martedì 31 maggio 2022

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


**“Conchiglia”
Come una conchiglia sulla spiaggia
lo sfiorarsi nel torpore,
finiti i giorni a piedi nudi
tra sabbia e alghe lussureggianti
recitiamo monete del passato,
senza sapere dove limita l’ora.
Sento il piombo della morte sulla pelle,
nessuna promessa da offrire,
soltanto narrare una storia
che diviene lamento confuso.
Spezzasti il mio balenare
rotolando nei sogni.
*
ANTONIO SPAGNUOLO
*
"Conchilla"
Como una conchilla en la playa
sumirse en sopor,
terminando los días descalzo
entre arenas y algas lujuriosas
recitamos monedas del pasado,
sin saber cuando el limitar de la hora.
Siento el plomo de la muerte en la piel,
nada prometo ofrecer,
solamente contar una historia
que deviene queja confusa.
Despedazaste mi aparecer
rodando en los sueño.
*
Traduzione di Francesca Lo Bue

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA EROVERETI


* MARIA EROVERETI: “FIORI DI LUNA”, ATB EDIZIONI, TORINO, 2022− PAGINE 95 – 16,00 € Terza in ordine di pubblicazione, dopo "Frammenti di emozioni" e "Un piccolo mondo", la silloge Fiori di Luna di Maria Erovereti, ancora una volta sorta di diario dell’anima, si pone, per tematiche trattate, sulla stessa linea poetica delle prime due, in particolare della prima, differenziandosi, però, per una maggiore capacità rielaborativa e di approfondimento, pur nella fedeltà a quello che è il bisogno irrinunciabile della poetessa, e cioè la necessità di cogliere e di esprimere la verità del proprio sentire.
Sia infatti che Maria ci parli del conforto offerto da una natura accogliente che ci aiuta ad allontanare gli affanni e a lenire il senso di solitudine, sia che rifletta sul mistero della vita, affascinata dallo spettacolo del cielo stellato, chiedendosi cosa rimarrà di noi nel cosmo, sia esprimendo sentimenti di tenerezza verso la madre malata ma anche stanchezza per un accudimento che a volte prosciuga le forze, avvertiamo sempre nelle sue parole bisogno di verità, esigenza di penetrare la trama vera del tessuto interiore, la necessità di cogliere ed esprimere l’essenza delle varie condizioni esistenziali. Essenza di noi stessi, scendendo nel nostro animo e non tacendo nulla dei sentimenti e dei vissuti che lo agitano “placate le tormente del cuore / le ansie di futuro sopite”; essenza nei rapporti, cogliendo l’autenticità delle relazioni “Compagna di sogni / di un’età tormentata /…ti sorprendo ancora /…fervida amica”; essenza delle varie situazioni di vita, al di là delle convenzioni e dei mascheramenti sociali. E in questa ricerca si placano le inquietudini, le domande, il senso di solitudine, le amarezze, tutta quella gamma di sentimenti, emozioni, tutto lo sciame dei pensieri che contrassegnano di norma il nostro vivere e a cui molto spesso si risponde in modo superficiale ed elusivo. Non così Maria da sempre impegnata, anche attraverso la forma espressiva della fotografia, in questo lavoro di chiarificazione e ricerca di senso, di ulteriorità, in cui le cose, la realtà oggettiva acquistano significato e spessore proprio andando oltre il mero dato.
Del resto questo lavoro di scavo è dichiarato in modo esplicito laddove confessa: “Poeta? No, minatore” in cui la poetessa precisa di “cercare nell’oscurità / per strappare all’abisso / tesori nascosti, / frammenti puri / di luce / che accendono / d’interezza la vita / e stillano / illusioni di eternità.
Una vera dichiarazione d’intenti, una guida quasi per l’interpretazione della sua poetica.
Vediamoli allora questi frammenti che giacciono nell’abisso, ascoltiamoli i sentimenti, i pensieri, a volte anche inconfessabili, o magari solo troppo intimi che bisogna portare alla luce, e poi i sogni, le speranze, gli ideali che aiutano a mettere le ali e farci sentire leggeri.
Ad alcuni di essi si è già fatto cenno, ad esempio all’importanza delle relazioni con tutta la complessità delle interazioni reciproche che spesso contribuiscono alla nostra serenità, ma che a volte sono anche fonte di delusioni e frustrazioni come leggiamo nei versi “Un bozzolo di silenzio / ti richiude e ti allontana / un muro invalicabile / ti cinge/…Come raggiungerti? ...” Da ciò senso di abbandono e solitudine così che “tornano i giorni / di vuoto nel cuore / e ancora mi perdo / e naufraga / annaspo”. Abbandono e solitudine esacerbati anche da situazioni oggettive che sfuggono al nostro controllo, come è accaduto di recente con la pandemia, anche se “i pensieri sospesi / di miliardi di menti… il silenzio avvolgente / che pervade la Terra” pure ha offerto una sorta di consolazione nel sentirci affratellati da un comune destino. Da qui “un solo sentire / che lenisce l’inerzia /e rappacifica il cuore”. A colmare il senso di solitudine inoltre in questa reclusione obbligata ci pensano “creature discrete (che) / invadono gli urbani / deserti spazi / la Natura ridestata / si riprende la vita”.
Una volta ancora è nella natura che l’anima trova sollievo e conforto, nella sua bellezza, nei suoi colori che si fondono all’ora del tramonto in riva al mare “Cielo e mare / azzurri che si fondono /….delirio d’infinito…”; nel profumo dei tigli che “scivola inebriante / sulla pelle / quale canto d’amore”; dolcezza e conforto persino con un cielo piovoso che, con i suoi bagliori di luce tra cumuli e nembi, rende l’animo inquieto, ma poi in uno squarcio improvviso lascia intravvedere fiori di luna. Eccoli i fiori di luna che danno il titolo a questa silloge che, con un’espressione davvero poetica, sottolineano il senso di questa ricerca: andare oltre quella percezione sensoriale che crediamo vera, per cogliere il mondo dell’anima, andare oltre ciò che è scontato, per ascoltare ed esprimere il mistero in cui siamo immersi.
Nascono riflessioni fondamentali, sorge l’eterna domanda su cosa rimarrà di noi “Cosa resterà /dei pensieri e dei sogni? / Cosa resterà / delle opere e dei giorni? ...”. Ci si interroga sulla nascita della coscienza “…Atomi di pesanti elementi / trasmutati nella levità / della mente? / Sidereo rispecchio / È questo la Coscienza?” E ancora riflessioni sull’avvicendarsi di intere generazioni, sul susseguirsi dei cicli vitali “Miliardi di effimere luci / … accendono e declinano / lo sguardo / sull’immensità del Tutto… / noi / scintillio continuo / di nascite e morti / che sfavillano / fugaci / frammenti di Coscienza.”
Un lavoro impegnativo dunque quello intrapreso da Maria che contempla uno sguardo a tutto tondo sulla realtà in cui viviamo, e un estrarre da sé un caleidoscopio di sentimenti, esperienze, vissuti. E tra questi un tesoro fatto di ricordi, reminiscenze, anche ancestrali, che riguardano quel passato di civiltà millenaria in cui la poetessa affonda le sue radici e che a volte emerge pur contro la sua volontà, così che dal fondo dell’anima “sale un canto / che affonda nel tempo …/ e modula canzoni / che non posso ascoltare.” “…un canto antico sgorga / da radici profonde / …dal fondo di me stessa / io canto da sola / il canto desolato / di chi è andato / e non ha dimenticato…”
Come per le precedenti raccolte, anche in questa la poetessa si serve di un linguaggio misurato, quasi colloquiale ma colto che, nella sua essenzialità, privo di ridondanze ed espressioni artificiose, ancora una volta ribadisce la necessità e la capacità di andare al cuore delle cose, servendosi spesso di immagini sempre molto evocative.
E, quasi testimonianza dell’amore per le immagini, troviamo inserite tra le composizioni poetiche diverse foto, molte quasi ad esplicitarne il senso, come la foto della rosa finta, o della tenda che isola dal mondo, altre meno legate al testo, più libere nella loro necessità espressiva. Del resto, come abbiamo già accennato, sappiamo che Maria accanto alla scrittura da tempo pratica anche la fotografia, scrittura e fotografia entrambe espressioni della necessità, per lei ineludibile, di cogliere ed esprimere la verità al fondo delle nostre esperienze di vita. *
Rosa Sorda

