sabato 29 febbraio 2020

SEGNALAZIONI VOLUMI = SANDRA EVANGELISTI


Sandra Evangelisti : “Allegoria” – Biblioteca dei leoni – 2020 – pagg. 96 - € 10,00
Come una fusione continua, tra la realtà del quotidiano e le nebulose illusioni che le “allegorie” cercano di proporre, ogni poesia riesce a formulare una raffinata invenzione di rimbalzi, che dall’irrinunciabile fabula raggiunge un colloquio intimo ed incessante, nel luogo del ritrovamento. Sandra Evangelisti racconta, racconta nelle sue pagine quello che il sussurro della musica riesce a trasmettere con il ritmo privilegiato della “parola”, immersa nel mondo classicheggiante della ricerca. Un semplice album fotografico che si sfoglia in un susseguirsi di figure e lampeggi, tra un estetico e raffinato credo esistenziale ed una vertigine che dipana lo scorrere del tempo e dell’armonia. Molti i “personaggi” tratteggiati nei versi, da una Annetta nel passo breve di un destino alla Teodora dagli occhi di ghiaccio, da Cesare e le sue concubine a Germanico con la cera sul viso. Lancillotto, Ginevra, Giulio Decimo, e diversi altri riflettono la luce dell’arcobaleno.
Il volume si suddivide nelle sezioni “Allegoria”, “Primavera”, “Le ere e le età”, “Alta velocità” “Nell’Ade”, ma un legame sottile e ben valido ricuce i testi per uno svolgersi incalzante di sospensioni. Il tempo rincorre le ore e la poetessa si affanna nelle vicissitudini del verso che diviene spazio di abitabilità. La cucina, la cantinola, il tribunale, l’ufficio, la casa in montagna, la piazza, il divano non sono “astrazioni formali della spersonalizzazione dell’io” ma il palpabile scorrere degli oggetti tra gli imprevisti dell’oggi.
Il viaggio tende alla fine:” Sono scesa agli inferi e ho scoperto il suo volto:/ era bello anche sotto la maschera./ I capelli adagiati alla fronte/ ed un ricciolo sceso sul collo./ Aveva occhi socchiusi: dormiva;/ e le labbra distese e serene./ Ho appoggiato la mano sul petto con una carezza,/ e non rispondeva./ Poi supina mi sono distesa slacciando le vesti/ e discinta ho abbracciato il suo corpo/ per dargli la vita.”
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

RICEVO DAL PROFESSORE VINCENZO VITIELLO :
Gent.mo Antonio Spagnuolo, nel ringraziarLa per il dono del suo "Svestire le memorie", mi permetta di dirLe che sono ammirato e finanche stupito per l'amore che Lei ha per la vita. Riesce a rendere "attuale" la memoria, a "svestirla" del passato rivivendolo. Solleva il "macigno del così fu" sublimandolo nel suo presente: "Dolce nell'abbandono del tuo nudo, /sospeso come vortice di danza,/ la carezza del tempo ha il rintocco / di una musica lieve, modulata". Nel suo presente, che conosce il dolore dell'assenza: "Un ombra la tua immagine che torna / quasi fuggendo, sospesa tra le scale, ad incontrare illusioni clandestine...". Eppure ancora forte di un amore capace di immagini colme di vita, ove l'anima anela al corpo: "Una disperata finzione mi sorprende / e chiudo gli occhi per sognare il tuo labbro." Potrei continuare a lungo. Ma mi fermo. Leggendo le Sue poesie - un canto all'amore per la vita, ed alla "felicità" di questo amore - un pensiero mi tornava costante. Non mio, ma di un poeta che amo, Hoelderlin: glieli trascrivo nella sua lingua, li prenda come "mio" commento alle sue poesie, che io non avrei saputo fare con parole mie:

"Denn schwer ist zu tragen / das Unglueck, aber schwerer das Glueck." (Der Rhein).

Un saluto cordiale e grato, Vincenzo Vitiello

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARCO GALVAGNI

Marco Galvagni – Dieci dolcezze---- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2020 – pag. 101 - € 16,00

Marco Galvagni (Milano 1967) ha pubblicato sette raccolte di poesie. Ha effettuato diversi reading. Ha ricevuto molti riconoscimenti in importanti premi nazionali sia per l’edito che per l’inedito e lusinghieri apprezzamenti da parte di poeti di rilievo come Giuseppe Conte. Suoi contributi poetici e critici sono presenti in diverse riviste tra cui Poesia, Liburtini arte e cultura, e Le Muse.
Dieci dolcezze, il libro di poesie del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta un’efficace postfazione di Mauro Ferrari.
Scrive nella suddetta il poeta, critico ed editore, che si tratta di una raccolta di straordinaria unità espressiva che esibisce un amplissimo repertorio lirico – erotico che affonda le radici nella più antica tradizione della poesia lirica occidentale.
Il volume è scandito nelle seguenti sezioni: In memoria, L’aquilone dei sogni, In campi di stelle, Cicatrici d’amore, Germinerà insieme e Dieci dolcezze alle quali seguono una nota dell’autore e i ringraziamenti.
Il tema del bene e della fiducia nella vita, in quell’esistenza che è caratterizzata da quello che Antonio Riccardi definisce nel titolo di una sua raccolta di poesie Il profitto domestico, si evince fin dalla poesia iniziale intitolata Il silenzio acuto del mattino nella quale il tu al quale il poeta si rivolge è il padre.
Tutto il componimento nello sfiorare l’elegia è connotato da un tono magico e sognante nella sua limpida chiarezza e nella linearità dell’incanto.
Poetica dell’ottimismo, quella di Marco, in controtendenza con quella pessimistica che vede in Leopardi il suo massimo esponente per antonomasia.
In Il poeta, componimento inserito nella sezione intitolata in modo suggestivo L’aquilone dei sogni, Galvagni, con una composizione compatta ed in lunga ed ininterrotta sequenza, sembra eseguire egregiamente una lirica dichiarazione di poetica.
Qui il poeta, a partire dai due versi del magistrale incipit: il poeta è una nuvola innamorata/ una goccia di stella scesa dal cielo tesse una trama di versi stupenda con visioni naturalistiche interiorizzate che rasentano il sublime.
Inoltre il tema della poesia nella poesia è espresso in una lirica di ampio respiro quando Galvagni esprime nel suo solipsismo, il ripiegarsi sul foglio e l’interpellare lo stesso supporto cartaceo.
Il foglio stesso lo sfida a tessere il gioco delle idee, cioè della genesi della poesia stessa.
Il tema amoroso è presente in poesie sensuali e debordanti anche per l’uso dei versi lunghi magistralmente controllati.
Il filo rosso che lega i componimenti sembra essere quello dello stabile realizzarsi di poesia in poesia di una luminosità di vaga bellezza non estenuata ma sempre sorgiva e armonica.
Icasticità che si coniuga a leggerezza sembra essere l’etimo dell’ordine del discorso espresso nella raccolta.
L’amore stesso è detto con toni sentiti che rievocano quelli dei lirici greci nel relazionarsi dell’io-poetante a figure femminili delle quali sono detti pochi riferimenti in un alone di salutare mistero.
A volte la scrittura pare elementare ma è sempre sottesa a un controllo formale rigorosissimo.
*
Raffaele Piazza

martedì 25 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = DONATELLA NARDIN


Donatella Nardin : “Rosa del battito” – Fara Editrice – 2020 – pagg. 88 - € 10,00
Il flusso delle energie, che determina lo scorrere delle immagini impresse nella corposità del verso, diviene il continuo spettro della parola, che si rinforza di volta in volta nella leggibilità di un percorso autobiografico. Un’esigenza che il poeta sembra esprimere risalendo alla fonte sotterranea che lo ispira, consentendo alla chiarezza l’identità di scrittura, del tutto istintiva ed egregiamente incisa. La realtà “è qualcosa di memore/ donato all’essere appena sfiorato,/ materno infine a purissima/ fonte nel tepore dell’aria sgorga,/ supplisce, traspare.” Le quattro sezioni nelle quali è suddiviso il volume: “Particelle elementari”, “Sperdimenti”, “Del puro esistere e provvisorio”, “Commiati” non sono nettamente staccate come contenuti, e la lettura può in certo qual modo procedere come per un poemetto che si snoda attraverso visioni intorno a tematiche che si riallacciano. “L’invisibile sorride stretto in uno scialle ricamato dal fulgore”, “una virgola dorata lambisce le case in bilico sulla laguna”, “così ci siamo salvati, tenendo tra le labbra un canto”, “incidimi sui palmi il mondo, di rosso melograno traboccami”, sono le figurazioni lampeggianti che incontriamo tra i versi di una “passione”, che dà vita alle memorie e musica alle illusioni.
ANTONIO SPAGNUOLO

lunedì 24 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIO RONDI

Mario Rondi : “Un mondo di stramberie” – Ed. Genesi – 2020 – pagg. 164 - € 15,00
La motivazione del premio I Murazzi per questo volume si esprime: “ C’è versatilità nel modellare il linguaggio poetico con espressioni sempre ricche di fascino e con sorprendenti metafore, allusioni, simboli, schermi e riflessi; c’è gioiosità canterina delle rime studiate con grazia spontanea di allitterazioni e nel rispetto della metrica storica dell’endecasillabo, nel libro di poesia “Un mondo di stramberie” di Mario Rondi, un autentico capolavoro di miniatura poetica. A sovrabbondare nel valore del dettato, tuttavia, non è l’impareggiabile forma chiusa della dizione, ma l’ironia sapiente, tra delirio e genialità, che trabocca nei costrutti, sempre condotti su una perfettissima linea di confine tra la follia e la sapienza.”
L’endecasillabo che sistematicamente cesella tutte le poesie di queste pagine riaccende con delicatezza e con spontanea cucitura la musica che esplode con mille colori nel ritmo incalzante del verso. Ed il gioco della parola balza con frenesie acute e smaglianti, tra una rima ricercata e un assonanza prelibata, per offrire leggere carezze anche quando il pensiero volge alla tristezza, nel riflesso melodioso dei rimandi. Le “stramberie” allora si alternano nel sussurro della signora Rodolfa o con la molla testarda contro un muro, tra i rivoli dell’ardore del professor Rotondi o nel discorso del Cavalier che nessuno fa fesso, tra il colpo di vento che indecente si insinua o con il trincare da un fiasco di quello rosso.
Mario Rondi si muove con destrezza in quella metrica che ancora ama la scansione per ricucire la fantasia multicolore al pensiero scherzosamente filosofico, ma significativamente indagatore.
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 23 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANFRANCO ISETTA

Gianfranco Isetta – Passaggi curvi--Poesie non euclidee--Editrice - Pasturana (Al) – 2014 – pagg. 153 - € 14,00

