p. 5) corrisponde ad una gradazione tendente al grigio ed una nota costante, che affiora lungo questo canzoniere degli ultimi anni di Spagnuolo, è “il canto della [sua] solitudine” (p. 34), il “carezzare lentamente le ore della solitudine” (p. 40). Ma i baci dati (“E ancora baci! / Ancora più di mille”), con la citazione della celebre poesia del poeta latino Catullo al quale è intitolato il testo-omaggio, nello stesso componimento alimentano il rosso della passione, “il preludio del sogno”. Questi baci testimoniano la realtà che produce i suoi effetti ancora nell’oggi; subentra, però, la consapevolezza che si tratta di una realtà transitoria, illusoria, che si è separata dal contatto dalla carne, ormai fredda, per autoalimentarsi nelle ripetizioni delle immagini liriche e melodiche della poesia, che diventa una sorta di terapia: “E ancora baci, delicatamente a sfiorare / il freddo della tua magia / che modella di nuovo le dita all’illusione”. Dalla figura del “cervo” a “Catullo”, ad altri, vari specchi rifrangenti nella raccolta, il poeta tesse le variazioni dell’assenza e della perdita. Nella poesia seguente (p. 6) viene ribadito il tema dello “spettacolo illusorio, “la realtà / con tentacoli ardenti dell’errore”; se essa è maya, apparenza, è nel contempo impermanenza, come lo è anche l’amore di coppia, l’illusione più potente, che viene contrassegnata dalla parola petrarchesca “errore”. Ogni “desiderio” si riduce in “cenere” (p. 7) ma l’incantamento (“nuovo incanto”, p. 14) risorge. Nel rito medianico, che l’ultima produzione di Spagnuolo celebra e ripete, vengono evocati i “fantasmi” del passato (cfr. anche p. 24: “fantasmi / che ti ripetono gesti allucinati”), di “quando il tempo arrossava nelle sere”. Le “balze della memoria” inscrivono il libro in un’atmosfera “purgatoriale”: l’io lirico rimane perennemente sospeso, bloccato nel “rinverdire i ricordi”, nel richiamare “l’intreccio della fiaba e del timore”, l’inizio della “storia” con l’amata al tempo dei suoi “quindici anni” (p. 17), sorta di anniversario ancora petrarchesco.
Non mancano momenti in cui il tono sofferto prevale; il lettore assiste ad una discesa agli inferi (“fauci affamate dell’inferno”, p. 42) più marcatamente allucinata, ad uno psicodramma in cui l’io lirico presenta i mostri che gli sconvolgono la mente. L’irrazionalità sembra qui prevalere, così come quando viene evocato l’urlo del “lupo mannaro” nelle “circonvoluzioni cerebrali” (Il mostro, p. 30).
In altri testi il recupero dello spazio e tempo dell’adolescenza (“ragazzo impertinente”, p. 20) e della giovinezza è nel lavorio dell’inconscio quanto mai di conforto; rinasce una più positiva dimensione elegiaca che aiuta a vincere il grigio della solitudine della vecchiaia in un “lampo di colori” (ritorna quindi il riferimento alle diverse gradazioni sentimentali). La celebrazione della gioventù è legata al tripudio dei colori, alle “vertigini amorose / dai colori cangianti ad ogni bacio”.
Procedendo con la lettura si incontrano alcune spinte tematiche centrifughe che fanno da contorno al tema principale dell’assenza e della rielaborazione del lutto attraverso la scrittura, come la poesia di p. 23, La scienza, sul rapporto tra il primato attuale di essa (“il millennio incurvato alla ricerca”) e la poesia incardinata su una dimensione di eternità; oppure gli accenni qua e là alla pandemia, come l’isolamento (“Fuggo l’ombra di amici, ingenuamente / lontano dal contatto ”, p. 44) che si ricollegano alla vita solitaria della vecchiaia, o il desiderio di un monumento ai medici che hanno lottato negli ospedali contro il virus eroicamente per salvare vite (“Per il basamento del monumento ai medici”). Anche l’isolamento obbligato che il virus ha imposto è una “piaga”, una ferita che l’“incanto del progresso” globale “ha propagato alla coppa del sapere” (p. 44). In controcanto al tema scientifico si pone il testo di p. 45, una poesia preghiera ̶ uno dei momenti migliori, a mio avviso, del libro ̶ dedicata alla Vergine: “Maria , fanciulla dei Vangeli, / Illumina l’alito innocente”, testo che richiama le poesie sul Cristo e sulla fede di “Io ti inseguirò. Venticinque poesie intorno alla Croce”. Bellissimo volume quest’ultimo (con prefazione di Gennaro Matino, Luciano ed. 1999) che ho amato di più in tutta l’ampia produzione di Spagnuolo e che meriterebbe certamente un’attenzione critica maggiore per la felicità dell’ispirazione e delle immagini, del messaggio spiritualmente alto che consegna al lettore, cristiano e non. Il tema religioso, di nuovo l’evocazione della Vergine, è anche nella poesia dedicata a “Giuseppe”, personaggio che pur nel dubbio, contro cui si pone “il fulgore della parola divina”, abbraccia la sua donna “condivisa dal cielo nell’irreale stanza” (p. 51); dubbio che perseguita anche l’io lirico sull’“abitudine dell’inconsistenza” delle unioni mortali (p. 53), sull’ “inganno” della “eterna gioventù” (p. 57). Tenendo a mente “che quanto piace al mondo è breve sogno”, nell’ultima parte del libro il poeta ci mette davanti agli occhi il’“limpido inganno” (p. 59), la “pura illusione” dell’attesa di una “nuova primavera”, della giovinezza, dell’eros che si sono creduti eterni, ma non torneranno mai più.
“Il muro degli anni” passati si riduce ad un brevissimo “volo di libellula / nell’arcobaleno”, ora che incombe la “penombra” della “solitudine” e dell’“inverno” della vita, ora che “il verde abbandona l’umore del freddo” (p. 62) e l’io lirico è imprigionato in una “sala delle memorie”, sintagma che si può porre ad epigrafe di tutta l’ultima produzione di Spagnuolo. *
CARLANGELO MAURO

