sabato 30 marzo 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ELEONORA BELLINI


**Eleonora Bellini: “Haiku dell’ape e del giardino” – Ed. La ruota – 2024 – pag. 82 - € 8,00
Come improvvise e brevi fulminazioni gli Haiku ci avvolgono in una cascata ininterrotta di frasi che lampeggiano tra il motto filosofico e l’accenno al segreto, tra le sospensioni dei sentimenti e la rivelazione del sub conscio, così da realizzare un tessuto variopinto di colorite tessere per mosaico.
Primavera, estate, autunno, inverno qui sono i quattro capitoli nei quali si suddivide una raccolta pregna di orchestrazioni, nel sussurrare delicatamente o imperiosamente il ritmo saltellante della poesia breve.
Sono figure che si affacciano capaci di attirare l’attenzione di chi sta in abbandono, in un linguaggio che spinge armoniosamente a richiamare quegli echeggiamenti allusivi, con la parola lirico-oggettiva che non dà limiti allo spazio che trasporta e si concretizza in se stessa.
“L’ape si tuffa/ e ride il tarassaco,/ cuore di miele.” E ancora: “Solitudine,/ chiuse le mani e il cuore,/ dorme tra i fiori.” E ancora “O solitario,/ il mondo ti cancella./ Brucia la beffa.” E ancora “Mele d’autunno/ giù dal ramo rugose./ Il tempo è breve.” E ancora “C’era un mughetto/ ed ora il vaso è vuoto./ Tutto è caduco”.
Ogni pagina sembra contenere un minuscolo scrigno entro il quale è conservato gelosamente il pensiero poetante, che sussiste in se stesso e riserva una particolarissima concretezza, che ha intimi legami con la finzione realistica.
L’aura visionaria lambisce questa continua rivelazione per ciò che è dentro ognuno e dentro il variegato mondo che circonda, indaga e irrompe nel tentativo di oltrepassare in già detto.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 29 marzo 2024

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


"Mutare"
Il disvelamento spoglia nullità
e l'immagine è leggerezza
che non permette misure nel mistero,
come perenne traformazione della realtà.
Mutare il corso dei pensieri nell'inganno
è illusione dell'immaginazione,
profeta dell'esaltazione.
Come un gioco di scacchi alterno movenze
negli spazi dal forte effluvio di un respiro,
privo di sibili ed improvviso,
in questa storia dai vecchi tepori.
Una rosa selvatica piena di spine
è il canto proibito, perché
quel che ci lascia un amore è solo un sogno
nella mente che pulsa solamente le memorie.
ANTONIO SPAGNUOLO

POETI DA RICORDARE = ALBERTO CAPPI


ALBERTO CAPPI (1940 - 2009) dal volume "La casa del custode" 2004

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


**Alessia a scuola**
Nell'aula fiorevole con poster
di paesaggi sorgivi di isole
incontaminate e il mappamondo
dei viaggi virtuali nel pensiero
(oggi doveva piovere e c’è il sole)
primo liceo classico di Alessia
oggi di greco interrogazione
(se lo sente Alessia ragazza).
E il professore dice Alessia Rossi.
Con la penna rosa stringendola
nella destra affilata va Alessia
alla cattedra e traduce il sogno
di Nausica dopo averlo letto
nella lingua: subito giunse l'aurora
dal bel trono che svegliò lei
Nausica dal bel peplo e subito
si ricordò del sogno. (Aveva sognato
Ulissa). Va bene 8 Rossi, dice
l'insegnante. E Alessia torna
al banco e spera che il suo
eroe non la lasci.
*
RAFFAELE PIAZZA

mercoledì 27 marzo 2024

POESIA = ROCCO SALERNO

Epitaffio
in memoria di Vincenzo Salerno
Non sei morto.
Sei tutti noi,
i nostri occhi
che cercano il tuo volto
la tua briosa voce.
==
Come una farfalla sperduta
a mio fratello Vincenzo
Vortico come una farfalla sperduta
nel buio più assoluto
blatero anch'io parole senza senso
come te imprigionato in una demenza
più perfetta più cieca della tenebra
che squassa la mente, in un letto,
mi aggrappo ai giorni
quando erano una danza di colori
di sogni
e la tua parola era un'onda
dal balcone
una voce sonora di gioia
una scaglia di sole
sul tuo volto
che illimpidiva anche il giorno
uggioso.
==
. Oltre l'orizzonte
in memoria di Vincenzo Salerno
Possibile che tu ti sia fatto
silenzio eterno,
marmo raggelato
sguardo pietrificato?
Alzati, stacca dal Calvario le tue braccia
in questo tuo compleanno
e vieni a visitarci
come quando venivamo a trovarti
e del silenzio faremo
un sibilo di vento
silenzioso
dentro il cuore
dove è riposto
il nostro silenzioso Amore
come sistri sul nostro dolore
per vincere la Morte,
il Fuoco che tutto ci consumò
e come bambini ci guida ognora
lungo i solitari giorni
carichi ancora dei tuoi sogni
dei tuoi occhi oltre l'orizzonte
sul balcone.
ROCCO SALERNO

lunedì 25 marzo 2024

POESIA = FRANCESCA LO BUE


**Nota di lettura del volume "Albero di Alfabeti / Árbol de Alfabetos" di Francesca Lo Bue**
“L’alfabeto germina dal caos. […] L’alfabeto è vita e ordine di suoni che divengono sensi, sentimenti, pensieri, visioni, armonie del vero, intuizioni dell’universale che scrutano nell’impenetrabile. […] C’è Dio nelle parole, esse inseguono nelle orme dell’aria il pane della luce e la poesia è il Dio geloso che dona a chi lo ama fedelmente.” L’autrice indica nell’introduzione il percorso che ha seguito nella composizione di questa raccolta poetica bilingue. E dà al lettore la chiave d’interpretazione basilare.
Poesia che conduce alla conoscenza, questa di Francesca Lo Bue. Come lo erano i Canti del pilota, come sempre è stato il dono della poesia per lei. E per noi che leggiamo.
A tanta sapienza etica si associa una eccellente perizia tecnica, di costruzione e di resa linguistica. Ed ecco che l’alfabeto italiano e poi l’alfabeto spagnolo danno origine a due parti che costituiscono un prezioso dittico, enciclopedia e vademecum insieme, per riconoscere e interpretare tutti gli aspetti del reale quotidiano, dal visibile all’invisibile.
“Imperscrutabile appari / indicando un sentiero. / Immancabile / iride nella lontananza. / Ieratiche cicatrici nel cuore, / incrostazione di idoli nella carne. Sono / immagini intrepide che accecano / inebrianti.” (p. 17)
“Triunfo es leer y decifrar el / texto incógnito del Altísimo. Continua / tabula rasa. / Traer tus infinitos nombres a la tierray recorrer la / tiniebla de tus pasos enigmáticos. / Tañer el canto de tu reTañer el canto de tu respirar, / tu ritmo es tenaz vida. / Tropezar en tu arcoiris relumbrante.” (p. 57)
Testi brevi e densi, da leggere e gustare nella sonorità, da meditare nei giorni.
E come gli alfabeti appartengono a uno stesso albero apertosi in rami numerosi nei tempi, così le lingue e gli uomini stessi, vengono a ricondursi alle stesse radici, mirano ognuno con la propria peculiarità agli stessi orizzonti.
Giuseppe Baldassarre
***
L
Lui è solo, avvolto di abisso e segreto,
limite estremo di acque sterili,
luce degli occhi che danno conoscenza.
Libro dei tuoi significati.
Leggere dalle distanze buie come un falco tra le cuspidi.
Loto nelle paludi verdastre, avvisi della
lealtà alle tue dieci
leggi.
**
Luciérnaga febril que golpea el sueño de la noche.
Límite extremo de aguas estériles,
luz de los ojos que dan conocimiento
Libro de tus significados.
Leer entre distancias espesas, como halcón entre las cumbres. Flor de
loto que emerges entre paludes verdinegras, avios de
lealtad a tus diez
leyes.
***
FRANCESCA LO BUE

venerdì 22 marzo 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCA CANAPINI