Gianfranco Isetta è nato a Castelnuovo Scrivia (Al) nel 1949. Laureato in Statistica presso l’Università Cattolica di Milano, è stato per dieci anni sindaco di Castelnuovo, promuovendo il Centro Internazionale di Studi “Matteo Bandello”. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia e ha vinto vari premi.
Passaggi curvi, il libro del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è un’opera di notevole estensione, ben strutturata architettonicamente.
La raccolta è costituita dalle seguenti sezioni: Universi e geometrie, Del tempo, Il caso, Il senso e Dell’amore.
La definizione che, nel sottotitolo, il poeta dà al testo, ci fa comprendere i suoi intenti di non voler scrivere poesie razionali o rigorose.
Se la poesia nasce generalmente, da quello che gli psicoanalisti chiamano inconscio, la precisazione di Isetta accentua e mette in luce la forza di questo assunto.
In un panorama letterario in cui dominano raccolte pervase da una grande oscurità, tra neo orfismi e sperimentalismi vari, la voce di Isetta è caratterizzata (e in questo senso va controcorrente), da una forte chiarezza del suo dettato, costituito da versi luminosi e fluidi.
Si potrebbe definire, per certi versi, la poetica di questo autore neolirica per l’effondersi del suo animo in ogni singola poesia, nella stabile ricerca dell’idillio e della pace.
Un tema dominante pare essere quello della transitorietà di tutto e della morte dell’individuo, anche se inserito in una natura idilliaca e luminosa.
A quello suddetto è collegato il tema del sacro che si realizza proprio attraverso l’urgenza del dirsi della parola.
Cifra essenziale che caratterizza tutte le poesie di questa raccolta è quella di un io – poetante molto autocentrato, che, nel suo librarsi sulla pagina, si collega fortemente alla corporeità dell’autore, come se il corpo fosse il simulacro che contiene l’anima del poeta e come se il poeta avvertisse molto fortemente questo.
Si potrebbe perciò parlare di mistica corporea secondo quello che affermano alcune religioni.
C’è anche il tema della fusione panteistica con la realtà, quando Isetta, per superare la finitezza, si rallegra di esser parte del tutto.
Sia che si trovi sotto un cielo incantevole, sia che si trovi in casa nell’esplorare la sua libreria con la finezza della mente, il poeta è fortemente conscio di essere, per dirla con Mario Luzi, sotto specie umana.
Anche il tema della memoria, vissuta non come nostalgia, ma come riattualizzazione di un passato lontano per riviverlo, è presente in Paesaggi curvi, che può essere letto tout-court come un esercizio di conoscenza.
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Raffaele Piazza

sabato 22 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

RAFFAELE PIAZZA : "LINEA DI POESIA DELLE TUE FRAGOLE" EBOOK 238 - LA RECHERCHE

Si possono distinguere tre frasi nella storia spirituale dell’umanità: la tradizione (l’età del padre), il moderno (l’età del figlio), il postmoderno (l’età dello spirito a venire).
L’attuale epoca si è formata dopo l’estinzione della tradizione, conclusa nel nichilismo della modernità, caratterizzando nel postmoderno quasi un’epoca postuma o post-umana dove il materiale si sta evolvendo nel virtuale.
L’individualità emersa nel mondo moderno, si è attualmente frammentata e si moltiplica negando sé stessa proprio negli avatar che sono le trasformazioni e le metamorfosi prive di sostanze della “rete” globalizzante.
Malgrado questa inarrestabile post-modernità emergerà sempre un’alternativa: quella positiva di un “soggetto radicale”, che è appunto radicato nel terreno di una forte interiorità. Non sogna un impossibile ritorno ad una ricostruzione artificiale del passato (la tradizione). L’emersione di questa individualità si confronta, in assoluta solitudine, con un mondo ormai privo di dei. Nell’interiorità, il soggetto radicale sta cercando un suo regno del sacro.
Il poeta Raffaele Piazza, col quale ho una lunga familiarità a cui si aggiunge questo recente “Linea di poesia delle tue fragole”, credo che abbia agito come un soggetto radicale fino dalle sue prime esperienze di scrittura. Si è mosso all’interno di un flusso di sapori assoluti che una società informatizzata ha trasformato in oggetti di scambio e di consumo.
Si può tentare una breve analisi comparativa dal 2009 (“Del Sognato”), al 2014 (“Alessia”) fino all’attuale “Linea di poesia delle tue fragole” 2020, individuando una speciale “tecnica formulare” che apre il suo originale scenario post-moderno. Leggo la coerente e costante dimostrazione di permanenza, come esempio di “soggetto radicale” nell’elaborazione poetica, perché esistono esempi di persistenza con chiari stilemi tipici e icone fisse.
Una prima esemplificazione di icone fisse rimanda alla costante tipizzazione scenica non solo di Alessia e Mirta. La tecnica formulare è poi evidente a partire da “Linea di poesia delle tue fragole” in un percorso che risale a “Del sognato”. Tra le icone fisse c’è “A Pier Paolo Pasolini” (p. 5) <> È “tecnica formulare” in “ad ogni passo di fragola…” in “duale desiderio” (p. 11). In “Alessia sul jet” (p.15), in “campita”, “s’inalvea”, “albare” come
in “Alessia e l’azzurrità (p. 16) “L’adolescenza tintadifragola” o “fiorevole” (p.17), o in “Alessia vola sulle nuvole” (p. 18), “nuvole acquoree…Alessia nell’interanimarsi con di aprile il verde arboreo”, o in “Alessia vestita di luna” (p. 20) “Selenica Alessia lucevestita”. L’uso formulare è tipico di un’espressione che risponde a norma e tradizione e si ripete inalterata come negli atti rituali. Si tratta di un’attenzione al senso della tradizione, sia nella fedeltà alla propria linea ideativa, sia in quella più vasta di una reazione alla dispersione e dissipazione di valori profondamente interiorizzati. Vi ho letto quasi un modus scrivendo di più antica ascendenza greca, all’origine di una vasta tradizione mediterranea di derivazione rapsodica. Se persistono le icone sceniche di Alessia e del suo giovane amore, torna l’icona dolente di Mirta che si tolse la vita (“Mirta…p.26) come Anne Saxton (1928-1974) anche lei suicida (p.27).
Con il riferimento alla Saxton, il nostro poeta riscopre quella condizione nuova che la poesia “confessionale” del secondo Novecento americano (vedi anche il bostoniano Robert Lowell 1917-1987) aveva già sofferto. Ci fu un personale coinvolgimento di sé, spesso in una tormentosa esposizione di grovigli e stati psicologici della “coscienza ferita” di singoli poeti. La poesia “confessionale” ricordata e, in un certo senso, corrisposta di Raffaele Piazza, si presenta ancora oggi con un linguaggio di colloquialità diretta, di testimonianza e, appunto, di “confessione”.
È riconoscibile, in una lettura parallela delle sillogi del nostro poeta, il senso drammatico di un passato che si direbbe “organico” nel confronto angosciante di un presente dispersivo e frammentato che avverte, anche oscuramente, la transizione verso un’età di disagio e lacerazione. Di conseguenza notiamo una complicità di citazioni inevitabili sia della Saxton, suicida a 46 anni, con la bostoniana Sylvia Plath (1932-1963) anche lei suicida a 31 anni e la “Mirta nel mio specchio” (p. 27) che parlava al poeta “anche lei suicida/ Dicevi la vita/ è bruttissima come una/ bambina di 44 anni” e poi ancora in “Mirta Amica” (p. 28).
Mi tornano in mente anni passati della poesia italiana alle soglie del Novecento, che segnarono un passaggio che la nuova silloge di Piazza testimonia implicitamente. Una poetessa del tutto “marginale” fu l’esile ed umbratile Luisa Giacomi (Firenze 1870.1908) con una sua nuova ed inquietante modernità come in questi versi de “L’alba” quando (va. 13 e sa.) “L’ombra riprese i fantasmi/ e riaccostò le sue porte. / Di là, il silenzio, la morte/ il giorno dolce di qua/ il giorno ch’è tra due notti/ come la vita nel nulla/ che nel mistero ci culla/ un sogno anch’esso e non più/.
Vedo un mondo altrettanto claustrale di Piazza costantemente coinvolto, tra antico e postmoderno anche in questa “Linea di poesia delle tue fragole”. Il suo postmoderno, lo incontro ancora qui nelle originali efflorescenze di donna e nel processo di disvelamento e occultamento di territori linguistici assolutamente liberati da angosce, esorcizzate da fiori che non hanno bisogno di terra, da significati consueti che si atomizzano nella polverizzazione di anonime storie personali, quasi una scena teatrale privata volutamente di quinte logiche e di uscite di sicurezza. La donna sentita nel mondo che non c’è più, era quella dipinta dalla sognante Ami Lowell (1874-1925): “I tuoi passi/ semina di gigli/. Il movimento delle tue mani/ festa di campane…/ Le tue fantasie/ sono le vespe striate di oro e di nero/ che ronzano tra le nuvole rosse/.
In quanto “soggetto radicale” il nostro poeta ha costruito negli anni un suo mondo claustrale dove pendono, dalle pareti iridescenti del suo eremo del cuore, le rade illuminazioni poetiche accese nel nostro tempo indecifrato ed iperconnesso, tutte accese nella sacralità di una stanza privata dove riscopre le radici necessarie alla sua poetica.
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Franco Celenza

venerdì 21 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ORONZO LIUZZI

Oronzo Liuzzi – Condivido----puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2014 – pagg. 89 - € 11,00

Oronzo Liuzzi è nato a Fasano (BR) nel 1949; ha pubblicato numerose raccolte di poesia e romanzi.
Condivido, il libro di Liuzzi che prendiamo in considerazione in questa sede, composito e ben strutturato architettonicamente, è costituito da undici componimenti, che, per la loro estensione notevole, possono essere letti come dei poemetti autonomi, anche se legati tra loro dal filo rosso del comune denominatore di una forma icastica e ben controllata.
Le composizioni che costituiscono il testo sono: Ercole, Incredibile sorriso, Trasformati forse, Per una nuova vita, Un cuore bianco di dolore, Sara, La vita s’incontra, E mentre le nuvole, L’amore sempre, Nel bosco un corpo sogna, Poesia di carta.
Da mettere in rilievo la tecnica compositiva di ogni singolo testo, che include citazioni in corsivo di brani prelevati da vari autori e autrici da libri di poesia.
La scrittura combinatoria dell’autore, nel suo fare interagire nella dinamica testuale brani propri e di altri poeti, crea un effetto di straniamento e rende intriganti, composite e articolate le singole parti del libro.
Cifra costante di Condivido è quella di uno stile sinuoso, leggero e scattante, che sottende una certa ansia controllata nel poiein del Nostro.
La versificazione procede per accumulo ed è connotata da una forte densità metaforica e sinestesica e il tessuto linguistico spesso s’impenna in accensioni e spegnimenti.
Quasi sempre nei testi la stesura dei versi avviene in lunga ed ininterrotta sequenza, in un fluire scrosciante dei sintagmi, che si potrebbe definire come espressione di una tormentata espressione Liberty o neobarocca.
Spesso la scrittura ha delle scissioni intrinseche tra significati e significanti, che portano alla costruzione di lunghe strofe che presentano andamenti e toni anarchici, fino a sfiorare l’alogico.
Costante è un linguaggio oscuro, che tende ad un inconscio controllato, anche se, a volte, si aprono squarci meno enigmatici nel versificare di Liuzzi.
Serpeggia in tutto il libro un senso drammatico che trae origine dalla vita vissuta in prima persona dall’autore, che è come una fotografia che trova il suo negativo nella stesura delle stesse poesie.
Il tono è assolutamente antilirico e antielegiaco e tende ad una forma personalissima di neosperimentalismo.
Viene da chiedersi quali siano state le motivazioni del poeta nella scelta del titolo Condivido: la risposta a tale domanda risiede nel fatto che, presumibilmente, l’autore pensa di condividere la scissione dalla realtà e dalla natura con i suoi lettori e con l’umanità, frattura sanabile solo attraverso il mezzo salvifico della pratica della stessa poesia.
*
Raffaele Piazza

giovedì 20 febbraio 2020

POESIA = GINO RAGO


(Con un commento di Giorgio Linguaglossa)

"Il liquido reagente"

Cara Signora Jolanda W.,

Il mio Amico di Istanbul
dice che possediamo il Liquido Reagente.

Ma chi davvero svela all’Occidente l’enigma
[dell’Occidente

e il messaggio di aiuto nella bottiglia?
Lei parla con saggezza del Prodotto Interno

[della Felicità,
del fatturato della Felicità in vigore nel Butan.

Forse nel Butan era un sogno
e il rompicapo di misurare il PIF

non finiva con la luna piena.
Anche Lei conosce le cene cifrate, i segreti delle
[scarpe

che si toccano sotto il tavolo.
Sa, il motore della sofferenza dei poeti gracchia

sempre nello stesso istante del mondo,
questo mondo Lei e io lo chiamiamo “Rebus”

perché se ne infischia delle nostre domande.
*
[Da I platani sul Tevere diventano betulle,
Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2020, pp. 175, 12 Euro]

*

Commento di Giorgio Linguaglossa

Questa è una «poesia-polittico»: Gino Rago ha inventato di sana pianta un nuovo genere di poesia nel «Dopo il Moderno». Questa «poesia-polittico» è simile a un affresco rinascimentale dove ci sono molte e disparate cose qua e là, compreso un «Liquido reagente» che non si sa a cosa debba reagire, oltre a personaggi inventati e scam-bi di vedute tra interlocutori distanti migliaia di chilometri in un mondo ad una unica dimensione (sovranista, mediatico e populista).