sabato 28 maggio 2022

POESIA = EDITH DZIEDUSZYCKA


**Senza senso**
Basso e plumbeo
il cielo indifferente
sul serpente che striscia
strada di neve nera
tra ali immacolate
Stesa piana svegliata
dagli anelli armati
rombanti lenti carri
che l’un all’altro stretti
ringhiosi arrancano
l’un e l’altro obbligati
a proseguire
lugubri
nella melma fangosa
il balletto dei fiocchi
Chi, giovane, inconscio
nell’angusta prigione
di quei roventi mostri
trema, piange
e si chiede
ignaro del percorso
quale è l’orrendo gioco
l’incarico mortale
di cui son portatori
insani
forse costretti
anche loro pedine
all’indegno massacro
Fiori speravano
ingannati fantocci
vanno incontro all’odio
figlio della follia
che il loro braccio armò
per brama di potere
Operazione armata
il nome ormai imposto
come se ricondusse
quell’ipocrita cambio
la cosa ormai in corso
a gloriosa missione.
Contro quell’aggressione
s’è alzato vibrante
un popolo intero
di libertà bramoso.
*
Edith Dzieduszycka - 5.3.22

giovedì 26 maggio 2022

SEGNALAZION VOLUMI = CRECCHIA / IULIANO


**Antonio Crecchia: “Giuseppe Iuliano” – Ed. Delta 3- 2022 – pag. 160 - € 10,00
Ampie note queste, che cercando di rendere appetibile la preziosa favola dello scrittore, sono lette attraverso il filtro della critica, come ricorrente presenza di una luce abbagliante che riporta riflessioni e citazioni che potrebbero essere i riferimenti teorici e filosofici presenti nei vari testi. Un apparato culturale esibito nei riflessi della breve analisi, come pensiero e respiro al tempo stesso articolato nella struttura del discorso.
Oltre ad un saggio sulla vena satirica di Giuseppe Iuliano, un capitolo di divagazioni critiche, una rassegna antologica di testi commentati, qui vengono riproposte le introduzioni/prefazioni ai dieci volumi pubblicati tra il 2010 e il 2021, con le firme di Mariella Bettarini, Giuseppe Tedeschi, Antonio La Penna, Dante Della Terza, Gianni Raviele, Luigi Reina, Aldo Masullo, Bartolomeo Sorge, Emerico Giachery, Paolo Ruffilli. Antonio Crecchia approfondisce con acribia il percorso della produzione poetica, prendendo in considerazione gli aspetti tematici molto numerosi, i ricami lirici, le sospensioni satiriche, le policromatiche figure di appartenenza ad una terra che, come scrive il poeta “vive ai margini della storia e sul suo patibolo”.
Panoramica vertiginosamente copiosa, con agile stesura nella quale gli elementi dell’analisi vengono sistemati in realizzazioni dall’ampio tessuto comunicativo, nutrito spesso da vigore culturale di notevole interesse.
Il ventaglio si concretizza nella maggioranza delle composizioni del poeta in quella solida e preziosa e profonda coscienza e conoscenza che egli ha della sua terra, nella illusione/ speranza di riuscire prima o poi ad abbracciare i germogli di una resurrezione.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 20 maggio 2022

