mercoledì 27 gennaio 2021

POESIA = STEFANO VITALE


***Autostrade***
I.
Scoppia di luce il cielo d’inverno
nell’artiglio del nibbio
altra luce ora si sbianca
sbanda e vola sbilenca
oltre gli immaginati sentieri
incerto è l’appoggio
nell’andare e venire
da una vita all’altra
c’è questo segreto vuoto sentire.
II
Stanno le poiane di vedetta
con le ali ripiegate
lungo le autostrade
immobili come i vecchi seduti
sulla porta di casa
silenziose sentinelle
sul confine del niente
testimoni indifferenti
del nostro transitare.
III.
D’improvviso vedi le cicogne
nel bel mezzo d’un prato
nel becco non hanno fagotti
ma lombrichi, ranocchi e serpenti.
IV.
Saltellano i corvi nelle piazzole d’emergenza
le ripuliscono da ratti e gatti morti
pietoso necessario servizio
cui dignitosamente attendono
impeccabili nei loro abiti scuri.
*
STEFANO VITALE
Stefano Vitale (1958), nato a Palermo, vive e lavora a Torino. Ha pubblicato Double Face (Ed. Palais d’Hiver, 2003); Semplici Esseri (Manni, 2005); Le stagioni dell’istante (Joker, 2005), La traversata della notte (Joker, 2007); Il retro delle cose (Puntoacapo, 2012 ); Angeli (PaolaGribaudoEditore, 2013); La saggezza degli ubriachi (La Vita Felice, 2017); Incerto confine (PaolaGribaudoEditore, 2019 ha curato (con Maria Antonietta Maccioccu) l’antologia “Mal’amore no” (SeNonOraQuando, 2015). Sue poesie sono pubblicate in riviste blog e antologie . Sue poesie sono tradotte in inglese sul “Journal of Italian Translation” (2019 e 2020) e sul sito Italian Poetry (2018). E’ presente in Ossigeno Nascente. Atlante dei poeti contemporanei sul portale di letteratura griseldaonline dell’Università di Bologna oltre sul sito internazionale Italian Poetry diretto da Paolo Ruffilli.

lunedì 25 gennaio 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI = ENZA BERARDONE


***Enza Berardone : “L’anima del mondo” – Ed. Centro promozionale culturale – 2020- pagg. 96 - € 10,00
“Poesia 2019-2020” è il sottotitolo, una indicazione precisa per la raccolta di poesie che si snoda attraverso colloqui sussurrati nel privato o nel vortice delle presenze, frutto di una consapevolezza matura, che conferma essere la lirica un gioco delle urgenze quotidiane, un rotolare di allusioni e vaghezze, senza facili soluzioni. La poetessa ricama con delicatezza approcci che si rivelano colorati, dedicati alle memorie, del padre, del fratello, dei familiari, degli amici, dei docenti, scorrendo lungo un senso dell’inizio di numerose occasioni, che diventano ritmo cantabile, risaltando spesso nell’insanabile violenza della nostalgia.
“Ho visto tremare/ l’azzurro di smisurati cieli,/ la pioggia denudarsi,/ il vento danzare tra il grano./ Ho sentito la vita/ pulsare forte nel petto,/ nascondersi nell’abbraccio/ dell’attesa, riempire vuoti./ E così, quando attraverseremo/ il silenzio, edificheremo nuovi amori.” Un silenzio che diventa il substrato delle emozioni, una rapsodia ritmata di domande con incerte risposte, ispirata alla natura o al pellegrinaggio dei ricordi. La magia del verso culla il “tempo buono che sa di mosto e di radici” nelle sfumature dell’alterità, che non torna all’impersonale ed invoca qui un mix di schiarite, variegate, multiple, coerente e regolato.
“Il monologo e il dialogo che la poetessa instaura con se stessa e con gli altri – scrive Francesco D’Episcopo nella prefazione- rappresenta una scommessa, una sfida al proprio silenzio, al proprio fremere dentro.”
Il volume è arricchito da numerose fotografie in un abbraccio memoriale quasi a sostegno del dettato familiare.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


***Alessia e gennaio***
Gennaio del nevaio il mese
per Alessia ragazza
con il freddo nel rigenerarsi
e tutto resta uguale
bianca Cortina ad angolo
con il mondo e giocare
con la gioia del bianco
e di nulla si turba Alessia
protesa al prossimo
letto d’amore con Giovanni
mentre nevica
da un buco di finestra
che s’illumina.
*
Raffaele Piazza

sabato 23 gennaio 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI = PATRIZIA FAZZI


***Patrizia Fazzi : “Il tempo che trasforma” – Ed. Prometheus – 2020 – pagg. 134 - € 15,00***
** “Il tempo è uno scalpello/ che giunge fino al nocciolo dell’anima/ e lì lavora,/ lì si compie la vera metamorfosi,/ nel bene e nel male, scelta sempre.” Dichiarazione che avvia alla lettura con il palpito dell’imprevisto e l’illusione della meraviglia, per una silloge che attraversa con il ritmo incalzante vari momenti di illuminazione e di ombre, per la consistenza palpabile del quotidiano che si avvicenda tra spazi e strettoie, ascolto ed illusione, accoglienze e contrasti.
Dialogo intimo alla scoperta delle sterzate che il tempo cristallizza nella fluidità della parola e dell’attimo fuggente.
“Quella di Patrizia Fizzi – scrive Paolo Ruffilli in prefazione – è una poesia sospesa tra la natura, la cultura (nella potenza creativa che ci porta alla soglia del bello non solo con la letteratura, ma con la musica, con la pittura, con la scultura, con la danza) e la parola immaginosa e concreta ispirata dal naturale spirto religioso che aleggia dentro il mondo e che sembra colmare il dilagante vuoto che lo assedia”.
Percorso poetico che parte da composizioni datate 2009, 2011, 2012 e così via, per una rincorsa di visioni musicali e pittoriche che caratterizzano una scrittura attenta e segnata da un non preciso appagamento di scelte. Ella si adagia ad un’altalena di tristezza ma scuote i sentimenti “quando questo sole che mi abita/ e arreda tutte le stanze,/ lo voglio inseguire/ come il vento l’aquilone/ e poi posare piano/ sui mobili di ogni casa,/ infinito raggio”. Snoda momenti di abbaglio e affonda in “un mondo di parole/ che esondano saettando nel buio/ e portano la luce.”
Un simile contesto è frutto di ricerca ininterrotta, lineare, nella quale le urgenze non seguono un percorso accidentato, ma in toni equilibratamente lirici delineano una sola storia , capitoli di suggestioni, mosaico di memorie, scorci di rimandi.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 21 gennaio 2021

PREMIO = APOLLO DIONISIACO


***Annuale Internazionale Apollo dionisiaco Roma 2021 invita poeti e artisti a celebrare il senso della bellezza
Opere in poesia e opere d’arte visiva, in pittura, scultura, grafica e fotografia, edite o inedite e a tema libero, di autori e artisti di ogni età, libera formazione e nazionalità, sono attese entro il 4 giugno 2021 via e-mail all'indirizzo: accademia.poesiarte@libero.it
L'Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea, polo no profit di libera creazione, ricerca e significazione del linguaggio poetico e artistico, in convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, con il patrocinio della Regione Lazio, di Roma Capitale e promossa dall’Istituto Italiano di Cultura di New York, bandisce il Premio Internazionale di Poesia e Arte Contemporanea Apollo dionisiaco, VIII Edizione Roma 2021, senza scopo di lucro.
L’evento artistico e letterario celebra l’espressione creativa, come spazio oltre lo spazio, tempo oltre il tempo, intensità di senso della vita e nuovo volto per la rinascita di sé e di mondo. Contro il giudizio omologante e la quantificazione e per la libertà di essere, l’analisi critica in semiotica estetica delle opere dell’Annuale Internazionale Apollo dionisiaco valorizza il senso della bellezza dell’arte come arto del vivere, che muove e congiunge ombra e luce, silenzio e parola, emozione e pensiero.
Fra Arte in mostra, Poesia in voce, critica di valorizzazione del senso delle opere a firma della presidente prof.ssa Fulvia Minetti, pubblicazione nella Mostra dell’Arte Contemporanea online e nell’Antologia della Poesia Contemporanea online, diplomi e trofei in medaglia “Apollo dionisiaco” in pregiata fusione artigianale del laboratorio orafo di Via Margutta 51 in Roma, effigie del bacio che fonde gli opposti del dionisiaco e dell’apollineo al senso, il premio si terrà il 16 ottobre 2021 al duecentesco Castello della Castelluccia in Roma. Autori e Artisti sono eventualmente liberi di richiedere la spedizione a domicilio dei riconoscimenti.
Informazioni:
Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea di Roma E-mail: accademia.poesiarte@libero.it Sito Edizioni Premio: http://www.accademiapoesiarte.it
Sito Antologia, Mostra, Critiche e Video: https://www.accademiapoesiarte.com