In un certo senso, siamo molto oltre la grande elegia del passato recente che ha in Brodskij il suo grande poeta: ma con lui e dopo di lui l’elegia è diventata impercorribile perché una elegia per fiorire ha bisogno di una «casa», di una Heimat, di un «esilio», di una nostalgia…

Noi oggi non abbiamo piu una «casa» dove sostare e non possiamo avere neanche la nobiltà di un «esilio», e allora non rimane che la «poesia cartografia», la «poesia-polittico», la poesia che sfonda e sfocia nel futuro e nel passato ma senza alcun rammarico, come su una slitta e, direi, anche senza un presente…

In questa poesia c’e tutto: il passato e il futuro ma, incredibile, non c’è il presente, sintomo evidente di una

anomalia del nostro mondo… E qui sembrerebbe che la vicenda dell’homo sapiens e della metafisica occidentale

(«Ma chi davvero svela all’Occidente l’enigma dell’Occidente» scrive Rago), sia arrivata a compimento.

Le parole dei poeti diventano sempre più «deboli », la significazione poetica diventa sempre più «debole», le parole si sono raffreddate, dormono il loro sonno iperbarico e iperboreo…

Ci sono in giro delle notizie, delle percezioni circa questo ondeggiante indebolimento delle parole e anche i colori dell’odierno design sembrano attecchiti dal medesimo indebolimento, sono meno intensi, meno traumatici, si sbiadiscono, assumono lateralità, sembrano quasi perdere sostanza, sembrano attinti da una forza nientificante e nullificante.

Non ci sono più, oggi, e sarebbe impensabile, i colori formattati alla maniera della avanguardia pop degli anni Sessanta; sono lontanissimi i tempi dei colori squillanti e piatti di Andy Warhol e Roy Lichtenstein, oggi i colori dell’odierno design sono freddi e slontananti, deboli e gracili.

Ci muoviamo in un universo simbolico fitto di indebolimento e di cancellazione della memoria, sembra quasi impossibile riprendere il bandolo di una parola pesante, sembra uno sforzo titanico, una inutile fatica di Sisifo. Eppure, e soltanto in questa dimensione amniotica che la poesia di oggi può muoversi, non c’e altra strada che inoltrarsi in questo universo

di parole slontananti, iperbariche, in via di indebolimento.

Chi non l’ha capito continua a fare la poesia del postminimalismo, della retorizzazione del corpo, del privatismo.

L’avevano capito bene Helle Busacca quando da alle stampe I quanti del suicidio (1972) con quel suo linguaggio da spazzatura, vile e sordido, volutamente a-poetico e Maria Rosaria Madonna quando scrive in quel suo linguaggio di

frantumi di specchi che e il neolatino di Stige (1992), libro ripubblicato con le poesie inedite dalle Edizioni Progetto

Cultura (2018) che raccomando a tutti di leggere: uno dei capolavori della poesia del Novecento italiano.

Adesso, finalmente, la poesia italiana ha ripreso a pensare in grande, a tracciare il cardo e il decumano di una «poesia polittico» che abbraccia il pensato e l’impensato, il dicibile e l’indicibile, il possibile e l’impossibile.

Per altezza di impegno edittale la poesia di Gino Rago mi fa pensare a libri come Lettere alla SignoraSchubert di Ewa Lipska e al ciclo di poesie de Il Signor Cogito di Zbigniew Herbert. Anche Rago, infatti, torna al punto della vexata quaestio: il problema del nome e della cosa e se la poesia debba nominare la cosa o no, se il discorso nominante ha ancora senso o no, se il discorso nominante sia parola del destino o no.

In realtà, il linguaggio diventa istanza di verità solo con la coscienza della non identità dell’espressione con il denotato, solo se il linguaggio accetta l’assunto secondo il quale nell’espressione nome e cosa si diversificano, tendono ad allontanarsi, altrimenti diventa ricettacolo del postribolo della significazione, adulterio della significazione.

Giorgio Linguaglossa

mercoledì 19 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIUSEPPE IULIANO

Giuseppe Iuliano : “Parole d’amore” – Ed. Delta 3 – 2020 – pagg. 96 - € 10,00
“Condottiero affido al tuo grembo/ la mia disperata cospirazione/ il coltello, la mano, la voce./ I miei sospiri d’amante/ sono l’altra parte/ di umanità quella solo mia/ che invoca amore per amore.” Con questi versi si apre un vero e proprio “canzoniere”, che implora e insegue Eros, con i versi prodigiosamente colorati dalle pennellate, incisive e nello stesso momento morbide, che il poeta cesella nella pagina. Vibra la parola per quella meravigliosa rincorsa che il fremito d’amore riesce a mulinare tra le fibre della carne, del cuore, del pensiero, in un canto che aleggia dal sussurro sino all’invocazione. Per serrare il cuore nella morsa dei sussulti il verso ha il richiamo improvviso, quasi “gemma fiorita avanti la giusta stagione”, capace di vertigini e di bagliori. La forte accensione del desiderio è il momento sorgivo dell’ispirazione, alla base dell’invenzione poetica, capace di un percorso di aspettazione che rende il canto forza trasfiguratrice, come una scena onirica dalla forte pregnanza visiva e metamorfica. La realizzazione del “capriccio”, nell’inquietante esperienza amorosa, tocca gli alti estremi della consapevolezza sentimentale e dà forma alla partecipazione del sub conscio in quei termini che sono una vera e propria espansione dell’io poetante. Il sogno e la nostalgia, l’illusione e la tenerezza ritornano come alterità che unisce e consente il rispecchiamento nell’immagine stessa dell’amante.
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia e il messaggio in bottiglia"

Fiorevole incanto di sera
sul sagrato del mare
spiaggia e Castel dell’Ovo
ancora esiste sotteso
a plenilunio sul Mediterraneo
sul cui bordo ha acceso
Alessia una candela.
Verde bottiglia a contenere
il foglio, vetro venuto da
lontano. Ispirata Alessia
legge e trasale poi
custodisce lieta il segreto
da nemmeno a Mirta
da rivelare.
*
Raffaele Piazza

lunedì 17 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = FABIO TRONCARELLI

Fabio Troncarelli – Parole in aria---puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pagg. 59 - € 8.50

Parole in aria di Fabio Troncarelli, nato a Roma nel 1948, è il testo vincitore della sezione “Silloge inedita” al “Premio Astrolabio 2013”.
La raccolta, complessa e articolata, è scandita in tre sezioni. Cose leggere e vaganti, La morte dell’estate e Vent’anni dopo, costituita unicamente dal poemetto Villa Pamphili
Il libro si chiude con il saggio di Valeria Serofilli, intitolato Solida levità e mutevole persistenza nella poesia di Fabio Troncarelli.
I componimenti di Parole in aria sono tutti ben risolti ed egregiamente strutturati architettonicamente e sono connotati da una vena caratterizzata da chiarezza, nitore, velocità e luminosità.
Strutturalmente sono costituiti da frasi brevi e quasi staccate tra loro, essendo frequente la punteggiatura.
Questo procedimento intensifica la forza naturale dell’ordine del discorso, producendo una forte icasticità.
Scarso è lo scarto poetico dalla lingua standard e non è presente una grande densità metaforica e sinestesica.
La dizione è avvertita e il poeta con stile originale invera sulla pagina brani originali di grande bellezza e modernità.
La cifra che connota il libro è proprio quella di una vena, che si potrebbe definire vagamente neolirica, che elude ogni banalità e crea un tessuto denso, scabro ed essenziale, nella sua valenza narrativa e spesso affabulante.
C’è spesso dissolvenza che si coniuga ad una limpida bellezza che tocca a volte la vetta di una magistrale magia. raggiunta da versi che decollano nel loro incipit sulla pagina senza sforzo, come librandosi per un incantesimo della parola stessa, detta con urgenza che si fa corpo e anima nel suo dirsi, schiudendo per il lettore vette di fascino indiscutibile.
Sia che il poeta si rivolga al cielo, muto interlocutore, fino ad ospitarlo nella sua casa, sia che descriva una donna, entrando profondamente nel suo animo e nel suo intimo, con metafore naturalistiche, lo fa con grande eleganza e levità con una forma ben dosata e alta.
Tutto pare avvenire, in questa poetica, per un meccanismo, che parte dalla descrizione di ciò che circonda il poeta, per giungere ad un’interiorizzazione dell’esistente, che si fa parola poetica, con il suo valore salvifico, aprendo varchi per momenti irripetibili.
Sono presenti nei versi descrizioni naturalistiche che non hanno niente di elegiaco, ma che sono sottese ad immagini rarefatte che ispirano una certa freddezza nelle stesure concentratissime.
Un altro tema è quello della morte presentata con una certa ironia quando in Album, una composizione breve, tra le tante lunghe, il poeta si rivolge al padre morto, nello scorgere una sua fotografia, nella quale il genitore è insieme alla madre nell’atto felice di tagliare una torta per una ricorrenza mentre scoppia di salute.
Parole in aria, nella loro leggerezza, che sottende una forte coscienza letteraria, un libro da leggere con piacere nell’identificarsi con le situazioni messe in scena da Troncarelli, che possono fare parte della vita di tutti.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = PAOLO OTTAVIANI

Paolo Ottaviani – Nel rispetto del cielo--puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pag. 171 - € 16,00

Paolo Ottaviani è nato a Norcia nel 1948; ha pubblicato varie raccolte di poesia.
Nel rispetto del cielo rappresenta l’esito più alto del poeta umbro e include uno scritto critico di Mauro Ferrari intitolato La felice classicità di Paolo Ottaviani.
In apertura ritroviamo la nota dello stesso Ottaviani intitolata Avvertenze.
Il testo è corposo ed esteso e va oltre le dimensioni consuete dei libri di poesia.
Il libro è denso e articolato a livello architettonico.
E’scandito nelle seguenti sezioni: Poemetti, suddivisa in Geminario, Il felice gioco delle trecce e Trecce sparse, Haiku e Trihaiku e Poesie sparse ed altre rime.
Una molteplicità di forme connota il poiein di Ottaviani, autore che dimostra una piena coscienza letteraria dei propri intenti, una maturità acquisita e affinata con il passare del tempo.
Il poeta si cimenta in vari generi poetici, ottenendo di volta in volta esiti alti.
Sono presenti anche componimenti in vernacolo.
Interessante la composizione Progemino II, costituita da dieci terzine libere.
Da notare che il Nostro, nella suddetta, produce rime alternate, che intensificano il senso dell’icasticità attraverso la ridondanza.
In Progemino II il poeta si ripiega sulla poesia stessa, riflette sui suoi meccanismi genetici, raggiungendo, pur nella chiarezza, una forma di notevole straniamento.
I versi si susseguono in maniera elegante, senza il minimo sforzo apparente e le immagini prodotte dai sintagmi sono tutte correlate tra loro fino a formare una densa trama.
Si tratta di un tessuto linguistico connotato da leggerezza, precisione e velocità, che ha la capacità di non ripetersi mai, di rinnovarsi in ogni espressione detta con urgenza.
La poetica di Paolo Ottaviani si può considerare neolirica con una forte effusione dell’io-poetante che, di passaggio in passaggio, mette in scena sé stesso.
Fa bene Mauro Ferrari a parlare di Felice classicità, per quanto riguarda questa poesia, che è sempre misurata e controllata in ogni sua sfumatura.
Bella la composizione, nella quale, in terzine dai versi brevi Ottaviani descrive una corsa in bicicletta in un’idilliaca campagna.
Qui è detta splendidamente una natura che non è assolutamente pittura né tantomeno oleografia; è invece la vita stessa che si rivela negli elementi naturalistici con la sua gioia e il suo dolore, nei sembianti nudi e crudi, belli e affascinanti di ogni elemento.
*
Raffaele Piazza

domenica 16 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = NICOLA BARONTI

Nicola Baronti – L’ostensione della Sindone (Poesie 2010 – 2015)--puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pagg. 71 - € 10,00

