lunedì 28 dicembre 2015

CI LASCIA CIRO VITIELLO

CIRO VITIELLO è morto questa mattina 28 dicembre 2015. Nato a Torre del Greco nel 1936 ha vissuto a S. Sebastiano al Vesuvio. È stato redattore di Altri Termini, ha diretto la rivista di letteratura Oltranza, ha collaborato a quotidiani e a numerose riviste, tra cui ES, il verri, Il Laboratorio, ecc. Per Guida ha diretto le collane Poesia Contemporanea (1982-’85) e Poesia Novanta (1992-1994); per Ripostes Poeti Contemporanei (I992-1995). Nel 1998 nelle Celebrazioni leopardiane ha curato un Omaggio a Leopardi e il convegno Novecento e Leopardi. Negli anni 1997- 1998, ha ideato la Borderart, Le Fome Memori, consustanza sintetica di poesia, arte, haphazard, performance, happening a Palazzo Marigliano di Napoli. Ha ideato e diretto per l’editore Tullio Pironti, la Biblioteca della poesia italiana contemporanea, dove ha pubblicato testi di Luzi, Roversi, Sanguineti, ecc.. Per lo stesso editore ha pubblicato la sua Antologia della Poesia Italiana Contemporanea. Negli anni Ottanta ha realizzato numerose mostre di poesie visive (Napoli, Caserta, Roma, Milano ). È stato componente di giuria di alcuni premi di letteratura. Nel 2011 ha ideato e diretto il Premio letterario Corrado Ruggiero, LO SCRITTORE DELL’ANNO , con una giuria di grande prestigio. HANNO SCRITTO di lui tanti critici, tra cui Manacorda, Gramigna, Cordelli, Pautasso, Pedullà, Luperini, Reina, Verdino, Di Lieto, Squarotti, Anceschi, Roversi, Maffia, Lanuzza, Zagarrio. Ci lascia un uomo di notevole cultura , sempre dedito alla ricerca poetica , e profondo conoscitore della letteratura contemporanea.
*
ANTONIO SPAGNUOLO -

giovedì 24 dicembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = SALVATORE ANZALONE

Salvatore Anzalone – "Dei confini sottili"-- Edizioni Simple – Macerata – 2014 – pagg. 89 - € 12,00

Salvatore Anzalone, nato a Patti (Me) nel 1965, vive e lavora a Bologna.
Dei confini sottili, la raccolta più in limine dell’autore, è un’opera costituita da brevi frammenti, scabri componimenti del tutto antilirici e che possono essere annoverati nel genere epigrammatico, poco praticato in Italia e che vede il suo massimo rappresentante in Giampiero Neri.
Il libro è scandito in quattro sezioni: Tempi di attesa (1 parte), Giorni migliori (2 parte), Dei confini sottili (3 parte) ed Epilogo.
E’ la continuazione del testo L’equilibrio dell’anima, pubblicato nel 2007.
Con questo volume Anzalone continua il suo itinerario di ricerca tutto incentrato, come dai titoli delle sue raccolte, sul tema dall’equilibrio dell’anima e dei confini dell’io – poetante che cerca, in ogni modo, nella scrittura poetica, con la massima fiducia nella parola, di salvarsi con la poesia stessa.
In questo inizio di millennio occidentale la poesia si trova a divenire antidoto contro uno scenario disumanizzato.
Salvatore quindi può essere definito tout-court un figlio del suo tempo, quando proprio per via dell’incomunicabilità tra gli esseri umani, i libri di poesia si moltiplicano.
Lo stile adoperato dal poeta è cristallino e nitido e, rispetto ai libri precedenti più essenziale, meno strutturato e più gridato.
In realtà, ad un’analisi più profonda, possiamo dire che l’autore privilegia qui un contesto che appare connotato dagli ottimi strumenti tecnici della sua officina e da una profonda coscienza letteraria.
Il linguaggio e il poiein non sono mai elementari e, ad un’analisi accurata, possiamo constatare con sicurezza che in questi componimenti c’è una forte dose di scarto dalla lingua standard.
C’è anche il tema della metamorfosi quando la materia dell’uomo diviene muschio o albero.
Il poeta a volte si apre, nei suoi tessuti, ad accensioni liriche, a squarci in cui si proietta più l’anima che l’affettività dell’autore.
E, in generale, le poesie di Dei confini sottili, si stagliano sulla pagina come acuti esercizi di conoscenza, eccessi della mente che cercano di esplorare le cose più sottili.
Nella compattezza del testo troviamo la presenza di un consapevole esercizio di ricerca.
Anche se l’opera è scandita, è permeata da una vaga essenza poematica, una valenza che si esplicita, per usare una metafora, in un insieme di minuti tasselli che costituiscono un sistema più vasto ed omogeneo, simile ad un mosaico.
A volte i componimenti sono costellati da una sottile ed amara ironia.
Libro originale, efficace ed intrigante perché ha per argomento tutte le pulsioni della mente umana: le tensioni verso l’amore, la gioia, il regno animale, il limite, Dio, la morte e la chimera della felicità.
*
Raffaele Piazza

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia vive il giardino"

Prealbare chiarore del freddo
di dicembre a invadere di
Alessia l’anima a entrare
nella pelle di ragazza Alessia
rosso fragola vestita.
Gialle le foglie dell’albero
del quale non sa il nome.
Di tante tinte del giardino
senza sosta i fiori nel guardarli.
Entra nei verdi delle piante
con degli occhi la pazienza
coltivati, apre la bocca
e dice amore per scaramanzia.
Viaggia l’amore Alessia
nei passi nel giardino fino
alla sorgente centrale e di
rinascita le acque beve
per gioco nell’interanimarsi
con il mattino.
*
"Alessia legge le stelle"

Monitor di cielo, sotteso
blu infiorato da stellemargherite,
luce intermittente nel proseguire
dagli occhi all’anima di Alessia
a irradiarla, a dare gioia
nell’interanimarsi con Venere
(oltre che con la luna).
Si sono aperti i cancelli dopo
i sogni belli e ride Alessia
come una donna e legge
in una piccola stella le parole:
sarai felice!!!
Trasale Alessia
e vengono gli aironi.
*
"Alessia e il 2016"