martedì 19 gennaio 2021

SAGGIO PER ANTONIO SPAGNUOLO


***Il comportamento della parola nella poetica del sempre di Antonio Spagnuolo***
a cura di Carmen De Stasio
******
Nel solco dell’invalicabilità tra la vita e l’essere invisibile della morte, il poeta rilancia la parola come assunto di amore – passaggio meditativo oltre una concretezza irrigidita sul disfarsi della realtà conclamata nel giogo di illusione e disperazione, che pure traspare nell’irrequieta consapevolezza di un esistere oscillante tra i costrutti della memoria e la sensazione di esser parte di un percorso destinato a perdersi.
Malgrado la persistente imperturbabilità di un presente sotteso all’inganno e al tranello dell’illusione, la rielaborazione dei ricordi ci porta alla poesia che con Antonio Spagnuolo si fa promessa fertile di un’intelligenza che, riprendendo un’affermazione di B. Russell, induce l’ambiente a trasformarsi in continuità. Così nell’esistere del poeta affiora una parola che è comportamento e che non si maschera di narrazioni dissidenti, ma si attiene alla selezione di richiami perché diano forma alla visione cosciente di un esserci vero senza assunti solutori. L’obiettivo è sempre un richiamo di amore; un implicito richiamo etimologico che trova l’inizio là dove il poeta avverte il senso stringente di uno squilibrio procurato dallo strazio dell’assenza; non ultimo, è il passo che accompagna il figurarsi nella visione di un intorno contratto in una pavidità che ne disturba lo svolgimento fino ad annichilire in un non-rumore oscillante come non-vita (In questo mondo senza più timori, / lontano da ogni meraviglia, / vagamente inseguente ombre senza forma / senza costrutto, senza più filosofia, (-1) – scrive il poeta), oppure adagiato flebilmente in un campo visivo d’inganno impudente e per il quale la mancanza è segno inequivocabile di perdita. Una siffatta modalità non si contrae nel tempo; vieppiù, Spagnuolo ricrea nell’essenzialità del verso lo scatto del proiettarsi, di un comprendere rintracciabile sul versante totalmente opposto rispetto al facile appiattimento umorale, andando infine a dilatarsi in una territorialità combinatoria di elementi – o condizioni (La sciarada è negli anni, / ci scompone gli spazi / ad insidiare scenari.(-2), sarebbe opportuno dire – tra le quali incisiva è un’emozione tutt’altro che casuale. È quanto distingue la poetica progressiva del pensiero, dalla quale Spagnuolo trae il vigore della variazione e non potrebbe che essere così: se, talora, l’antropomorfico «introspettivo» tende a deteriorarsi per l’esattezza della propria assenza, il contrario avviene nel caso del poetare logico, in virtù del fatto che il poeta viva il suo tempo e il suo spazio portandoli a livello di vicenda (lo scorrere del verbo è destino / e tributo. -(3) – leggiamo con il poeta). Diversamente sarebbe inganno: in fondo, l’esserci della parola – in senso pienamente heideggeriano – prevede che il poeta viva completamente all’interno di quel che (af)ferma nella sua visuale, sicché all’intelaiatura attitudinale di queste parole – che hanno il giogo dell’edera, / strette ai rami, irrequiete al vento per ricordi, (…) che Lungo il tempo hanno un palpito delicato / inseguono il rumore della gente / che non conosce la soglia del cielo / e cede all’ombra dei frammenti -(4) – si lega il dire di un approfondimento che può soltanto provenire da studio (ricerca, cioè) per esserci-in-divenire, pertanto, e non già consacrarsi ad un’isolata, disorientata idolatria. Arriviamo quindi agli effetti combinatori intratestuali che animano la poesia di Spagnuolo, effetti il cui musicale accento sembra promanare nell’immediatezza dell’ordine del verso, là dove esso si delinea in una forma intima di dialogo senza filtri in grado di estendersi in una tale inattesa coralità da sfrondare qualsiasi incedere occasionale (Qualcosa modella la malia che hai abbandonato / e incanta la scrittura nel rigore di altre ombre (-5). In questo modo, alla stregua di un organismo di non separazione tra tutte le componenti (dalla struttura verbo-visuale alla struttura lessicale, fino agli spazi e le cose, immersi simultaneamente nella variabilità delle intonazioni pensative) l’azione stessa del poetare si conferma nella traduzione del motivo-significato portante nei nuclei tematici d’amore e d’esistenza, di memoria e di condizioni osservabili, tutti impressi nella sagoma del vertiginoso silenzio del presente (-6), senza alcun cedimento alla possibile dissoluzione (è lo stesso Spagnuolo a farsi portavoce dell’intensità tattile della poesia quando afferma: Il luogo della poesia è nel pensiero che vorticosamente illumina l’istante.-(7). Libero dalle intercapedini del fulmineo, quanto dall’ovattato melodico sfuggente, Spagnuolo elabora la complessa trama di un territorio analogico e, pertanto, mutevole, dove il dire-scrivere ha le caratteristiche di una narrativa che nel neo-morfico paesaggio partecipa della pienezza diatopica del ricordo (germogliando alfabeti per l’inattesa assenza, / per non dimenticare la nebulosa dei tuoi gesti,-(8) pur tra le strettoie e le inclinazioni di un presente pericolante, ma pur esso efficace e illuminante (giacché, riprendendo T. S. Eliot, l’oscurità decreta la gloria della luce-(9). In questo spazio di riconversione – amplificato da ascendenze memorabili e appuntato da affidamento semantico e formale – si approda all’essenzialità di una pronuncia autentica e pienamente rigenerativa (Vorrei che la penombra diradasse il mio dubbio / nel nuovo inganno della seduzione, / rabbia e fantasia delle occasioni mancate.- (10): assorto a sfuggire alle conclusioni affrettate della breve scala cromatica che noi percepiamo, (…)-(11) – come scriveva G. Piazza poco più di cento anni fa – e agendo quindi sia sul fronte esterno della modalità interattiva e intramodale (plastica), che, simultaneamente, sul fronte interno (le emozioni), il linguaggio di Spagnuolo si staglia in una forma di tipo esometrico, ovverosia, esistente nell’interezza immaginale di un organismo vivente in grado di traslare l’uso creativo della ragione nell’azione poetica con una sensibilità che trascende l’ordinario, malgrado alla struttura ordinaria si leghi in virtù di un vocabolario condiviso, per poi combinarsi in un’amplificazione multisensoriale e, di fatto, di natura epistemica (e che rammenta da vicino il significato dell’essere attraverso l’esplorazione come indagato da H. Bergson: Non ci sarà nulla di nuovo nelle nostre azioni se non grazie a ciò che di ripetitivo avremo trovato nelle cose -(12). Da qui la sensazione che il verso di Spagnuolo riesca a realizzare l’assonanza dittologica di una narrazione fatta di impronte che infine legano il verso singolo del sentire a una vasta scena di radiale investitura. Si consideri i versi di «Azzurri»: qui l’assonanza interna al tensivo ordine fertilizza il dire moltiplicandone la traiettoria nella vitalità ultra-temporale e scansando da sé qualsiasi artificio che possa intorpidire tanto il segno, che il pensante rinnovato (Là dove c’erano glicini o soltanto / segni di una possibile scomparsa, / compaiono le orme delle nostre scansioni, / compaiono i giorni del giardino / che ripete il mio gesto.- (13). Poiché Agire su qualcosa significa, in qualche modo, entrarvi dentro -(14) – concordiamo con W. James –, anziché di forzatura rispetto all’ovvietà figurale, andiamo a scoprire la modalità che permette al coinvolgimento tissutale di aderire deitticamente al quadro della complessità non soltanto riportando in superficie le impronte delle quali ho riferito, ma pure attraversando la reinvenzione ipotattica di un linguaggio poetico pensante e nella quale reinvenzione la riflessione e la vastità dell’esperienza individuale convergono senza cristallizzarsi nella morsa della dispersione. Così la parola sarà non semplicemente segno e né tantomeno simbolo, ma agirà quale metatesto di suoni e di suoni nelle impronte (L’arteria batte il tempo irrequieto / in questa solitudine perfettamente incisa / nel ricordo e nei segni, che permangono ancora -(15).
Siffatta estensione porta a riflettere sull’interezza compositiva di una fisicità che, nell’accompagnare la visuale concepita nelle sue intonazioni, suggella altresì fotogrammi del sentire di memoria nell’armonizzare il ritorno / anche se il tempo scade senza scampo -(16), senza, tuttavia, sollecitarne la dualità oppositiva: è questa una scelta che mette al centro della poetica di Spagnuolo l’amore nella dimensione mitica, una dimensione che dissolve l’assenza e pone l’articolazione delle parole al di là di un realismo atteso, così aderendo ad una cromia che, sconfiggendo la vaporosità del ricordare, quanto il cerchio accecante di rabbia scoscesa e incompresa nel tumulto solitario della voce, si manifesta in un comportamento che, del tutto declinato a creazione di sensazioni visive, lascia libero il sentiero dei pensieri e consente al tratto mitico di sfondare le asperità di un presente tormentato e dove la memoria si stringe nell’amalgama semiotico delle attuali visioni in tenebra (…) tra le figure / sbiadite dell’infinto splendore del niente -(17). Oltretutto, con consapevole intraprendenza le percorrenze immaginali attraversano quanto è noto e lo recuperano affinché il poeta forgi le assenze in una vastità di rappresentazioni, procedendo dallo spazio intimo a uno spazio che sceglie di adagiarsi nell’unicità, là dove la potenza immaginativa della memoria (memoria del trascorso coniugata con la memoria visiva dell’attuale momento in una propensione che non prevede scarti) supera gli squarci localizzati del paesaggio e tinge questo di un’universalità per mietere, infine, la folla di rifrazioni che un tempo assai distante – e consegnato all’attivismo del presente senza supposizioni – diviene tangibile molteplicità di significato. Non è, dunque, obiettivo la parola convincente, adeguata, quanto la duttilità della parola, che esiste in virtù del forte legame con altre parole e così, nell’impossibilità di inventarne di nuove – al pari di come a suo tempo aveva compiuto V. Woolf – Spagnuolo inventa un ordine che consegna le parole in un significato che è sintesi di molteplici significati e in una realtà composta da molteplici realtà. In questi termini, l’ordine reinventato dal poeta rimanda esattamente alla vitalità di un particolare modo di elaborare i «contesti» delle parole affinché da esse non si distraggano quelle impronte «fatte» in grado di dar vita all’equilibrio cromatico di un vedere senza contrapposizioni (L’assurdo poema dell’illogico sognare / ha raffiche di vento, dal profondo sospetto / del nulla, che il ventre apre al sussurro. / Smisurata presenza quella sfida violenta / che incatena l’ultimo precipizio / agli assalti dell’eterno.(18).