Nicola Baronti, l’autore del libro di poesia, che prendiamo in considerazione in questa sede, è nato nel 1963 a Vinci (FI).
Ha pubblicato varie raccolte poetiche e testi di altro genere.
L’ostensione della Sindone è un’opera molto composita a livello architettonico.
Infatti è scandita in quattro sezioni, differenziate tra loro e, nella prima di queste, è inserita la sequenza La fila perenne, scritta con caratteri molto piccoli, che presenta versi di lunghezza regolare, centrati sulla pagina.
I nomi delle parti, che costituiscono la raccolta, sono: Il canto di Tommaso, Contrappello, Piazza Castello e Calvari toscani (2013 – 2015).
Spesso il tono usato dall’autore è affabulante e quasi narrativo e, costantemente, si riscontrano chiarezza nitore leggerezza e luminosità nel dettato.
La cifra distintiva, espressa da Baronti, consiste in un afflato mistico che permea i versi, che si risolve nella rappresentazione di un Dio immanente, che trova il suo simbolo nella Sacra Sindone, che è la protagonista dell’opera.
Si rincontra, in tutta la stesura, il senso del mistero davanti al sacro, che viene calato nella quotidianità.
Tutti i versi sono connotati da grande bellezza, la forma è elegante e si riscontra una grande sicurezza nel poiein.
Attraverso la poesia la Sindone diviene “il libro” in cui leggere la venuta di Cristo nella Storia.
Molte descrizioni riguardano situazioni che avvengono nella normalità della vita.
Nel componimento iniziale, attraverso immagini raffinate e ben cesellate, vengono detti osservatori della stessa Sindone di varie appartenenze religiose, come le badanti ortodosse e i confuciani dell’attimo fuggente (oltre naturalmente ai cattolici).
Quanto suddetto è un elemento molto interessante perché crea una coerente coesione tra i vari tipi di esponenti delle religioni, forme tra loro diversissime, nella ricerca del sovrasensibile, ma tutte accomunate dalla stessa sete di qualcosa che vada oltre la mera materialità.
A questo proposito va ricordata la fondazione della Giornata mondiale delle religioni, istituita da Giovanni Paolo II, che si tiene ad Assisi, e che ha lo scopo di fare ritrovare fratellanza e pace attraverso il dialogo tra i praticanti delle varie religioni stesse.
L’io poetante si pone nei confronti della realtà in modo critico e attento, nel tentativo riuscito del captarne l’essenza e farne poesia.
L’ostensione della Sindone, anche per l’argomento trattato, quello della messa in mostra della Sindone stessa, è un’opera caratterizzata da magia e sospensione.
La poetica di Nicola risente di una spiritualità sincera, senza ipocrisie o mediazioni nei riguardi di una ricerca dell’assoluto e del trascendente.
Un approccio positivo alla vita, quello che si legge nei versi di Baronti, sotteso ad una forma di religiosità felice e disincantata.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = LILIANA MANETTI

Liliana Manetti : “Colore di donna” – Ed. Santelli – 2019 –
Interessante leggere con attenzione l’introduzione che la stessa Manetti scrive in questo volume, ricco di vertiginose figurazioni e delicati sfioramenti nel sub conscio. Ella insiste con attento ricamo sulle radici che si intrecciano nelle scorie esistenziali che la vita mescola al quotidiano, in un clima che non è precisamente identificabile, ma che con il parlato ed il gridato tesse le immagini della trasparenza, vuoi dell’anima, vuoi del dolore.
Figure ed immagini di una vicenda privata sembrano conquistare un loro ben preciso colore, qui impregnate nella universalità, con le punte anche acri di una indipendenza che brucia le parentele culturali, quasi bagaglio limbiale. La pregnanza morale si alterna alla adagiata discorsività di chi vuole aprire un diario, con gli idoli tutti al loro posto, ma sagacemente sottesi alla vicenda legata ad alcune acquisizioni personali. La poesia sembra destinata a deporre qualche dimensione della verità, anche se nel recupero di particolari pensieri o ricordi biografici. Si delinea nelle pagine il segno del sub conscio che insiste per una liberazione finale. “Nell’accezione psicoanalitica, ma anche nello psicodramma di Jacob Levi Moreno,- scrive Liliana- nelle recenti psicoterapie espressive, nell'arte-terapia, nonché nel Rebirthing, il termine "catarsi" viene utilizzato sempre con il significato di “scarica, sfogo, espressione, liberazione”, e qui la “catarsi” è essa stessa la sintesi, una ferrea normativa psicologica che informa la stesura del canto.
Tra sogno e realtà si affaccia anche l’amore, nel volto che “gioca nei giardini d’infanzia” tra colori e meraviglie che ammaliano. Su scaglie di cioccolato puro il rimbalzo delle pupille, sveglie per il tocco melodioso che continua ad illuminare le gote, porpora e morbide. La poetessa non vuole arrendersi innanzi ai divieti che la vita propone inesorabilmente, e approda nel ritmo dell’illusione, per il tepore che alimenta rinnovate forze. Il sogno, allora, ha sempre traguardi cesellati dal rosa pallido dell’alba, dipinto dagli attimi che sospendono l’ansia. Il volume si arricchisce di riproduzioni in bianco e nero ed a colori, quasi tutte smaglianti per i profili di donna e gonne rigonfie.
ANTONIO SPAGNUOLO -

sabato 15 febbraio 2020

POESIA = LILIANA MANETTI

"Muro di poesia"

Muro di poesia…
Sostiene
Tutti i miei sogni infranti
Tutti i miei sogni finiti
Tutti i miei cieli di sole
Di un sole che non muore mai…
Respingo la spinta inarrestabile del destino,
e mantengo
il mio sorriso
truccato di verde speranza!
*
"Mondo di poesia".

Leggo parole d’argento
Come preziosi gioielli scintillano
Davanti ai miei occhi stupiti…
Come note sinuose di una sinfonia
Suonata da cuori all’unisono
Anime nobili
Anime sensibili
Di poeti senza tempo…
Ora la certezza si fa reale
Ora mi sento in comunione con il mondo…
Il mio volo solitario è solo un vago ricordo…
Volteggio senza ali
In questo cielo azzurro
E intorno tanti occhi
Tante mani
Tante anime sorelle
Canto la gioia che mi esplode negli occhi
Viva
Finalmente via
In questo mondo di poesia.
*
"Rivoglio le mie ali".

Vita restituiscimi i miei sogni!
Quella vita sempre immaginata…
Quella storia che mi sono sempre raccontata
Ancora aleggia nei miei desideri!
Speranza lotta contro i momenti bui
Del mio vagare…
La meta porta in vetta,
la voglia di non arrendersi mai
mi trascina
in percorsi inesplorati
ma da sempre impressi
nella mappa geografica della mia vita!
Striature colorate…
Vedo in lontananza…
Il filo rosso che conduce
ai miei obiettivi piu’ profondi
emerge dalle difficoltà…
Non voglio perdermi:
Rivoglio le mie ali!!!
*
Liliana Manetti

(dal volume "Colore di donna").

SEGNALAZIONE VOLUMI = LAURA FICCO

I quaderni dell’Ussero
A cura di Valeria Serofilli

Laura Ficco – La rinascita della tigre--- Puntoacapo Editrice – Pasturama - (Al) – 2019 – pagg. 67 - € 8.00
Il presente testo, pubblicato nella collana I quaderni dell’Ussero, a cura di Valeria Serofilli, include la raccolta La rinascita della tigre di Laura Ficco e presenta una prefazione della stessa Serofilli articolata e ricca di acribia.
Come afferma la prefatrice è emblematico il titolo della silloge di Laura Ficco La rinascita della tigre, che indica un processo chiaro di identificare una morte, una trasformazione, una rinascita.
Il tutto da parte di un animale che incarna il simbolo stesso della tenacia, della forza.
La tigre può essere intesa, con ogni probabilità, come una personificazione della stessa autrice o, almeno, del suo modo di vedere e interpretare il mondo.
A livello stilistico incontriamo una forte chiarezza del dettato e un tono narrativo.
La poetica della Ficco si può intendere come neolirica, di una liricità moderna che non indugia mai in autocompiacimenti.
L’aggettivazione è molto frequente e ottima è la tenuta dei versi lunghi.
Le composizioni sono caratterizzate da nitore ed eleganza formale e molto spesso sono suddivisi in strofe compatte.
La raccolta non è scandita e presenta poesie diversificate tra loro per argomenti.
Incontriamo il tema del dolore che può essere quello dei prigionieri in un campo di concentramento durante il nazismo, quello di una madre, o quello di Maria per la crocifissione di Gesù.
A volte nei componimenti si constata una forte ansia nel tendere alla gioia: in L’io riflesso la poeta s’immerge in una natura idilliaca fatta di ruscelli, colli e muschio fresco.
Si raggiunge così in questo componimento una linearità dell’incanto in un afflato che raggiunge quasi accenti idilliaci anche se nell’ultima strofa l’io-poetante si rivolge ad un “tu”, del quale ogni riferimento resta taciuto, dicendogli di avvertire da lui un forte disprezzo.
Un alternarsi di sensazioni costella le poesie di La rinascita della tigre, che esprimono sentimenti contrastanti tra loro, tutti sottesi ad una scrittura avvertita e carica di pathos.
Un addentrarsi nei meandri delle sfaccettature della vita che diviene esercizio di conoscenza.
Anche nelle contingenti più tristi ci si può aprire alla speranza, come la tigre che rinasce, grazie a parole icastiche dette con urgenza in modo raffinato dalla poetessa che da anni pratica con successo la scrittura poetica.
Un esempio del varco salvifico che solo la parola poetica può schiudere.
*
Raffaele Piazza

venerdì 14 febbraio 2020

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Paura”
Mi accompagna la paura del racconto
nella vecchia soffitta, che celava vecchi amanti.
Nel dubbio ecco le vibrazioni del precordio
col suo rapido colpo,
a sfidare forse assurde risposte,
in un tempo che del turbamento
ha confidenze di grazia e di spine
oltre l’ossessione.
L’incanto è immoto! Anche la parola
ha il gelo di una traccia per l’attesa
per ripetere il ruvido affanno che dissolve
dolcezze ai margini di graffiti e incisioni.
Nell’umido che il mare festoso per le onde
imprime tra memorie e legni
il mio riscatto ha le scorie della compromissione.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = ELLA CIULLA

"Arpeggio"

siediti e ascolta
che oggi è giorno di conti
smetti questo dimenarti di foglia impazzita
sempre adiacente agli smarrimenti
sempre prossima al bivio delle tempeste
siediti e ascolta
che oggi è giorno di scrivere la fine
a questa storia di respiri violenti
dove stabile si raddensa la condanna
sta la malinconia
alle scale senza accordo
come macina che a morte stritola!
siediti e ascolta
che oggi è giorno di risposta
che spiazzi la tua preghiera di confine
sulle note di un arpeggio viola
la pioggia vigorosa degli occhi scolora
le macerie dei ricordi e la pena
che sempre avvinghia lo sconforto
che sempre ritorna spuma di nebbie
a correnti alternate
ma oggi si sfoglia il mistero di pianta
scerpata squarciata straziata
negata dal vento all’esistenza
e come sacro seme riposto a germogliare
le smarrite stagioni volte al secco
per nuovi mondi fiorire al mondo
in pregiata fusione d’assoluto e fragile
tesse la luna un tappeto di smeraldo
prima che la notte si svegli
confesserò il mio peccato
d’essere né la terra né l'acqua
né il fuoco né l'aria né l'etere
l'essere luminoso che abita in te, quella io sono
la divina presenza che dal tremendo nasce al sublime
che arresta per sempre arresta il vuoto pendolo
dei soffi e delle articolazioni
*
"ANCORA"

Cala il sentiero di ruggine
sui giorni vergognosi e ingiusti
della frantumazione.
Nel continuo trapassare
dell’esistenza muta il paesaggio.

Ma non ringrazio l’inconsapevole
ossessione che non seppe altro che ferire
/Su cosa s’apre la cecità
se la mancanza perseguita, ancora
l’innocenza?
E quale divino spettacolo ci conduce, ancora
alla compromissione?/
se la tolleranza riafferma il danno
di chi beve solo aridità di terra, ancora
e mangia il pungente pane del dolore, ancora
se miseria è la sola stella mattutina e necessità
la sola luna oscura supplicando, ancora
che la misericordia risplenda su di essi
una sola goccia di cura (!)