Sterminato orizzonte
linea cielomare,
sguardo dal Parco Virgiliano
su Napoli che ancora
esiste. Alessia non naufraga
nell’infinito azzurro,
preferisce un fiore d’erba
colto per scaramanzia
per un felice 2016
duale con Giovanni.
Cancelli del parco e della
mente si aprono al sogno
più bello (cavalcata al
maneggio e poi fare l’amore).
Si schiude la fabula
in chiara terrena sintonia,
sedici anni contati come
semi. Specchio di lago
assente nel realizzarsi,
pace.
*

"Alessia mangia le fragole"

Si chiede Alessia cosa ci sia
dietro un sapore di fragola.
Il rosso mette in bocca
nell’assaporare la storia
(il primo giorno con Giovanni
di due anni fa).
(sa di essere fantastica il
gusto aspro a scendere
nell’anima)
Felice coglie fragole Alessia
nella bocca di rosa, le mette
senza lavarle e si sente
ninfa selvatica per l’amore.
(tanto non mi lascia).
*

"Alessia nella neve"

Bianco a invadere di Alessia
l’anima. Nevica sul Parco
Virgiliano. Ansia di gioia.
Storia di baci con Giovanni.
(Non mi lascia) pensa Alessia
della felicità al culmine.
Ha ancora sul corpo le tracce
dell’amore di ieri, l’odore
di Giovanni. Freddo a scendere
nel tempo del nevaio
gennaio che continua.
Vede che il Bar Virgilio
ancora esiste, festoni natalizi
a illuminarlo. A pervaderla
il sogno più bello, Alessia.
*

"Alessia e il tempo freddo"

Sera nel freddo di gennaio,
mese del nevaio.
Attende Alessia qualcosa
che s’inveri, uno squillo
di telefono, l’aurora ad ogni
passo, uno sguardo,
un’amica, l’amore con
Giovanni. A poco a poco
si dirada dei desideri la nebbia
nell’interanimarsi con
di luna, l’immobile lucore.
Fino alla portineria – acquario
il percorso: nella cassetta
incielata di lui la lettera.
La legge Alessia e trasale
(è il giorno più bello).
*
Raffaele Piazza

mercoledì 23 dicembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

FRANCESCA LO BUE: "Moiras" - Edizioni Scienze &Lettere 2012 pp.143 Euro 12

Abbiamo incontrato Francesca Lo Bue nel 2010 quando ci ha fatto conoscere, presentandolo a Pianeta Poesia, il suo "Non te ne sei mai andato" che l’autrice ha dedicato alla terra natale, la Sicilia, e soprattutto al padre Salvatore prematuramente scomparso.
Un libro bilingue, come le raccolte che seguiranno, perché Francesca è vissuta la gran parte dell’infanzia e tutta la giovinezza in Argentina, terra da cui ha sorbito i colori e i contrasti, e la cui lingua morbida e rotonda ha fatta sua, tanto che nella creazione poetica è privilegiata, e soltanto in seguito tradotta in modo libero e non banalmente letterale, in italiano.
A distanza quasi esatta di un anno, nel novembre 2011 abbiamo presentato il suo L’emozione nella parola la cui stesura in lingua spagnola era precedente a Non te ne sei mai andato, stesura in seguito arricchita con la traduzione in italiano delle poesie e con una Nota di cui volentieri rileggo i primi tre versi particolarmente belli e intensi :

Perché la Patria non è una né geografica/ Perché la Patria è il cuore/ Perché la Patria è l’espressione delle parole del cuore ( p.15)

Ora l’autrice ci propone il suo ultimo lavoro bilingue Moiras per le Edizioni Scienze e Lettere di Roma, bilingue nelle poesie privilegiando sempre lo spagnolo, ma la cui densa, emozionata Premessa si legge nella sola stesura in italiano.
Un omaggio a Roma, la protagonista della silloge?
Roma, infatti, ultima patria di Francesca, è il tema della raccolta nella quale il destino che il titolo suggerisce è quello della città ma anche quello dell’autrice : destini che si fondono e confondono in un intreccio emotivo dagli esiti simbolici e poetici quanto mai suggestivi .

Leggendo le composizioni della silloge mi sono venuti alla mente i versi di Octavio Paz ( Messico 1914-1998 Nobel 1991 ) che nel suo Libertà sulla parola (Guanda 1965 Collana Fenice diretta da Giacinto Spagnoletti : da notare la vicinanza del titolo del libro di Paz con il titolo 2011 della nostra poeta ) ci parla del Destino del poeta con queste parole :

Parole?/Sì d’aria/ perdute nell’aria./ Lascia che mi perda tra le parole,/ Lascia che sia l’aria sulle labbra,/ un soffio vagabondo senza contorni,/ breve aroma che l’aria disperde.// Anche la luce si perde in se stessa.

Il destino del poeta per Paz, ma anche per Francesca è quello di perdersi tra le parole per ritrovare e ricomporre il filo della vita oscurato e schiacciato da un dolore originario, per tentare disperatamente un rammendo allo strappo della storia.