SEGNALAZIONE VOLUMI = GUGLIELMO APRILE


*Guglielmo Aprile: "La scoperta del fuoco" - Ed.Leonida 2022 - pag. 72 - € 14,00
*Tentare la via del canzoniere amoroso ai nostri giorni appare impresa poetica avventurosa e non priva di rischi, perlomeno in Italia, dove tale filone tematico è stato battuto nel secolo scorso soltanto in maniera obliqua e trasversale, anche per ossequiosa deferenza a una tradizione aulica di lontana e illustre ascendenza, che avrebbe avuto un peso troppo condizionante sui suoi moderni continuatori. Un testo come La scoperta del fuoco si presenta perciò come un aperto azzardo, in parte moderato dal fatto di attingere i suoi riferimenti letterari non tanto dal canovaccio nazionale, quanto in alcuni autori stranieri, primi fra tutti Neruda, Salinas, Jimenez, Aragon, Ritsos (sebbene la celebrazione dell’amata si svolga qui su un piano più onirico e fiabesco che carnale), che in piena crisi novecentesca dei linguaggi e dei valori elessero l’archetipo femminile a paradigma di una nuova sacralità, radicata in una mistica dei sensi che ebbe in Baudelaire il suo antesignano.
La torrenziale ricchezza della vena immaginativa sembra essere la cifra marcante di questa poesia. Il linguaggio ha una qualità peculiarmente pittorica e affida la sua forza suggestiva a una sequenza incalzante di quadri visivi accesi e smaglianti, come anche all’affabulazione suscitata da melodie e profumi, sinestetico sortilegio che consente di leggere in filigrana all’inesausto fantasticare amoroso una sorta di invitation au voyage che si snoda sui sentieri del desiderio o della nostalgia.
Un paesaggismo interiore dai lineamenti scolpiti e vibranti oppure soffusi e sfumati, esaltati dalla plastica aderenza di una versificazione ariosa eppure controllata, che sfrutta la nominazione di luoghi e tempi lontani mai fine a se stessa e a un vuoto esotismo, ma allo scopo di tradurre la lettura in assidua e appassionata esplorazione dei territori dell’eros. La camera da letto racchiude arcipelaghi, giardini, antri in cui i due esuli smarriscono memoria di se stessi e del mondo; i fianchi della donna diventano spiagge lungo cui andare in cerca di perle; le sue ciglia evocano palmeti tra i quali si intravede un volo di colibrì, e il canto dell’uccello richiama di nuovo la voce della donna, chiudendo così il cerchio delle corrispondenze tra l’elemento umano e quello naturale: ogni immagine ne contiene un’altra, in un gioco a cui l’autore si abbandona per puro edonismo verbale, cullando il proprio gusto visionario in scenografie lussureggianti e preziose.
Centrale, fin dal titolo, è il ruolo metaforico del fuoco, strumento retorico che consente la sublimazione della passione, il suo trascendere la dimensione della semplice relazione umana per innalzarsi a delirio ed entusiasmo dionisiaco, brivido che fa divampare le stelle e primordiale energia che governa tanto il cercarsi delle bocche quanto la danza di albe e stagioni. Con una abnegazione esclusiva e solitaria, che fa venire in mente certi passi dei “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes, l’autore si immerge in una meditazione totalizzante intorno al proprio idolo erotico, mettendo da parte ogni altra tematica e declassando implicitamente a superflua ogni compromissione con preoccupazioni di altra natura. Se la salvezza amorosa consiste in fuga ed evasione obliante dalle ristrettezze di una quotidianità opaca e insensata, ne consegue una concezione del mondo reale che, pur non formalizzata in modo diretto, recupera un repertorio simbolico di impostazione gnostica, e perciò coerente con l’amaro esistenzialismo praticato nella precedente produzione dell’autore, come Farsi amica la notte o Falò di carnevale; anche in quest’ultima prova, al di là delle concessioni al lirismo dello stile, si rinviene una cognizione chiara e lancinante del male e dell’angoscia, nerbo e sostanza dei giorni che si succedono come sbarre di una cella, ma l’orrore del vivere è esorcizzato, o comunque ammansito o precariamente anestetizzato, dalle virtù taumaturgiche di colei che “ammansisce i temporali” e “dirada col suo sorriso le nebbie”. L’anima ha comunque una “foresta dai cupi tentacoli” da attraversare, ma la narcosi amorosa lenisce la piaga e distrae dall’incubo dei “lunghi corridoi armati di ombre”, mutando per incanto in conchiglie e festa di uccelli la “corona di spine sulla fronte del mondo”, o seppellendo la “livida falce sotto i clarini dell’erba”. Nello sguardo che gli è caro, il prigioniero scorge lo spiraglio attraverso il quale respira la luce che lo tiene in vita; e l’amata, simile forse alla Shekhinah della mistica ebraica, fa fiorire i suoli aridi e rende possibili tutti i prodigi, vestendo di colori e “altalene e vasche di pesci rossi” i luoghi più squallidi, redimendo la pena del vivere in lago calmo che specchia un paradiso di alberi e nuvole: destinataria di una “assurda idolatria” da parte del suo zelante adoratore, che riconosce nella sua bocca “l’ultimo luogo sacro” e vede in lei “foce e croce” di ogni proprio respiro, la sua apparizione ha la forza di una epifania; tedofora di gioia, leggerezza, innocenza, “evangelista della pioggia estiva” e ambasciatrice di sconosciute regioni astrali, venuta al mondo “per insegnargli a cantare” e per avverare la promessa canora che dai rami al primo mattino si leva, ella inchina al suo più semplice gesto il moto degli astri e delle maree, il corso dei venti e degli stormi migratori, ma è vano chiedersi da quale “miniera di giada” provenga o in quale bosco faccia il nido la sua risata.
Indicando in un eros liricamente sublimato una possibile via d’uscita dal negativo, La scoperta del fuoco costituisce un tentativo, forse ingenuo ma sicuramente coraggioso, di tirarsi fuori, attraverso una rinnovata fede nel linguaggio e nella sua esuberante creatività figurativa, dalle paludi del nichilismo largamente setacciate dall’autore nelle sue prove più recenti, e un possibile punto di svolta nella maturazione del suo itinerario poetico.
*
Bernardo Rossi
*
"Da dove viene il fuoco"
Mi immergo nella tua bocca ed è come
se entrassi in una grotta:
dalle sue ombre estraggo
la scintilla che è madre di ogni incendio,
e apprendo bacio su bacio la formula
che innesca la combustione dei fulmini
e fa le stelle bruciare e i vulcani,
e palpita negli uragani e in danza
li conduce ebbri, e dà
al corallo e alla rosa il loro fuoco,
e tempra la pupilla del rubino.
La pietra d’oro dell’estate canta,
il rosso verbo che parla nell’alba
sussurra il mio nome sulle tue labbra.