**Nota di lettura di Carla Malerba a = Franca Canapini: "Misteri d’amore" = Ed. Puntoacapo,2024 = € 12,00
La nuova raccolta poetica di Franca Canapini dal titolo Misteri d’amore -Poema ispirato al Simposio di Platone- è una affascinante escursione nel mondo antico con la volontà di indagare e narrare l’amore, forza che muove il mondo e quanto è ad esso collegato, a partire dalla meraviglia della sua manifestazione che collega il divino all’umano.
Già il titolo, dal sentore iniziatico, pare invitare ad un percorso di scoperta: l’autrice correda i brani lirici con sintetiche, ma efficaci didascalie che evidenziano la valenza, la forza e il potere che Eros esercita sulla natura e sui viventi.
Fin dai primi versi la voce dell’autrice sembra voler dichiarare il proprio iniziale coinvolgimento che assomma stupore, pathos, comprensione, appagamento: elementi necessari per esaltare i contenuti del Simposio e dare risalto alla tensione verso la bellezza, una bellezza investita dalla luce che tutto trascende in una sorta di fusione tra natura ed esseri viventi protesi al compiersi del mistero d’amore a cui sono destinati.
QUANTA LUCE
Cavalco culmini di luce in aurore primordiali
Quanta luce-tutta-questa- luce!
Sbuca dalla profondità dei boschi
il Nume famelico e cencioso
sbuca e si erge sulle messi
roteando lame rosse di geranio […]
A questo esordio seguono le lodi a Eros e il canto sulla nascita del dio a sancire l’origine di un tempo nuovo attraverso le parole di Gea, celebrazione del suo venire al mondo in un tripudio di immagini che si fanno canto alla vita e “divina possessione”:
Tu, di mistero, Tu di luce
Tu, sconosciuto e raro
emerso come me
dalla voragine del Caos
Sarai figlio
del mio grembo
-fecondo oscuro operoso grembo-
e il padre cielo
che m’illumina e mi scalda
e mio fratello
l’ombra, che mi accompagna [...]
Si affacciano le tappe della ricerca esistenziale: la conoscenza, attraverso il viaggio dell’individuo verso la ricerca della verità; il dialogo che rappresenta la forma più idonea per giungere ai preziosi doni ricevuti: il bene, la ragione, i miti, l’amore, l’eros, la memoria. Nelle pagine del Simposio l’autrice ha scorto la forza dell’Amore nella contemplazione e nel desiderio della bellezza che ne è il motore. Eros “datore di ali” spinge ad amare l’oggetto del suo sentire sia per la bellezza del corpo sia per quella dell’anima. Esempio ne è la descrizione de “La divina possessione” esaltata dall’altalenare del ritmo e dalla efficacia del linguaggio:
Ti cerco, ti scorgo, ti acchiappo
mi sfuggi su sentieri di roccia
riappari un secondo ammiccante
da dietro il granito sul mare
: irridi, sorridi, scompari
Nel blu scintillante due falchi!
Riprendo, ti cerco
svoltando il costone, indietreggio
ti aspetto appostato, trattengo
il respiro al tuo passo [ …]
Il viaggio di Franca Canapini prosegue arditamente con una alternanza di impressioni che suggellano nella parola poetica l’inclinazione al bello e lo collocano nelle immagini di una natura d’alberi e colori verso cui la sua poesia è sempre protesa.
C’è
nello scintillio del mare
nel suo scrosciare sordo
nei bambini rondine
in volo sulla sabbia
È
nell’aria in movimento
delle foreste nel respiro
Si sprigiona aperto al sole
da ogni calice di fiore
Brilla nel lillà
cola dal maggio ciondolo
Si radica alla terra
Risale le montagne, fino ai ghiacci
Fluttua
eterno nell’infinito spazio […]
A conclusione delle letture e riflessioni sui Misteri d’amore di Franca Canapini, non si può fare a meno di ribadire quanto sia pregnante la poetica dell’autrice: la sua è un’idea di mondo che si proietta nel qui e nel dopo con una visione che è canto che s’imprime nella natura umana dalla nascita alla fine, un eterno ritorno alla ciclicità dell’esistenza. Nella sua poesia si scorge un’immagine di uomo che si affida alla forza generatrice di un amore concordato tra la specie e la natura, tra l’esaltazione del suo rigoglio- “Bellezza è ovunque e ti ferisce il cuore - e il desiderio di una perenne felicità.
CARLA MALERBA

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIUSEPPE IULIANO


**Giuseppe Iuliano: “I paesi non sono centauri” Ed. Delta 3 – 2024 – pag. 16- € 3,50
Tenacemente legato alla sua terra, alla sua città, alle alterne vicende storiche, Giuseppe Iuliano propone con garbata scrittura coraggiosi intermezzi, variabili in quella carnalità musicale che distingue la sua ricerca poetica.
“I poeti sono strane creature/ incidono graffiti parentesi di umori./ Scrutano chiarori di luna e stelle/ e a segni occulti di veggenza/ invocano l’innocenza del cielo./ Confessano di amore pene e superbie.”
Da buon letterato canta di mura diroccate, di campi abbandonati, di guerre fratricide, di esperienze vissute, di attese nel segno della Croce, di parole negate, nel tentativo di condurre la parola nelle dimostrazioni più favorevoli di un riscatto esistenziale, che significhi distinzione di sopravvivenza.
Quest’ultimo lavoro ha una propria organica e compatta struttura, nella quale compare il tono ritmato del verso, con riferimenti leopardiani o montaliani, che rivelano l’uomo che si mette a confronto con se stesso e con la realtà che incombe, in modo autentico e in modo conflittuale.
La dolcezza dell’attimo si fonde e confonde con le numerose variazioni della memoria, ed i ricordi affollano i colori di quella delicatezza che manifesta una candida semplicità dei sentimenti. Egli anela all’incontro con le strutture, che caratterizzano il tangibile quotidiano, per poter sommessamente denunciare le aspre raffiche che distruggono senza riguardo alcuno.
“Sono di terra le mie ragioni/ qualcosa in più della cenere/ che mi vuole buon cristiano/ fra gente di terra come mio padre/ la cui stretta di mano/ era sigillo di notaio.” Una sorta di eccellente dichiarazione che apre ad una distillata passione per la legittimità.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


"Arpeggi di resistenza vitale"
***Antonio Spagnuolo, Futili arpeggi, La Valle del Tempo, Napoli 2024, pag.120 - € 14,00 - con saggio critico di Carlo Di Lieto
A ridosso del precedente, Riflessi e velature (stesso Editore, 2023, vedi una mia nota di lettura a http://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com/2023/09/segnalazione-volumi-antonio-spagnuolo_17.html), anche questi Futili arpeggi proseguono l’incessante “instancabile e inconfondibile…parola disegno e musica della propria esperienza”, anima di uno stile, che incarna per me una non frequente autenticità e adiacenza tra Soggetto Storicoreale e Soggetto Scrivente.
Antonio Spagnuolo è tra gli autori di poesia contemporanea che non tradisce mai questo mandato etico ed estetico, di cui ho seguito con affetto e stima il lungo percorso attraverso i decenni della nostra conoscenza letteraria e personale. Anche in questa nuova tessitura testuale ritrovo quel “nucleo epifanico e filo rosso”, fedele al battito del suo cuore di novantenne fanciullo, capace di inventare ali con cui sfidare la forza di gravità e l’impietoso giogo imposti dalla natura, dalle tragedie e dai limiti umani.
Il titolo di questa raccolta è un ossimoro incistato nella coscienza di tali polarità, benché accettate con sapienza di umiltà socratica: sappiamo i nostri limiti, non ci raccontiamo illusioni di superamento, ma la vita è tale se moriremo da vivi, senza trascinarci tra maschere e finzioni che sfregiano la sua sacralità con ombre più consone alla sua fine che alla sua gloria.
I versi di Antonio, continuano a farsi sentinelle e artigli, anche se ricoperti di morbide carezze, necessari all’Autore per il suo canto vitale, che sorridendo insegna continuando a danzare sul crinale segreto della nascita e del moto delle vele della poesia, con gli arpeggi della sua “straordinaria freschezza e giovinezza emotiva” (vedi mia nota citata):
“Ho appreso il canto argentato della sera/ con la semplice follia delle mie nostalgie” (p11)
Sono i primi versi, una sorta di ala che intona il loro arco teso.
Ma non è un arco che si appaga e aliena nelle onde illusorie di una pace cullata dal sospiro del tramonto. Sono feroci gli orizzonti di guerra disegnati dal presente, per cui, “Piena di fiamme la fusione scandita/ di madreperle, come l’inquietudine/ che il crollo ha segnato tra le mura,/ Chiedo sgomento per chi suona/ la sirena del flusso di odio / tra le caviglie fasciate dal gelo/ e sguardi allucinati di bambini.” (p.15)
Non è dunque un suono appagato di sé:
“Onda e vento balzerebbero contro/ nella rete tremolante delle note,/ a vaneggiare il messaggio che turba/ ogni delirio.” (p 19)
Il “Suono incrinato dalla sfrenata illusione/ che riecheggia tra le mie memorie” (p20), “come crudele artiglio che nella luce/…impasta sangue” (p.21), “Eppure era soltanto l’altro ieri/ che festeggiammo cinquanta anniversari”, mentre “incido vertebre invecchiate” (p.24).
C’è un entresci tra personale e orizzonte oscuro dell’attuale presente, in cui il primo si colora e scolora. Ma “Fare poesia è attingere chimere,/ ipotesi di azzardo e di speranze/ con ritmo serrato oltre il silenzio.” (p. 25).
Per cui non si smette di andare a caccia di svolte, aperture e riprese di vita: “Da un semplice azzurro rinascerà/ la timida speranza del prodigio” (p.51).
Memoria e corpo sono le fonti di conscio e inconscio che dettano parole: “Mordono la schiena le parole/ che sembrano lampeggi d’infinito/ fredde ad un senso di abbandono/ nel perfido congegno delle stelle.“ (p.76). L’Io è lucido e ridotto, ma trama vigile e necessaria alla complessità di sensi del testo poetico. Per cui, seppure “È giunto il tempo di chiudere i conteggi/ e affido il mio bagaglio di poeta/ all’illusione dell’eternità.”, e “Le virgole, i puntini e sospensioni/ che bloccavano spesso il mio sussurro/ pungono a piena pioggia nei ricordi,” (p.79), non facciamola diventare metafora di arreso salice piangente.
È questa la sollecitazione inscritta nell’ultimo testo della raccolta: “Se nella craniosezione del cerchio/ trovi un Pgreco affumicato alla brace/ stai pur certo che le tue illusioni/ avranno risultati eccezionali.” (p.81): uno squillo di splendida resistenza vitale.
Come scrissi a commento del libro precedente, il tempo accumulato non è vissuto da Antonio Spagnuolo come un ammasso privo di senso, sta solo a noi e alla nostra responsabilità farne fonte che continua a produrre suoni, a volte urla, di inni che riaffermano sensi proiettati a un Oltre e Altra Vita.
21 marzo 2024
Adam Vaccaro

giovedì 21 marzo 2024

POESIA = MARCO PLEBANI


**"Biblio"**
Mi vestirò in base al reddito,
distante dai manipolatori
di opinione.
Ucciso dal qualunquismo di destra
e dal techno-fascismo.
-
Donna,
io non ho fatto resistenza
al tuo sguardo che ovatta
le mie ferite.
-
Reggiseno rosa mimetico.
-
Su questi neon minimali
di questa biblioteca
a testa in giù io cammino capovolto.
****
**"Laboratori"**
Chiuderanno tra qualche anno
i laboratori di pellicole
in cui uomini incamiciati,
inguantati, schermati di occhiali
proteggenti, immergenti le mani
negli acidi hanno la visione
di qualcun altro.
La foto di qualcun altro.
Quel che qualcun altro vuol conservare.
Pochi, dal digitale, stamperanno su carta.
Nessun laboratorio contiene, però,
il momento in cui i nostri occhi
non vedevano, non si guardavano,
ma si sono toccati mentre scendevi
verso la grande aula,
e il mondo ha collassato
su quelle scale.
Conosco appena il tuo nome,
conosci appena il mio nome.
Di quell'attimo ricordi forse,
e non te ne importerà poi molto.
-
E' necessario infatuarsi il meno possibile.
*
MARCO PLEBANI