Per Paz la poesia diventa atto di liberazione dentro una memoria continuamente portata alla luce ( vedi L’arco e la lira ) . Francesca condivide fin dalle sue prime raccolte tale convinzione e anche nella recente Moiras : qui Roma appare con i contrasti, le luci, le solitudini, il buio, il sogno e le speranze della Lo Bue. Qui la memoria riscatta il tempo perché : Roma è degli antenati : sono loro che trasformano il tempo in Bellezza e Religione ( p.8 Premessa).
Il riscatto della Città, tuttavia, come quello dell’autrice, passa attraverso dolorose contraddizioni, che la scelta dell’immagine di copertina del libro iconicamente riassume.
Si tratta di un allattamento, non quello classico della lupa capitolina nei confronti dei gemelli, ma quello rappresentato dal pittore Niccolò Tornioli nel dipinto Carità romana… dove la donna allatta un vecchio mentre il bimbo alla sua sinistra implora e piange… : Roma ( o Francesca?) che predilige il passato e trascura l’oggi?
Roma (o Francesca?) in continuo stato d’indecisione tra passato e presente?
E tra il vecchio e il nuovo chi perde? Perché la donna porge il seno al vecchio ma guarda l’infante.
Domande che adombrano altre domande dei testi che abitano il libro dentro colori spesso cupi di dolore, di considerazioni oscure (p.23), di vento febbricitante (p.25).
E se talvolta Roma appare nella grazia splendida d’un giorno pieno di luce, resta pur sempre Romasola (p.33).
C’è un sole senza tramonto ( p.109) che incombe su un Tempo sempre livido (119) e un sogno dimenticato s’accende come stella nella foschia della sera (127).

Le domande della poesia, frequenti com’è nello stile della poeta rincorrono passato e presente e si fondono con il singhiozzo millenario (p. 129 ) della città, cercando risposte al dolore, a quello che Francesca chiama il sorriso del nulla (125) deluso anche dal Dio cristiano del cui nome l’Urbe porta vanto, ma che appare lontano e assente .
Dorme Dio nel suo specchio secco/ nel lusso della sua pace? (85) grida la poesia al cielo che appare sempre più alto ( e il cielo è alto…alto – p. 127 ).

I crolli, le ferite delle pietre romane soffrono lo stesso male delle ferite della donna autrice che tuttavia non vuole arrendersi alla fatalità d’un destino avverso.
C’è uno squarcio di luce nel Vespero e sopra il muro lungo, spesso appare lo Straniero, l’Angelo (133) dentro il cui volo fermo ma denso di simboli si definiscono e si proteggono nome riscatto e salvezza non solo della Città Eterna, ma anche di chi, come Francesca, vi ha legato il proprio destino.
Un destino che allaccia e congiunge Francesca a Roma, ma soprattutto alla poesia, frutto perenne che rosseggia nella siepe oscura, frutto il cui succo d’emozione e visione possiamo anche noi assaporare leggendo i versi effusivi e densi di richiami culturali ed esistenziali di Francesca Lo Bue.

P.S. Moiras porta in Appendice la traduzione in italiano d’una poesia di Francisco del Quevedo Y Villegas dedicata a Roma, e quella in lingua spagnola di due composizioni romanesche Carcinacci e Il fiume de Roma, con chiuse poetiche della stessa Lo Bue.

Mariagrazia Carraroli

SEGNALAZIONE VOLUMI =EDITH DZIEDUSZYCKA

Edith Dzieduszycka – Trivella--Genesi Editrice – Torino – 2015 – pagg. 131 - € 12.00

D’origine francese Edith Dzieduszycka nasce a Strasburgo dove compie studi classici.
Oltre alla scrittura conduce un’attività artistica con personali in Italia e all’estero.
Ha pubblicato numerose raccolte di poesia, romanzi e libri di racconti.
“Trivella”, il libro dell’autrice che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Sandro Gros – Piero ricca di acribia e approfondita.
La raccolta molto estesa è scandita in due sezioni intitolate “Andata e ritorno” e “Nulla per te”.
Elemento fondante, da mettere in rilievo per entrare nel merito della struttura delle composizioni dell’autrice, tratto che sottende anche il senso semantico dei versi, è quello della disposizione degli stessi, nel corso di tutto il percorso dell’opera, centrati sulla pagina.
Così le poesie si distendono in un percorso sinuoso e intrigante con il quale mutano i rapporti tra le varie immagini descritte, tramite una forma accattivante sottesa ad un’amplificazione dei rapporti tra significati e significanti.
Tutte le composizioni sono prive di titolo e numerate e in esse si mescolano sensazioni tattili e corporee con riflessioni filosofiche quasi esistenzialistiche.
La poeta produce tessuti linguistici affascinanti, arazzi si parole logicamente collegate, che hanno la funzione si aprirci squarci sul suo universo interiore, sui passaggi che legano l’esserci con il mare magnum del mondo nel quale è inevitabilmente gettato.
Per la loro compattezza le due parti della raccolta possono essere definite come due poemetti autonomi, nei quali si affonda nelle pagine nel leggerli, in un versificare denso e rarefatto, cangiante e multiforme.
La scrittura di Edith è da considerarsi, nella sua fluidità e rarefazione come del tutto antilirica e antielegiaca, un fiume cristallino di sintagmi che creano visioni che scaturiscono le une dalle altre con accensioni e spegnimenti continui.
L’unitarietà è data da un flusso di coscienza coerente che si traduce in poesia tramite meccanismi per cui quanto espresso deriva da spinte inconsce per debordare in frangenti spesso anarchici e densi..
Un universo caleidoscopico, una polifonia di situazioni che si susseguono tra accensioni e spegnimenti, spesso in un gioco che può apparire minimalistico, costituisce quella che può essere intesa come la chiave interpretativa di “Trivella”.
Perché nell’estrinsecarsi suddetto di ogni singolo verso sulla pagina, spesso costituito da una sola parola, s’inverano i rapporti tra detto e non detto, dando al risultato una tensione verso una magica sospensione.
Allora, come dal titolo, il poiein si fa esercizio di conoscenza e le stringhe di parole acuminate divengono globalmente una trivella che scava negli interstizi più riposti dell’esistere per fare emergere tante possibili verità che solo la poesia può rendere conosciute al giorno, alla luce.