SEGNALAZIONE VOLUMI = GUGLIELMO APRILE


**Guglielmo Aprile: "Sinfonia del mare" - Ed. Il Convivio - 2021 - pag. 104 - € 12,00
**Con "Sinfonia del mare", edito da Il Convivio, Aprile sembra procedere verso una deliberata presa di distanze dall’ansiosa auscultazione solipsistica delle sue precedenti raccolte, a favore di un’idea di poesia tendente verso l’immedesimazione panica e la dispiegata celebrazione vitalistica delle energie naturali. Recuperando l’arcaica e originaria vocazione al canto propria della parola poetica, l’autore tenta di dare voce all’anelito romantico dell’individuo che, per mezzo dell’immersione purificante nel respiro delle onde, ambisce a liberarsi della tirannia del proprio ego; la contemplazione del mare e del suo ritmo incessante e monotono è eletta a viatico di un catartico scioglimento nell’onnicomprensivo palpito della vita universale, entro cui ogni grumo della sofferente soggettività umana è assorbito e dissolto.
Sinfonia del mare può leggersi interamente come un ininterrotto panegirico al padre di tutte le cose, una preghiera in lode alla qualità proteiforme dell’elemento equoreo, e di riflesso alla tensione mitopoietica di un linguaggio che nella natura trova sterminate occasioni per esercitarsi nel suo gioco di reinvenzione del mondo, rinnovando così il gesto del fanciullo eracliteo che innalza e disfa con la sabbia gli universi per proprio esclusivo e disinteressato piacere. Il ruolo dell’immaginazione è sovrano: fedele alla teoria baudelairiana delle corrispondenze, come anche alle tesi espresse da Shelley nella sua Defence of poetry, essa scopre nel paesaggio marino un serbatoio senza fondo di metafore, convertendo ogni aspetto del percepibile in qualcosa di altro e di sorprendente e intrecciando relazioni analogiche tra tutte le forme: così, in un delirio metamorfico che ha in Ovidio il suo precursore, nelle onde è possibile riconoscere sillabe di una lingua estinta, indecifrata come il concerto mattutino dei passeri o il geroglifico di rughe sulle pareti rocciose, come anche bighe in corsa al comando di un auriga impazzito, scorrerie di predoni, bocche che pronunciano oracoli, mani che frugano la terraferma, lingue guizzanti di un rogo, furie di Menadi; oppure, la vista degli scogli suggerisce sembianze di sentinelle o di pizie o di vestali, patriarchi o profeti fulminati, torri di un tempio diroccato, inabissati ruderi atlantidei, schiene e membra di titani dormienti; e ovunque è possibile scorgere tracce del mito: orme di sirene calcano la battigia, dove la schiuma ritraendosi lascia un labile segno del suo passaggio, mentre ciottoli e conchiglie potrebbero leggersi come ossa di creature antidiluviane, o schegge di navi colate a picco e superstiti monete dei loro tesori, e nei fondali percorriamo in sogno sale di palazzi, logge e porticati di un regno inghiottito da un naufragio o travolto da lave e burrasche, a cui fanno le acque da sudario perenne. E il mare stesso indossa maschere sempre diverse: bardo e cantastorie vaneggiante, che col suo salmodiare fa risuonare i golfi di inascoltati vaticini, oppure ossesso in catene, che sfoga i suoi soliloqui sulle spiagge deserte, o ancora re accigliato e offeso, mendico e in esilio, divinità scorbutica, indifferente ai suoi stessi figli, perduta in una solitudine senza tempo, assorta in un segreto da cui l’uomo è escluso; mare che è tante cose opposte insieme, saggio e al contempo folle, muto oppure sproloquiante, vecchissimo e bambino, ossimorico specchio della totalità.
Una scrittura straripante, che nel suo sforzo di oltrepassare i confini della pagina sembra ripetere l’incedere delle mareggiate che assaltano la costa; una veemenza verbale che vorrebbe catturare la furia demiurgica delle ondate, per farsi eco del tormento della genesi e dello spasmo violento che plasmò il pianeta, ancora pulsante nel profilo di isole e promontori, nel rombo di raffiche e burrasche, nella lotta tra l’acqua e la pietra. Doveva essere così che guardavano al mare i primi maestri presocratici, sulle isole della Ionia, che nelle acque riconoscevano un emblema dell’arché, e nel moto dell’onda, nel suo rifrangersi contro la riva per ogni volta rinascere, una figura della metamorfosi, dell’eterno circolo; ma questa è una poesia che modula la sua curvatura sapienziale su accenti che richiamano anche il concetto spinoziano di natura naturans, raffigurata in termini di un “arazzo” intessuto dallo sconosciuto tessitore cosmico, del quale ogni esistenza costituisce un minuscolo quanto imprescindibile filo, come anche il visnuismo induista, in particolare nella sezione “Mare solo maestro”: i flutti, nel loro dissolversi, incarnano l’illusione del divenire, mentre reale è solo la forza che senza posa li genera.
Il titolo della raccolta rimanda alla ricerca di musicalità che anima questa poesia, che a una fitta trama di rime e figure foniche affida la sua voce, a volte una rapsodia selvaggia ed altre una tenera nenia, ma la stessa cura metrica a cisono sottoposti i testi lungi dal ridursi a vacuo esercizio formale, vorrebbe farsi carico del compito ditradurre in parole umane le note del mare, nell'illusione di restituire nell'idioma in cui quelle pagine di sabbia schizzi sono scritte,la parabola senza tempo dell'odissea umana.
*
BERNARDO ROSSI
*
"È come se abbia un suo segreto, il mare"
Nessuno vide mai
il suo vero voltoperchè
lo seppellì per sempre nei fondali,
nessuno mai saprà
da quali amplessi di fulmini fu
generato, da quali parti astrali;
chinarsi rive e promontori sembrano
in ascolto della sua confessione,
ma quale colpa ignorano
l’una all’altra incateni le sue onde;
e inutilmente, quando vedo incombere
ombre sulla sua fronte, anche io interrogo
l’ostinato silenzio
che al brusio della terraferma oppone.
Mare, rivelaci da dove vieni,
qual è il rimorso che squassa i tuoi seni,
e di quale tremendo senso sia
la sfinge del tuo volto allegoria.

martedì 17 maggio 2022

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


**“Uscio”
Dispersi per sempre ora il cielo
appare vuoto fantasma, accattivante,
anonimo e insondabile requiem.
Nelle ombre non si riconoscono
canzoni d’amore, alcunchè di estremo
in una primavera che volentieri
lascremmo alla cenere, con parole
che hanno il color verde mare.
Cerco l’uscio che apriva al tuo letto
mentre rotoli fra le coltri ed il tuo piede
ha bianchi accenni di addio.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = MAIRA MARGHARET GRIMALDI


**Labirinto**
Sono qui ma allo stesso tempo no...
sono intrappolata in un labirinto senza uscita
assieme ai dubbi
le incertezze
continuano a tormentarmi
non so come uscirne
non so che fare
dove andare
per rifugiarmi.
in questo momento vorrei spegnermi anche se per poco tempo
ma preferisco essere roccia
e non soffrire
per finzioni irrealizzabili.
E mi chiedo :
Potrò mai uscire da questo labirinto?
Senza rimpianti?
La risposta è incerta
Sono troppi per riuscire
a sopprimerli
a dimenticarli.
*
**Mi sarebbe piaciuto**
Mi piacerebbe tanto poter dire
non mi manchi più...
Mi piacerebbe poter dire
che non mi manchi e che non ti penso...
Mi sarebbe piaciuto averti potuto amare di più
anche se per un attimo,
Mi sarebbe piaciuto dire
che il tuo amore per me era vero
e non passeggero...
*
MAIRA MARGHARET GRIMALDI

lunedì 16 maggio 2022

SEGNALAZIONE VOLUMI = SANGIULIANO


**Sangiuliano: “Nuovo Bestiario” – ed.Joker 2022 – pag. 88 - € 15,00
La dotta ed esaustiva prefazione di Plinio Perilli, tra passaggi policromatici e messaggi di accorta cultura, immerge il lettore, con il garbo di chi usa la penna con l’abilita dell’affabulatore, per incursioni classiche e rintocchi germinanti, in un viaggio fantasioso che insegue gli animali tra le impreviste condizioni dell’albicante e le illusioni della favola.
“Come su un’affollata passerella c’è tutto un drammatico scorrere di figure e di gesti – scrive il compianto Ugo Piscopo in quarta di copertina – di esistenze svariate e tutte germinanti, lo si voglia o no, di inserimenti e di comparse, che si affacciano nella quotidianità, meravigliandosi di se e del tutto, accettando a volo l’occasione di esserci e di avere un ruolo nel dramma affastellato, contraddittorio e sostanzialmente buffo della quotidianità.”
Il rincorrersi di figure abilmente cesellate ha la tonalità delle parole a goccia, intorno a noi e in un senso di armonia e di pace, che soltanto la fioritura della natura riesce ad offrire, qui con il tratteggio saltellante degli animali tutti, da cortile o da bosco, da pantano o da prato, da mare o da cespuglio, da pascolo o da fabula.
Sangiuliano sembra volerci accompagnare pagina dopo pagina tra le abbaglianti proposte che ruotano intorno agli animali in un percorso unico che a tratti appare quasi come un poemetto che cerca riscontri nella sacralità degli spazi della meditazione e della contemplazione. Insegue simboli attraverso i quali il sogno reale ritorna alla semplicità originaria del mondo.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 15 maggio 2022