Strangolata dalla pena la solarità confitta
inchiostrerò questo disonore, ancora e ancora
eludendo la follia delle interpunzioni
dell’errore sacrificale delle mistificazioni
dei cimiteri coltivati a neve dai soffi immemori.
E nella scarna permanenza del crepuscolo serale
occluderò la soglia all’estraneo compianto
disserterò il sublime di riverberanti sfarfallii.
E sarà vortice frontiera e polvere sarà folgore
a squarciare il cielo il mio respiro di grafite.

Ridondante nella giustificata reiterazione
noiosa assillante sarò estenuante, ancora.
*
- ELLA CIULLA

POESIA = LIDIA GUERRIERI

" VENTO "
Viene, leggero come un sogno estivo,
il vento dell'amore dall'oscuro
di profonde regioni, e schiara l'aria.
Ti sorprende, talvolta, silenzioso
come alito di viole al primo sole,
altra, è lama di tuono
e il suo frastuono è disorientamento,
che ti scuote e ti guida
per vergini, antichissimi sentieri
oltre le ore slavate e banali,
oltre i pensieri e le rughe del tempo.
Giunge l'amore, luminoso e lieve,
chiudendosi alle spalle vecchie porte
per aprirle su nuove primavere.
E mentre colma le ciglia di stelle
e snebbia gli orizzonti,
rapido passa il vento dell'amore
come la brezza di una notte estiva.
*

Il vento graffia corrucciato l'uscio;
cerca antichi pertugi,
ma più non trova vie per farmi visita.
Tenta di persuadermi, a volte, in nome
di certe vecchie storie fra di noi
quando la confidenza era continua
nei lunghi giorni lividi
in cui l'Inverno saliva dal mare
a mordermi le mani
ed i miei sogni erano frutti acerbi.
Fatti passati, ormai!
Se li è ingoiati il tempo
col vecchio sillabario di vapore,
e tutto quel che ho amato.
Superstite, galleggio in questo nuovo
tepore dove al largo mi trascinano
esuvie di ogni cosa.
E una lenta risacca
di sfinimento, ecco mi raggiunge!
una stanchezza quieta
come di stelle che, arrese, si spengono.
*
E così te ne vai
anche sapendo che ti vorrei ancora
nonostante i tuoi inganni;
si sciolgono le dita
e non c'è come io possa trattenerti.
Vicina, già ti sento allontanarti
come il vento che vola sulle siepi
e passa oltre; e tu mi volgi il viso
quasi fossimo estranee;
pure ne abbiamo fatta strada insieme
cadendo e consolandoci;
quanti silenzi abbiamo condiviso!
quante volte ci siamo trattenute
a contare le stelle, noi due sole
immerse nella luna! Ed io ti ho amata,
ti ho amata, tanto, vita!
Ed in nulla ti ho mosso mai rimprovero.
Ma te ne vai in leggiadra sicurezza;
mi sfumi accanto e non ti trema il passo
né la tua bella fronte alcuna ruga
di pena per me incrina.
Te ne vai indifferente,
come quello che ha assolto il proprio compito
e quasi con sollievo taglia il filo.
*
LIDIA GUERRIERI


giovedì 13 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = LAURA MEINI

I quaderni dell’Ussero
a cura di Valeria Serofilli
*
Laura Meini – Impronte---puntoacapo Editrice – Pasturama (Al) – 2019 – pagg. 69 - € 8.00

Laura Meini è nata a Livorno; ha pubblicato una serie di poesie nella collana Viaggi in versi.
Le sue poesie abbinano l’elemento autobiografico, le memorie di eventi vissuti, alla descrizione degli elementi della natura, in particolare il mare, con intenti simbolici e allegorici.
Impronte, la silloge della Meini, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Valeria Serofilli, che riesce a cogliere con grande acribia gli aspetti della poetica dell’autrice.
Cifra essenziale della scrittura di Laura è quella della ricerca e del ritrovamento di una linearità dell’incanto, di una vena neolirica tout-court che tende alla ricerca dello stupore e dell’incanto con una vaga visionarietà.
La raccolta non è scandita e, per la sua unitarietà, e la sua coesione interna può essere letta come un poemetto.
Chiarezza, nitore, luminosità e leggerezza caratterizzano questo libro che, ad una prima lettura potrebbe, sembrare elementare nell’universo letterario della contemporaneità, nel quale predominano forme che tendono alla complessità.
La Meini, pur nella sua semplicità, riesce a produrre un gioco di accensioni e spegnimenti, attraverso una parola detta con urgenza e ben controllata, sempre in bilico tra gioia e dolore.
La raccolta si apre con la poesia eponima nella quale la parola Impronte si ripete all’inizio di ogni strofa cinque volte creando un riuscito procedimento anaforico e una certa ridondanza.
L’impronta diviene simbolo di una traccia, di qualcosa di vago e significativo che resta indelebile nella memoria che si fa verbo.
Frequente è l’uso dell’aggettivazione in questo libro che in molti momenti raggiunge una certa vena elegiaca.
Protagonista della raccolta è la natura contemplata e vissuta felicemente in tutti i suoi palpiti e le sue meravigliose bellezze e, talvolta, nella natura stessa, tra ulivi, campi di grano e cipressi può stagliarsi un edificio, un’antica abbazia, un elemento della cultura, per esempio nella composizione Sant’Antimo.
Poetica della contemplazione quella della Meini, attraverso il doppio livello dello sguardo puntato sul mondo esterno e quello della ricerca e della tensione verso il ricordo, un passato che non potrà tornare e che si può riattualizzare solo nei versi, come in Scalando le mura del passato, dove la poeta si rivolge ad una rosa dai petali vellutati, sfioriti, quasi pronti a cadere; la rosa qui diviene regina del giardino ma anche solo illusione della mente.
È presente anche una vena mistica in questi componimenti che sono spesso un inno alla vita, anche se è presente il tema della morte attraverso testi dedicati ad amici e amiche scomparsi.
Come scrive la Serofilli nella prefazione, una scoperta, progressiva e costante del mondo esteriore ed interiore osservato con stupore e rinnovata meraviglia, istante dopo istante, caratterizza le liriche della Meini.
*
Raffaele Piazza

mercoledì 12 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUANA FABIANO

Luana Fabiano – Respiri violati---puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pagg. 79 - € 10,00

Luana Fabiano nasce a Catanzaro nel 1978; ha pubblicato nel 2013 la silloge I canoni della speranza, che è risultata finalista al Premio Internazionale di Poesia, Prosa e Arti Figurative “Il Convivio 2013”.
Con Respiri violati la poeta raggiunge la sua piena maturità espressiva.
Il testo, ben articolato architettonicamente, presenta una prefazione di Antonio Spagnuolo ricca di acribia ed è scandito in due sezioni: Bellezza confinata e quella eponima.
Come scrive lo stesso Spagnuolo, la Fabiano, in questa silloge, ha cercato di dare respiro a tutta quell’umanità dimenticata, nel caso dei manicomi, ad esempio, o all’umanità abusata dei bambini, tanti cappuccetti rossi.
Una vena di drammaticità connota la raccolta, elemento che bene si combina con una certa pesantezza del dettato, da non intendersi in senso negativo.
Una scrittura corposa e magmatica caratterizza i testi, fattore che si amalgama bene alle loro dimensioni, alla loro estensione, quasi sempre notevole.
Caratterizzano la poetica dell’autrice magia e sospensione; frequente è l’aggettivazione,
I componimenti hanno una forte densità metaforica e sinestesica e spesso, nel tessuto linguistico, si realizzano accensioni e spegnimenti, con un forte scarto dalla lingua standard.
La scrittura è del tutto antilirica ed antielegiaca e spesso vagamente anarchica, fino a sfiorare l’alogico.
Cifra essenziale del testo pare essere l’originalità, che si collega ad una notevole icasticità.
La lettura dell’opera potrebbe far trapelare, nella mente del lettore, una visione del mondo pessimistica: questo è vero in gran parte, anche se l’autrice non si geme mai addosso, producendo una scrittura controllata; anche nel peggiore dei mali aleggia un senso di vaga speranza.
Le descrizioni procedono per accumulo di immagini ben delineate che s’intersecano le une con le altre e che sono irrelate tra loro.
Le poesie sono sempre lunghe e molto dense a livello semantico e spesso il non senso domina nella scrittura e le descrizioni sono crude nel loro delinearsi in bilico tra gioia e dolore.
Il ritmo dei sintagmi è serrato e produce musicalità e le descrizioni naturalistiche sono rarefatte e intense, soprattutto nel tracciare immagini di vegetazioni che tendono ad una profonda bellezza, una bellezza confinata nel dolore dell’esserci nel mondo.
Colpisce, soprattutto nella seconda sezione, una vena affabulante nel dipanarsi dei versi dell’autrice sempre ben cesellati con grande raffinatezza con uno stile elegante.
A volte s’incontra un tu al quale Luana si rivolge, figura del quale ogni riferimento resta taciuto.
Già dal titolo Respiri violati si evince la forte carica del male che connota questa scrittura: se il respiro sottende la vita, violare il respiro stesso è qualcosa che va contro ogni principio etico.
*
Raffaele Piazza.

PREMIO = APOLLO DIONISIACO

L’Annuale Internazionale Romana Apollo dionisiaco invita alla celebrazione del senso della bellezza di Poesia e d’Arte Contemporanea

L'Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea, polo no profit di libera creazione, ricerca e significazione del linguaggio poetico e artistico, in convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, con il patrocinio della Regione Lazio, di Roma Capitale e dell’Istituto Italiano di Cultura di New York, bandisce la VII Edizione 2020 del Premio Internazionale di Poesia e Arte Contemporanea Apollo dionisiaco, senza scopo di lucro.

Opere in poesia e opere d’arte visiva, in pittura, scultura, grafica e fotografia, edite o inedite, di autori e artisti di ogni età, libera formazione e nazionalità, sono attese entro il 5 giugno 2020 via e-mail all'indirizzo: accademia.poesiarte@libero.it

L’evento culturale celebra l’espressione creativa, è volto al riconoscimento e alla valorizzazione del senso di Arte e di Poesia, contro il giudizio omologante e la quantificazione, per la libertà di essere dall’emozione al pensiero. L’analisi critica in semiotica estetica delle opere dell’Annuale Internazionale Romana Apollo dionisiaco cerimonia il senso della bellezza dell’arte come arto del vivere, che muove e congiunge ombra e luce, silenzio e parola, nell’atto d’integrazione della vita nell’arte e dell’arte nella vita, per nuovi mondi venire al mondo.
Fra Arte in mostra, Poesia in voce, diplomi, critica delle opere a firma della presidente prof.ssa Fulvia Minetti, pubblicazione nella Mostra dell’Arte Contemporanea online e nell’Antologia della Poesia Contemporanea online e trofei in medaglia “Apollo dionisiaco” in pregiata fusione artigianale del laboratorio orafo di Via Margutta 51 in Roma, effigie del bacio di sintesi di dionisiaco e d’apollineo, d’inconscio e di coscienza nel senso, il premio si terrà il 7 novembre 2020 al duecentesco Castello della Castelluccia in Roma.