Decisivo per la parola-avvenimento è altresì il tempo poetico di Spagnuolo, un tempo che interviene ad elevare l’amore a neomorfico territorio mitopoietico, dove il sentire pregnante forgia un privatissimo processo di esplorazione, ma anche di corrispondenza tra caratteri visivo-tissutali al fine di ricomporre un’azione che non lasci nulla in ombra, sebbene all’ombra talora il poeta si riferisca con l’intento a scrutare le trame incrostate e fatiscenti di un presente che nella visuale abbraccia il declivio di una prorompenza dissuasiva, dove insiste (…) un domani già ieri tormentato dal dubbio19. L’esistente e l’esistito vengono così a ricomporsi, non già all’interno di un’icona paralizzata (che soltanto rimarcherebbe la presunzione di imitatio nel momento prima della grave perdita), tutt’altro: l’esistente e l’esistito si sottraggono all’evaporazione nel movimento assai ritmato – ora lento e assorto, ora prominente e aspro – di un vivere-scrivere comprensivo del dilemma oltre i limiti di una rigida formalizzazione, quant’anche da una diegesi regolamentata per traduzione nel disegno sbiadito di quella stessa realtà attuale, dalla quale la parola-ambiente del poeta estirpa qualsiasi insinuante abitudine al pleonastico mascheramento; in più, ponderata e a misura di quanto sia in particolare velocità, essa congiunge l’evanescente e la concretezza del dolore in un livello che è superiore poiché non si lascia affatto alterare da alcuna trappola che ritenga l’imponderabile nella geometria eroica del rimpianto. È da questo scenario che si ravvisa il modo in cui il significativo enjambement non solo si attivi all’interno del nucleo poetico (e che rinvia, per certi aspetti, al sonetto shakespeariano), ma si dilati in una continuità argomentativo-narrativa che nell’unire ciascuna poesia viepiù formuli uno scenario di incessante scoperta e che conduce a ritenere la poesia di Spagnuolo nell’evidenza di un’autonomia assai innovativa; per il fatto di essere sinonimo di costruttiva territorialità nei complessi rapporti che richiamano in tal senso la ritualità di un pensiero che (…) Improvviso smaglia il nostro durare, / tra i polsi e gli specchi, anche stupore / di lontane credenze, di armonie / che hanno dissolvenze senza presagi, / immersi come siamo nell’inquietudine / di giorni sempre eguali. (…)20. Ed è una ritualità che, vediamo, pone nella giusta luce anche le forme del paesaggio esistenziale e naturale nel quale il poeta ricompone gli intermezzi concedendo alla vita e alla morte, all’amore come atto di continuità e alla morte come impraticabile sconnesso di conclusione, il riverbero di una tanto semantica che semica, quanto fortemente intrisa di un’effettiva cromia capace di consolidare l’ergonomia artistica della poesia di Spagnuolo nel continuo accedere alla richiesta di sapere ed esplorare quel che vive nell’occhio perché nel significante visuale l’accadimento poetico risulti di rilucenza totale. Nei secoli, la poesia d’amore osa dirigersi su più versanti narrativi, uno dei quali è il versante compiutamente destinato ad accogliere la molteplicità non soltanto delle idee che pure nel tessere il verso d’amore incontra lo spazio vasto delle intuizioni quale incessante scaturigine per la successiva e pure intra-modale struttura a piani convergenti, senza che questi vengano contraffatti dalla rigidità delle sovrapposizioni essenzialmente ego-riferibili ed edonistiche. Un siffatto assetto comporta una lettura interpretativa all’interno della materia generata dalla poesia ed esige il concepimento di una fisicità tutt’altro che contemplativa, , assorta a investire con attitudine di tipo flâneur le minimalità che assurgono dalle vestigia creative dei ricordi distanti ma anche prossimi a suggello di una parola che, pertanto, è sì mediana dei pensieri, ma che è essa stessa spazio d’indagine e luogo di co-azione. È il versante di quelle gallerie della mente21 dove si concentra la sonorità multiforme e variabile di trame riconducibili agli effetti delle complessità della parola pensante e di tal padronanza è il mezzo linguistico da non lasciarsi corrompere dalla frantumata realtà che si presenta impavida e, talora, sprezzante nelle sue manifestazioni. Come si sviluppa, dunque, la poesia di Spagnuolo se non attraverso una dicibilità in contraltare alla mimetizzazione con un atteggiamento che per sua parte riconquista l’esser vero, e che di contro alle visioni imperfette-22 e concluse in un’intimità periferica, riprende la semantica biografia (esattamente nella scomposizione del termine in quanto grafia vitale) di tempi individuali, di tratti di chiaro riferimento storico e di spazi rivissuti nelle intonazioni, nel privilegio di un’etica vocazionale tendente a ricomporre le rifrazioni di quel che in superficie pare atrofizzato in un’indecifrabilità aporica e tutt’altro che appagante (Ho paura per quelle sillabe perdute / tra i versi ancora incerti, che lasceranno una cifra / per comunicare astrazioni, o l’incognita / traccia di una soffice preghiera neicolori-23. Ed è, infatti, nell’onni-comprensibilità in continuo spostamento che incontriamo il carattere complessivamente dianoetico della narrazione poetica di Spagnuolo: nel mondo delle cose egli si ritrova non già inerme e sprovveduto o intento semplicemente a bloccare fotogrammi memoriali in un’erosione continua, tutt’altro: il suo impegno sintetizza una reciprocità maieutica quanto esegetica dell’Io partecipe del linguaggio, là dove si concilia la frequenza temporale con l’approssimazione fisica nel rapporto di costruzione, un rapporto crescente e, pertanto, dianoetico, quanto strutturante di una neo-morfica etimologia. Sicché nulla sfugge alla reciprocità che nel suono piano distingue le tensioni che animano tanto la struttura del verso che la struttura dei sensi nell’intensità talora inafferrabile di simbiosi eteroclita quanto duttile e che nella composizione visuale si protrae prendendo la forma dell’orientamento meta-espressivo del poeta, un orientamento che, infine, sovverte l’«oramai» per diffondersi in un congiungimento nel quale vediamo prospettarsi con garbo e onestà di pensiero la poetica del sempre. *
1 A. Spagnuolo, La tua poesia da «Poesie», SEN, Napoli 1974 in LETTERA in VERSI Newsletter di poesia di BombaCarta n. 72 Dicembre 2019 - Numero dedicato a ANTONIO SPAGNUOLO, p. 17
2 A. Spagnuolo, 43, da «Rapinando alfabeti», L’assedio della poesia, Napoli 2001, in LETTERA in VERSI, ibi, p. 22
3 Ibi, p. 21
4 A. Spagnuolo, Parole, da «Canzoniere dell’assenza» ed. Kairòs, Napoli, 2018, in LETTERA in VERSI, op. cit. p. 24
5 A. Spagnuolo, Smerigli, Ibi, p. 25
6 Ibi
7 Cfr. intervista a cura di Liliana Porro Andriuoli al poeta A. Spagnuolo, in LETTERA in VERSI, op. cit., p. 36
8 A. Spagnuolo, Smerigli, da «Canzoniere dell’assenza», op. cit., p. 25
9 T. S. Eliot, Murder in the Cathedral (1935), Faber & Faber, London, 1968, p. 92
10 A. Spagnuolo, Inganno, da «Canzoniere dell’assenza», op. cit., pp. 23 – 24
11 G. Piazza, Viaggio dentro una stanza con un cieco in «La Scena Illustrata» n. VII, I Aprile 1913, p. 9
12 H. Bergson, Il possibile e il reale, (1930), Albo Versorio, br />Milano, 2014, p. 17
13 A. Spagnuolo, Azzurri, da «Istanti o Frenesie», Puntoacapo Ed., Pasturana (Al), 2019, in LETTERA in VERSI, op. cit., p. 26
14 W. James, Bergson e la sua critica all’intellettualismo (1908), in «Durata reale e flusso di coscienza – Lettere e altri scritti (1902 – 1939)» - H. Bergson e W. James (a cura di R. Ronchi), Cortina, Milano, 2014, p. 131--
-15 A. Spagnuolo, Inquietudine, da «Polveri nell’ombra», Oedipus, 2019, in LETTERA in VERSI, op. cit., pp. 30 – 31
16 A. Spagnuolo, Il tempo, da «Istanti o Frenesie», in LETTERA in VERSI, op. cit., p. 28
17 A. Spagnuolo, La mia furia, da «Polveri nell’ombra», ibi, p. 33
18 A. Spagnuolo, Sussurro, ibi, p. 31
19 A. Spagnuolo, Armonie, da «Inediti», in LETTERA in VERSI, op. cit., p. 35
20 A. Spagnuolo, Pergamene, da «Istanti o Frenesie», in LETTERA in VERSI, op. cit., p. 29
21 A. Spagnuolo, 16, da «Rapinando alfabeti», in LETTERA IN VERSI, op. cit., p. 20
22 A. Spagnuolo, Vertigini, da «Canzoniere dell’assenza», ibi, p. 23
23 A. Spagnuolo, Incertezze, ibi, p. 25