Raffaele Piazza

martedì 22 dicembre 2015

RIVISTA = L'ORTICA

L'ORTICA - anno 29 . ottobre 2014 - marzo 2015
Sommario :
Walter della Monica : Mario Cicognani
Olivera Masanovic : poesie (traduzione di Valeria Di Virgilio
Glauco e Slai Gardini : I giorni di Lorenzo
Davide Argnani : Rovistando riviste
Giancarlo Dini : Poesie
Davide Argnani : Segni e segnali dal nuovo millennio
Pasko Simone : Al mare con Francesca
Michele Leoni : Brevi riflessioni su amore e amicizia
Davide Argnani : Lamberto Pignotti
Concorsi.
Riferimento : centroculturalelortica@gmail.com

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIULIO MARCHETTI

Giulio Marchetti : “Ghiaccio nero” – Gliuliano Ladolfi editore – 2015 – pagg. 56 - € 10,00 –
(prefazione)-
Il tessuto intellettuale di un contesto poetico, il cui impatto emotivo risulta prima di tutto trappola per il lettore attento e agguerrito , privilegia senza alcun dubbio il linguaggio , alludendo ad un intermediario specifico che tenta di incrociare progetto e figura. Il mito non riesce a sopravvivere , nascoste le trasfigurazioni nelle quali bisogna confidare e perdersi. Nel nostro l’arte si colloca di nuovo nel rapporto fra la tradizione e l’universo postmoderno nell’accorato scenario di forme vuote , magari ripensate con distacco utopico , e il positivo impatto della memoria involontaria nel riuso della parola. Una parola ripetutamente incisiva , che cerca con insistenza e capacità personale di creare l’atmosfera giusta per le vibrazioni del pensiero costretto a levitare tra le coincidenze delle mutazioni e gli incidenti dell’imprevisto.
“Chiedo luce a questo niente
e poi torno a subire
il silenzio.
Forse l’oscurità non è
una zona di passaggio,
è il mio luogo di nascita.
Altro che pienezza dell’alba,
qui è già tanto la scintilla
di un bacio di cristallo.
Dammi almeno
un’alternativa
al futuro.”
Incredibilmente solitario e sperduto nel silenzio il poeta sembra disorientato , spinto contro il vuoto, che lancia la sua trappola in un crescendo da vertigini. Anche il futuro appare illusorio. L’interpretazione di questo vuoto soffoca, con la sua immagine riflessa, nella quale confidare e contemporaneamente perdersi, al punto da trasfigurarsi in un bacio di cristallo.
A partire dal titolo uno stato altalenante sorprende ed avvince per il raggelamento determinato dal nero e rende misteriose le figure : Rimuovere la carne per nascondere le tenebre ? Sperdersi nel sogno per dar principio al fuoco ? Raccogliere “l’inchiostro rosso delle vene” per partecipare l’amore discreto ? Scegliere abissi personali per poter rincorrere la speranza ? Fermare il tempo che scivola nelle attese , per avere fra le mani mille fiori e qualche istante di colore ?
“La tenebra
è un mercimonio
di stelle rubate
allo spazio bianco
e nero. L’alba
è un fiore abbandonato
nel cimitero delle speranze.
Ci vorrebbe il mare
ad inghiottire
la schiuma dei ricordi.”
Insiste il segno della tenebra e del nero , nelle suggestioni della luce che a tratti riesce a squarciare riflessi. Il poeta cerca di rendere il mistero che nasconde la memoria, ed avvolge nuove presenze nella fusione degli elementi naturali, ben coniugati all’incanto di una sublimazione.
Nel verso straordinariamente duttile e dinamico , lontano dalle ritmate giunture, nel verso a volte fluido e magnetico , a volte duro ed insistente, adatto alle svariate compulsioni del magma emozionale e discorsivo , si dipana il timore della sopravvivenza e l’equilibrio incerto delle illusioni.
Qui gioca anche una sorta di mitico equilibrio tra cultura e ammiccamenti nella assoluta autenticità della propria paura di perdere ansie e mediazioni, modulazioni delle esperienze , nel declino della oggettualità , che sembrerebbe condurci alla soglia del declinare e del deragliare.
“Resto qui
dove un singolo passo
calpesta a morte
la speranza
e consuma i primi sogni
di primavera.
Aspetto che il sole scenda
al livello delle mie lacrime
per nutrire questa terra bambina
almeno un poco,
un poco farla essere di più.”
Si giunge ad una mixture narrativo poetica ove gioca la condizione di esistenza, che cede per immergersi nel sogno e che sussurra, per una parola acronica, anche il senso paradossale del nulla. Lo sgomento per il disfarsi della bellezza , un dono che elargisce troppo poco e che il tempo dissolve senza pietà nel giro inaspettato del soffio , opprime così che anche “la vita è polvere caduta / sulla pelle morta dei sogni.”
Una incerta forma di esperienza sapienziale e forse mistica racchiude il simbolo che l’autore incide sulla pagina per una forma che realizza i suoi reperti ben controllati nel verso, verso che, anche se calato in misure brevi e fulminanti, ha una sua compostezza nell’arco della interpretazione classicheggiante. Il recupero della parola sembra affondare proprio nella sfiducia di un linguaggio che possa esperire le verità ultime delle cose e degli avvenimenti quotidiani. Una vera e propria tensione che aggancia lo scarto positivo del lemma , per cui il poeta esce da ogni prospettiva di ripiegamento su se stesso per corrispondere angosce e gioie , interrogativi e sospensioni , certezze e dubbi , nel piano lineare che caratterizza la propria individualità.
Sul piano formale tutta la raccolta di Giulio Marchetti resta caratterizzata da un uso alquanto accentuato di forme della ripetizione , tra le quali l’anafora che tratteggia variazioni di slittamento, e le estensioni del significato tecnicamente luminose per soluzioni adottate.
ANTONIO SPAGNUOLO -





lunedì 21 dicembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

Antonio Spagnuolo, ULTIMO TOCCO, puntoacapo (Pasturana 2015)