Informazioni:
Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea di Roma E-mail: accademia.poesiarte@libero.it Sito Edizioni Premio: http://www.accademiapoesiarte.it

Sito Antologia, Mostra, Critiche e Video: https://www.accademiapoesiarte.com

lunedì 10 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = GILBERTO FINZI

GILBERTO FINZI : "Parole a guardia del futuro" -a cura di Vincenzo Guarracino - Ed. Puntoacapo - 2020 - pagg.134 -€ 15,00
Nella collana Percorsi appare un omaggio ricchissimo per Gilberto Finzi,(nato a Mantova nel 1927 e morto a Milano nel 2014) con la realizzazione di una miniantologia di testi tratti dai volumi editi nell'arco della sua feconda e rigorosa esistenza ed un' appendice con bibliografia e testimonianze. "Il riconoscimento - scrive Guarracino - di un ruolo conquistato e confermato sul campo, attraverso il lavoro personale e le tante letture, a sostenere quello sforzo dell'invenzione, che solo garantisce la novità e la verità della parola di un poeta".Il tutto per puntualizzare quella che è stata una ricerca severa ed approfondita nell'ambito delle dottrine degli ultimi decenni, per evidenziare tutta un'opera di scandaglio che Gilberto Finzi è stato capace di ricamare con le sue scritture. Il volume, dopo il capitolo iniziale che offre una ricognizione attraverso l'itinerario culturale ed umano del poeta, propone una scelta di testi tratti dai suoi numerosi volumi, da "Poesie laghiste" a "Soldatino d'aria", da "68 e dintorni" a "Diario del giorno prima", da "La nuova arca" a "Poetile". Infine le testimonianze, tutte corpose e policromatiche, sono a firma di Cesare Cavalleri, Angelo Gaccione, Mario Grasso, Anita Guarino Sanesi, Stefano Lanuzza, Franco Manzoni, Angelo Maugeri, Guido Oldani, Ottavio Rossani, Carlo Alberto Sitta, Antonio Spagnuolo, Adam Vaccaro.-
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 9 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = PIETRO SECCHI

Pietro Secchi – Solo gli occhi ci possono salvare--PASSI – puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 135 - € 13,50

Pietro Secchi è nato a Roma il 22/9/1974. È Dottore di Ricerca in Filosofia e collabora con l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Ha pubblicato la monografia Del mar più che del cielo amante. Bruno e Cusano, con prefazione di Michele Ciliberto, Storia e Letteratura, Roma 2006, oltre a numerosi saggi sulla filosofia rinascimentale. In poesia, ha pubblicato le seguenti raccolte: L’altro emisfero, con prefazione di Giorgio Linguaglossa, Lietocolle, Faloppio (CO) 2007; Le arance dormono ancora, con prefazione di Dante Maffia, Lepisma, Roma 2008. È presente in varie antologie edite da Lietocolle e da Aletti.
Solo gli occhi ci possono salvare, il libro di poesia del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una postfazione di Luca Benassi esauriente e ricca di acribia.
Il volume è corposo e non scandito e tutte le poesie incluse sono senza titolo: anche per queste caratteristiche, oltre che per la compattezza stilistica e formale può essere considerato un poemetto.
Complessivamente questa raccolta, carica di sospensione e magia, va intesa come un’effusione dell’io – poetante in ogni singolo componimento e lo stesso io - poetante coincide tout – court con il poeta.
Serpeggia un senso d’inquietudine e non è assente un sentimento del male di vivere montaliano o di quello che Compagnone definiva mal d’aurora, un senso di spleen, di malinconia controllata che nella poesia stessa trova la sua redenzione perché il poeta non si piange mai addosso.
Se la filosofia è una visione critica della realtà c’è da affermare che una vena filosofeggiante connota questo libro che tenderebbe al pessimismo e quasi al nichilismo, ma il varco salvifico è implicito fin dal titolo quando il poeta appunto nomina il potere salvifico degli occhi che sono il primo tramite per relazionarsi con la realtà.
Non a caso Secchi è Dottore in Ricerca in Filosofia e questo lo dimostra perché ogni composizione sembra trovare la sua genesi nell’interrogarsi sulle questioni fondamentali dell’essere e dell’esserci, poetica ontologica dunque.
Con una concentrazione nei sintagmi nel versificare la vicenda dell’io – poetante è inserita nella quotidianità della vita che potrebbe essere quella di ognuno di noi ed è detta con urgenza tra accensioni e spegnimenti subitanei che sottendono un’attenzione ad ogni gesto alla stessa vita – recita che catarticamente è tradotta in poesia.
Vagamente una vena anarchica trapela nelle poesie ma il poeta si mantiene in un regime di chiarezza senza mai sfiorare la l’alogico.
Una dizione criptica aperta all’ipersegno connota stabilmente l’associarsi dei sintagmi negli scattanti e sentiti tessuti linguistici che risultano icastici e leggeri e non mancano aperture alla serenità come nella chiusa: Il bene è domani/ l’ora è la notte.
Cifra intellettualistica raggiunge l’autore con una ricerca avvertita e originale che s’invera in testi raffinati e ben cesellati.
A volte la poesia riflette sulla poesia stessa come nell’incipit: Tutte le metafore sono false, Altrimenti non sarebbero metafore/ Direbbero quello che è/ con la durezza dell’inutile. Qui prevale l’ironia che è un altro ingrediente di queste composizioni: Perché i poeti? / Ormai è stato detto tutto/ ed è stato pure taciuto/ ma paradossalmente proprio dicendo questo l’afasia è superata e superato è l’assunto di Adorno sulla fine della poesia dopo l’Olocausto e la Seconda Guerra Mondiale.
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Raffaele Piazza

sabato 8 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = RITA PACILIO

RITA PACILIO - La venatura della viola, (G. Ladolfi Editore), Borgomanero 2019 - pagg. 56 -- € 10,00

Cosa c’è più nobile di un fiore, per coglierne l’essenza naturalistica e dal volto profondamente umano? Con esso poter combattere l’incuria e l’abbandono, ambire a quel desiderio o destino di bellezza, non solo come atto estetico, ma traguardo imprescindibile per una più degna condizione umana?
L’ultimo libro di Rita Pacilio, “La venatura della viola” (G. Ladolfi Editore – Borgomanero 2019), interroga questo elemento: la venatura. Ossia quel complesso di segni e colori che ramificano su una superficie, con andamento ondulato, serpeggiante. In questo caso, con tutta la delicatezza possibile di un piccolo fiore o petalo, le cui venature diventano dati tangibili, intercapedini tra significato e significante del testo. Ben descrive le derive e gli approdi di una moderna condizione umana. La stessa autrice svela nella nota di apertura del libro gli indizi, lo slancio emotivo, la sacralità, da cui trae origine la sua efficace scrittura. Non importa cosa accade durante il tragitto, il percorso, anche se: Sapevano da tempo la direzione/ dell’ultimo litigio/… Di quel silenzio che irrompe, che mette la parola fine, per darsi un segno di pace, e suggellare la propria libertà. Sapevamo la direzione, che resta comunque, sottointesa e incerta.
L’uomo è colmo di speranza e ragioni, che cova in sé, come il caldo di un gomitolo, o l’intrigo di rami a seppellire gli incontri e le attese. In questo scenario anche il corpo si sente devastato, proprio come il mondo che esso abita. E il lupo, da sempre segno di potenza e maestosità, si lamenta e cede all’agonia, privo di forze ormai. Anche il lupo accarezza la morte. Ed è triste pensare che tutto possa cadere nel caos, nel frastuono, e forse solo le viole raccolte, sapranno con la forza della loro fragilità e delicatezza, indicarci toni nuovi, nuove venature, sogni e illusioni; pur nella povertà che le contraddistingue. Anzi, proprio per questo più vere e vigorose. A tratti possono insegnare, come hanno già fatto illustri pittori, con segni tenui e scoloriti come poter abitare meglio il mondo. Un atto di profonda resilienza e devozione, contro cui qualunque abbandono, potrà aprire alla purezza, alla speranza dell’incontro, per rinascere dalle macerie che ci circondano. Ci immaginiamo, forti, protetti, immortali, ma non lo siamo. Ecco perché è necessario raccogliere l’invito e rifondarci, ripensarci in nuovi modi e mondi di sopravvivenza.
Nessuno può sentirsi escluso o non responsabile delle catastrofi umane alle quali assistiamo. Ci si ammala. Per eccesso di fiducia/ per velocita, per la speranza invecchiata/. Cresce dentro senza preavviso, il ladro./ E gli parli. Devi fartelo amico.//… Ci si ammala per avidità/quando la forma del secolo non ti ha voluta. Sta all’uomo, alla sua sapienza cercare con tutti i mezzi possibili di sfuggire alla trappola, qualunque essa sia, farsi testimonianza tra sé e il mondo che circonda, attento ad infliggere, ogni pena, che ritorna, in un corto circuito. Perché: Non ha portato via niente/nemmeno il nome lasciato sul letto/il fianco o la spalla/non resterà molto del suo orecchio /grande, del naso, l’attesa prolungata/ quando ama, ama tutti, anche se stesso/… Anche la gabbia intorno a letto è rimasta intatta. Lo scudo umano potrà ora fissare solo una porta vuota, stringere il torto, lo sconforto. E non resta che affidarsi alla venatura della viola, che potrà , forse, con un guizzo estremo, indicarci la strada, prima dell’abbandono, della deriva, prima del troppo tardi.
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Lina Salvi

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIORGIO MOBILI

Giorgio Mobili – Waterloo riconquistata--puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2020 – pag. 123 - € 13,00

Giorgio Mobili (1973) vive negli USA dal 1999. Attualmente insegna alla California State University di Fresno. È autore di vari saggi e di uno studio. La sua poesia in lingua italiana è apparsa nel volume collettivo 1° non singolo: Sette poeti italiani (2005) e in varie riviste. Ha pubblicato due raccolte in lingua italiana e una in spagnolo.
Waterloo riconquistata, il volume del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Rossano Pestarino esauriente e ricca di acribia.
Il libro è corposo e composito, bene strutturato architettonicamente.
Il testo è scandito nelle seguenti sezioni: La battaglia, A l’amour comme à la guerra, Intermezzo: undici nostalgie e Situs inversus.
Cifra distintiva della poetica di Nobili espressa nel testo è quella di una poetica intellettualistica che a tratti diviene criptica e oscura con un accumularsi delle immagini, di poesia in poesia, che è spesso caratterizzato da una connotazione anarchica, che giunge a sfiorare l’alogico.
In sintonia con quanto suddetto molti testi hanno per argomento accadimenti storici, fatti di politica, società e costume e anche avvenimenti biblici.
Un’atmosfera di onirismo purgatoriale domina in molti componimenti e nel leggerli, per la magia delle atmosfere evocate, sembra di affondare nella pagina.
Icasticità e leggerezza sono le caratteristiche prevalenti nel libro e il discorso si fa denso e intenso nei vari tessuti linguistici.
Dominano densità metaforica e sinestesica in un rivelarsi di parole che si fanno immagini cariche di accensioni e spegnimenti.
La scarto dalla lingua standard, nel linguaggio di Nobili, raggiunge livelli notevolissimi e l’esito di quella che si potrebbe definire un’originalissima sperimentazione è quello di una scrittura neo orfica, fortemente imbevuta di mistero nella sua controllata ridondanza.
S’incontra nella lettura un tu del quale quasi ogni riferimento resta taciuto, al quale il poeta si rivolge non sentimentalmente, ma in maniera filosofica e speculativa.
Tale misteriosa presenza potrebbe essere identificata come una figura femminile, un’amata, quando il poeta, rivolgendosi a lei, le dice che vorrebbe stare sotto le sue lunghe ciglia.
Del resto in ogni poesia più che mai la tensione dell’io – poetante è quella verso un irrefrenabile, continuo e stabile esercizio di conoscenza, che si dirige di volta in volta, verso ogni campo dell’esperire umano e tutto è imbevuto di una riflessione in bilico tra gioia e dolore, bene e male, vita e morte e sul dualismo luce-ombra.
Nonsense e ironia serpeggiano sulla pagina, un sottile sarcasmo domina, fatto che crea un’aurea di vaga bellezza che coinvolge il lettore.
Il poeta produce spesso raffigurazioni altissime proprio per la loro forte carica di pensiero divergente, pur mantenendosi il tono sempre controllato.
Sembrerebbe che il poiein di Giorgio sfoci nell’irrazionale, ma in realtà c’è un grande rigore logico e per spiegare le intenzioni dell’autore bisogna ricordare che in poesia tutto è presunto: - “…oggi basta gridare/ alla gente da un balcone/ e ti seguiranno in tutto.” …, versi memorabili nella loro ambiguità che fanno davvero riflettere sul senso di straniamento dell’uomo contemporaneo, tematica fondante della raccolta.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIULIO MARCHETTI