POESIA = LAURA BORGHESI


**Sospensioni**
La lettura finiva alle diciotto e la sospensione era nel display
nel rimbombo del paradosso
nel chiedersi qual è il numero che distingue l'amore
il congiungersi di miglia sotterranee
subito il gesto secco di finestrini che sigillavo in corsa.
Case e filari dal vetro apparizioni radicate e dopo un giorno ombre confuse
Dov'eri in questo stretto ventaglio di anni?
**
**Maggio**
Rimaniamo così
come le rose che stanno tra gli altari di maggio
fioriscono per una stagione fanno incroci perfetti,
si espandono nell'oro delle navate
rubano linfa dalle spine per non morire.
Sono terrena
ho talloni affondati
respiro tutte le spaccature terrestri che hanno i continenti.
Non mi risolvo
sono la macchia di ceralacca.
*
**Caos**
A tutto questo dolore attorcigliato
che a volte si espande improvviso
come la nebbia di novembre.
Ed è tornare bambini
quando il respiro si fermava nel buio del corridoio
il sangue inondava gli zigomi durante il frastuono del cuore.
Sa durare la mancanza della luce
la conta interminabile dei mostri,
difficile trovare la persiana socchiusa
nel tempo che si vuole.
*
LAURA BORGHESI
*
Laura Borghesi nasce nel 1972 a Rimini,insegnante di scuola primaria, segue contemporaneamente il suo percorso di studio in poesia arrivando nel 2012 alla pubblicazione "Scrivere ai tempi delle nuvole informatiche" per Fara editore.
Nel 2013 esce il volume antologico "Scrittura Felice" a cura della Fara.
Nello Stesso anno viene segnalata partecipando al premio Alda Merini con la pubblicazione nel volume "Mille voci per Alda" edito da Ursini, si classifica nella sezione inediti del premio Thesaurus. Ha partecipato a varie letture nella biblioteca della sua città, recentemente un suo testo è stato utilizzato nello spettacolo teatrale "Multistrato" dal regista e attore Silvio Castiglioni.
Esce nel 2017 sulla rivista Atelier ,alcuni testi sono stati tradotti in spagnolo e pubblicati sul portale Vallejo. Compare sulla rivista Voci della luna. Nel 2019 alcuni inediti vengono scelti per Estroverso. Nel 2021 alcuni inediti vengono pubblicati per Atelier

lunedì 18 gennaio 2021

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


***Alessia e il bianco***
Bianco senso della neve
per Alessia a Roccaraso
a sciare. Candida tinta
a entrare in di ragazza Alessia l’anima e gelo
a raffreddare nelle tasche
del jeans sdrucito il sogno
soave.
Bianco senso di nuvole
grandiose per Alessia
a piovere nell’anima
in attesa di Giovanni
che la prenda come
una donna (sedici anni contati
come dai seni rotondi)
Raffaele Piazza
*
***Alexia y lo blanco***
Blanco sentido de la nieve
para Alexia a Roccaraso
para esquiar. Candida tinta
para entrar en muchacha
Alexia el alma y el hielo
para enfriarse en los bolsillos
del jeans descosido el sueño
suave.
Blanco sentido de las nubes
grandiosas para Alexia
le llueven en el alma
en espera de Juan
que la tome como
mujer (dieciséis años cumplidos
y senos redondos).
*
Traduzione Francesca Lo Bue
*
***Alessia attende Giovanni***
Caneretta porto di Alessia
ragazza è lo spazio
e l'attesa lacera di Alessia
l'anima dove già avviene
l'amore un anno fa
Attende Alessia no squillo
un segnale del cuore
una soglia per due dai suoi
passi consumata e sta
infinitamente un'ora di ritardo
Pange Alessi a sciogliersi
in azzurri rigagnoli il rimmel
e il viso allo specchio
da non frantumare.
Poi un giro di chiave
una porta ad aprirsi
è lui!!! è lui!!! è lui!!!
*
Raffaele Piazza
***Alexia espera a Juan***
Cuartito, puerto de Alexia
muchacha, es el espacio
y la espera desgarra de Alexia
el alma donde vive
amor desde un año.
Espera Alexia una llamada
una señal del corazón
un umbral gastado por dos de sus
pasos y ya es tarde de una hora.
Llora Alexia y se deshace
en gotas azules el rimmel
que su cara en el espejo
no se trize.
Después se oye girar la llave
una puerta se abre
es él!!! Es él!!! es él!!!
*
traduzione, Francesca Lo Bue

sabato 16 gennaio 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI = MAURO PIERNO


****Le liquide ramificazioni della poesia in Mauro Pierno.- "Compostaggi"- (2020)****
È finalmente arrivato sugli scaffali delle librerie il nuovo libro, dato alle stampe per le Edizioni Progetto Cultura di Roma, di Mauro Pierno, autore che nei suoi pochi affacci pubblici ha sempre sorpreso e incuriosito per la sua capacità di essere ogni volta innovativo con sé stesso, proponendosi continuamente diverso nel linguaggio, nei temi, nella tecnica e nella modalità di vivere la poesia ed essere poeta. Forse, dobbiamo tutto questo al fatto che Pierno è un poeta nato nel 1962 e che i suoi primi passi nei versi li ha mossi all’interno dello sperimentalismo linguistico e performativo degli anni ’70. I suoi scritti sono apparsi nel tempo sempre imprevedibili, inaspettati, diversi sia nel genere (dato che il nostro autore ha palleggiato i suoi interessi autoriali fra teatro e poesia) che nella forma.
Anche in questo suo ultimo lavoro non si è smentito, a cominciare dalle impostazioni grafiche del volume, le quali ci pongono di fronte a diverse piccole trovate, a volte poco usuali, che colpiscono subito l’occhio. La maggior parte delle poesie sono proposte in distici, come detta la Nuova Ontologia Estetica, corrente che in questi ultimi anni lo ha visto più volte partecipe alle discussioni e sperimentazioni. Inoltre le liriche non riportano titolo, ma, consultando l’indice, ritroviamo per ciascun componimento un titolo (o quello che pare esserlo): una parola chiave (forse) o un semplice lemma a caso presente nella poesia.
Ogni forma d’arte, ogni espressione umana estetica, e perciò anche la poesia, nel suo “fare”, nel suo cercare contatti, nel destinarsi ad altri uomini, altro non è che un onesto gesto politico, sociale. Forse è per questo che Mauro, nella divisione interna delle varie sezioni, sceglie dei titoli che richiamano un famoso gioco di società: così abbiamo la prima sezione che si chiama “Nomi”, la seconda “Cose” e la quarta “Città”. La terza sezione ha una marca di denuncia appena più evidente, poiché, se la disgregazione sociale, oltre che le cose e i luoghi, ha pervaso anche le singole persone e le nostre anime, con il titolo “Percolati”, l’autore ci lascia sospesi al nostro destino, come frutti incolti.
Anche la copertina, come forte richiamo al titolo, Compostaggi, ripropone un’opera del 2012 di Marie Laure Colasson: un collage, ovvero un mosaico di ritagli cartacei o parti di materiali vari; materiale di scarto, insomma, che si ricompone (scorie, come le definisce Giorgio Linguaglossa nella quarta di copertina), che si fa spazzatura pressata e ordinata, ma allo stesso tempo sa farsi compost, fertilizzante per la ripresa e per la nuova vita (poetica, nel nostro caso).
Dopo questa lunga descrizione “superficiale” del volume, ci conviene, a questo punto, entrare nel vivo della lettura, cosa non facile, poiché non appena si poggia l’occhio sul verso, il poeta non ci lascia più possibilità di sosta, non concede luoghi di ricovero o ambienti familiari riconoscibili e consolatori, anche se ogni verso meriterebbe tempo per l’assorbimento della tensione che regge. Sono liriche fatte di una pronuncia così fitta che ogni rigo è quasi il germe di un componimento a sé stante, ma che l’esuberanza di Mauro non sviluppa per dargli gambe proprie, evidentemente perché già un’altra idea preme, incombe sulla pagina per coniugarsi al già appuntato. Si ha alle volte l’impressione di una scrittura automatica, quasi irrazionale, dettata dall’inconscio, che può ricordare la già vista scrittura surrealista dei primi anni del secolo scorso; ma così non è, in quanto la frantumazione e la libertà, in Pierno, sono funzionali, e ottengono, in questa maniera, un affastellamento di invenzioni che hanno come conseguenza di lettura, la sensazione di trovarsi realmente isolati e disarmati all’interno di una discarica. Un luogo, quest’ultimo, in realtà, ricco dei più disparati oggetti, che è solo il nostro stile di vita a far considerare scarti; un luogo ricco anche di cose preziose e ancora integre, oggetti che stiamo gettando, perdendo, e che il poeta, attento rovistatore, sceglie, rappresentandole e riorganizzandole attraverso un opportuno riciclo o una necessaria trasformazione (compost). E tutto questo, altro non è che una maleodorante metafora del periodo che stiamo attraversando, come un terra sospesa, in cui si necessita la costituzione di una nuova etica e metafisica. Nell’attesa, non ci resta altro che prendere atto di quanti “detriti”, poetici e materiali, stiamo producendo e tendere “a comportarsi di conseguenza”, come ben dice Linguaglossa in quarta.
Facciamo qualche esempio:
E mettici i resti della sostanza,
che avanza. Nelle suppellettili e nelle credenze.
Nei cucchiaini.
Nei buchi neri, nelle topaie.
Nei sotterranei,
nelle tranvie,
nelle metropolitane.
In fondo al mare,
per questo avanzano le parole.
Negli specchi muti delle sorgenti.
E nelle luci più minuscole.
Nei corridoi di ceramica
e nelle tazze che sfarfallano.
Ci troviamo, qui, proprio nella sezione “Percolati”, a pagina 58, dove l'autore dichiara esplicitamente, a partire da una sorta di elenco che potrebbe non finire mai, questo “avanzo” di scarti.
Le liriche presenti in questo libro non si limitano ad ammonticchiare parole embrionali di versi senza collegamenti organizzati e scagliati a caso:
Una sintassi di vertebre interrate
di parole senza dardo né faretra.
Dagli oblò delle sinfonie
al ghiaccio simmetrico delle capanne.
Dalla geometria dell’occhio
alla similitudine del dado.
Si scoprono, invece, lacerti di denuncia sotto forma di apparenti errori lessicali; errori lessicali che sono in realtà gli errori e orrori che stiamo vivendo in questo periodo di transizione verso un mondo fatto di oggetti non necessari e dalla durata breve, un mondo che riduce anche le persone a soli corpi svuotati di anima, un post umanesimo che, ora, sembra irreversibile. In questa situazione, in cui ci si trova con Il potere della sintesi polverizzata, nasce la denuncia e al contempo la protesta del poeta per il ripristino dei ruoli e dei principi alla base del buon funzionamento di ogni organizzazione; si leggono, quindi, versi come Il pugno è stato il simbolo / che ora riposa nella mano, che, con eleganza e facilità, si risolvono in un distico dal forte sapore lirico e ripropongono temi e modi dell’autore nel periodo dei suoi esordi. Accennavamo ad un sapore lirico, sì, perché nonostante le pagine di questo libro siano condizionate dalle coordinate tracciate dalla Nuova Ontologia Estetica, che aborra lirica, accademismi, soggettivismi, in Mauro non sono comunque del tutto assenti, e si vuole sperare che voglia recuperarli, fosse solo per “riciclarli” fra i tanti raccoglitori differenziati.
Ed è così che, procedendo nel testo, ci si può ritrovare, con aspre interruzioni e passaggi improvvisi, immersi nella lettura di versi slegati ed antimusicali, come:
Un Palombaro in profonda immersione scrive lettere enormi.
Sopravvive ad una sponda, un diapason tiene.
Oppure in questi versi sconnessi seppur ricchi di ironia e parafrasi:
La gravità dell’onda.
Ma come porti i capelli
scompigliati al vento o racchiusi
nello chignon di un sito?
Nei test di gravidanza, con tutti i colori a lato
o li porti alla bella marinara?
Là infondo al mare il pianoforte è spento. Passare, poi, bruscamente fra le carezze di questi versi dal forte lirismo:
Tienimi nelle postille,
nelle tonsille,
nella intonazione di una bevanda sola.
Nella mescita semplice.
Nei cateti colorati consumati.
Al buio rasentando libri.
Nei sottotitoli.
Nelle coltivazioni dei fast-food
O, ancora, ad una lirica come questa, che raccoglie, in soli sei versi, tutto il destino agonizzante dell’arte:
L’Eroica sul golfo irruppe
e propagò la luce che subito si spense.
Ci fosse stato in sala un medico
avrebbe approfondito meglio
la stasi sintomatica
del moonwalk in progress.
Libro ricco, quindi, come questa nostra società multicolore e piatta al tempo stesso, dove il reale sta diluendo e evaporando le logiche e i paradigmi di un tempo, canalizzandoci verso un mondo fatto di superficie e immagini rapide e sintetiche come un tweet, che non concede affondi e pause nell’anima.
Questo destino, figlio-frutto di un mondo, una realtà oramai mutata, che incombe e chiede con urgenza un cambiamento nella vita, nell’arte e nella poesia, ha spinto il nostro poeta a sperimentare fonti nuove di linguaggio, una opzione denunciata con voce aspra già nella scelta della citazione in esergo, un verso di una canzone di Caparezza che evoca l’urgenza di riappropriarsi dei ruoli e compiti, etici direi, della Letteratura e della Critica.
Mauro Pierno, poeta in linea con i tempi, riesce con liquidità a assorbire forme sperimentali diverse, ma proprio la liquidità che ha caratterizzato la nostra società in questi ultimi anni, a nostro avviso, non ha portato ad altro che al discioglimento delle nostre anime; ed è qui, forse, che si può intravedere un piccolo punto debole nei versi del poeta: un progressivo annacquarsi del “carattere”, in una poesia costretta a cambiare sempre.
Intanto abbeveriamoci nei gorgogli improbabili e inaspettati che la liquidità dei versi e delle invenzioni di Mauro Pierno sperimentano e seguono.
*
Francesco Lorusso