«Parlami ancora di te, dei tuoi singhiozzi,/ delle incertezze incredule che non hanno senso,/ perché un certo infinito gioca a beffare/ il turbinio dell’incoscienza». A seguire il commosso Oltre lo smeriglio (Kairos 2014, già recensito in questa rubrica nel gennaio del 2015) quest’ultima raccolta di Antonio Spagnuolo si muove nell’identico solco con una, se possibile, ancora più intensa apertura sulle stanze della propria intimità, mostrandoci dunque la ferita di un lutto ancora non sanato, e dalla cui elaborazione scaturisce questo secondo atto. Libro sul dolore e sulla perdita, è, appunto come l’altro, assai difficile da giudicare. Non certo per le qualità sempre alte della scrittura di Spagnuolo, con versi assai controllati e nitidi, persino nei momenti di maggiore fragilità emotiva o di catarsi, ma proprio per l’evidente esperienza personale che ne scaturisce e che invoca una simpatia immediata sul piano umano, dunque un diverso approccio alla materia poetica, non più estetico ma emotivo. La raccolta si suddivide, come la precedente, in due sezioni: la prima, da cui prende il nome la raccolta, disposta secondo un ordine alfabetico interrotto alla lettera M, da cui poi scaturisce la seconda, Memorie, che conta quarantasette poesie. A differenza della precedente, però, in cui la prima delle due sezioni aveva una carica maggiormente sperimentale e la seconda più lirica, qui non c’è distacco fra le due: l’intera raccolta ha una tenuta assai forte e unitaria nell’umana discesa all’inferno quotidiano della mancanza, e delle sue inevitabili conclusioni: «Sei stata una passione,/ ora sei gesto di estrema solitudine». DA " INCROCIONLINE"-dicembre 2015 -

domenica 20 dicembre 2015

POESIA = FELICE SERINO

Cieli bianchi

cadute virgole
dalle pagine dei giorni
come un assordare di cristalli

poi brividio
di luna nel cerchio delle sere
cieli bianchi di silenzi

a propiziare un appiglio
per reinventarsi
la vita

*
Nuvole vaghe

le nuvole vaghe a guisa di pegaso
o capra e in pacato risveglio
il sangue del tuo ieri connesso
alla vista del bimbo nel levarsi
dei piccioni in volo davanti
ai gridolini acuti e
più a lato
della piazza il vecchio
in carrozzina
tornato bambino a ricordarti
l'esistere parabola
di carne
nel pulsare dell'universo
e il conto degli anni
i voli pindarici del
sognare

*
Vita di mare

essere circoscritto
nel tuo spazio ti sta stretto
assumere come l'acqua
la forma
del suo recipiente ti deprime
aneli come la sorgente
alla sua foce
amalgamarti coi fondali marini
conoscere
l'alfabeto dei pesci
gli anfratti i fatti
del giorno dispute e amori
coordinate d'una
vita di mare in divenire
le tempeste che tengano
l'anima tesa sul grido
come achab

*
Nuova poesia

non dirmi
che questa in grafia minuta
è "inconsistente" come
la mia "collezione di farfalle"

cielo grigio si riflette
negli occhi

-unforgettable

piove l'immagine
di te attraverso il vetro
mentre

il marciapiede si allontana

ho da dare i miei occhi a quel che passa

*
Oasi di verde

sul lato opposto un po' d'ombra
il solito giro poi
la panchina il libro
oasi di verde da respirare
vaghezza di nuvole a riflettersi
sulla pagina
e i gridi
dalla vicina scuola
di chi anela alla libertà degli uccelli
e la ragazza a fare footing
tempo quattro minuti tondi
e ecco da dietro l'isolato laggiù
ti rispunta la maglietta rossa

*
Conosco le voci

conosco le voci che muoiono
agli angoli delle sere

conosco le braccia appoggiate
sui tavoli nel risucchio
delle ore piccole
l'aria densa e le luci
che lacrimano fumo

e lo sferragliare dell'ultimo tram
la nebbia che mura le strade

conosco
i lampi intermittenti della mente
i singulti che accompagnano
quel salire pesante le scale
la morsa che afferra e non sai
risponderti se la vita ti scava

e il freddo letto poi fuori
dal tunnel
un altro mattino

per risorgere o morire
*
FELICE SERINO
*
Felice Serino è nato a Pozzuoli nel 1941. Autodidatta. Vive a Torino.
Copiosa la sua produzione letteraria (raccolte di poesia: da “Il dio-boomerang” del 1978 a “Frammenti di luce indivisa” del 2015); ha ottenuto importanti riconoscimenti e di lui si sono interessati autorevoli critici. E’ stato tradotto in sette lingue.
Intensa anche la sua attività redazionale.

venerdì 11 dicembre 2015

POESIA = ANGELA DE LEO -

"DICEMBRE E LA LUCE"

Dicembre ha passi di nostalgia
e un rimpianto di lune tra gli alberi dell'attesa
Rompe silenzi di navi alla deriva
quando è rimorso e premio
tornare sui luoghi che sono stati
e mai più saranno
in un sospetto di neve ai melograni fioriti
E tu che raccontavi favole
ai pastori del presepe
-cartapesta zolle profumo di muschio fresco
rubato alle albe dei giorni perduti -
nell'incenso di chiese e di campane.
Vibrava nell'aria un segreto di stelle
e quell'unica cometa
fuori dal coro
(se sai il mistero della Luce
ancora oggi mi chiedo).
*


"ALLA VERGINE"
Nazareth di Galilea
germoglio di sole nella sabbia
ed era già marzo.
D’ambra il viso
e di cristallo il cuore,
una fanciulla, colma la brocca,
tornò dalla fonte.
L'ombra della piccola casa
colmò di luce un ricamo d’ali
e trafisse occhi di giglio,
il grembo, il suo candore.
Lode a Te, Miriàm,
la benedetta del Signore,
in Te le profezie trovano dimora -
l’ Angelo disse.
Sarai nido del figlio di Dio
e avrai lacrime di sangue e mani
infinite-
per il cuore degli uomini in pianto
nella terra di rovi che attraverserai
col tuo manto di cielo e corona di stelle.
Così disse l’Angelo.
E nacque un Bimbo di neve e di fuoco
e si fece Cristo per amore, solo per Amore.
Memore del Tuo pianto, ora
Ti affido una solitudine d’abbandono,
le vie di tutti i figli delle terrene madri
e il contraltare del mio canto,
dono prezioso più dell’oro,
in un sussurro a chiederTi perdono,
tenerissima Madre,
conchiglia d’ascolto,
primavera d’ogni Resurrezione
nell’Universo.
*
ANGELA DE LEO