SEGNALAZIONE VOLUMI = FLORIANA PORTA


**Floriana Porta e Anna Maria Scocozza: “Siamo fatte di carta” – Ventura edizioni- Senigallia 2024 – pag. 166 –
E’ allegria il susseguirsi di queste pagine, così dense di attrattive per la singolare stesura che le due autrici sono riuscite a ricamare tra versi assolutamente fervidi e appassionati e produzione in semplice carta di indumenti femminili, tra l’intimo provocante e il suggestivo sguardo dell’eleganza. Offrono un panorama esclusivo di abbigliamento, che lascia perplessi e avvinti nello stesso tempo, sia per il gioioso susseguirsi di proposte che vengono alla ribalta sia per il serioso invito che sottende le numerose riproduzioni.
Arte, poesia e splendore qui si intrecciano in un’unica fantastica visione. Un viaggio emozionante che esplora l'animo della donna e le profondità più intime del nostro essere, ma soprattutto che invita a riflettere sulla fragilità umana e sull'accoglienza dell’imprevisto, come fantasia di presenza. Arte e poesia ci possono aiutare a rinascere dopo l’affanno?
“La propria pelle non basta/ ci si spoglia di tutto/ per scrollarsi di dosso/ il più feroce dei versi.”
Ripensare i principi che sorreggono ogni pensiero diviene irruzione opportuna a chiarire la consapevolezza dei propri limiti e a sperare di trovare la “parola” che possa contare negli artifici retorici, nelle figure di stile, nella valenza di espressione, in quello spazio limite che rimarca il fascino del fantasma ed avvia alla musica.
Accattivante la dovizia sia dei testi poetici che delle riproduzioni, in un crescendo che regala al ritmo un’aria completamente occupata dalla poesia e in due espressioni artistiche che pongono in diverso rapporto la parole ed il segno.
L’operazione di riunire in un unico volume poesia e creazioni in carta è allora un equilibrio che contiene una musica verbale intrinseca, nel trasformare figure in canto e poesie in disegno, amplificando senza limiti le capacità espressive di una partitura armoniosa.
Suggerisce Floriana: “Ma soprattutto ho imparato ad avere nuovi occhi/ capaci di stupirsi, di lasciarsi urtare/ e colpire dalla bellezza”.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 20 marzo 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = SILVIO PERRELLA


**Silvio Perrella: “Metronomi sotto i tavoli” – Ed. Il filo di Partenope – 2024 - € 25,00
Undici poesie variamente intrecciate con numerosi disegni di Vincenzo Rusciano, in una tiratura di sole duecento copie numerate, edite in elegante veste con carta pregiata.
Nel battere costantemente il tempo ecco che il metronomo offre una sua particolare vitalità con lo scorrere di componimenti tutti cesellati con l’arte di chi ha la cultura prodigiosamente conservata nel bagaglio quotidiano. Un alternarsi del disegno al verso, costantemente in equilibrio tra il policromatico e il sussurro, rende questo volume pregiato manufatto, che bisogna religiosamente conservare per riprendere con armonia l’avvicendarsi della suggestione e il lampeggiare delle figure.
Così come una scultura Silvio Perrella progetta il ritmo della sua scrittura fiondando simboli che rendono le figure elettriche e plastiche allo stesso tempo. “Punta Licosa, 18 agosto 2020=Mood malesseri del tempo/ sentimenti a rotta di collo/ scalate come lo scalone di Caltagirone/ metti la musica piano/ dribbla le note/ e spera/Mood mio modo di salvarsi/ tempo variabile a capriccio/ sostienilo con arguzia/ metti sul piatto/ le note lasciale libere/ e spera/ Mood suonato con il moog/ Marco Polo in avanscoperta/ liscialo ben benino/ basta un dito e s’aziona/ la danza degli archi/ e spera/ Mood benessere delle dita/ favolose bevute estive/ sotto la pergola a dirsi/ di noi e delle stelle che cadono/ giù senza paura/ e sperano.”
Elementi che hanno il significato suadente, e tracce lasciate dal rimescolarsi delle cose del mondo, verso la direzione della sintropia crescente, dove potrebbe aprirsi anche la dimensione dell’infinito. Attesa inframmezzata da momenti luminosi dove anche la luce solare, più che varco salvifico è solo un intervallo fra un’oscurità immaginaria e un atto “altro” della nostra esistenza.
Il cuore, suggerisce Silvio, sbeffeggia il suo metronomo anche quando il pensiero è attanagliato dalle vicissitudini, o si perde alla ricerca del vuoto interstiziale fra il tempo e la vena illusoria, tra una presenza ed una evanescenza, tra un intervallo e un’apparizione, perché “ogni nota avrebbe voluto sfondare/ il muro del suono e veleggiare/ maestosa sul pentagramma della giovinezza.”
I disegni di Vincenzo Rusciano accompagnano passo passo le melodie poetiche come incursioni che affondano nelle corde per svelare quello che l’immaginazione può concepire nello strano “secondo” della veridicità. Schizzi palpabili, capaci di carpire il simbolo che evapora da ogni singolo testo e interpreti di tutte le variazioni musicali che il poeta concentra. Incursioni in bianco e nero provenienti da un luogo liminale, territorio artefice di un rituale dal fiato sottile e razionale.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POETI DA RICORDARE = GIOVANNI RABONI


Dal volume "Tutte le poesie" (Einaudi)
GIOVANNI RABONI (1932 - 2004)

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


**Alessia e Venere**
Sottesa al lucore della notte di marzo
notte di pace occidentale
nel rasentare la mente azzurra il mare.
Alessia con le tasche piene di sogni
felici attende Giovanni
sulle ali del vento fino allo sguardo
all’isola che ancora esiste e resiste.
Alessia felice e ancora vergine
nel toccare Venere con gli occhi
ha scelto mutandine nere per piacergli
e profumo di fragola per il tempo
nel tempio della gioia.
*
Raffaele Piazza

martedì 19 marzo 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIULIANA DONZELLO


**Giuliana Donzello: “Topografie di memorie” – Leonida edizioni – 2024 – pag. 102 - € 14,00
“Topografie di memorie è un libro accuratamente elaborato da Giuliana Donzello, potremmo dire ancora una volta “tessuto”, come una Penelope che tuttavia non attende un ritorno perché il ritorno lo ha già dentro di se, custodito tra memorie e silenzi che hanno voce sincera, evocativa, ininterrotta.” Scrive Ivano Mugnaini in postfazione.
Ed i versi si snocciolano con la raffinatezza di chi ricama sul tombolo per realizzare figure e ceselli che rimangano a testimoniare l’arte che nasce dal segreto dell’immaginazione.
Poetessa dal tocco culturale policromatico e pronta ad accogliere il mito di un reale usando un linguaggio scavato nella deflagrazione improvvisa dell'imprevedibile.
La dolcezza di una voce pacata che sussurra nella frantumazione delle ore si aggancia all’ardore dell’amore che coinvolge e depreda nelle sue trasformazioni.
L’orizzonte ha il senso dell’intera combustione dei sentimenti e il ritmo serrato del dettato si avvicenda nel raggiungimento di un equilibrio che fa da sottofondo al ricordo.
Anche il simbolo fa da specchio all’alternarsi delle piegature dell’animo in un continuo sogno dalla straordinaria “vela/ che spingerà a una fiorita terra dal vento/ cinta l’abbraccio di smarriti amanti”.
Il titolo del testo potrebbe apparire provocatorio, nel senso etimologico di configurazione specifica di un determinato luogo, e nel nostro caso è il luogo della memoria che si annida subdolamente nel nostro sub conscio, focolaio sempre acceso per improvvise illuminazioni.
Poesia dal passo maturo, anche nel “profumo di una silenziosa presenza” per il quale “il puro impeto di una intimità perduta” riesce a ritrovare una profonda prospettiva nello spazio tempo di una scena.
Prospettiva dell’illusione questa immersione nella memoria, che irradia luci artificiali alla ribalta, quasi segno incontestabile della capacità di scoprire il nucleo denso dei Sentimenti.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = GIORGIA BRUNI