venerdì 15 gennaio 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI = CARLO DI LIETO


***Carlo Di Lieto : “L’inconscio – La letteratura e l’ospite inquietante” – Ed.Marsilio – 2020 – pagg. 406 – s.i.p.
Da Narciso a Francesco d’Assisi a Edmondo De Amicis, da Antonio Ranieri a Giacomo Leopardi, da Federico Nietzsche a Luigi Pirandello un viaggio estremamente accattivante nell’immenso ondeggiare dell’analisi psicologica, quasi un’inchiesta sull’inconscio, che sostiene la creatività ed il rifugio policromatico dell’arte.
Un’opera d’arte prende le mosse dall’immaginazione dell’autore ed è riorganizzata a seconda dei sentimenti dello studioso o del lettore, attraverso una esplorazione che cerca di liberare il sub-conscio.
“Non poteva essere che Carlo Di Lieto – scrive Claudio Toscani in prefazione – a impegnarsi per un nuovo volume di psicoanalisi applicata alla letteratura, a così stretto intervallo temporale da altre sue fondanti pubblicazioni psicocritiche: una decina di titoli in pochi anni, come attesta la biobibliografia che correda l’odierno lavoro, un incandescente saggio che dà definitiva sostanza esegetica alle istanze precedenti.” Quindi un lavoro di ricerca che attanaglia e affascina, nelle sue pagine realizzate con uno stile preciso e fortunatamente leggibilissimo. L’esame dettagliato dei sussurri sublimati, che sottendono il terreno della scrittura di questi autori intervistati e delle loro opere, è un lavoro impegnato, quasi un atto di religione laica, che si affonda come un fantasma irrefrenabile nella mente degli scrittori stessi.
Carlo Di Lieto non è nuovo a questi impegni culturali di alto livello ed ancora una volta sveglia la nostra attenzione con un libro calibrato, da leggere e rileggere, da annotare e assorbire, da centellinare e goderne, nella sua esplicita connotazione di scavo nella psicologia degli autori, nello scrutare le opere e nell’interpretare la tormentata vicenda umana che abita in ciascun personaggio. “La psicoanalisi, quando si avvicina all’arte – scrive il Di Lieto- con l’intenzione di scavare nella psicologia degli autori, per rintracciarne le ferite biografiche, o di leggere l’opera come un sintomo latente di malattia, rischia di essere un’applicazione patografica, se il suo uso non è ben calibrato. L’esegesi psicoanalitica deve mettere da parte ogni interpretazione patografica e dar forma all’alterità latente.” Ed è così che egli approfondisce, ricamando, gli affanni segreti che diventano la tessitura pregnante di ogni frequentazione, a partire dalla soggettività dello sguardo per confluire nella osservazione che concepisce la resistenza ai bordi di un precipizio. La scrittura cerca coerenza ed unità per giungere a circoscrivere l’esistenza umana nello spazio dell’apparizione, immersione momentanea tra il manifestarsi e la sparizione.
Il volume ha tre corposi capitoli: “Il pensiero laterale e l’inconscio”, “Autoanalisi e mistificazione letteraria”, “La malattia letteraria: bi-logica e oltre”, attraverso i quali Di Lieto avvolge il principio filosofico che funziona da specchio tra il contrasto e l’apparenza, tra la visione onirica e l’espansione dell’essere, nel gioco spiazzante che l’inconscio riesce a realizzare quando si manifesta nel “testo”. Passaggi vertiginosi si avvicendano in queste pagine, con le quali Carlo Di Lieto indaga sapientemente nel sottosuolo della coscienza, tra gli abissi tenebrosi dell’essere e l’emozione infinita dell’immaginazione, dentro e oltre la riflessione sull’onda di un flusso continuo capace di travolgere la simmetria dell’accostabile.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