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALESSANDRA CORBETTA


**Alessansra Corbetta: “Estate corsara” E. Puntoacapo - 2022 - € 15,00
Quella di Alessandra è una poesia giovane, detta però con gli accenti maturi di chi ha saggiato il varco di un possibile non ritorno alla felicità della gioventù, come preannunciava la sua precedente raccolta, un’imperdibile, dolente riflessione sulla stagione più bella, ma effimera, della vita. Un difficile percorso tornare alla vita per ogni essere umano toccato da un’assenza inspiegabile, forse presagita, ma non accettata, da una cancellazione improvvisa del “tutto”, quando quel tutto è l’amore. Ma da questo lutto, da questa assenza la poetessa trae spunto per ripercorrere le fasi esistenziali che inglobano la sua storia : Prima, Dopo e Durante, le sezioni di “Estate corsara “quasi un vascello che torna in porto, depredato dei suoi forzieri, ma ormai forte e pronto a riprendere il mare. Così i giorni che vediamo sfilare si cristallizzano, ormai compiuti, certi atti rimangono vitrei ritratti di un’ombra mentre la rielaborazione del vissuto diviene autentica parola poetica. I giorni, anche se perduti, sono fermi nella memoria, come accade nei versi di Cardarelli:
“Penso ai giorni /che, perduti nel tempo, ci incontrammo”
E se scompare piano, giorno dopo giorno, la cicatrice dal cuore, se si dissolvono il profilo, le mani, la bocca, lo sguardo, il suono della voce, restano le città, con le loro piazze, strade e monumenti a testimoniare una bellezza che mai potrà essere cancellata e che si mostra al lettore attraverso le liriche della raccolta. L’assenza si fa poesia, non nel desiderio di tornare indietro, ma di andare oltre: fermi nella memoria gesti e parole appartengono nel bene e nel male alle vicende umane. Ma quei giorni hanno germinato un dono grande: la forza poetica di raccontare.
ESTATE CORSARA--PRIMA
La frase-pensiero della ragazza che osserva la vita degli altri apre la raccolta e fissa negli ultimi versi di “Primo piano” la dimensione della gioventù rispetto al mondo degli adulti: l’ascensore emblematico ricorda- come scrive l’autrice- il gioco facile di “bloccare l’ascensore,/ intrecciare le mani, bastarci”, di creare un luogo-non luogo dove anticipare o fermare il tempo. “Il lato migliore del sole -scrive Alessandra- somiglia a un occhio di bue intatto, a una parola in buona traduzione” Altre sono le cose incomprensibili e comunque la ricerca di senso assale la poetessa che cerca sempre dove stare, dove “non fa pegno avere detto/sì senza saperne il senso”. La gioventù deve spesso fare i conti con le emozioni e gli squarci al cuore, il tempo non è gentile, non si ferma: con lancette acuminate d’acciaio, con “multipli di sette da contare all’indietro”, la sequenza dei giorni trascrive le sensazioni, l’amore dato, l’inizio dell’inizio, gli incontri sottolineati dall’uso del futuro in “Giorni di luglio “ e già riconsiderati con l’aggettivo umbratile nella lirica “Estate” , con l’immagine dei papaveri che fioriscono tra le dita, nell’avvertimento di “un occhio chiuso e e l’altro cieco ”e sempre, nel buio contrapposto alla luce, all’ingenua certezza del bene.
L’ombra avanza, lunga ormai. La ragazza sapeva che appartenersi aveva voluto dire lasciare tutto, ma solo per uno dei due.
DURANTE
La seconda sezione dell’opera porta in esergo alcuni versi di Fiori “Lo senti
l’abbraccio che una volta tu mi hai promesso
come non ha mai smesso di illudermi?”
in cui c’è già la premonizione di qualcosa destinato a finire. Tutta la sezione è permeata da un senso di attesa incombente che si infiltra nei giorni e li vela, come accade nella poesia ABCD che ripercorre con parole centrate la storia di un amore come tanti, con la capacità di renderlo di tutti, sia all’interno di una stazione sia nei luoghi dove si è svolto.
Ma ormai è passato, ormai l’amore dolente è diventato musica, note e parole che si possono ascoltare. Si può parlare dei luoghi che titolano molte poesie, sono lì, con le loro piazze, le strade, i monumenti: Parma, San Marino , Firenze, Arezzo, Siena che nei versi che costellano i ricordi della sezione appaiono come quadri, sono analisi e presa di coscienza, ricerca di un tempo fermo. I luoghi menzionati offrono immagini di straordinaria efficacia ed hanno il fascino delle cartoline illustrate di una volta, ma talvolta assumono un tratto inquieto, come in “San Marino”: “…rimane l’altezza/ della rocca, la paura di vedere che/ è tutto precipizio” Le città continuano a susseguirsi: Pietrasanta, dapprima testimone di una “gioia sfrontata” poi di “quanto sia esatto il congedo”, Siena che compare “con un profumo di isole spagnole” ma poi si fa fredda nel ricordo:
“Che Siena sia stata una bugia?"
E Arezzo, la città che l’autrice definisce azzurra nei bei versi “schegge di Libia negli occhi del tempo”. La bellezza colpisce, lascia il segno ciascuna di loro, immagini sognanti “dei luoghi dispersi dentro i luoghi”: scompariranno anch’essi come chi sorrideva? Improvvisa ci appare Marradi e di Campana ci fa trasalire il ricordo della follia che “aveva il sapore di pioggia e caldarroste”. Monteriggioni poi, struggente e intensa, fortemente intrisa di significati nei versi scritti in corsivo, è un richiamare “l’indicibile”.
DOPO
La terza sezione si apre con una citazione da “Le Rane” di Baustelle: “E porterò morendo quella gioia corsara con me” seguita da versi di Umberto Fiori che dicono: “E ti sento mancare/ così profondamente/ che non so/ nemmeno più cos’eri” Da qui la poesia introduce ai versi dell’assenza e poi a quelli del congedo dal dolore, congedo che avviene in modo diverso da persona a persona: qualcuno sparisce senza alcuna spiegazione, qualcuno sceglie di rimanere, sempre “a patto che”. La percezione dell’assenza permane fino a che lucidamente avviene la scelta e la scelta è quella della vita: “Scegliere di vivere è non averti mai incontrato” Da questo momento hanno inizio faticosamente i giorni del dopo, della ricostruzione. Affiorano immagini e sono fotografie in bianco e nero, il pensiero di luce si è oscurato. I giorni del dopo vanno a rilento e i versi accettano, si adeguano, vivono un’estate di solitudine scandita solo dalla quotidianità delle azioni: “il patto stringerlo solo coi gradini delle scale” “Dopo” è la sezione più drammatica di “Estate corsara”: è lucida cronaca, senza sfaldamenti in immagini consolatorie, è presa di coscienza dura e coraggiosa per affrontare la vita. Il negativo è ombra, “ombra nell’ombra”, come accade quando il bene si trasforma in male, la sera dentro, le orme dei passi da cancellare. E ritornare alla luce poi, emersi dal fondo di un pozzo, liberati dall’oscurità. In questi versi si coglie la fermezza ricostruttiva, senza sbavature di senso. L’impossibilità di capire rimane, le ore, il tempo si fanno pressanti e sfuggenti insieme. Chi legge prega perché la scrittura poetica sia salvifica e benedetta, che lei , la poetessa, non corra più pericoli, che possa finalmente dire:
“ma in quei giorni
cos’è stato?
Forse, un fischio di treno”
Poi, nei versi l’accettazione diventa impegno vitale:
“Chi resta vince. Chi resta sopravvive / e traduce la memoria”
In questo tradurre, traducere, condurre oltre, si colloca il senso finale dei versi di Alessandra Corbetta.
*
CARLA MALERBA