**L'inganno**
Giri in tondo.
Sgorgano le gocce
ma dal fondo
non sarà rugiada fresca
ma essenza rappresa
già stanca di rotolare
invisibile sotto al tuo altare.
Io allora mi sveglio,
raccolgo le ossa dal sepolcro:
all'apparenza è un movimento
fluttuerà o starà ferma?
La morte è un trucco
per pochi intimi.
******
**Ancora i morti**
Ancora i morti.
Affollano la camera da letto e
io non ne posso più.
Arrivano in massa come api
a spiaccicarsi su quel miele di vodka
compagno di sere sole.
Nella mia vita c'è poco spazio
per i vivi;
i morti hanno sempre la megio.
Saranno i sensi di colpa.
Vallo a capire.
Mi ubriaco per non pensarci e
imperterriti loro arrivano.
Si presentano senza avvisare.
Andate via, io vi voglio dimenticare.
Ma ecco che sietetutti qui e
la compagnia è ancora più dolorosa
perché non riesco a piangervi.
Signore proteggini.
Signore illuminami
com'è facile pregare.
La battaglia si fa più feroce.
Vi vedo al di là delle tende
siete tutti presenti: nuovi e vecchi mentre
la mia goffa attitudine a rimandare
mi manda in bestia.
Sembra che ognuno di voi si chieda:
perché non mi piangi?
***
GIORGIA BRUNI

lunedì 18 marzo 2024

POESIA = GETULIO BALDAZZI


"Mutazione"
S'impennavano i rami sopra il monte
come sciarpe su visi intirizziti
E quelmonte era grigio. / E irami appena
disegnati dagli occhi si orientavano
al transito dell'aria condensata.
-
Nascevano alberi da ignote crepe,
fenditure col dono della vita.
-
Trascorrevo l'asperità dei tronchi,
i nodi di propaggini scomparse.
Le cince sventagliavano colori.
E i colori parevano il tuo volto.
Sicciavano ramaglie dalla nebbia
che diradava,
e dai legni cariati,
pulésco, uscivi a rinforzare il mondo.
-
Ondeggiavano liquide le ragne
a sud dove moriva l'orizzonte
sbarrato dalle case./ E l'orizzone
era antico/ trafitto da futuri
grattacieli.
Il tuo sguardo era il trreno
verde negli occhi della primavera,
lw dita i rami fragili del fico,
e il sorriso gli squilli dell'allodola
sfuggita ai cacciatori/ E quell'allodola
era antica / dai cielo sopraggiunta
dellEden,/ con il becco che serrava
dei pruni che spezzavano le spine.
-
Nel cupo la lacustre acqua crespavano
le oche / le piume immobili nell'aria.
E quell'aria ero io./ Ero l'umida aria
antelucana./ Dall'umidità
sbucavano i pennelli delle muffe.
E quella muffa ero io / dentro l'aurora,
enorme muffa di penicillina.
******
"Vita" ( a Clara)
Se la sera screziata affina i passi
con scarpe di vernice acuminate,
il tuo viso s'inalba e assembra giorni
di rondini lanciate a pieni voli.
-
Spersi suoni si orientano all'opale
acerbo del lampione. / L'acqua al soffio
lungo del vento riscintilla e sbozza
immagini sommerse./ Tremolio
lieve di echi scampati alla rovina
che il cuore sfiora e accosta a nuove voci.
-
Ti rispecchiavi, ridevi, ed era vita
la fontanella nel giardino i colto.
Indulge l'ora a soppiantare i gesti
di mani tormentate. / Cade il vecchio
tedio di figlia in compiti di madre.
-
Più nudo il tempo mi si porta via:
brincello rassegnato dentro il gorgo.
-
E' rosso il sole obliquo sulle case
che sanno trattenere le memorie.
-
Raggiungerai imbiancata di parole
il limite che stempera gli affanni.
-
Così è l'intreccio astuto della specie.
**
--- Dal volume "L'unica bellezza" Editoriale sette - 1988
***
GETULIO BALDAZZI

domenica 17 marzo 2024

POESIA = LUCA ARIANO


** ** I **
Chi ricordava i giorni di pioggia?
Eppure sono scesi come doni antichi
ma nessuno cura più quei boschi,
borghi sopolati e letti colmi
di rami e rifiuti.
Tracimeranno oltre i campi
e ti parrà tempo di risaie
ma è solo il miraggio di una coda
d'inverno: ma rrivò la stagione?
Resti di ponti romani ancora lì,
frutto empirico di architetti
videro legioni partire per guerre,
difendere confini labili.
Sono ancora bene armati i barbari
in tuta mimetica a sparare folle:
depredarono campi prima del felo
gettando cadaveri in pozzi.
Giungerà il momento di lagnarti
dei decenni passati, botteghe
e cibi delle feste;
con ancora il profumo dei bomboloni
l'amore un gesto lento da assaporare
come il profumo del cafè appena salito.
**
** II **
Quasi un fuggire dopo la malattia
dalla nebbia della Bassa
in autostrada, ma è solo un precipitare
nella pioggia lombarda
Chiuderai l'anno con gli spettri
e i loro volti più sfocati,
album di foto perdute in traslochi,
case da vendere in fretta,
forse per celare il passato.
Finirai come quel vecchio
che si crede morto da dieci anni?
Preparato tutto il terreno per l'oblio,
suo antidoto ai social, a quei negozi
ultimo appiglio di giovinezza
quando credeva di costruire il tempo.
Qui le bombe quasi una festa:
chiudono gli occhi come nulla fosse
e per te basta un bacio,
magari prima di una notte di brina.
Giacomo quando uscì dal portone
di Via Pisanelli pensava un altro giorno
di lotta ma quel colpo in testa
e Via Arnaldo da Brescia
l'ultima parola letta con gli occhi sbarrati.
*
LUCA ARIANO **
Luca Ariano (Mortara – PV 1979) vive a Parma. Di poesia ha pubblicato: Bagliori crepuscolari nel buio (Cardano 1999), Bitume d’intorno (Edizioni del Bradipo 2005), Contratto a termine (Farepoesia 2010, Qudu 2018) oltre a testi presenti in varie antologie. Ha curato Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto 2008) e Pro/Testo (Fara 2009). Nel 2012 per le Edizioni d’If è uscito il poemetto I Resistenti, scritto con Carmine De Falco, tra i vincitori del Premio Russo – Mazzacurati. Nel 2014 per Prospero Editore ha pubblicato l’e-book La Renault di Aldo Moro con una prefazione di Guido Mattia Gallerani. Nel 2015 per Dot.com.Press-Le Voci della Luna ha dato alle stampe Ero altrove, finalista al Premio Gozzano 2015. Nel 2018 per Qudu è uscita una nuova edizione di Contratto a termine con la prefazione di Luca Mozzachiodi. Sempre nel 2018 ha curato il convegno su Pier Luigi Bacchini a Parma. Gli atti sono stati pubblicati nel 2022 per Ladolfi editore (Quel problema del cielo). Nel 2021 per Il Leggio Editore nella collana di Gabriela Fantato ha pubblicato La memoria dei senza nome con una prefazione di Alberto Bertoni e un’intervita di Luigi Cannillo. È redattore di Atelier e di Versante Ripido. Dirige per Bertoni la collana di poesia PoesiaLab. Organizza numerosi eventi a Parma. Sue poesie sono tradotte in francese, spagnolo e rumeno.

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARCO PETRUZZELLA


**Marco Petruzzella: DiStanze – Edizioni Progetto cultura 2023 – pag. 58 - € 11,00
Opera prima di un funambolico cinquantaduenne che affonda con elettrizzante eleganza tra la musicalità degli endecasillabi e la fulmineità del verso breve, offrendo quel ritmo propizio alle occasioni del quotidiano e contemporaneamente alle vertigini del dubbio filosofico. Componimenti presentati in due distinti gruppi: “Giovanili” e “Moderne”, intimamente connessi ad un arco di tempo che segna con arguzia rivelazioni a volte plasmate dal sentimento a volte decisamente provocatorie, in attesa di una scoperta o di una invenzione che sia anche spazio scenico o trappola per sgomenti e svelamenti.
L’originale panorama si apre con il ricordo di una poesia di Ungaretti che illumina come un messaggio catartico e che porta con agilità verso la contemplazione della parola ricercata. “Gentile/ Ettore Serra/ poesia / è il mondo l’umanità/ la propria vita/ fioriti dalla parola/ la limpida meraviglia/ di un delirante fermento/ Quando trovo/ in questo mio silenzio/ una parola/ scavata è nella mia vita/ come un abisso.”
Affiora in queste poesie di Marco un venticello che provoca ed ammicca, che concede misure e accompagna attraverso accenni che conducono alla coscienza della realtà rotolante, che sorvegliano con cautela “fantasie color dell’ambra/ su primavere mai prossime a giungere” o capaci di piroettare “perso tra la folla/ e paura che folla non sia/ tra azzardi pindarici/ e vili svolte”.
Il colloquio diventa accattivante. Dalla “critica, con aspettative antiche/ sedimentate/ marcescenti” al “fiore colorato/ dal colore del tuo/ nome” le dimensioni del simbolo si allontanano dall’equivoco che spinge all’illusione come fondamentale finzione imposta alla nostra esistenza rutinaria. La parola privilegiata accoglie improvvisamente le illuminazioni che si ripetono nel giro di una clessidra, trascinando nel possibile gli eventi che ci opprimono nelle frazioni del tempo. Una sorta di rispecchiamento diviene libertà di ricerca e la poesia afferma le ragioni delle aspirazioni e delle lacerazioni, nella struttura che vagheggia la musicalità adamantina.
Le più semplici occasioni diventano l’incipit di un pensiero e di un gorgheggio così: “anche il fracasso di una betoniera/ se mischiato alla nebbia e/ al capriccio di un bambino/ col loden verde degli anni di piombo” è l’armonia di una rivelazione concreta.
Poesia per quadricromie e figurazioni mai oziose, con il suo andare ondulatorio e flessibile, con lo sfiorare memorie o con l’avvolgere significanze zeppe di metafore.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