mercoledì 9 dicembre 2015

UN RICORDO = POESIA DI RODOLFO TOMMASI

"EPILOGO"
( a Paolo Guerrini )
I
Perché non m'abbandona
la vista di una terra ingenua e oscura,
terra scontrosa che non mi ha appagato ?
Chiuso da un cupo cerchio di silenzio
tu vivi alla immagine riflessa
nel fremito che scorri dei miraggi.
Scrivi , e i tuoi segni , canne di palude,
hanno radici d'alito disfatto,
e chino , stanco di un sorriso a nubi,
resti , e aspetti le voci che hai sperato.
Io forse solo nel dolore avere
potrò le mani che dovrò condurre.
In me angoscia, rimorso ed egoismo
annidano la mia battaglia sorda:
non ho temuto, io , di abbandonare
il silenzio innocente:
e la calma felice, troppo tardi,
e la pietà non mi hanno visto vero.
II
Lontano, dove tutto è sfumatura
lenta di viso opaco e di lamento,
mi dai la luce estrema di un'immagine
come soltanto in sogno può apparirmi
nell'ossessiva salma dell'aurora.
*
Rodolfo Tommasi (1946 - 2015)

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Due dicembre 2015 di Alessia"

Si sono aperti i cancelli
della freddezza del platino
sul far della sera. Atmosfera
di ebbrezza dopo il vino
bevuto da Alessia
e il giorno impresso
nei fiori del prato in armonia
terrena. Sfiora Alessia un
compito di ragazza, mettere
in ordine la casa. Di Giovanni
la telefonata attendere, il rosso
del cellulare ad accendersi,
in armonia terrena. Ed è l’amore
prima che lui dica pronto
a tessere oltre il deserto
un nome. 2 dicembre
nell’avvicendarsi della nuova
stagione a berla in sorsi
per ricordare la storia dei baci,
i regali di Giovanni,
gli slip, le maglie per
il freddo ed è 2 come fa
la coppia, cabale per ragazza
Alessia a respirare aria
azzurra e bianca, poi il
caldo nel letto da Giovanni
madia per la vita.
*
"Alessia verso Natale 2015"

Pomeriggio di fabula
nella favola per ragazza
Alessia nella continuazione
della vita, gli ostacoli saltati
dal bianco del cavallo
(l’interrogazione su Petrarca,
l’amore con Giovanni,
da Veronica la festa dove si
è divertita). Attimi rosapesca
nell’aria liquida di freddo.
Sta bene Alessia nel fresco
sotto il piumone dopo avere
studiato a riposarsi e sarà
Natale 2015 con regali e feste
e ceste di fortuna fino
all’Epifania oltre il male
e il mare.
*

"Alessia e la polita neve"

Sui monti del Matese ragazza
Alessia nel cogliere una stella
assente dal sembiante bianco.
Nel nevaio Alessia a rinfrescarsi
nel ricamare di gioia pensieri
(non mi lascia e stasera facciamo
l’amore).
Tocca la neve, il ghiaccio Alessia
e trova muschio e un bucaneve:
un buon presagio pensa Alessia
per migliorare nel sesso dopo
dell’altro ieri la prima volta
e il sangue.
*
"Alessia tocca la luna"

Luce di luna tocca l’anima
di Alessia a pochi tiri di sasso
levigati dall’attesa. Attimi
rosapesca. Largo alle vele
della vita di Alessia, selenica
navigazione nel cobalto
del mare. Limite superato
tra bene e male, gioia e dolore.
Vede Alessia: il Mediterraneo
ancora esiste. L’ancora logorata
della nave, ma a Capri
l’aveva portata il suo pensiero.
*
"Alessia e l’amuleto"

Sera di luna di platino a
toccare luce di Alessia
l’anima nell’interanimarsi
con il chiarore, a entrare
dagli occhi luminosità
ad ogni passo nell’inalvearsi
nell’albereto accanto a
di Alessia la casa nel freddo
e il cielo di un azzurro
quasi spento nell’intensificarsi
in cobalto e poi farsi lavagna.
Per scaramanzia Veronica
per Natale ha donato una
moneta ad Alessia:
se la tocco Giovanni
non mi lascia.
*

"Solitudine di Alessia"

Il giardino dell’infanzia
contempla ragazza Alessia,
i fiori gialli senza nome
tra l’erba bagnata l’odore.
Lontano è Giovanni,
distante molti alberi
nella campagna e stasera
le telefonerà. Stringe Alessia
nelle mani affilate
l’ultimo dono il vestito
per della vita la festa
a casa di Veronica domani.
Solitudine di Alessia
nel coltivare con pazienza
i verdi delle piante nella
casa.
*
Raffaele Piazza

domenica 6 dicembre 2015

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

– “Crepuscolo”
Incisa nell’avorio ritorna la promessa
del vuoto che mi assale in questo inverno,
per il tuo azzurro che lontana orizzonti.
Forse mi affido al solito silenzio
negli spazi ristretti del ricordo,
che si ripete e supera confini
alla ricerca di una sillaba confusa
incredula all’incanto del crepuscolo.
Ho sempre da intagliare le attese
impotente alle ferite del palmo
alla sete che svena nel timore :
inghiottita dal buio ripeti una preghiera
che non ha senso.
***

– “Vortice”
Al mio taglio ripeti quel sorriso
che ti rendeva bambina:
incomprensibile paura di perdere ad un tratto
la cifra misteriosa oltre l’incandescenza dell’amore.
Avevi lo stridore delle radiazioni, tutto l’abbandono
delle docili membra
là dove non giocava la ragione
dimentica dell’invidia dei vecchi.
Ora io son vecchio e la spina selvatica mi punge,
e il rintocco del bronzo mi stordisce,
mentre il richiamo delle tue ossa precipita
in un vortice che non so raggiungere.
*