Giulio Marchetti : “Specchi ciechi” – Ed. Puntoacapo – 2020 – pagg. 48
Le fulminazioni che il giovane Giulio Marchetti riesce a realizzare in questi brevi componimenti poetici, tutti arroccati su di una superficie pungente che dilania il pensiero, sono vertigini musicali che il preconscio sforna in una valanga di colorate sentenze.
Il vuoto che circonda le figure, che affascina con la illusione di un dopo, che attrae nella espansione della parola, quasi gassosa ed eterea certamente, è un vuoto che possiamo tentare di riempire con il nostro sentimento, con l’ascolto del nostro battito cardiaco, con la premura di una strana e non volubile certezza che anche lo sbandamento può diventare premura per continuare a urlare.
“C’è
– per amore del silenzio –
chi non grida
neppure la sete.
Ma il silenzio è breve
come tutti i sogni
vulnerabili
alle parole.”
Anche il silenzio appartiene alla nostra quotidianità, ma nel silenzio ogni tentativo di presenza deve essere imposto con garbo e carezzevole premura, così che la natura possa evaporare nella spuma di nebbie. Così il centellinare tra l’assoluto ed il fragile, tra il tracciabile ed il rintracciabile, il ritmo della parola incalza come per luminosità improvvise, inclinando il raggio tra il profondo della sensazione ed il riflesso dello specchio, molte volte, come scrive il poeta, specchio cieco, incapace di ripeterci il visibile, nel mentre la solitudine diviene lacerazione e percezione, sino a farci urlare: “… Per quale ignavia/ funesta/ siamo soli (come topi/ dentro le scatole/ dei laboratori)?/ Avanti:/ c’è tutta la vita per vivere/ e un istante/ per morire.”
I frammenti sono “bruciature dell’anima” nell’illusione di trasformare “sassi in altre forme”, quasi a plasmare la natura in un mosaico di luci ed ombre, capace di abbagliare il nostro tragitto avventuroso.
ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 7 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARICA LAROCCHI

Marica Larocchi – Solstizio in cortile---Puntoacapo – Pasturana (Al) - 2019 - pagg. 65 - € 9,00

Lombarda ma di madre slovena, Marica Larocchi è poetessa, narratrice, traduttrice e saggista. Vive e lavora a Monza e collabora a diverse riviste italiane e straniere. La raccolta che prendiamo in considerazione in questa sede, Solstizio nel cortile, è costituita da poesie verticali e armoniche, suddivise in scansioni che sono sequenze più o meno lunghe, i cui componimenti sono numerati. Nella raccolta, compatta dal punto di vista espressivo, riscontriamo una forma composta e composita dei versi, che sono ben controllati scattanti e precisi. Nella poesia, che apre la raccolta, intitolata Retrovisione, incontriamo sospensione e vaghezza: - “Del luogo/ non si aveva memoria/ benché vi aleggiasse/ la cappa di una gloria/ virtuale/ come un nembo/ che studi ma senza/ fragori. Si stava/ lì tra i cigli di un/ crepaccio interiore…”. In questa poesia viene detto un luogo indefinito di cui non si ha memoria è di cui ogni riferimento resta taciuto e i versi, come in quasi ogni poesia della raccolta sono brevissimi, formati da due, tre parole o anche da una sola parola. I componimenti di Solstizio nel cortile sono molto concentrati, scabri ed essenziali e molto infrequente è l’aggettivazione. È presente, in essi, una forte densità metaforica e semantica, un tono che tende all’astratto e all’indistinto e tutto il discorso è pervaso da un senso di forte mistero. I versi sono, talora, gridati e procedono per accumulo; in essi è presente un quotidiano rarefatto che si rivela in epifanie improvvise. Sono poesie, quelle della Larocchi, poesie caratterizzate da una notevole visionarietà. Nelle tre poesie iniziali il tempo è al passato e lo “scenario”, sotteso ai versi è una strada, o forse un’autostrada, pur non essendo assolutamente questa una poesia on the road. Incontriamo, spesso, nel tessuto verbale, frequenti accensioni e spegnimenti, nell’urgenza del dire. Non è quella della Larocchi una poesia di facile lettura in quanto è molto articolata ed è caratterizzata, a livello linguistico, da un forte scarto poetico dalla lingua standard. Ogni sequenza può essere letta come un poemetto piuttosto breve e i vari poemetti sono parte di un’opera o di un poema più vasto. Le sequenze sono intitolate Retrovisione, Solstizio in cortile, La linea della vita, Lascito, Immacolata Concezione, divisa, a sua volta in Nella grotta, Al pascolo, L’apparizione e L’annuncio, Zanzibar, Bellerofonte, Alicada e La visita. Dalle poesie emerge un forte scavo interiore e, molto spesso, è centrale la presenza di una voce poetante che sembra esterna ai versi, voce vagamente paragonabile ad un’eco. È, in tutto il contesto, presente una certa magia che, con un forte senso onirico, traspare attraverso la parola, insieme ad un senso misterico di spaesamento. Il ritmo è molto ben cadenzato, anche per l’eterogenea lunghezza dei versi ed è presente una certa musicalità. Nella sequenza eponima s’inserisce, rispetto alla sequenza suddetta, la presenza di un io-poetante in tre poesie icastiche e cariche di pathos: leggiamo la poesia n°1 di questa sequenza: - “//A lungo ho sperato/ che fosse un volo/ lasco e poderoso/ sopra l’immenso/ brulichio di larve. // Invece è questo/ tuffo molle/ di starna, d’anatra/ muta e di svasso/ in parata dentro/ i crepacci della memoria, / e che riemerge adagio/ con l’infanzia nel becco. //”. Si tratta di un testo molto profondo in cui il volo potrebbe simboleggiare un costante anelito verso la felicità, anche attraverso la parola poetica, attraverso il poiein stesso. L’io poetante afferma di aver sperato in un volo maestoso e felice sopra delle larve, che simboleggiano il male e quanto c’è di brutto nella vita; invece il volo è un tuffo molle dentro i crepacci della memoria; qui più che memoria sembrerebbe un senso di nostalgia, visto come “dolore del ritorno”; una poesia simbolica, dunque, nellla quale viene immaginato un cortile, come teatro di voli di uccelli, voli che rimandano ad altro. Bella anche la seconda poesia di questa sequenza: - “//Pensieri a sciami sono nella cova/ tra licci di/ un’antica fame, / già pronti a divorare/ accenti e toni. // Oggi mi accoglie/ soltanto la cinica/ risacca d’alghe/ riepilogative, / se l’oracolo/ mentitore/ impone ai presagi/ di sprangarmi il cielo. / Restano poche/ spine nel crampo/ della luce//. Nell’incipit di questa poesia i pensieri vengono paragonati a sciami, con una metafora di montaliana memoria: c’è in questa poesia un mescolarsi di parole come pensieri ed elementi naturalistici, come le alghe che divengono riepilogative, in un contesto turbinoso di cieli sprangati e spine del crampo della luce, spine, appunto, simbolo di dolori, anche se collocabili nella luce, una luminosità che tende, presumibilmente, a lenirli. Nella sezione intitolata Le linee della vita, c’è un tu al quale la poetessa si rivolge.-“Forse altrettante cuspidi/ si annette il sogno/ se l’occhio arretra/ oltre le quinte/ dove anche Troia,/ percorsa in torpedone,/ ci accorda magri/ scorci della sua/ scomparsa.// Sbadato!/ Che non ti sei/ accorto dei veli, degli orecchini/ nascosti…/; c’è qui, oltre al tema della sognante contemplazione turistica della città, quello di un dolce erotismo nel citare gli orecchini e i veli nascosti, che il “tu”, non riesce a scorgere.. Complessivamente si può affermare che la cifra fondamentale di Solstizio in cortile, è quella di una scrittura neo orfica, scrittura che si esprime attraverso immagini molto concentrate che, in un incessante fluire, s’incastonano l’una nell’altra. Si tratta di una materia luminosa e magmatica, quella che la Larocchi ci offre, originale nel suo darsi al lettore, in una ricerca tesa ad un esercizio di conoscenza, attraverso la parola poetica, che procede per continue approssimazioni a una cosa che sembra imprendibile nel tempo, come la feritoia di un attimo heidegeriano.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = IVANA TANZI

Ivana Tanzi – Il metro estensibile----Puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pagg. 115 - € 14,00

Ivana Tanzi, l’autrice della raccolta di poesie, che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Parma e vive a Milano; ha pubblicato due libri di versi, Un sasso un sogno ed altro e Stanze e distanze. Il metro estensibile non è scandito e presenta una struttura molto compatta. Tra le caratteristiche salienti della scrittura di questo testo, riscontriamo sospensione e visionarietà; tutte le poesie della raccolta, che presentano diverse estensioni, presentano un titolo. Il versificare, il poiein di Ivana Tanzi, è sempre nitido e scorrevole ed è caratterizzato da uno stile elegante; inoltre va sottolineato che c’è una certa icasticità nella poesia di questo libro, che si coniuga ad una forte luminosità. È costante, in quasi tutte le composizioni della raccolta, un alternarsi di versi di diversa lunghezza e questa caratteristica riesce a infondere musicalità alle poesie e il ritmo è sempre incalzante e sincopato. Il tessuto di queste poesie è caratterizzato da una forte leggerezza e levigatezza delle immagini che la poeta ci presenta. In molti componimenti non manca, inoltre, un senso di onirismo purgatoriale e di mistero, in contesti che potremmo definire venati da un certo neoorfismo. Tutte le composizioni sono ben risolte e compiute; a volte traspare, tra le righe, un senso di ironia ben stemperata, come nella poesia Il letto:-“/Non metto il cappello sul letto/ apposta/ per onorare il detto/ comune a tuo padre/ e mio padre/ che mai nella vita/ si sono nemmeno sfiorati/-“; riscontriamo in questo testo una grande chiarezza, che è cifra distintiva di tutta la poesia di Ivana Tanzi; qui l’ironia è giocata sul tema della scaramanzia, per la quale mettere un cappello sul letto porta sfortuna; inoltre vengono evocate le figure dei padri che, come l’io-poetante evitavano di mettere il cappello sul letto, per cui questa credenza, nel contesto familiare viene storicizzata. Il tema delle poesie è quello dei luoghi, che s’inverano in alcuni ben riusciti squarci paesaggistici come nella poesia Millenovecentosessantuno: - “/ Le montagne alle spalle/, le orgogliose Apuane avrebbero atteso/ ancora quarant’anni/ per fare i conti con un passato che a noi, adolescenti di allora appariva/ remoto. Dei grani anni cinquanta/ non tentava che qualche scampolo/ di spiaggia libera con gli ombrelloni sparsi/ ai confini del porto e la penisola. Dal nostro posto/…” -. Anche in questa poesia, in cui sono presenti minuziose descrizioni, viene evidenziato il senso del tempo, che passa inesorabilmente per le persone e con il quale devono fare i conti anche le Alpi Apuane. La scrittura di Ivana Tanzi è nervosa e scattante. Alcune poesie hanno per argomento fatti di cronaca, avvenimenti sportivi o di costume. Incontriamo un componimento intitolata Undici luglio 1982, dedicato alla vittoria calcistica italiana ai Mondiali di Spagna. Un altro argomento di cronaca, affrontato dall’autrice è quello della nascita della Televisione del dolore, nel giugno del 1981, con la tragica vicenda del piccolo Alfredino, morto tragicamente in un pozzo artesiano a Vermicino, dopo una lunga e dolorosissima agonia: l’intento della poeta, nello scrivere questo componimento, non vuole essere quello di riportare meramente in versi un fatto di cronaca, ma è quello di voler stigmatizzare la nefasta influenza di un certo diffusissimo tipo di televisione, sull’immaginario collettivo e sui singoli, offendendo il senso del dolore attraverso la spettacolarizzazione di fatti tragici e dolorosissimi. C’è una forte eterogeneità nei temi trattati dall’autrice, che vanno da quelli suddetti, a quello amoroso. A volte, attraverso immagini nitide, la poeta descrive scene di quotidianità come quando viene detto il pasto di una famiglia o nominata una lavatrice. È una poesia, quella di Ivana Tanzi, dominata da una grande chiarezza e da un tono narrativo e discorsivo, una poesia dal taglio narrativo, cosa rara nell’ambito della poesia contemporanea; non si tratta, comunque, assolutamente, di una poesia elementare. A volte le poesie della Tanzi hanno per tema una città, come quella dedicata a Venezia, che ha per tema il Ponte dei sospiri, dal quale prende il titolo. È una poesia fresca e immediata, quella di Il metro estensibile, nella quale è piacevole immergersi, poesia caratterizzata da una polifonia di immagini, che si susseguono in modo incalzante, scene tutte sottese al dolore e a quello che è stato definito mal d’aurora. In qualche caso, la poesia di Il metro estensibile è caratterizzata da una forte tensione speculativa e si fa pensosa, come nella composizione Tre interrogati. Ci si può chiedere, ed è un fatto fondamentale, se la poesia di Ivana Tanzi possa definirsi lirica: la risposta non può essere univoca perché, in Il metro estensibile ci sono sicuramente componimenti che effondono l’animo della poetessa, mentre ce ne sono altri più pensati, intellettuali, che non possono definirsi lirici tout-court. In tutte le poesie c’è un certo nitore e una certa velocità nei versi e, questo è sicuramente un pregio, la poesia di Ivana Tanzi può definirsi originale e il testo è unitario e ben costruito architettonicamente.
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Raffaele Piazza

giovedì 6 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = SANDRO PIGNOTTI

Sandro Pignotti – Il tappeto smeraldo---puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pag. 87 - € 10,50