sabato 16 marzo 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


** Antonio Spagnuolo: "FUTILI ARPEGGI" - Ed. La valle del tempo 2024 - pag.120 - € 14,00 - con un saggio critico di Carlo Di Lieto
" Antonio Spagnuolo, il Poeta della Delicatezza"
La prima cosa che balza agli occhi, di questa preziosa silloge poetica, è la musicalità, il ritmo, spessissimo resi con il verso principe della Poesia Italiana: l’endecasillabo, che è anche il verso che più si adatta all’ampiezza dell’emissione vocale dell’uomo. Poi c’è la presenza dell’inconscio, del subconscio, del subliminale, permeati da un’armonia soave che si lascia prendere come un cucciolo al ritorno del suo amico umano; certo è difficile, ma se si superano le difficoltà dello scenario, essa si concede tutta al possesso del poeta.
Affiora nei paesaggi il mare, appena aggrinzito da un venticello che provoca, ammicca, pronto a concedersi a colui che con intelligenza d’intuito si sappia adeguare alla sua misura, per poi lasciarsi condurre alla coscienza; lo stesso venticello che ritroviamo negli accenni di un cielo non dissimile dal mare; uniche condizioni su entrambi: un lettore attento e consapevole.
È uno scenario teso all’apparizione, all’emersione, al lampo dello spirito indirizzato all’Oltre.
Il poeta, pur riscontrandolo, non si cura del tempo, inteso fisicamente, cioè secondo la comune tabella di: passato, presente e futuro, ma come percezione di una massa anonima, che si porge a chi tenta di carpirne il perché e il fine. Mi spiego meglio (e per questo mi perdonerete), citando un mio verso, sulla stessa lunghezza d’onda del poeta partenopeo: “…sogno nascente / in magma di pensiero.”
Leggendo, si scopre in Antonio la presenza di un orecchio attento e fortemente musicale, perché la Poesia è Musica, prima ancora di essere immagini, figure retoriche e metalinguaggio. Sono gli artifici letterari che la favoriscono?
Aggirando la domanda, per avvicinarmi ad una probabile risposta, dico che ciò spiegherebbe le oggettive impossibilità di tradurre in altra lingua, con adesione al 100%, di un poeta straniero. Il poeta si affida ad una sorta di alterazione della comune logica, per entrare nel subconscio, unico vero custode del passato e che, senza di esso, si avrebbe un anonimo presente ed un insignificante futuro. Come non percepire il piacere, anche omofono, di Antonio Spagnuolo in questo verso: “nel tepore della malinconia”? Spetta ad essa il compito di accompagnarlo nel suo viaggio ultra-umano, non dissimilmente da Virgilio per Dante, poiché la nudità della realtà si mostrerebbe vuota di significati trascendenti. Ci vuole il Sogno per scardinare la grettezza della presente realtà sociale, riportando la visione di una natura (anche spirituale) meravigliosa, come sarebbe senza la contaminazione attuale.
Ecco, tale è il compito del poeta; a lui la capacità di penetrare (e rendere all’onesto lettore) il tutto, che per essere compreso pretende un’attenzione ed un impegno simili a quelli di chi scrive nella ricerca della verità. Spagnuolo ha la sua bella ed armonica tavolozza ove intinge i pennelli dei versi per trascriverli sulla tela/pagina. Sa che “il tempo avanza rapido oltre la porta” del suo subconscio. Perciò egli lo irretisce e blandisce con le parole, delicatamente piegandolo al proprio desiderio di sapere, per sé e per coloro che non hanno la fortuna di saper fare versi. Così, come detto in precedenza, il mare e il cielo hanno gli stessi connotati, perché egli non insegue il comune significato rilasciato dal vocabolario, ma li trasforma in impulsi per scoprire la realtà che, come dice Montale nella poesia “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”, non è quella che si vede.
La delicatezza di Spagnuolo rifugge dalla violenza dei colori accesi, predilige le tenui trasparenze “dell’acquarello”, che redige in simboli capaci di rappresentare i concetti. Nonostante egli sappia i limiti e le amarezze che hanno segnato e segnano il nostro commino terreno, con il medesimo entusiasmo della gioventù, è capace di creare ed inseguire le favole alate che lo porteranno al sogno, e nessun acciacco o amarezza potrà mai lesionare. Esso sogno gli restituisce “dolce il ciglio dell’amata con il colore / della primavera”. Dovrei citare tutta la stupenda poesia “Fusioni di guerra” (pag. 15) per quella capacità onirica e agitativa che Antonio consegna al suo reportage, prezioso e suggestivo. Ma sempre con una finezza di fondo che si lascia scandagliare dal nostro io, pienamente convinto. Altra bella presenza in tante sue poesie ed è il suadente e raffinato erotismo che innalza il sapore del contatto “trasmutando la carne al tepore / delle alchimie”. Notate, Spagnuolo non urla il fuoco della passione, ma bisbiglia il tepore dell’unione. Infatti suggerisce il suo grado di lettura: è “Meglio ancora afferrare il suono / che fluttua fra gli occhi come vela”. Qui spinge un po’ la delicatezza usata altrove, suggerendo un vocabolo più deciso: “afferrare”.
Anche la religione è presente in lui quando scrive: “…Cristo stravolge la parola / per trasformare il futuro…” perché non sempre si riesce ad “allontanare provvide smemoratezze”. Nelle righe esprime un suo desiderio: “Qui vorrei che mi abbandonasse un Dio / nel guscio dei miei sentimenti”, perché la crudeltà, non della vita, ma degli uomini, è meglio affrontarla armati di corazza. Ci sarebbe tanto da dire sul suo convincente discorso che penetra nel cuore e nella mente fatto Arte Poetica, ma mi trattengo, non prima però di confessare che i suoi Futili arpeggi non sono né futili né semplici arpeggi, ma un crescendo di armonie che diventano Concerto del creato, nella pienezza della sua completa strumentazione.
La modestia è dote dei Grandi.
Mi complimento pure per la vena creativa, fresca ed originale, che dimostra come il cuore non invecchi mai. E che, per dirla con il Mario Luzi della poesia Diana, risveglio: “…tu ilare accorri e contraddici / in un punto la morte”.
Tanto di cappello, dunque, per questa nuova raccolta di Spagnuolo, che conferma ciò in cui io credo fermamente, e cioè che i versi debbano essere musica intrisa di parole.
Nella poesia Eppure (pag. 24), con una serie di distici, il poeta descrive la sua esistenza; sono versi studiati e precisi come il tiro con l’arco di un campione olimpico. Brillano, in uno stupore drammatico, due endecasillabi: “Eppure era soltanto l’altro ieri / che mi donasti un ultimo sorriso”. Nel dramma della scomparsa, vagola la delicatezza del sorriso di Chi parte verso chi rimane; un sorriso che arresta ogni cosa e stronca ogni forza.
Ma non è tutto concluso; il compito del poeta spinge il Nostro a tornare alla penna, onde narrare la restante sua esistenza in una suadente, ammirevole, stupenda volontà di scrivere, per lasciare qualcosa di sé ed onorare i talenti che alla nascita gli sono stati assegnati. Bellissimo è lo sviluppo della citata poesia, ove domina la ripetizione a distanza, ossia la figura retorica dell’Enumerazione, per l’incalzare delle parole in posizione non anaforica. Prima di congedarmi dal Poeta, mi è d’obbligo e di piacere la citazione dell’altrove pure presente nel registro di Antonio Spagnuolo, ed è “un alito sfiorato, / inquieto nella ricerca di un sussurro / che anela ad una sorta di abbandono”. C’è nelle sue pagine una sequela di endecasillabi che, come diamanti in un castone tutto d’oro, spiccano per evidente bellezza; alcuni dei quali li cito appresso, e si fissano nella mente appagata di chi legge. E sono:
-“Affondo nell’eterno ad occhi chiusi”,
-“…così cala il tumulto alla deriva / scivolando nell’eco di un richiamo”,
-“…verso la mia tarantola, incompiuta, / alle rare inquietudini di carne”,
-“Ormai la gioventù quasi scompare / nel molle desiderio, come stoppia…”
-“…vertigine di foglie ormai ingiallite”,
-“ Era il Calvario l’ultimo rifugio / dove il legno, confuso alle preghiere, / ha il segno della Croce”,
-“Mordono la schiena le parole / che sembrano lampeggi d’infinito”,
-“…nel perfido congegno delle stelle”.
Ecc. ecc.
Sono versi, degni di un futuro, che lasciano, in chi legge, l’appagamento di una soluzione.
Quale?
Quella che attende dentro di noi, docile e bellicosa, libera e prigioniera, musicale e muta, trasparente e colorata; aspetta nel subconscio per condurci all’Altrove. Questa è la delicatezza di un poeta che ha sofferto, che ha saputo soffrire e soffre, con dignità e capacità di raffrenamento in grado di non scaricare il dolore sul lettore, che invece, nota, in lui, una grande umanità fatta Arte. Quella poetica.
In conclusione, Futili arpeggi è un libro che vale la pena avere in evidenza nella nostra libreria, per rileggere ogni tanto qualche verso che ci rinfranchi e ci spinga ad andare avanti, convinti che tutto sia scritto, ma che tutto possa cambiare, nella speranza antica di una Guida, di un “filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità”. Questo scriveva Montale nella sua basilare poesia I limoni.
*
Getulio Baldazzi
Lanuvio 14/3/2024