ANTONIO SPAGNUOLO

CONSIDERAZIONI SU POESIE = DANIELE PIETRINI

--Considerazioni sui testi di poesia di Daniele Pietrini in “Fermenti” 243 – (2015)--
“Pulire” di Daniele Pietrini comprende tre componimenti non suddivisi in strofe.
Le poesie sono originali per il loro tema che si evince dal titolo e “il pulire” stesso diviene simbolo della volontà di detergere il dolore dell’esistere, la ferita dalla quale sgorgano proprio i versi.
Intrigante il tema delle piastrelle del pavimento da rendere pulite, metafora di una vita nella quale, nel suo mare magnum, si tende a fare ordine.
Pietrini chiede alle piastrelle la sua apparizione, l’improvvisa comparsa di un nuovo significato nel mondo.
Centrale nelle composizioni un “tu” al quale il poeta si rivolge, che ha molti riferimenti.
Questa figura misteriosa e carismatica fa spazio alle cose, diventa ponte, dà appuntamenti in alto e al suo passaggio tutto è più luminoso, è benvenuta in una dimensione superiore e incrementa la massa del sole.
La suddetta entità può essere intesa come l’elan vital, lo slancio vitale di Bergson o lo Spirito Santo o un inconscio controllato, una forza creatrice, forse modellatrice essa stessa dei versi.
In altro senso può essere interpretata come la figura dell’amata che, con la sua epifania, arriverà per rischiarare la vita del poeta, o come un essere vago pari a Godot, che si attende con ansia struggente ma che non arriverà mai, per citare Beckett.
Sospensione e magia in queste composizioni di Daniele, che hanno venature orfiche e vagamente neoliriche.
Anche una poetica di tipo ontologico sembra quella di “Pulire” per un costante riferimento all’essenza dell’io-poetante nel suo ripiegarsi su se stesso.
Cifra essenziale della scrittura di Pietrini è quella di una forte e precisa compattezza formale e di un’avvertita densità semantica.
Lo stile è caratterizzato, per ogni composizione, dall’unione di più frasi staccate tra loro tramite punti.
Questo procedere per accumulo rende i testi molto icastici e notevoli sono la forza metaforica e sinestesica.
E’ presente una bellezza vaga nei versi nei quali Daniele dice al “tu” che nessuno noterà il suo passaggio, che tutto qui dentro parlerà di lui e che comunica da una piastrella all’altra un nuovo modo di respirare.
Una salutare tensione verso una rinascita, una rigenerazione, nonostante lo spessore asettico delle piastrelle, porta il poeta e il suo immaginario ad una tensione verso il fantastico e il meraviglioso.
Già nella raccolta “Il fortino dell’invisibile”, “Fermenti” 2013, si avvertiva il carattere personalissimo dei componimenti del poeta, che divengono un esercizio di conoscenza.
*
Raffaele Piazza

venerdì 4 dicembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA ANTONIA MASO BORSO

Maria Antonia Maso Borso : “Notturno” – Ed. Biblioteca dei leoni – 2015 – pagg. 160 - € 13,00 –
La musica che accompagna queste poesie è il motivo luminoso che distingue la capacità di tessere il canto che la poetessa incide con una personale abilità culturale.
“Le parole sospinte / ai muri del silenzio / rimbalzano felici / nel chiasso delle strade / portando , a noi confusi ,/ nuovi indizi./ L’orecchio è teso a suoni inusuali, / l’occhio, più acuto,/ sorpassa l’oggi e l’ieri.”
Un rimbalzare di ritmi tra gli incerti traguardi che il tempo incide sulla nostra pelle e il mordere e succhiare delle illusioni , che tramano nei sogni. Ogni pagina han qui un suo preciso momento lirico: dall’alba al tramonto , dalle stagioni al quotidiano , dal canto degli spazi allo scompiglio di un fulmineo amore , dal velluto di un fiore al profumo della carne , dalla strana partita doppia dell’amor senile agli algidi silenzi del dubbio , dal respiro confuso degli incantamenti alle inquietudini del passo seduttore.
La tensione che scaturisce dalle liriche è un cortocircuito che oscilla tra le frasi controllate ed asciutte e le numerose metafore, che rendono il canto un costante gioco della emozione.
ANTONIO SPAGNUOLO

CONSIDERAZIONI SU POESIE = di GIOVANNI FONTANA

Considerazioni sui testi di poesia di Giovanni Fontana in “Fermenti” 243 - (2015).