RIVISTA = LE MUSE


***Le Muse----Bimestrale per il mondo dell’arte e della cultura – Anno XX – dicembre 2020
Le Muse è una rivista d’arte e cultura fondata da Paolo Borruto e Maria Teresa Liuzzo venti anni fa e quindi può considerarsi storica nel nostro panorama letterario, scenario nel quale molte riviste di questo genere terminano il loro iter dopo poco o pochissimo tempo dai loro inizi. Le Muse è organo ufficiale dell’Ass.ne Lirico – Drammatica Arte e Cultura Pasquale Benindende.
Maria Teresa Liuzzo ricopre i ruoli di Editore, Direttore Responsabile e Direttore Pubbliche Relazioni.
I vicedirettori sono Davide Borruto e Stefano Mangione e lo stesso Borruto è Direttore della Redazione e gestisce i rapporti con gli Istituti Culturali.
Molto nutrito il Comitato Letterario di Redazione del quale ha fatto parte la figura di spicco di Giorgio Bàrberi Squarotti. Le Muse annovera Corrispondenti Esteri in Romania, Spagna, U.S.A. e Argentina.
La Direzione e l’Amministrazione di Le Muse sono a Ravagnese di Reggio Calabria e tra le riviste artistiche cartacee del Meridione, quella che prendiamo in considerazione in questa sede può considerarsi una delle più compiute ed eclettiche.
Ricchissimo il sommario che presenta l’Editoriale di Davide Borruto che ricorda la scomparsa verso la fine del nefasto, a causa della pandemia 2020, di due giganti dell’arte italiana, ovvero Gigi Proietti e Stefano D’Orazio, che sarebbe molto riduttivo indicare solamente come il batterista dei Pooh.
Da segnalare lo scritto Osservatorio Internazionale, La quiete edenica Qualche parola su Athananse l’esicasta a cura di Mauro Decastelli. Interessante la rubrica La lanterna di Diogene che include lo scritto di Chiara Ortuso Lame di bellezza: I Tulipani viola di Antonella Di Siena; come scrive la Ortuso nella raccolta della Di Siena s’incontrano dolore ed esistenza che s’incrociano in uno scroscio indistinto di cromatiche impressioni e variopinte emozioni.
Presente la rubrica “Nuovo Circolo Ermeneutico” a cura di Bartolomeo-Theo Di Giovanni.
Il personaggio del mese in Autori del Terzo Millennio è Cecilia Minisci insegnante e poetessa che ritroviamo in un servizio a cura di Chiara Ortuso. Come scrive la curatrice in Il verseggiare intimo di Cecilia Minisci l’interiorità come sede recondita di un vissuto che si fa parola cadenzata, prepotente logos d’intelletto, muovendosi tra le pagine di una memoria che brucia, in maniera impercettibile il palato dei ricordi per riaffiorare sul sagrato dell’anima; sul palcoscenico di una psiche limpida e chiara nella sua continua ricerca di valori dinanzi allo spettacolo gaudente di un mondo che appare come coagulo di sangue e finzione con uno spettro di afflizione e noncuranza mentre la trama dell’esistenza continua incessante il suo sinuoso ma deciso incedere tra le riflessioni di chi precipita, con lo spirito in fiamme, nel baratro di un inabissato mare che solitario attende.
Nel bimestrale s’incontrano saggi e recensioni di qualità, tra le quali la firma di Antonio Spagnuolo, ed una Rubrica dedicata all’esercizio della satira attraverso la metrica della filastrocca a cura di Maria Teresa Liuzzo.
Una lettura impegnata, un caleidoscopio di articoli e testi poetici connotati dal comune denominatore della qualità a dimostrazione che, ancora una volta, anche nell’era di internet, scommettere sulla poesia e l’arte in generale con espressioni cartacee si rivela una scelta vincente per i valori dell’essere che sono ancora in piedi in un mondo dominato dalla mentalità dell’avere.
Un’immersione tout-court nella bellezza che supera di gran lunga la mentalità del mero apparire, bellezza e cultura che ancora esistono finalizzate ad un accrescimento d’anima.
*
Raffaele Piazza

martedì 12 gennaio 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIUSEPPINA PALO


***Giuseppina Palo : “Viaggio in Veneto” – Ed.Pagine – 2020 – pagg. 138 - € 15,00
Con semplicità discreta la poetessa passa dalla poesia alla prosa, realizzando l’occasione di fusione tra ritmo ed accordi, che sollecitano l’atmosfera di favola e di vertigini per un continuo incalzare di metafore. Volume ricco di sorprese e di vicende alterne che avvolge in un’atmosfera sospesa fra realtà ed illusioni.
“Giuseppina Palo – scrive Plinio Perilli in prefazione – da anni eterna ragazza, fanciulla e poi donna devota, maternale di poesia, vede e salva la lirica ovunque: nei paesaggi che una vacanza attraversa come se li scoprisse, l’inventasse d’incanto; o nell’eco suadente e cadenzato di una musica che ha liberato a nome di tutti, di ogni giovinezza o beat generation, e la mente e il cuore.”
Poesie scelte da precedenti pubblicazioni come “Il dono selvaggio”, “Antologia: In my end is my beginning”, “Favole moderne”, “Dell’amore eterno”, “Antologia Navigare 22” si offrono con il proprio personale stile sino all’inedito “Viaggio in Veneto”. Un panorama ricco di attrazioni e di interludi che lasciano scivolare ricami dell’aria, del mare, del paesaggio, dei vecchi quartieri, dei melanconici personaggi, delle notti silenziose, dei riflessi multicolore di un tramonto, “in un viaggio frenetico e schiumogeno”. I luoghi riflettono un’emozione particolare, vuoi per il vissuto che fermenta nel ritmo, vuoi per l’amore che evapora con una particolare forza. Un’aura surreale e fantastica pervade molte poesie, quasi a favoleggiare il quotidiano per assorbirlo in una luminosità di sussurri, minuziosamente centellinati ed armoniosamente concepiti nel ritmo, anche quando l’ansia di un bacio si dissolve “tra zucchero e caffè in luoghi affollati”.
Le proiezioni sono mutevoli: “Vedi, a occidente sta tramontando il sole!/Io mi tingo, mi accendo/ dei color forti della natura/ per esploderti nelle braccia/ in un canto puro./ Dove ho abitato lunghi anni?/ I cespugli erbosi di brina/ stillano freschezza acerba. / Quando verrà la sera?/ Per sdraiare il mio corpo/ nel morbido abbandono tuo?” Un canto che si eleva dal verso, improvviso, pregnante, fra immagini di vita reale e sogni evanescenti, fra panorami urbani palpitanti e fantasie romantiche.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

lunedì 11 gennaio 2021

SELEZIONE DA VOLUME


***Francesca Lo Bue – Poesie pubblicate nel libro di poesia Poeti nelle lingue del mondo a Roma – Roma 2020***
Francesca Lo Bue è nata a Lercara Friddi (PA); ha curato diversi studi letterari sia in italiano che in lingua spagnola; ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua spagnola, 2009 e il romanzo di viaggio Pedro Marciano, 2009 oltre alle raccolte di poesia Il libro errante, Moiras e I canti del pilota e Albero di Alfabeti.
Quelle che esaminiamo sono sette poesie numerate della Lo Bue che presentano la traduzione a fronte in spagnolo. della stessa autrice. Questi componimenti rappresentano un alto esito della personalissima ricerca letteraria della poeta che di volume in volume segue una poetica neolirica nel suo naturalismo, poetica che parte dal dato empirico che è il punto di partenza per un poiein che diviene intellettualistico e riflessivo e che è costellato da fulminee accensioni neo – orfiche e da un’incontrovertibile visionarietà.
Prevale una connotazione ontologica e si tratta essenzialmente dell’interrogarsi in versi sui massimi sistemi in un percorso che dalle immagini raffinate e ben cesellate arriva alle domande sull’essere e sull’esserci sotto specie umana, per dirla con Mario Luzi.
Quanto suddetto si esemplifica nei versi prelevati da Scienza oscura: - “Cos’è il sole di ogni alba? Cos’è l’acqua del torrente e la freschezza della fonte? Che cos’è il creato in consistenza?
Uno scavare per usare un’espressione di Seamus Heaney, uno scendere in profondità nei meandri dell’inconscio il cui precipitato si fa sostanza poetica multiforme e affascinante pervasa da un’armonica bellezza per la quale le raffigurazioni emergono le une dalle altre è la cifra distintiva essenziale di questa scrittura.
Fondante nella poetica dell’autrice è il tema della natura che, attraverso la nominazione di varie specie animali e vegetali, diviene espressione del creato e dell’universo, attraverso i correlativi oggettivi che si fanno simbolo.
In Il pellegrino dell’alba l’io – poetante s’interroga sulla sua funzione terrena: - “Che portai? Che ho portato da sempre da lontano sconosciuto unico? Un essere passione e pianto?
Del resto la vita è un viaggio, un pellegrinaggio, e il pellegrino detto con urgenza dalla Lo Bue potrebbe essere ognuno di noi trasfigurato attraverso il varco salvifico che solo la parola poetica può aprire.
**
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANNI MARCANTONI