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA EROVERETI


**MARIA EROVERETI: “FIORI DI LUNA”, ATB EDIZIONI, TORINO, 2022 PAGINE 95 – 16,00 €
PREFAZIONE DI LAVINIA ALBERTI
Fin dal titolo questa raccolta di Maria Erovereti, i cui versi sono talora affiancati da suggestive immagini fotografiche, si preannuncia accattivante, se non altro per l’accostamento dei due termini antitetici tra loro; il primo, infatti, ci riporta al mondo terreno e bucolico: i fiori che appaiono all’inizio della raccolta, sembrano galleggiare immersi in una luce quasi lunare, segno di un legame tra la terra e il cielo, dove è quest’ultimo a prevalere nell’universo poetico di chi scrive. Il secondo elemento che dà il nome alla raccolta è, appunto, quello più alto, dell’etereo. Fiori e Luna sono dunque due termini quasi contrapposti che danno vita a un mosaico di sensazioni, di vissuti, ma anche di attese e di speranze rivolte al futuro.
Il rapporto con la natura è fondamentale, una natura che è fonte d’ispirazione e conforto quando è proiettata verso l’alto (il cielo, la Luna come evasione, come dispensatrice di suggestioni). Essa è ciò che consente all’autrice di superare gli affanni della quotidianità, è un’entità che con la sua bellezza allevia stati d’essere e malinconie quotidiane, come quando, alludendo alla Luna, Maria la definisce “disco incantato” e “palloncino d’argento”.
L’intera silloge della poetessa è un iter che si snoda tra il passato e il presente, un caleidoscopio variegato in cui è riversato un universo multiforme.
C’è l’universo degli affetti, in cui ci si immerge già dalle prime poesie dove è delineata tra le altre la figura del padre: tra lui e la natura c’è un misterioso legame, come quando, lui morente, il mondo esterno sembra rivolgergli un estremo saluto: “Tutto parlava di lui. / Quel giorno il sole declinante / traboccava di mio padre”. C’è poi un momento più introspettivo, di autoanalisi, come quello in cui la poetessa sembra talvolta smarrire la propria identità, non sapendo se identificarsi “con mare o montagna”, mentre “dilaga nel cuore / il vuoto di infinito”. Vivide emozioni che si dissolvono nel tempo, fatte di malinconici ricordi ma che mantengono uno sguardo lucido e ottimista verso un futuro ancora da vivere. Nei suoi versi – di leopardiana suggestione e memoria – la natura è un riferimento costante, talvolta dispensatrice di consolazione, talvolta elemento di smarrimento.
Nella raccolta non manca, infatti, il riferimento all’attualità, e ciò la poetessa lo fa ben capire quando allude alla pandemia che ha stravolto le vite di tutti noi e portato via in alcuni casi anche illustri nomi della letteratura odierna. La solitudine risulta in alcuni versi la costante di un animo poetico che sconta così una sensibilità singolare, e ciò si evince dalle immagini fotografiche di una tapparella abbassata, di una finestra con le tende chiuse, barriere fisiche erette più di recente anche dalla malattia, forse rivincita di una natura ferita dal noncurante uso umano della stessa.
Ecco che la poetessa non può fare a meno di riportare alla luce le immagini mentali di “Lugubri cortei / di insalutate bare / senza nome / allo sguardo naufragato / nell’abisso dell’irrealtà”, ma anche percezioni che rimandano ad un senso di claustrofobia tale per cui “rinchiusi nelle case / separati da muri / uniti da identici gesti / ci avvolge l’attesa / in un solo sentire / che lenisce l’inerzia / e rappacifica il cuore”. Ma non sempre la natura si rivela matrigna, perché altre volte invece essa è entità in cui volersi fondere, cosicché “s’intrecciano le parole ai tramonti” e “lievitano sensazioni irruenti”.
La voglia di vivere però è tale che l’autrice trova conforto regalandoci le immagini gioiose di panni stesi come quando lei scrive: “con voluttà m’inebrio / al profumo terso / dei panni al sole. / Immemore m’immergo nell’esistenza / per fugare gli affanni / che lacerano il cuore. / Per non farmi rapire l’anima / e rubare la vita”.
Nella raccolta vi è comunque anche la volontà di “sottrarre al silenzio / frammenti di emozioni”, espressione che ci riporta a una sua precedente raccolta poetica, intitolata in modo omonimo. È proprio il silenzio che si ritrova nella poetica dell’autrice, un silenzio che non è però vuoto, ma pieno di significati, eloquente, che “deflagra / da finestre sgomente / dilatando l’assenza / di strade deserte”. Poi ci sono i muri delle stanze, che sembrano essere un “riparo da dilaganti / disarmonie / che annegano le menti”: catalizzatori che fungono da elemento introspettivo per l’anima della poetessa?
È una poesia che scava a fondo, in cui chi scrive vuole guardare le ombre e le luci del proprio essere, che cerca consolazione negli affetti, nella natura, nei piccoli gesti del quotidiano. Non mancano però come nella precedente silloge – e in quella intitolata “Un piccolo mondo” – un alone di malinconia in cui “Ombre desolate / inseguono desideri di memoria / illusioni di eternità / per sfuggire sgomente / al silenzio mortale” e al contempo un sentimento d’angoscia derivato dal fatto di non sapere dare un nome al futuro. È un tempo che incalza, quello descritto in Fiori di Luna, in cui vi sono “ormeggi che imbrigliano il cuore / e annegano la mente”, un tempo che trattiene anche una “mente ingabbiata” da un passato che si ripresenta sotto forma di immagini nella vita della poetessa. Tuttavia l’autrice sembra voler vivere con fiducia certi momenti, immergendosi nella speranza di allontanare gli affanni che lacerano il cuore. Quel mondo terrestre in qualche modo “rinnegato” in quanto portatore di affanni, trova comunque il suo riscatto nell’urgenza di ancorarsi alla terra, e ciò si deduce in modo suggestivo dallo scatto di un albero secolare e nodoso che tiene tutti quanti noi essere umani legati come da radici invisibili: “dagli squarci profondi / un monito: / gli esseri sono una sola anima”.
Nonostante lo smarrimento nei confronti dell’imprevedibilità che la vita ci pone dinanzi, la silloge lascia trasparire dunque una profonda fiducia e insaziabile voglia di vivere. Qui Maria ancora una volta, dopo le precedenti raccolte, vuole con forza rammentarci che il dolore per la perdita o la sofferenza di persone a noi care o l’amarezza per le occasioni perdute lasciano sempre una traccia, un solco, ma che niente può spegnere in noi il desiderio di vita e di resilienza.
Lavinia Alberti