martedì 12 marzo 2024

POESIA = RAYMONDE SIMONE FERRIER


**Il senso della vita**
Il senso della vita lo dà la mano tesa
al sorriso dell’impalpabile.
La pazienza dell’ascolto, la lentezza del giudizio
per giungere oltre l’orecchio oltre le labbra, oltre l’occhio
ad esplorare ogni correlato mondo; ogni sfumatura dell’altrui io.
Seppur silenziato, mezzo sepolto, che sta di fronte chinato
o in piedi degno, ma indifeso e fragile.
Il senso della vita lo dà l’arte di chi, di tocco delicato per sé necessita.
Di chi, con il solo cuore venire ascoltato vorrebbe e ascoltare sa.
La bellezza di chi, nell’altro non vede
nemico potenziale, ma il proprio riflesso soltanto.
Di chi legge nello sguardo oasi e non deserto.
Di chi condivide pane, se capita fame; naturale ingenuità.
Di chi, tutto rispetta, si cura del pianeta,
innaffia, pota albero, coltiva orto, annusa fiore.
Anche su orlo del dirupo.
Di chi sente il color dolore, il color Amore-
Di chi accarezza e nn offende bimbo, animale:
ingenua purezza offerta.
Il senso della vita, quando salute amore e pace
- quando l'essenziale tace- prepotente sul seno affiora.
Lo elargisceogni individuo grato al creato
e degno del bene che gli si dà.
Le persone capaci di volerne, quelle dotate di umana carità.
Il suo senso sono loro, gli esseri di statura,
le umili Persone con la maiuscola.
***
**Se ci sarò...non so bene***
Non so bene se ciò in cui inciampo sono io stesso,
i miai rami secchi che si nutrono dei miei trapassi,
le mie radici fuoruscite che uralno mute
ma mai paiono sazie d'oblio, di aberrazioni di luci e di abissi.
Non so bene se è nella mia bramosia di possesso
nella sua rovente freddezza che sono me stesso,
o nella macchia rugginosa e nel martirio
della mia vigliaccheri senza chiodi.
Forse nel desertificarsi dei miei sogni,
in qull'infierire a maledire ogni mia bella debolezza
ogni mia celeste illimitatezza
che la mia fine segnerò.
Ad aggredire la mia parte migliore, della linfa vitale il rispetto,
delle fronde e del frutto la lucentezza, esaltando il solo bellico potere
di scudo d'anima della corteccia.
Non so bene se cisarò, ma di tutto ciò non soccomberò,
e nel vecchio me di un tempo e nella sua diafana purezza
ogni tanto ancora bagnerò- se ci sarò -...
e ancora non mi avranno annientato le mie stesse pecche d'ombrre
la mia poca fede, la mia prepotenza,
la mia indifferenza all'altrui sofferenza,
nudo, pentito e con il cuore sanguinolento
- testimone tu, mio Signore,
a chiedere perdono dinnanzi a quel "me"
che almeno un pò avrebbe potutto essere Te-
imile mi prosterò.
E se trasuderò di nuovo sangue d'Amore
sarò presente al modo e a me stesso: ci sarò.
**
RAYMONDE SIMONE FERRIER

giovedì 7 marzo 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = GINO FIORE


***
"L' amore come forza salvifica, come esperienza liminare, come rassicurante approdo" "Nel diluvio" di Gino Fiore
"La preghiera è 'discesa della mente nel cuore' dicevano i Padri e così è il silenzio. Ma anche salita del cuore alla mente. Nel silenzio si discende come si discende nella preghiera e nella poesia per ascendere al sacro". (Lucianna Argentino, da La Parola in ascolto)
Riprendo solo ora, dopo anni, e con un cruccio acuto per aver perso una lezione di umiltà e di vita, in quanto il poeta, di cui qui si disquisisce, aborrisce il vuoto clamore dei salotti e la futile partecipazione ai premi letterari, ad eccezione dell'annuale e mitico Premio di Poesia "Libero de Libero" dove omaggia l'illustre concittadino con la declamazione di alcune celebri poesie e, avallato anche da fervide e toccanti testimonianze sul fraterno amico, il discorso su "Nel diluvio", uno dei volumi di liriche più suggestivi, luminosi, intensi e intrisi di respiro dell'essere, alla ricerca del Nostro Dio Supremo, Alfa e Omega della nostra esistenza, in perpetuo viaggio verso il Porto dell'unica Certezza, Salvezza in un diluvio eterno sulla terra, come recita, appunto, il titolo Nel diluvio (Fondi, Edizioni Confronto,1996), confluito nella solare e graffiante Opera Omnia Il fiume il mare-tutte le poesie- in cui farò anche qualche breve incursione (Marina di Minturno, Caramanica, 2013, prefazione di Pasquale Maffeo, dal titolo significativo Lo sguardo e il verso, e in appendice con una ricca bibliografia e importanti note critiche a firma di Guido Ruggiero, Mauro Corradini, Giorgio Agnisola e Alida Sessa che ripercorrono, attraverso una serrata disamina, il percorso di Gino Fiore, come poeta, scaltrito attore e drammaturgo). Già Pasquale Maffeo, con mano ferma ed esperta di ermeneuta, nella estesa, partecipe e dotta prefazione al testo originale, che è una ricognizione del lungo viaggio del Nostro Autore, evidenziava la sua incessante crescita, di volume in volume, "il suo travaglio di ricerca formale" (p.6), la sua "mano severa, mano che ha sceverato, ritoccato, riordinato", ripassando "al vaglio, potando e ampliando, il corpus via via articolato della terza silloge. Tappa, questa, riassuntiva ed emblematica di frastagliate fabulazioni, autobiograficamente speculare, affrancata dai tributi retorici e di stagione. Nel sinuoso divenire s'era diramata una filigrana che in trasparenza, controluce, coi suoi nodi e i suoi raccordi rimarcava una limpida nervatura" (p.7). Superfluo, inoltre, è ricercare nell’opera di Gino Fiore possibili ascendenze letterarie italiane e straniere o referenti poetici e drammaturgici, pur presenti, in quanto l’autore, talmente abile e scaltrito nel mestiere, riesce benissimo ad assimilare, introiettare, personalizzare e sublimare il riporto, come se le voci dei suoi “compagni di viaggio” fossero la sua, si confondessero nella sua e la sua voce si annullasse, amalgamasse in quella altrui, in quanto affinità elettive, lo stesso “io” parcellizzato e unificato nella stessa anima palpitante gli stessi battiti solari di un amore universale, così trascendendo l’esperienza strettamente personale, pur facendo sempre emergere il suo timbro soggettivo. È nel Diluvio il canzoniere d'Amore nel senso lato dell'accezione, nel quale, come ancora con acribia rileva Pasquale Maffeo, "si ritrovano le coordinate d'una geografia, d'un paesaggio etico-sentimentale nel quale Fiore riscrive la sua memoria d'uomo e proietta la carica pulsiva del suo presente, la sua inquietudine esistenziale", attraverso "filoni" che si dipanano su oniriche fascinazioni, aperte a crescite improvvise" (p.7).
Le tematiche, che Gino Fiore predilige, sono quelle universalmente riconosciute con cui l'umanità quotidianamente fa i conti e si misura e che vanno, in primis, dagli affetti familiari, comprendenti bellissime e struggenti liriche dedicate a moglie e figli, agli aspetti sociali, in un mondo sconvolto da catastrofi e paure nucleari, dai problemi strettamente personali a quelli esistenziali sostenuti da un credo religioso fortemente invocato e professato sulla terra come porto di Amore, Salvezza e beatitudine eterna.
Prendiamo, appunto, come emblema di questa sete, di questo Fuoco d'Amore, una delle tante poesie, che si apre, come un ventaglio, a molteplici significazioni, carattere polisemico, felicemente ambiguo della poesia, per evidenziare anche come il poeta abbia operato dal punto di vista linguistico e da quello immaginifico, sul testo, attraverso il cosiddetto labor limae, dal momento che "Se sapremo", di cui mi occuperò, confluisce nella succitata Opera Omnia, Il fiume e il mare, magistralmente ritoccata, questa volta, non togliendo ma sostanzialmente aggiungendo, mediante un procedimento inverso di quello che di solito si adotta intervenendo sulle varianti.
Ma importante e utile, per non dire chiarificatore, sarebbe vedere, attraverso un processo di collazione, di comparazione tra il testo originario e quello dell'Opera Omnia, come da me svolto, e qui non si può per ragioni di spazio, ripromettendomi di affrontare questo lavoro in un'altra sede, anche il criterio che il poeta ha adottato teso a rastremare, a togliere più che aggiungere, attraverso cui ottiene, alcune volte, risultati soddisfacenti, e altre, addirittura, strabilianti, intervenendo sul respiro poetico, sull'orchestrazione strofica e soprattutto su una incisiva sintesi, facendo rimanere, come negli ermetici, la parola ossificata, scarnificata, depurata, essenzializzata. Il tutto in un processo di scavo laborioso che attesta nell'uno (quello di integrare, come nella poesia esaminata) e nell'altro caso (quello di folgorare, rastremare) la scaltrita perizia e la scrupolosa meticolosità dell'artista.
Evidenziata questa precisazione, è il caso di riportare integralmente le due versioni, quella originaria e quella dell'Opera Omnia, per far notare i vari passaggi operati. "Nel diluvio" abbiamo: "Se sapremo guardarci negli occhi/eviteremo alle foglie di tremare nel vento,/all'acqua di correre, all'erba/di crescere,/alla vita di finire./Se sapremo tenerci per mano/non ci lamenteremo/del figlio che cresce in fretta,/dell'invito che tarda a svanire./Se sapremo camminarci accanto/sereni andremo nel mondo"(p.35). Invece, ne "Il fiume e il mare": "Se sapremo leggerci negli occhi/avrà voce il silenzio lungo il giorno/. Guardando foglie immobili nel vento non sentiremo scorrere/l'avviso che precipita a finire/. Se sapremo tenerci per la mano/senza toccarci, non un lamento/spunterà sul figlio che già stacca/l'addio e s'inoltra e dispare/. Se sapremo condurci inseparabili/ alle svolte dell'insidia, se sapremo/ tacere d'un amore che non chiede/più parole, la morte poi verrà/ senza sgomento all'ora giusta" (p.43).
La prima stesura è un unico blocco forse troppo compattato e compassato dal punto di vista strofico, non pausato, non contrassegnato, da quello spazio bianco tanto caro soprattutto agli ermetici, per la meditazione, la compartecipazione poeta-lettore, anche se mirabilmente sostenuto dall'aspetto anaforico di quel "se" ripetuto alla fine di ogni interpunzione che proietta la sete di vivere in un tempo infinito o indefinito e ossessiona come un monito evangelico la coscienza dell'essere di perseguire la via della Vita, la strada della salvezza, della Certezza eterna per non permettere "alla vita di finire", per imparare a "saper tenerci per mano", "camminarci accanto", sereni andare nel mondo, amare e vivere e rincorrere "il sogno nella luce" ("Questa non è una poesia", p.318). Certo, speranza o consapevolezza di guardarci, specchiarci nell'altro, fermando, attraverso la poesia, la fantasia, la fede dell'Amore o nell'Amore, gli elementi naturali, annullando anche il tempo. Ma la prima stesura, forse, viene assoggettata a una eccessiva incisività, mentre la seconda risulta più intrisa di lirismo, circostanziata, più scavata per lasciare affiorare sempre di più la solarità dell' interiorità, il tormento dell'essere nel perseguire una via fatta di silenzio, lo specchio della coscienza aperta al monito e al raccoglimento, all'ascolto del Verbo, del Redento. I verbi del primo blocco della versione originaria fino al quinto verso "alla vita di finire" delineano il tempo della fissità, dell'immobilità, del fermare, del crescere, dell'impedire "alla vita di finire". Nella strofa della seconda stesura, invece, il tutto viene affidato all'auscultazione del silenzio, ovvero della voce interiore, della pienezza dell'Essere, della Parola, del Verbo fatto carne, sangue nel tentativo di sconfiggere il nostro deserto, i giorni inariditi, alla riscoperta della Voce, del sogno d'Amore. Le risorse foniche dei cinque versi iniziali, ma questo si può estendere all'intera lirica, sono affidate alla reiterazione incessante e insistente della "e" e soprattutto della "r" che mira ad arrestare questo processo di disfacimento, di agonia della vita. Questa lirica dell'opera Omnia è, nel complesso, intrisa di un respiro ossessivo per la vita, affidata tutta a uno scarto linguistico, a una struttura ossimorica, per meglio svelare il senso dell'Essere, per poter potenziare ulteriormente le risonanze musicali, l'aspetto contenutistico e quello iconico-immaginifico che si aprono a una radiosa trasparenza o solarità delle immagini, assente nella prima stesura.
E’ una tenzone, si potrebbe dire, tra il giorno, che simboleggia l'Amore, o il sogno dell'Amore, e la Notte, in cui si identifica la Morte, la distruzione del sogno, "l'avviso che precipita a finire", davanti al quale o contro il quale bisogna resistere perché esso non si verifichi, la parola blaterata non sostanziata, inverata dal palpito e il Silenzio che invece esplode come "Voce", come tuono, auscultazione “lungo il giorno”, per poter tenere sempre desto il "Vento", non quello fisico, temporale, ma quello della Coscienza, del Risveglio.
La natura viene immersa in un paesaggio che diventa “pianta interiore dell’Anima, paradigma assoluto della vita che non deve finire, costante tensione o anelito a vivere il respiro divino, immersione nell’immobilità del naufragio in cui restare per rinascere, rigenerandosi.
Anche l’orchestrazione strofica, la scelta del verso lungo tra l’avvicendarsi dell’endecasillabo, del decasillabo, del novenario e l’ottonario, penso miri proprio a questo scopo, quello di far resistere e persistere la Voce, come auscultazione interiore, una confessione, come monito a vivere bene “lungo il giorno” per non poter essere oscurata dall’Ombra, fagocitata dalla Notte, come buio totale dell’anima.
I versi “Se sapremo tenerci per la mano/senza toccarci” della seconda strofa e quelli della chiusa “se sapremo/tacere d’un amore che non chiede/più parole” raggiungono il diapason dell’Amore e acuiscono, sempre di più, la condizione ossimorica, l’acme della Parola, che si fa silenzio, per auscultare il Verbo che è Essere e dà pienezza all’essere, attraverso il tacere, come il silenzio della preghiera che non proferisce e non chiede “più parole” ma la sola parola, il Logos, come se l’essere vivesse in una perpetua ascesi, in una “cella” di silenzio, attraverso il ricongiungimento con il Celeste, con il fiato del Creato, concreato nella nostra brama, che allontana Thanatos e ce lo fa accettare, francescanamente, “senza sgomento all’ora giusta”, senza paura, come un fratello o una sorella. Un viaggio, in definitiva, nell’amore che “lega il passato al presente e il presente al futuro” o “dell’amore inteso come forza salvifica, come esperienza liminare, come rassicurante approdo”, che converge “verso uno stesso orizzonte, quello dell’amore intravisto come porto sereno, come estremo, unico confine del presente e del futuro”. In ultima analisi, “E’ la ricerca di un approdo, è la scoperta, meravigliosa e meravigliata, di quel segno di unità che conclude nella pace di un intimo, misterioso dualistico disegno, il cerchio dell’amore” (Giorgio Agnisola, pp.341-342).
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Rocco Salerno
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Gino Fiore, Nel diluvio, Fondi, Edizioni Confronto 1996, in Il fiume e il mare, Tutte le poesie, Omnibus Poesia, Marina di Minturno, Caramanica 2013