***Gianni Marcantoni – Complicazioni di altra natura (puntoacapo CollezioneLetteraria)- 2020 - pagg.60 - € 12,00
È come se stessimo ad aspettare, ignudi e rassegnati, il depuramento della tacita ma sin troppo accomodante materia, da esseri viventi o per meglio dire ingannati dal futile; lungi comunque dalla gioventù che agonizza nel corso del tempo, distrutta da sé, internandosi a delle sedi istituzionali col parassitismo a farla da padrone.
Tra le parole di Marcantoni il tempo procede piano, sembra che si concentri sulle proprie componenti, dimodoché chi lo possiede ricorda d’essere stato una copertura delicata e immacolata per questioni insopprimibili, alle prese con agenti atmosferici che imploravano il favore delle tenebre; con la mancanza di rispetto che non determinava il fatto di tralasciare delle proprie origini, avendo emesso il primo vagito per sciogliere l’univoca emozione, ed esistere.
L’armonia dei versi si manifesta per mezzo della malinconia imbattibile in prospettiva, è dedicata alle pregiatissime conserve di un divenire impopolare, visto che risulta impossibile illuminarci nuovamente con l’accertamento dei rifiuti terreni.
Ci son troppi limiti per osare, costretti a uscire fuori ci siamo resi fragili, la ragione è talmente evidente ch’è possibile penetrarla. Marcantoni desidera che ogni cosa assuma un valore, nonostante l’anima stremata al momento di ricrearsi.
Un soggetto caro al poeta suole scambiare la vita sprigionata unicamente dai polmoni per una mente riversa in superficie, e riaffiora il buio delle volontà che perdono di mordente. La ragione sprofondando nella carnalità sollecita la giornata tipo, all’estremo di conclusioni mai azzardate, a porre in essere l’umanità, dentro una camera che dovrebbe pretendere l’arieggiamento, e per giunta al buio.
“Un sogno mi ha svegliato poiché
non è la vita a distruggerci,
oscillava la voce come una spiga assetata,
presto il tempo fingerà di non riconoscermi
e sarò già apparso
in qualche luogo scolorito e umido.
Le facce sono scudi,
gli scudi sono pinze
e le dita, come pinze, restringono l'uscio”.
“I sassi sono immense gocce
di china lavabile, riciclata dalle discariche”.
“… le parole sanno, sanno molto più di noi”.
I chiaroscuri ch’emergono dalle aspettative come un ricamo destrutturano cammini, Marcantoni chiede di avere un gancio al massimo, sul punto di sentirsi amorevolmente solo, per tenere testa alla vita enfatizzabile da parole di sola andata, dentro di sé, di nuovo.
Le poesie raccolgono l’assoluto derivato di un sibilo… benché quel qualcosa di celestiale sembra che suoni a festa, e invece urla al più recente distacco umano.
In amore Gianni vuole travolgere un riferimento, dacché somigliante a un mare di vergogne, appartenente a una dimensione sempre più priva di accessi, essendo stati inventati per censurarli, con la paura di morire, che rende infernale il paradiso.
Secondo Marcantoni è arrivata l’ora di recuperare degli obiettivi prestabiliti, di ridare importanza alla Storia, passando sopra disastri patinati, riqualificati da sterili affaristi. Il filo della vita si ammatassa e non riusciamo a tenerlo in pugno. Il marcio aleggia scompigliando i passi che facciamo con somma emarginazione, per venire poi assorbito dal traffico cittadino, armonioso se continuiamo a muoverci.
E pensare che la bellezza riguardava la fede che legava i poveri alle illusioni, il diritto di spirare ascoltando il cuore, quando l’ingenuità dinanzi al destino del pianeta Terra temprava gli animi di un’umanità che a sua volta non badava a sopravvivere come a svalutarsi… e il bello di un nascondiglio consiste esclusivamente nel celare qualcosa di prezioso, non condizionato da possessori esigenti, che perdono di autenticità approfondendo, volendo ampliare la curiosità per il proprio genere, pessimista e di conseguenza delirante, a danno di una coscienza dunque tagliente, confinante.
I miserevoli necessitano ogni volta di aspettare a lungo per darsi un senso; resta il fatto però che dubbie tragedie incombono, che persistono nosocomi accoglienti per una psiche da rilassare dimenticando di stare a morire, cavalcando idee per giustificare uno e più malesseri, come se invitare le persone a osare facendo i conti con l’attualità comporti nulla di funzionale, come se tutti i sacrifici del caso vadano a ramengo.
L’assimilazione del respiro ogni volta sembra che induca alla veloce scomparsa di un Marcantoni negli occhi dell’estraneo, generalizzanti… occorre quindi stare a galla, a seguito sempre di un’alimentazione da contenere nell’intimo. Il sentimento che il poeta è in grado di rilevare eccede, giustappunto per rimanerne angosciato, nel profondo. La morte va a rilento, quando smetterà di riproporsi, solo allora ci attraverserà. Chi scrive queste poesie prega di natura affinché si possa migliorare con gli occhi bene aperti, evitando la svista, ovvero che la malafede di chi è morto dentro, lesto quindi a fregiarsi addirittura dell’oltre, lo seduca… una missione quasi impossibile ma speciale, se la straordinarietà propinata teoricamente, follemente, si adombra per mezzo di una passione ingestibile, quella per le conoscenze guarda caso.
“Le verità sono davanti ai nostri occhi,
hanno il nostro stesso sfregio”.
Tecnicamente, dalla lettura si rileva una severità pragmatica ma pur sempre passionale, una competenza nel giostrare la parola con familiarità e imprendibilità.
Sembra che l’ambientazione protegga lo stesso poeta intento a inscenare le emozioni, e comunque si respirano atmosfere d’attendibilità sociologica. Si denota dell’amorevole amarezza intimistica per mezzo di un lirismo crudele e nostalgico.
Marcantoni è bravo a radiografare il tempo che batte facendo tic tac per confini da esplorare con l’attraversamento esistenziale; si conferma emblematico il coacervo di rifiuti sulla presenza umana.
La misura dei versi (che deviano spesso e volentieri verso il visionario) è calibrata, ne traspare più l’intensità che il coinvolgimento. L’assoluto isolamento lo si accerta con la natura da ripianare ancora, individualmente. Quando si parla non possiamo fare altro che renderci ingenui, la quotidianità aspetta di essere tradotta, la sua armoniosità, nelle articolazioni che il tramonto scalfisce. La verità spiritualizza il tacere liberandolo, ledendolo, cosicché la vita cessa.
Stile avvolgente, parole ben strutturate per una partecipazione emotiva sfuggente se selettivi e cinici nei giudizi, nella rappresentazione cruenta di pervasive idiosincrasie.
Quando si addensa l’etica, ecco che la poesia assume tratti veristi, fa arrabbiare lo stomaco… la pulizia morale diventa consacrante per il rapporto poeta/lettore. Gianni resta capace di cogliere le sfumature più delicate dalla variegatura delle difficoltà agendo come un soffuso di malinconia e speranza… dispone di un pensiero saldo anche se ingabbiato dalla durevolezza disincantata, quindi l’immaginario del lettore si può impregnare di echi, d’impronte trascorse e mai passate dato il presente che affonda le radici in un universo antico e riporta scie di morte e di passione.
***
VINCENZO CALO'

venerdì 8 gennaio 2021

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


***“Orlo”***
Siamo sull’orlo e contempliamo le ombre
che sottendono alla resa del cielo
per il rifiuto dell’attesa che violenta
e rende vano ogni sogno.
Nei silenzi che apparivano giusti,
come urla al supplizio, le parole dell’anima,
prigioniera del morbo, hanno il crepitio
del fuoco incandescente.
Quei risvegli improvvisi da un cattivo sonno,
opaco come lo smeriglio,
svuotato come un velo arrugginito,
ci avvolgono ancora per illudere carenza di stelle.
*
ANTONIO SPAGNUOLO *

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


***Alessia e il bianco***
Bianco senso della neve
per Alessia a Roccaraso
a sciare. Candida tinta
a entrare in di ragazza
Alessia l’anima e gelo
a raffreddare nelle tasche
del jeans sdrucito il sogno
soave.
Bianco senso di nuvole
grandiose per Alessia
a piovere nell’anima
in attesa di Giovanni
che la prenda come una
donna (sedici anni contati
come semi Alessia
dai seni rotondi).
*
Raffaele Piazza