sabato 14 maggio 2022

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANNA MARIA GUIDI



** Anna Maria Guidi: “Responsorio breve” – Ed. Balda 2022 – pag. 48 - € 8,00
Agile raccolta di versi, impregnati di una profumatissima essenza personale che contatta il delicato sbocciare della natura primaverile, o tenta di risolvere un duello con il tempo che aggancia e distrugge.
Poesie scritte con le gocciole dell’armonia, quasi la fragranza dell’abbandono alle varie ombre del quotidiano, che in forme minimali racchiude e conclude tutto il mondo. “Sei vermido, tempo:/ lezzi/ come l’aborto di un feto/ gettato nel letame”(p.21).
Ma le passioni o i desideri, anche se si alternano alle preoccupazioni, sono a tratti la resurrezione illusoria, evocazione sacrale e misteriosa di uno sguardo paterno: “Padre/ è rimasta nel tuo sguardo/ quella consegna d’anima/ sospesa/ in un’estrema carezza/ senza più respiro.” (p.23).
Un percorso che ruota intorno alla meraviglia e al disincanto, dove la scrittura diventa agilmente silenzio del vuoto, che accoglie i luoghi della contemplazione e della meditazione.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 12 maggio 2022

POESIA = MARIKA VITALE


"Dimezzare"
Io non ero pronta a dimezzare il mio cuore e
distribuirne una parte a chi, sapevo, non l'avrebbe
trattato con premura. Ma nonostante fossi
terrorizzata dall'idea di sapermi a brandelli, avevo
l'urgenza di riprovare un dolore, crudo, straziante,
succulento. Ero una fallita masochista ma la
sofferenza era l'unico castigo che valeva la pena
superare pur di sentirmi ancora una volta viva.
***
"Carnefice"
Vivevo col desiderio di ometterti
per l'eternità dal mio cuore. Mi
imploravi di compatire la mia
carneficina, ma come avrei potuto
perdonarti? Avevi osato sacrificare il
nostro amore e ti eri dileguato senza
nemmeno congedarti, come una
vigliacca che fugge dalle sue colpe.
'avevi consegnato all'inquietudine
e avevo convissuto con la brama
delle tue labbra, della tua carne, del
tuo cuore. Mi illudevo di poter aprire
gli occhi al mattino e godere di giorni
di cui tu non facevi parte. Ed era solo
utopia, una lusinga che mi
concedevo per scordarmi del fatto
che se tu avessi fatto ritorno, oggi,
stanotte, domani o tra cent'anni, io
t'avrei prontamente assolto.
*
MARIKA VITALE

martedì 10 maggio 2022

POESIA = BERNARDO ROSSI


**Elegia.**
L'albero il mare il cielo
coprono il mio io di un velo
di tristezza, l'amarezza
di sentirsi vivi a metà.
Là in alto un usignolo
canta il mio animo triste,
non esiste modo di fermarlo,
se non amarlo in quel canto
che mi spinge a un pianto
a dirotto: dei degl'inferi
rubate il mio corpo;
alteri
venite muniti di lance;
le bilance del destino
mi sono avverse:
perse sono oramai
tutte le mie battaglie.
*
"Elegia per Luciana"
Vola senz'ali il pensiero
ma il corpo è attratto dalla
cera fusa del prode Icaro
che caro non fu agli dei
degli inferi: tu cara sorella
bella da giovane e intatta
nello schianto del volo
che solo dopo aver aggiustato
le pantofole facesti non folle,
ma gesto ponderato come
avvicinare la sedia al balcone,
quale passione posso cantare,
se non un'elegia funebre,
Luciana dai capelli turchini,
invisi alle dee che senza
inchini passarono davanti
al tuo corpo ormai privo
di vita, ma vivo di forza
per un gesto estremo
che l'animo desto un istante,
fece di te l'amante del signore
dell'amore e della morte,
un gesto forte, che solo la forza
di chi quarantotto anni
ha vissuto nel dolore,
ne può capire l'amore.
*
BERNARDO ROSSI