Sandro Pignotti è nato a Sanremo nel 1953; ha pubblicato numerosi libri di poesia ed è autore di due romanzi.
Il tappeto smeraldo, la raccolta del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è preceduta da una Nota dell’autore.
Nella suddetta il poeta afferma che la pretesa di esprimere delle vicende con immagini è sempre stata presente, almeno intuitivamente, nella progettazione della sua scrittura.
Pignotti aggiunge che in qualche caso il lavoro di stesura avveniva in modo spontaneo e che, quindi, sempre seguendo l’istinto, sommava in una storia concetti e figure a situazioni di cui all’epoca intuiva un collegamento.
Composito e ben strutturato architettonicamente, il testo è scandito nelle seguenti sezioni: Inverno, Primavera, Estate, Paragrafo I, Paragrafo II e Paragrafo III.
La poetica dell’autore ha per cifra essenziale una scrittura scattante, icastica, leggera, veloce e nervosa, sempre egregiamente controllata.
Si può definire neolirico il linguaggio di Pignotti, anche se conserva, indubbiamente, qualcosa di intellettuale.
Si nota una vena di raffinatezza nel mettere le parole, i sintagmi sulla pagina, in modo non lineare: infatti i versi sono collocati irregolarmente praticamente in ogni componimento.
Questa disposizione, che implica un’avvertita coscienza letteraria, rende il tessuto linguistico intriso di un suo indiscutibile fascino e dà al lettore la sensazione di affondare nella pagina.
Chiarezza, nitore e luminosità connotano il poiein del versificatore che, in un’epoca di orfismi e neosperimentalismi, emerge con una scrittura intrigante, mai banale o elementare e caratterizzata da una elevata originalità nelle poesie tutte differenziate tra loro, ma sotto un comune denominatore formale e stilistico.
Un tema ricorrente in Il tappeto smeraldo è quello di un erotismo dolce e sensuale, che non include, come avviene di solito in poesia, un tu al quale il poeta si rivolge.
Più che l’amata viene detto con urgenza l’amore stesso, attraverso descrizioni di situazioni dalle quali trasudano il pathos dell’eros e della sensualità.
Si avverte la tensione verso una figura femminile che resta controcampo, avvolta nel mistero, anche se sono descritti particolari del suo
abbigliamento e situazioni particolarmente intense, sempre con grande grazia.
Altre tematiche sono quelle della storia e della guerra, affrontate con sapienza ed intensità.
Una scrittura vivida e a tratti visionaria, quella dell’autore, che sembra avere ritrovato, di raccolta in raccolta, una sua dizione inconfondibile.
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Raffaele Piazza

mercoledì 5 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCO DI GIORGIO

Francesco Di Giorgio, La cruna lo spazio il tempo, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2017 pp.64, 10 euro

Prefazione di Francesco Muzzioli – Postfazione di Letizia Leone

La cifra estetico-stilistica che subito si impone alla lettura analitica di questo libro poetico è la dualità linguistico-formale con cui si misura Francesco Di Giorgio la cui ricchezza lessicale che sostiene le due sezioni (Nero di luce a specchio, La ballata della figlia della luna) che compongono questo originale lavoro, congedato come La cruna lo spazio il tempo, è un vero punto di forza della poetica digiorgiana in grado di gettare alle ortiche il balbettio poetico miseramente diffuso e la dislocazione grammaticale del dilettantismo dilagante.

Francesco Di Giorgio adotta il verso pensante, introduce il pensiero in poesia, fa poesia pensante, pensiero poetante, collocandosi sulla scia del De rerum natura di Tito Lucrezio Caro e misurandosi con i due fattori decisivi del vivere o se si vuole con i due fattori che suggellano la presenza dell’uomo nel mondo: lo spazio e il tempo. In quella che nella sua nota al libro ho sentito come icastica dichiarazione di intenzioni d’arte Francesco Di Giorgio scrive:«Nello spazio intermedio tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti si protende un margine di terra impercettibile, sottile, all’infinito, tra due mari tumultuosi. È la terra di mezzo dove s’incontrano le assenze, ma affacciarvisi porta allo slittamento della conoscenza in forme asustanziate in ideogrammi indecifrabili dove la percezione dell’essere si precisa nella privazione spazio-temporale e la comprensione del non-essere si attualizza nella certezza della sua assenza. La necessità di immergersi nei due mari per risalire al margine dal luogo delle forme e dal non-luogo delle assenze mi ha spinto a scegliere due distinte forme di scrittura, una poetica di stampo tradizionale, con la sua costruzione principalmente in endecasillabi, adatta a rappresentare il tentativo di portare a conoscenza assenze inconoscibili, e una in prosa poetica svincolata da qualsiasi forma metrica, in un contesto integralmente metaforico, adatta a rappresentare le assenze come presenze ineludibili alla comprensione dell’essere».

Meglio non poteva esser detta o dichiarata l’essenza della sua filosofia immessa in poesia cui Francesco Di Giorgio ha dovuto adeguare, a hoc parametrandolo, il suo registro espressivo; ben lo coglie nella sua lettura critica Giorgio Linguaglossa quando così chiosa: «[…] Di Giorgio intende la poesia come discorso sull’essere e come domanda fondamentale della metafisica già heideggeriana sul senso dell’essere: perché l’essere e non il nulla? È evidente che data questa impostazione, lo stile richieda una dissertazione para filosofica, una terminologia di origine filosofica e uno stile parametrato sull’astratto[…]».

Esemplari sotto questo aspetto appaiono questi versi di Di Giorgio: “Quando la luna regalò in fragore/ gli ultimi bagliori, fluidi nel vortice/dentro l’imbuto, lampi in filamenti/ d’argento catastrofici piombavano./ Scalava l’ultimo sciamano il palo/degli dei, ma anche Apollo, facitore/ del sole e della morte, raggelato/ fissava Ecate e il senso del suo regno.”

Autore della colta e competente prefazione, Francesco Muzzioli scrive:«[…]la poesia filosofica, se vuole vederci chiaro su quei presupposti che sono il tempo e lo spazio, deve andare oltre i margini del quotidiano, abbandonare l’io e il suo preteso vissuto».

E Francesco Di Giorgio scava nella «condizione ontologica» dell’uomo contemporaneo, avvalendosi di quell’arte che amo definire la «poetica dell’archeologo» e di quell’altra arma che direi «l’estetica della parola implicata», (quella estetica che in Tomas Tranströmer tocca il suo acme e che è stata in grado di rivoluzionare la poesia europea contemporanea), ma senza perdere di vista quel fare poetico secondo il «metodo mitico» che, introdotto dal T. S. Eliot dei Quattro Quartetti, ha trovato largo impiego nella poetica del Modernismo occidentale. Lo suggerisce nella postfazione Letizia Leone che sui versi di Francesco Di Giorgio scrive: «Una poesia dalla forte connotazione orfica[…] l’autore rivaluta pienamente la peculiarità “poietica” della poesia, il suo “fare”, il dare una forma all’informe cristallizzando l’incerto caleidoscopio dei sensi in immagine[…]».

Né vanno tenute sottotraccia le citazioni di filosofi e poeti (Rilke, Parmenide, Wittgenstein, Baudelaire, Empedocle, Heidegger , Eraclito, Einstein e altri) che Di Giorgio adotta come epigrafi alle poesie delle due sezioni del libro e che il poeta affida ai lettori come «segnali luminosi» di un percorso comune con le parole dei grandi spiriti-guida verso l’enigma del vivere, costeggiando insieme, poeta e lettore, quello che lo stesso Di Giorgio chiama in un riuscitissimo testo «Enigma della Kore».

Poeta pensante, Francesco Di Giorgio in tutto il libro non smette mai di porsi e di porre domande, senza mai aspettarsi le risposte. Da sognatore di fiamma, secondo l’idea di Gaston Bachelard, in una sorta di rêverie Di Giorgio «unisce ciò che vede a ciò che ha visto» e nella fusione di meditazione, memoria e immaginazione entra nella “cruna”, entra cioè nel mondo dei poeti pensanti, della poesia che pensa. Entra nella «poetica della fiamma» dove lo spazio si agita e il tempo vacilla.
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Gino Rago

martedì 4 febbraio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = CATERINA DAVINIO

Caterina Davinio – Il libro dell’oppio---puntoacapo – Pasturana (Al) – 2019 – pag. 165 - € 16,00

Caterina Davinio, nata a Foggia nel 1977, è cresciuta a Roma. Il libro dell’oppio è un testo non scandito e, per questo, può essere definito di natura vagamente poematica.
Il suo fulcro, il suo etimo, è quello dell’assunzione delle sostanze stupefacenti e del loro effetto sulla psiche umana.
I componimenti sono quasi tutti forniti di data e sono stati scritti negli anni ’70 è80, in prevalenza, ma anche negli anni ’90.
Il libro può essere definito uno spaccato delle culture giovanili di quel periodo, della generazione forse più colpita dalla droga.
Tutte le poesie sono pervase da una forte dose di corporeità, di fisicità, che hanno come elemento fondante l’incontro dell’essere umano con le droghe, che determinano nella coscienza paradisi – inferni artificiali.
Si tratta di testi scritti in genere in lunga ed ininterrotta sequenza e la lunghezza dei singoli sintagmi è eterogenea. Ottima la tenuta dei versi lunghi.
In Il libro dell’oppio assistiamo all’inverarsi di una poetica le cui parti procedono per accumulo.
L’autrice descrive efficacemente l’interanimarsi, anche erotico. di corpi maschili e femminili sotto l’effetto dell’eroina.
C’è da sottolineare l’eterogeneità delle poesie di questa raccolta, che sono di diverse lunghezze: infatti incontriamo testi lunghi. di media lunghezza e anche brevissimi.
Oltre al tema della sensualità dei corpi, sotto l’effetto delle suddette sostanze, è presente il tema mistico e vengono detti Dio, dio e gli angeli.
Da notare che la compresenza dei due temi antitetici rende intrigante il discorso della poetessa: infatti si tratta di elementi, che, pur essendo tra loro molto distanti, sono pervasi dalla vita nelle sue manifestazioni più corporee e d’altro canto più eteree.
Molte poesie sono senza titolo e questo fattore crea, nell’ordine del discorso del testo, qualcosa d vago e, magico.
C’è sospensione e levigatezza formale in questa raccolta e, a livello espressivo, l’autrice presenta uno stile preciso, leggero e icastico.
È presene anche il tema della quotidianità come nel breve componimento, molto efficace e condensato, nel quale vengono dette delle prostitute nei pressi di una stazione serale, meretrici diverse tra loro nel loro aspetto: qui la poeta dice che si andava a comprare l’amore, ironicamente, visto che l’amore non si può comprare (il sesso invece e una merce).
A volte l’io-poetante è protagonista dei testi e la poeta tende a riflettere su sé stessa: è molto autocentrata nel complesso tessuto linguistico che, senza sforzo, produce.
Altre volte le poesie sono descrittive e forse, in esse, si riscontra un calo di tensione, rispetto alle altre, pur essendo anche queste sempre ben strutturate ed efficaci.
È un libro composito anche perché alcune poesie, in massima parte composizioni verticali, sono composte da periodi interrotti da segni d’interpunzione.
Emana un fascino indiscutibile dai versi di Caterina Davinio, che presentano, come afferma Mauro Ferrari, nella postfazione, una frequente presenza della figura dell’ossimoro, che diviene elemento dominante.
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Raffaele Piazza