POETI DA RICORDARE = BIAGIO PROPATO


***Lettera al numero uno inquilino di Propato***
Sii ogni lettera, ogni sillaba!
Percorri il letto terreno e astrale
Il grande carro, le vie labirintiche del tuo nome!
Hanno deciso di tagliarti i capelli, la testa
le viscere feconde per farne corde
per i loro violini letali.
Sii chi sei anche quando gli altri dimenticano
chi sono e sognano ville lussuose e poltrone
vacanze viziose oltre deserti in esotici mari
poetare ignorando il senso reale della scrittura.
Sii chi sei lontano dai bordelli mentali
dove vogliono convogliare chi tace per non mentire.
Sii sempre chi sei, l'inquilino numero uno di Propato!
Non sorprenderti se il mondo è ubriaco di crimine:
ce la puoi fare, vincere il mondo, sobrio restare,
come il perfetto amico Galileo tra le due sere...
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Dal volume “Solo un poema rotolante” Biagio Propato (Viggianello 1952-Roma 2022)

mercoledì 6 marzo 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROCCO SALERNO


** Rocco Salerno, La meraviglia dell'amicizia, Macabor, Francavilla Marittima (Cs), 2023 . pag.72 - € 13,00
prefazione di Antonio Spagnuolo - postafazione Carmine Chiodo
Rocco Salerno è autore di diverse sillogi poetiche, sempre significative (ricordiamo almeno, ma non solo, quella memorabile dedicata a Dario Bellezza) perché abitate di senso profondo in termini tanto umani che poetici. In questa sua più recente, apparsa come la precedente nella bella collana di Macabor Editore, compie un'operazione abbastanza insolita: è infatti una raccolta interamente dedicata al sentimento dell'amicizia, non in termini filosofici o astratti, ma specificamente indirizzata e ispirata dai componenti di un nucleo familiare a lui vicino. Insolita perché, se nella storia della poesia sono infinite le liriche rivolte ad amici, ben rari sono invece i libri interamente intessuti su tale sentimento, a fronte invece d'un numero sterminato, ad esempio, di canti amorosi. In questo caso i destinatari sono i membri di un nucleo familiare e si potrebbe pensarlo libro composto di componimenti d'occasione, ma così non è: è un testo tutt'altro che sfilacciato, come ben dimostrano i due contributi che lo accompagnano e incastonano, la prefazione di Antonio Spagnuolo e la postfazione di Carmine Chiodo, entrambi veramente in grado di armonizzarsi con l'insieme, cogliendone ragioni e sfumature in maniera eccellente.
Spagnuolo, parlando di "girandola"e "rondò ", enuclea con parole affettuose e festose la felicità espressiva di Salerno, ben sottolineandone la dimensione al tempo stesso leggera e profonda, festosa e meditativa.
L'emozione è personale, ma diviene spazio d'universo, adesione convinta, riverbero interiore nel quale tra ricordi e stupore, omaggio e devozione, "il cranio del Tempo/che vorrebbe maci- nare/ anche i sentimenti" finisce, nonostante l'immagine orrorifica, a non incutere più paura. Le parole del poeta sono dono di gratitudine pura, non increspata da nulla, e con musicalità agile e scandita, mai retorica,"accarezza con enfasi la semplicità" e "la concretezza dell'altro", come annota Spagnuolo.
È un omaggio alla tersita' della parola,tra luoghi interiori ed esteriori (Roma), dove ogni incontro con gli amici produce umano calore, spogliando l'anima d'ogni esitazione e timore. All'amica Rita (di cui è detto anche il cognome, a sottolineare la realtà e la concretezza del legame), in questo canto,si affiancano figli e nipoti, che divengono via via protagonisti in quanto incarnazione del futuro, "per aprirti all'infinitudine/dell'essenza celeste dell'indomani".
Il piccolo Giulio è "vento di primavera/sull'Universo",un vento coinvolgente ed entusiasmante, come lo è la piccola Diletta,"celeste infiorescenza". È un progredire nella grazia, tra "sensibilità e misura" come osserva Chiodo, dove il poeta è al tempo stesso osservatore-narratore e partecipe, con la sua parola che diviene di volta in volta "tremito di foglie, folgore, sole, battente pioggia", votandosi alla grazia della "vastità mattutina" nascosta in ogni giornata.
Il libro,così, oltre ad un devoto omaggio, diviene un auspicio d'avvenire nel quale i nipoti, ma in generale i bambini, divengono "pietra focaia"della vecchiaia di chi ha la fortuna, e la gioia, di comprenderne l'intimo messaggio. Tra incarnazione, umanissima, di un'idea di sublime armonia, la poesia si trasforma in espressione sublime di grazia, gemmazione di promesse, e il tempo non mostra più l'orribile cranio ma diviene"vela aperta sul mare della nostra freschezza".
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Stefano Valentini