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANELLI & FEDI


**Amedeo Anelli e Fernanda Fedi: “L’intero e la parte” – Ed. Manni 2023 – pag.120 - €20,00
Volume elegante e sobrio, felicemente composto da interventi critici di Amedeo Anelli intorno all’opera (1969-2022) dell’artista multimediale Fernanda Fedi. Ricco di decine di pagine dedicate alle opere pittoriche e alle sculture il percorso segnato è un ampio exursus che illumina il frutto di una collaborazione pluridecennale che ha legato il poeta e l’artista.
Le variazioni modulari che hanno caratterizzato la ricerca rappresentano la romantica struttura di questi passaggi, rivelando pagina dopo pagina le capacità originali delle varie composizioni. Frammenti o molteplicità, simboli o parole, intersezioni o miniature, si succedono con il ritmo adatto ai fotogrammi, per coinvolgere nel policromatico delle linee o delle griglie così come in un andante musicale che si accresce ad ogni battuta.
Attraverso gli anni la creatività di Fernanda Fedi va modificandosi. Dalle attente radici delle prime opere agli sprazzi luminosi delle ultime presentate il tocco ha sempre la raffinatezza di una elaborazione che si rivela permanente e atemporale. Raffinate forme e variabili colori si raffrontano ampliando sempre più un campo di confronti e di abbandono.
La partecipazione di Amedeo Anelli arricchisce in più riprese, con le numerose sue schede critiche e le sue ricamate poesie, ricalcando prodigiosamente l’immaginario ed il pensiero, con il tocco che si distingue per il suo particolare carattere illustrativo. I bagliori di questa scrittura cercano di sciogliere gli enigmi della quotidianità, afferrando abilmente le percezioni del decifrabile, nella raffinatezza del dettato.
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ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 2 marzo 2023

RIVISTA = KAMEN


**E' in distribuzione il numero 62 della rivista Kamen diretta da Amedeo Anelli.
Nel sommario le prime 48 pagine sono dedicate ad interventi vari del compianto Roberto Rebora
seguono : Amedeo Anelli "La poesia invece arriva alle cose": Roberto Rebora: rilessioni, memorie, testimonianze.
Poesia / - Daniele Beghè: "Chicane" = Daniela Marcheschi: "Daniele Beghè, o la poesia come bestia calma.
Filosofia / Mikel Dufrenne : Conclusione - Natura e Forma = Mikel Dufrenne : La Region Nature.
Contatti : amedeo.anelli@alice.it
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mercoledì 1 marzo 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = EMANUELE MARCUCCIO


**Emanuele Marcuccio (a cura di) : AA.VV. "Dipthycha 4" - Tracce per la meta edizioni- 2022 - Pag.310 - € 20,00
il progetto che Emanuele Marcuccio ha ideato e messo in opera ha una valenza di notevole interesse, vuoi per la corposità del volume, che raccoglie ben ventidue autori con numerose poesie, vuoi per l'operazione culturale di alto livello che vede pagina dopo pagina gli accostamenti con lo stesso Emanuele Marcuccio, il quale spende il suo operato con attenzione, e ancora con scrittori storicizzati e amati, esponenti della poesia internazionale selezionata. Raccolta antologica che si apre con le firme di Lucia Bonanni e Francesca Luzzio in agregazione stilistica con lo stesso Marcuccio, nello sciorinare il tessuto di poesie mirabilmente intrecciate.
I vari temi proposti, autore dopo autore sfociano in eleganti affinità di relazioni empatiche e creative, facendo elegante e suggestiva mostra di risoluzioni che appartengono allo scenario dell'immaginario come plasticità del perturbante.
Una proposta di lettura preziosa che rinnova il senso del verso nella varie modulazioni musicali, e riesce, con ricami ben realizzati, a armonizzare e comunicare calorosmente le emozioni della parola.
Un ampio cerchio che conferma aperture diverse nelle esperienze stilistiche dell'immaginazione.
Centellinare i momenti più luminosi di alcuni interventi è penetrare con agilità in una sorta di congiunzione tra lo specchio e il luccichio. Firmano : Enmanuele Marcuccio, Silvia Calzolari,Lucia BonanniFrancesca Luzzio, Daniela Ferraro,Valeria Meloni, Ciro Imperato, Luciano Domenighini, Giogia Catalano, Grazie Tagliente, Igino Angeletti, Emilia Otello, Lorenzo Spurio, Maria Salvatrice Chiarello, Rosa Maria Chiarello, Anna De Filpo, Giorgia Spurio, Carla Maria Casula, Maria Rita Massetti, Maria Palumbo, Giusi Contraffatto, Anna Scarpetta. Prefazione di Michela Zanarella . Postfazione di Antonio Spagnuolo .
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