Giovanni Fontana è presente con "Per le segrete stanze, interrogazioni itineranti su tempi e spazi".
Con la suddetta opera l’autore si conferma nella sua ricerca sperimentale personalissima, antilirica e antielegiaca al massimo grado, tendente all’alogico, a tratti anarchica, debordante, tra echi e suggestioni dalle molte provenienze e con inserti in lingua inglese.
Da notare che lo scritto è stato redatto per un gruppo di artisti e registrato con Massimiliano Cerroni al clavicembalo.
Quindi il lavoro è da considerarsi il testo per una perfomance di poesia sonora, espressione sulla quale il poeta ha scritto vari saggi.
"Per le segrete stanze" può essere definito un poemetto per la sua unitarietà, anche se è difficile identificarne i contenuti, le tematiche.
La cifra distintiva della poetica di Giovanni è quella di un’esplorazione delle varie modalità formali e semantiche di esprimersi con la parola scritta.
Quest’ultima, nel suo caso, si rivela spesso in commistione con la parola recitata, con un sottofondo musicale, producendo risultati intriganti, degli ipertesti, attraverso le diverse linee di codice utilizzate.
Già in "Osservazioni ed adattamenti", silloge inclusa nell’antologia Dentro spazi di rarità, “Fermenti”, 2015, è evidente la scrittura personalissima dell’autore, che tende a sovvertire i canoni consueti dell’ordine del discorso.
Un linguaggio criptico, accattivante e affascinante, segreto (non a caso il titolo della composizione è Per le segrete stanze), caratterizza questo lavoro di Fontana.
Elemento chiave per entrare nel merito del componimento è la ripetizione martellante di che dire, sintagma che si ripresenta per tutte le dieci pagine.
Un progetto, che ha qualcosa di neo orfico si evince dall’affascinante sgorgare dei segmenti, che sono il risultato di un praticare la poesia in un modo modernissimo, con versi anche di una sola parola e termini composti inventati (per esempio chedire è il primo verso della stesura).
Il risultato è quello di una fortissima icasticità del dettato, tra sospensione e magia, raggiunte anche tramite segni grafici come parentesi quadre e freccette, che sono molto frequenti.
Non manca musicalità nelle varie strofe e il ritmo è serrato.
Il che dire, come una formula incantatoria, si riferisce di volta in volta a molteplici concetti ed oggetti, tra i quali ricorrono luoghi, tracce e spazi e tale espressione sembra calata nella temporalità di un eterno presente.
Essa produce quindi il senso del cronotopo, dello spazio nel tempo, tempo stesso che diviene feritoia dell’attimo, punto atemporale, tra passato e futuro.
Sembra, leggendo il testo, che ha una natura multiforme, di camminare per una strada luminosa e numinosa.
Si nota un certo autocompiacimento, secondo le intenzioni di Fontana, nel tessuto linguistico, che riflette su se stesso e sul processo creativo al quale è sotteso.
Da considerare i versi nei quali il poeta parla dei pensieri che prendono forma e che sono quelli che emergono dalle stringhe di parole, spesso irrelate tra loro.
Da notare che la disposizione dei vocaboli stessi sulla pagina (allineati sia a destra che a sinistra e anche centrati e disposti in maniera sghemba), bene si presta alla volontà di Giovanni di produrre uno stabile straniamento.


Raffaele Piazza

giovedì 3 dicembre 2015

CONSIDERAZIONI SU POESIE = di DOMENICO CARA

Considerazioni sui testi di poesia di Domenico Cara, facenti parte del n. 243 (2015) di “Fermenti”.

Nella sezione dedicata alla poesia, nel numero 243 di “Fermenti”, rivista pubblicata con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma, diretta da Velio Carratoni, ci soffermiamo su “Illesi, esili numi” di Domenico Cara,
*
“Illesi, esili muri” di Domenico Cara, studioso d’arte e di letteratura, editore e giornalista, costituisce, per le sue notevoli dimensioni, tout-court una silloge, una plaquette, formata da venticinque componimenti, spesso lunghi, tutti suddivisi in strofe.
L’opera, proprio per la sua grande estensione, si può considerare un unicum, tra quelle pubblicate nelle riviste di letteratura militanti.
Già il titolo della raccolta, nel quale sono nominati divinità di ascendenza pagana e mitologica, numi illesi anche se esili, ci fa riflettere sul valore simbolico degli dei, inseriti nel discorso creativo.
Essi divengono custodi della poesia stessa, salvifica e salutare perché emanazione che viene dall’alto.
Del resto anche il termine “musa” è di origine classica, greca e romana, come i numi.
Nel linguaggio, anche contemporaneo, si adopera questa parola per indicare una figura femminile, ispiratrice non solo dei poeti, ma di tutti gli artisti.
Cifra essenziale della poetica di Domenico Cara, rivelazione della sua produzione più recente, che avevamo già individuato nella silloge Soglia di attese, rauche urgenze, inserita nell’antologia Dentro spazi di rarità, “Fermenti” 2015, è quella di un forte attaccamento alla vita, amata in tutti i suoi aspetti, che vengono detti in versi, attraverso immagini a volte chiare. ma, in molti casi, anche oscure.
Non mancano spunti introspettivi che sondano lucidamente le tonalità dei sentimenti umani a volte colti in maniera inquietante.
Questo nominare con urgenza avviene attraverso gli strumenti del poeta esperto, intelligente e scaltro, che, padroneggiando con acribia la sua materia, arriva ad esiti altissimi.
Con una scrittura icastica e densa al massimo grado, l’autore realizza un tessuto di parole, di sintagmi che si fanno immagini, in maniera mirabile.
Lo stile e la forma sono controllatissimi ed ogni singola composizione sembra librarsi sulla pagina senza il minimo sforzo.
Un poiein della descrizione e dello stupore sembra quello espresso dal poeta calabrese in componimenti come “Pomeriggio nel verde” e “Fonte d’agosto”.
Una vena affabulante, che si esemplifica nello scandirsi dei versi precisi e scattanti, compatti e luminosi, caratterizza ogni singola strofa, armonica parte delle varie composizioni..
Una natura nella quale dominano le manifestazioni vegetali è la protagonista della prima poesia con l’incipit altissimo:-“L’erba ha i suoi fittizi movimenti/ ma conta su una lingua naturale”.
Con accensioni e spegnimenti si svolge qui il procedere del fluire del discorso e anche l’erba sembra essere provvista di linguaggio, in un riflettersi della poesia su se stessa.
Non va letta come tensione neolirica, quella del poeta, ma piuttosto come risultato di una fertile ispirazione di carattere sapienziale.
Si realizza in un’epifania intellettualistica, in un inesauribile sgorgare di figurazioni, l’una dall’altra, nelle quali emerge anche l’io poetante che respira e osserva le sterpaglie, in fusione ontologica perfetta, quasi in simbiosi, con la natura stessa.
L’erba medesima racconta in una maniera che, per la sua compostezza, nonostante la natura composita del dettato, potrebbe definirsi classicheggiante.
Ma in altre composizioni predomina un tono oscuro e vagamente anarchico, in una produzione dalle venature filosofiche e psicologiche che tende a sfiorare l’alogico.
Vengono detti gelosia, pathos e desideri e un occhio che si ribella ai sussulti.
Anche qui, però, si scorge un senso di vitalità e il dolore controllato, che è, nelle intenzioni del poeta, punto di partenza, diviene elemento per giungere alla superficie, per riemergere e pervenire alla struttura delle cose, dopo che l’ansia si è specchiata sul fondo.
*
Raffaele Piazza