martedì 5 marzo 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


Antonio Spagnuolo: "Futili arpeggi" - Ed. La valle del tempo 2024 - pag. 120 - € 14,00
"Un solo volto indissolubile nella poesia di Antonio Spagnuolo"
La raccolta “Futili arpeggi" estende il sentire della vita e dell’oltre come luoghi connessi raccolti nel sé.
Una Potenza inconscia quanto volontaria aleggia fra i versi, dimostrando gli opposti che per creazione ci appartengono: l’ombra e la luce.
Come il contadino vanga la sua terra, il poeta scava la sua anima, e in questo libro, l’anima attecchisce una nascita importante, germogliando la preghiera antica dell’umano. L’amore, la mancanza, la memoria, il valore, la domanda e la risposta, quanto l’esigenza di affidare la parola come cellula essenziale al tutto. Ne emerge che la bellezza trionfa - unendo la gioia al dolore - e una celebrazione nuova, mostra un solo volto indissolubile, nel corpo variabile dei giorni.
La perdita ci pone avanti le consapevolezze più intime, sviscera i confini, i ricordi, le paure, il bisogno dell’altro come essenza indispensabile. L’amore prima di tutto è movimento interiore, urgenza di condivisione circolare. E allora, quale strada percorrere se non la parola? Quale gesto attuare nell’assenza? Con la parola la speranza è comunione indivisibile. I deserti - nell’istante perduto - si concimano. I sensi si ridestano. Il dialogo continua, perdura, rivive, rielabora, si scusa, perdona e conforta, donando al suono il compito di tramandarsi altrove. La poesia cancella l’immobilità della rinuncia solitaria, donandosi chiede e narrandosi ascolta, ferita quanto illesa. In sintesi realizza l’impossibile viaggio dell’accoglimento a prescindere, oltre il quale la distanza non ha leggi né limiti. E la raccolta di Spagnuolo ne centra appieno il pensiero.
Lo scenario delle pagine è armonioso, ricco di simboli sapientemente calibrati, e un chiarore vigile, fedele alla realtà, ne incoraggia il percorso con grazia, tralasciando soltanto il silenzio. La poesia di Antonio è vocazione, leggendola si avverte la corrente dell’intesa, il flusso è un abbraccio, come una marea si muove viva, raggiungendo tenacemente la meta.
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Marina Minet

sabato 2 marzo 2024

POETI DA RICORDARE = ALBERTO CAPPI


ALBERTO CAPPI (1940 - 2009) dal volume "Poesie 1973-2006"

venerdì 1 marzo 2024

RIVISTA = NUOVO MERIDIONALISMO


**E' in distribuzione il numero 241 della elegante rivista "Nuovo meridionalismo" (Dicembre 2023 / Gennaio Febbraio 2024)
Direzione di Generoso Benigni e Giuseppe Iuliano
Firmano in questa rassegna: Generoso Benigni, Mino Mastromarino,Giuseppe Iuliano, Luigi Mainolfi, Nicola Prebenna, Paolo Saggese, Giovanni Verde, Amato Michele Iuliano, Franco Mangialardi,Aldo De Francesco, Gennaro Iannarone, Michele Magliano, Antonio Spagnuolo, Teodoro Russo, Antonio Pulcrano, Clara Spadea, Antonio Crecchia, Matteo Claudio Zarrella, Vincenzo Aversano, Filomena M. Iannaccone,Raffaela Vallese, Antonio Martone, Gaetano Troisi, Bruno Troisi, Vincenzo Napolillo, Basilio Fimiani, Michele Sessa, Paola Ronca de Lorenzo, Riccardo Sica, vignette di Malatesta.
Per contatti: giiuliano@tiscali.it

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE GATTA


Raffaele Gatta: "Uomo libero" - Nulla die edizioni - 2023 - pag. 86 - € 13,00
**“Povera Italia ridotta a colonia, di disoccupazione fabbrica/Crociera turistica condotta da ruffiani/Non più patria di virtù, ma di prostituzione mediatica”. L'esplicita intestazione appartiene all'opera “Uomo libero” con la prefazione di Diego Fusaro.
Il libro affronta il declino della coscienza e l'inesorabile decadenza della società, immersa nella sorda e asettica superficialità, muove il sentimento della solitudine, argomenta i voraci e crudeli condizionamenti nelle scelte, riduce la struttura morale a una consapevole e disincantata intangibilità della libertà. Raffaele Gatta pone al centro della sua ricerca poetica il destino dell'uomo in relazione alla sua indipendente capacità di riflettere intorno alle opinioni e al contesto sociale e politico della vita, afferma la responsabilità della verità come la lineare conseguenza dell'equilibrio dell'intelligenza, alimenta la conquista culturale e la conoscenza dell'animo umano contro il subdolo e insidioso vincolo dell'imperativo di ogni principio carismatico. I testi di Raffaele Gatta aggirano la cinica illusione dei valori e delle ideologie, dimostrano la critica efficace per difendere l'impegno politico e la meditazione dell'attualità storica, commentano l'isolamento dell'uomo in relazione alla possibilità di comprendere dialetticamente le correnti contrastanti della personalità, fondono il concetto fragile e instabile dell'uguaglianza con l'esempio dell'ambiguità democratica, legittimano il sentimento collettivo di ogni educativa rivendicazione. Il poeta conferma il desiderio di regolare attraverso le leggi dell'intelletto la percezione della realtà, nella sua immediatezza esegetica, insegue la ragione attiva di ogni divenire, propone la concezione del mondo osservando la corrispondenza di una fenomenologia che raggiunge l'universalità nell'intuizione dell'essenza.
Esamina la sensazione disgregante e timorosa del carattere dell'uomo, l'espressione speculativa dell'identità, la disarmante alienazione, il tradimento di ogni artificiosa necessità che trasfigura l'anima dell'uomo in mercanzia. “Uomo libero” illumina la dottrina del pensiero, risponde puntualmente all'accostamento contemporaneo introspettivo delle suggestioni ingannevoli, rispecchia compiutamente la finalità matura delle riflessioni nel percorso esistenziale e intellettuale, identifica la consapevolezza della perdita dell'umanità con l'oscurità compromessa del comportamento pubblico. Raffaele Gatta ascolta la persuasione occulta del silenzio, assiste al disorientamento delle voci, sentenzia la nullità in ogni sistema di devastazione etica nel distacco imperturbabile dell'universo politico, distingue la scrittura interpretativa della coscienza naturale e l'intento di estendere la volontà del cambiamento nella consistenza sensibile della parola, l'impegno del linguaggio nella riflessione filosofica. Accoglie la sottile e acuta tonalità del presentimento attraverso il passaggio di un malessere invisibile ma evidente nella fibra ontologica dei versi, spiega la rappresentanza del consenso, traghettando tra ragione e suggestione, il materialismo spirituale. Decifra la morente e sconcertante condizione dell'individualità come deriva nichilista sull'instabilità, riconosce il depistaggio delle false solidarietà, insegue la direzione illuminante dell'equilibrio nella trascendenza poetica dell'essere.
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Rita Bompadre
- Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
**Testi scelti**
"Nel reale pensiero"
Ogni cosa che va alla deriva
è sempre un qualcosa che rinasce
Trovi reale ogni tuo pensiero
ma in esso tu racchiudi il mondo
Non ha più senso fermarsi di fronte a sé
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"Non ancora"
Non è ancora persa la luce
tra le case, tra le strade bianche
Questa antica devozione
che fa del mondo un arido teatro
una rivista per abbonati
una sala d'attesa
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"La mia civiltà"
Come schiavi, come uccelli uccisi in volo
come piccoli angoli di luce nel buio
come sogni ad occhi aperti
Tutto questo mondo non l'ho scelto io
La mia civiltà non è mia
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"Sotto la luce solare"
Non siamo consapevoli di niente
Rinchiusi qui o fuori sotto la luce solare
Scavalchiamo staccionate e corriamo
su spiagge deserte credendo nel presente
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Sez. a
Questo mondo diviso da poche parole
dialettiche trasversali e di una logica politica
che ha del reale solo l'eleganza dei loro abiti.
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Immatricolare la coscienza
in un arido mattino bianco
che sovviene una naturale
sentenza di calore; luce o fuoco
Non ha della strada in piana
il sentimento reale distante
da ogni parametro mediatico,
politico, culturale, ma cammina
Cammina nell'astrattezza morale;
Diretto alla lucida follia
un giorno come altri, feriale
invernale: prossimo a te
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Ma se hai fretta di nutrirti,
l'anima sottrae anche la parte
più nobile. Gramsci e Lukács
nei sentieri dell'ortodossia
risolvono il morente occidente
in una volontà di ristabilire l'ordine.
Sopra la Parola non data per la morte
puoi trovarne nella storia già
la soluzione, ma tu, uomo libero,
sei ridotto a volontà di zucchero