lunedì 4 gennaio 2021

SEGNALAZIONE VOLUMI =FRANCESCA FARINA


**Francesca farina: "LA SCUOLA DEI Somari" - Sonetti per un anno di scuola- Bertonieditore- 2020
RIVOLUZIONE NELLA TRADIZIONE -
C'è una sorta di corrispondenza in entropia tra i sonetti (154) del Bardo di Stratford-Upon-Avon, almeno nel tempo di stesura, nelle circostanze e in qualche modo nella quantità, di quest' antico costrutto poetico a forna "chiusa", tipicamente italiano, con i suoi quattordici versi di endecadillabi: due quartine, con rima alternata, ABAB- ABAB CDC - CDC o intrecciata, ABBA - ABBA- CDE- EDC e di quelli di Francesca Farina (237), con schema rimico del Dolce Stil Novo, che trova in Dante il compositore del celebre " Tanto gentile e onesta pare".
Nell'Inghilterra elisabiettiana, la sonettistica era molto praticata e in tanti, tra cui Shakespeare, si cimentavano nella scrittura del "sonet", consistente in tre quartine di pentametri giambici, con rima alternata, più un distico, con rima baciata. Shakespeare, si suppone li abbia scritti, tra il 1592 e il 1593, periodo in cui i teatri londinesi erano chiusi a causa di una pestilenza, Francesca Farina, li ha scritti nell'arco di un anno scolastico e pubblicati nel 2020, nel corso di una moderna pestilenza, che non ha precedenti nella storia dell'umanità : il coronavirus. I temi sono variegati: ironici, satirici autoironici, profondi, giocosi, lirici, ad persom o a categorie di persone e mentre Shakespeare li indirizza a un "Fair Youth" e a una" Dark Lady", la poetessa sarda, li indirizza a se stessa, tramite i suoi generosi, a volte impietosi solipsismi , ai dialoghi con la sua coscienza, agli allievi e alle allieve, alle colleghe e ai colleghi, insegnanti come lei, alle istituzioni, ai posti, alle occasioni, tutto scandito con data e luogo, per voler sottolineare l'irripetibilità del momento preciso della gestazione: quasi un oraziano attimo colto o ancora da cogliere. Verrebbe da chiedersi del perché di una scelta così aspra, atipica, per certi aspetti della creatività, ma alla fine, ci si rende conto che è un alto esercizio di libertà, un paradosso zenoniano: trovare libertà nel limite, come il prigioniero libertà trova nella prigione. Dunque un ossimoro aperto alle sfere di una riconciliazione mentale, ideale, cosmica, degli opposti, nel paradiso degl'inferi o negl'inferi del paradiso. " O noia eterna, o morte della vita!
O spasso, che lontano mi stai sempre!
O piacere, perenne, neanche un'errre
Mi concedi di te, ma di sfuggita
Ti fermi un solo istante a chi t'invita
A dimorare in perpetuo nelle belle
Stanze della mia casa, le promesse
Che appena fai ti mangi, la tua uscita",(P.34)
L'incipit, come l'invocazione alla musa nei poemi classici, della prima quartina, che si ripete nel secondo e terzo verso, creando un andamento anaforico efficace e rafforzativo, la rima rigorosamente ABBA, come nella seconda quartina strutturata con un enjembement notevole, che produce una sonorità e un allungamento di senso, una dilatazione originale fono-semantica , nonché l'allitterazione della "i" nelle sequenze: "fai ti mangi" , sono tutti aspetti formali necessari all'elaborazione del "Sonet", di un sonetto perfetto, come la sequenza delle more: 5-7-5, lo è per lo haiku orientale classico. Quella di Francesca Farina è stata un' impresa temeraria portata a termine in un lasso di tempo brevissimo, di circa una poesia al giorno, quasi uno spenseriano " Shepheardes calendar ", dove i prati vengono ruminati da fame diversa, sino a un approdo notturno che propizi visioni ancestrali, ricrei incerti futuri, presenti fantasmi nell'oasi dei ricordi ora che i passi si fanno coscienti e non vacillano neanche di fronte al muro freddo della realtà. La clessidra scolpisce inesorabilmente il tempo e il gioco monotono della partenza e del ritorno, sempre dallo stesso luogo, sempre verso lo stesso luogo, e appare difficile separarsi dalla ripetizione rituale, ineffabile, posta lì come a preconizzare eventi strani ancora da venire. " M’ ha raggiunto l'assiolo che già udivo
Lagnarsi coi singhiozzi questa estate
Nell'isola adorata, in cima al cedro
Dei giardinetti, davanti alle vetrate
Della mia casa immensa, tenebrosa,
Abbandonata ai ratti, alle locuste,
Adesso chiusa ai venti, misteriosa
Fino alla nuova estate,... " ( Pag. 42)
Le invettive contro colleghi, allievi e istituzioni, in generale, non sono meno forti e taglienti, di quelle espresse da Catullo nei suoi" Carmina" , contro conoscenti ed amici del suo tempo: oziosi, pettegoli, ipocriti e arrivisti. Anche il linguaggio diventa duro e a volte volgare, per illustrare e dipingere meglio, in modo vivo, le atmosfere endogene ed esogene, i comportamenti banali e ridondanti, ostentanti pochezza, miseria umana e culturale, di tutto quell' "assetto scolastico", che dovrebbe essere, con i suoi molteplici componenti: "Tempio della Conoscenza", invece, altro non è che: " La scuola dei somari". La poetessa sarda ha un mare di cose, di vite, da dire, da raccontare, di semi da esplodere e per non perdersi nella vastità di quest'urgenza, ricorre a questa forma "chiusa", come mezzo espressivo più consono, in grado di incanalare l'energia, spesso irrefrenabile, preponderante e darle un involucro nobile, un fulcro, un'armonia. Tutti questi aspetti, queste angolazioni, deragliano e trovano soluzioni eslegi, in un gusto un po' macabro con striature gotiche, comunque in grado di autodisciplinare il calamo facendolo scorrere anche verso oceani poco ospitali, che accolgono detriti e resti, frantumi di storie ai limiti dell'altezza umana regredita in bassezza e quindi prostrata a raccogliere scampoli di esistenza ai margini della società , della cultura, che non trovano appigli a cui agganciarsi e cadono sacrificati al dio del banale, verso la dimenticanza, la sicura morte. Ecco dei versi significativi di questo humus: " Aggiungi un altro chiodo alla tua bara
Nel percorso di morte, con lo strazio
Di ogni secondo, con questo sangue marcio
Di morti avvelenati e maledetti
Gli scervellati che spregiano Bellezza,
I tuoi alunni, carne per i sorci," ( Pag.48)
A partire da Jacopo Da Lentini, scuola siciliana, prima metà del duecento, inventore del "sonet" (piccolo suono, dal provenzale son: suono, melodia) e poi da Dante e Petrarca, in ogni periodo storico - letterario, in tanti si sono cimentati con questo costrutto classico, provando le loro capacità creative, di sintesi ed equilibrio. Da Gongora, con i suoi sonetti barocchi, funebri, elefantiaci, iperbolici, nel famoso " Siglo de oro" , in Spagna, a Francisco De Quevedo, "Sonetti amorosi e morali", a Federico Garcia Lorca, " I sonetti dell' amore oscuro" , da Keats a Baudelaire, a Poe, a Borges, a Carducci, D'Annunzio, Montale, a Pasolini, sino ai nostri giorni, al magnifico poeta di Cave Dei Tirreni, Gino, Scartaghiande, "Sonetti d'amore per king kong", ogni scrittore di versi che si rispetti, si è volontariamente confrontato con questo schema particolare di azione poetica, quasi a voler dimostrare le proprie capacità artistiche intrinseche compositive.
... senza tralasciare Michelangelo e i suoi 78 sonetti...
Francesca Farina porta avanti la sua "Rivoluzione nella tradizione", proponendoci i suoi 237 "Sonetti per un anno di scuola", in un clima dove le parole si sprecano quotidianamente, private ormai di saggezza, di gusti e sensi, in discorsi melliflui, stereotipati, come nella previsione e Visione pasoliniana, sintetizzata in un unico lemma o lessema: "Omologazione" .
La parola poetica è soffocata come il grano con l'insorgere furibondo e funesto della gramigna e confinata continuamente in campi sterili senz'acqua, privi di linfa per la rigenerazione e la sussistenza. Questo è il tempo in cui, per "dire", si dovrebbe "tacere", per "produrre", si dovrebbe "smettere di produrre" C'è troppo di tutto! C'è troppo dello stesso troppo! Chi fermerà quest'immonda macchina che porta all'oblio? Chi veramente manovra i fili che sorreggono l'intero meccanismo universale? Baudelaire aveva intuito l'antifona, come si può leggere nella protasi "Al lettore", de "I fiori del male" . "C'est le diable qui tient le fils qui nous renvent! / Aux objects repugnant nous trouvons des appas:/ chaque jour vers l'enfer nous descendons d'un pas, / sans horreur, a' travers des tenebres qui puent." Ahinoi! We are getting worse, we are going adrift, we are in a deep quagmire, but:
" How beautiful, if sorrow had not made sorrow more beautiful than beauty's self!"
Alla fine, hanno ragione tutti! Anche chi ha torto, dal suo punto di vista, ha ragione!
Dunque, che fare? A cosa anelare?
" Cosa mi manca? La vita, la poesia...
Perché, non posso adesso poetare?
Certo, ma non riesco più ad andare
A seguire parole, la mia via," ( Pag.104)
Con quest'avventura non facile, non senza ostacoli, sempre impregnata e colorata da un certosino continuo" Labor limae", per accostarsi più nitidamente a una consolidata "Ars Poetica", con questi suoi preziosi 237 quadretti, con tinte molto forti, condensati come pulsars in senso e forma, In atmosfere circondate da un alone di "Realismo Magico", Francesca Farina, ha saputo trovare una sua propria via, tra le tante vie tracciate e percorse da altri "Aedi" che l'hanno preceduta, riuscendo a realizzare una personale ubicazione temporale importante e stabile, nelle oscillazioni telluriche delle temperie letterarie della contemporaneità, ancora tutte lungi dall'essere storicamente storicizzate. Raccontarsi, come di fronte a uno specchio, a volte anche crudele, che rimanda al mittente e allo spettatore, in modo inesorabile, le immagini ricevute, in tutta la loro fredda realtà, presuppone qualità notevoli, il saper ricevere e sopportare ciò che arriva dal proprio interno e dall'esterno, presuppone una grande gioia di vivere, nonostante le vicissitudini umane poco umane e attraenti, presuppone una consapevolezza chiara del proprio essere tra gli esseri. Scriveva Re Salomone alla fine del suo saggio lavoro, " Ecclesiaste" : "Si fanno dei libri in numero infinito: molto studiare è una fatica per il corpo!" Tutto il superfluo sarà dunque spazzato via, buttato al macero o resterà nell'oblio inerziale dell' inizio senza aver mai visto la luce? Scrive Silvio Raffo alla fine della sua elegante ed esauriente prefazione: " Nessun moralismo, nessun buonismo nei contenuti di questi testi- testimonianze di un calvario, solo una verità crudele e amara per entrambe le parti (dell'allievo e del docente), solo un realismo esacerbato e coerente. E noi sottoscriviamo e scriviamo: "La scuola dei somari", non è un libro qualsiasi. Non è un libro amorale, né morale. È un Libro scritto bene", che aggiunge qualcosa di saliente al materiale preesistente e, con le sue precipue tessere, la sua meticolosa cura per il Bello e per il Vero, anche laddove, il Bello e il vero non hanno cittadinanza, contribuisce a creare l'immenso sempre verde indistruttibile alato mosaico di POESIA.
" Che fosse una poetessa era notorio
Soltanto a pochi Intimi davvero,
Che poi sopravvivesse sotto un cielo
Torrido o una tormenta, un romitorio,
Per lei non c'era affatto differenza,
Andare era il suo credo, il suo destino
E leggere il suo pane quotidiano,
Di scrivere non poteva fare senza."(P.164)
Roma, San Lorenzo, 16 Dicem. 2020
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Biagio Propato