lunedì 9 maggio 2022

POESIA = FRANCESCA LO BUE


"Il saluto della pietà/El saludo de piedad"
(Presentazione della Prof.ssa Rosa Rempiccia)
Questa poesia di Francesca Lo Bue corre sulla polarità buio-luce, notte-alba, aridità-genuinità.
Vediamo infatti che i vv. 1-18 sono dominati da un orizzonte cupo. Abbiamo gemito d'assenza, pensiero fragile, pianto, ira, notte, mani annerite, nerume di radici. Poi, come un bagliore, la ripresa. Nei vv. finali, 19-27, si fa giorno, luce, splendore. Abbiamo colombe salutifere, lucore, rugiada, sole, dolcezza...
Il passaggio è mediato da una mano invisibile che accompagna l'ipotetico interlocutore su un mare rosso di fauci (forse una reminiscenza biblica?). Il punto di approdo è però sì un nido accogliente, ma labile, fatto di cristallo, dunque come il pensiero fragile richiamato al v. 3, a sua volta esito del mutismo di un gemito che non trova espressione all'esterno e deve ripiegarsi verso la terra, indicata come cuore di polvere. Questo deserto emotivo - per cui si può trovare un parziale riscatto solo nel rapporto viscerale con la natura - è riproposto nella metà positiva e luminosa della poesia, probabilmente richiamato dal deserto azzurro del terzultimo verso. Abbiamo ancora la secchezza, l'aridità; ma questa tirannia del vuoto è in parte attenuata dalla bellezza del sole, dalla delicatezza dell'azzurro.
Siamo quindi di fronte a un testo che presenta un abile gioco di rimandi tesi a costruire una precisa architettura di sensi e sentimenti. Di essi il significato forse principale è ricordare al lettore che la realtà non è dipinta solo di nero, ma rimane un'esplosione di colori, vita, luce.
*
"Il saluto della pietà"
C’è un gemito d’assenza,
è un gemito senza spazio
che s’attenua nel corpo e si fa pensiero fragile.
Arriva al cuore di polvere,
arriva a lei, la terra antica,
che chiama e accenna.
È un sussulto che nasce dalla terra,
lava il pianto e l’ira turpe.
Lo porto dentro, soldato reietto e tenace!
Distrugge il giardino delle frecce del sole,
abbaia come cane nella notte,
assale con cognizioni silenziose e respiro trafelato,
vuole un ruolo brillante di corone e sorrisi.
Passerai il mare,
rosso di fauci e di mani annerite,
di piatti con cadaveri fraterni.
Che non vi sia tempesta nera,
brulicare di tafani e nerume di radici aggrovigliate.
Ti porterò a un nido di cristallo
dove riposano colombe salutifere
nel lucore di alberi argentati.
Che i nomi dei canti scorrano,
che l’anno sia irrigato di rugiada
e la superficie del suolo accarezzata dal sole.
Dolcezza di deserto azzurro,
ti porto saluti di pietà
da un numero delizioso e intero.
*
"El saludo de piedad"
Hay un sollozo de ausencia
hay un sollozo sin espacio
que en el cuerpo se atenúa y se hace débil pensamiento
llega al corazón de polvo
llega a ella, la tierra antigua
que llama y señala.
Es un sollozo que nace de las aguas de la tierra
lava el llanto negro y la torpe ira.
¡Lo llevo dentro mísero soldado tenaz!
Destruye el jardín de las flechas del sol,
aúlla como perro en el atardecer,
se abalanza en merodeos silenciosos, en jadeo entrecortado,
quiere un rol brillante y coronas de sonrisas.
Pasarás el mar
rojo de fauces y manos ennegrecidas de desgarraduras
de platos de cadáveres fraternos.
Que no haya tempestad negra,
pulular de tábanos y negrura de raíces anudadas.
Te llevaré a un nido de cristal
donde reposan palomas salutíferas
en el relumbre de árboles plateados.
Que los nombres de los cantos se pronuncien
que el rocío fructifique los años
y la superficie del suelo sea acariciada por el sol.
Dulzor de desierto azul,
te llevo saludos de piedad
de un delicioso número entero.
*
Francesca Lo Bue

venerdì 6 maggio 2022

POESIA = BERNARDO ROSSI


**PER MARTA**
Marta che non riesce a darmi del tu,
professore lei, ma ti senti
quanto sei strana; appartieni
alla razza umana, il collega
è collega, non conta l'età,
poi ti risenti quando parlo
di fragilità: ritieni di essere forte.
Sei bellissima, come mia figlia
Martina, ma con tua gran sorpresa,
lei mi manda anche a quel paese.
È una gioia per gli occhi
la mattina quando ti vedo,
e come per Martina, guai
a chi osasse farti del male:
per te e per lei sono un padre normale.
*
(per Marta De Marino 🌹)
*
Bernardo Dino Rossi

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


** “Le mie dita”
Miriamo lo specchio dei giorni
nel declino delle dissolvenze
mentre la farsa di una vita stringe
l’almanacco che divora ogni gesto.
Poter dire frenesie alle chiese
che sembrano incise nei colori,
poter dire degli dei del cielo e dell’abisso!
Improvviso tremore dei polsi
nave dai rapidi remi
quando verranno numerosi i gabbiani
e faranno sentire il fruscio delle loro ali.
Senza armare di violenza la mano
al bagliore di un giaciglio
c’è qualcosa che luccica;
tanto breve è il tragitto degli anni,
quasi un ricciolo del dolore
nel benigno riflesso delle mie dita spente.
*
ANTONIO SPAGNUOLO
****
"Mis dedos"
Miramos el espejo de los d¡as
en el declive de las disoluciones
mientras la farsa de una vida aprieta
el almanaque que devora cada gesto.
Poder decir el frnes¡ a las iglesias
que parecen cinceladas en los colores,
ípoder decir de los dioses del cielo y de los abismos!
Improvisamente tiembla el pulso
nave de rápidos remos
quando vendrán numerosas la gaviotas
que harán sentir sus aleteos.
Sin armar de violencia la mano
al resplandor de un lecho
hay algo que brilla:
tan breve es el trayecto de los años
casi un rizo del dolor
en el benigno reflejo de mis dedos apagados.
*
Traduzione di Francesca Lo Bue

giovedì 5 maggio 2022

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA D'ERRICO


** Francesca d’Errico – "Blu cobalto"--Libroitaliano – Caltanissetta – 2022 – pag. 47 - € 10,00
Francesca d’Errico è nata a Capua nel 1953. Vive a Caserta, dove esercita l’insegnamento. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni di poesia ed è presente in varie raccolte antologiche. È stata il personaggio del mese su la rivista “Le Muse” giugno 2021, rivista della quale fa parte del Comitato Letterario di Redazione.
"Blu cobalto", la raccolta di poesi che prendiamo in considerazione in questa sede, è inserita nella collana Poeti italiani contemporanei Serie Oro delle Edizioni Libroitaliano, che ospita poeti italiani il cui fine è quello di lasciare al mondo una traccia utile capace d’incarnarsi nel segreto fluire delle cose. È un compito difficile, come è scritto in quarta di copertina, ma la poesia e tutta l’arte non avrebbero senso se non tentassero d’imprimere i propri sogni sulla realtà. Non ci è dato di sapere in che misura la poesia segna il destino degli uomini, ma anche un minuscolo evento rappresenta un segno di progresso.
Il blu cobalto del titolo evoca una tinta intensa del cielo della sera quando il tempo atmosferico è sereno e si è in attesa delle stelle e della luna. Il volumetto non è scandito e per la sua unitarietà contenutistica e semantica, con i suoi componimenti che tendono alla verticalità, potrebbe essere considerato un poemetto.
Filo rosso che lega i testi pare essere quello della natura amata dalla poetessa e trasfigurata attraverso la vena elegiaca e neolirica ma non mancano componimenti i cui destinatari sono persone, uomini e donne.
Si respira immergendosi nelle pagine un’atmosfera di reverie e di linearità dell’incanto, la felice capacità si sapersi ancora stupire e meravigliare di fronte alla bellezza del creato per divenire da creature persone anche nel terzo millennio quando si sono persi proprio il contatto e la fusione con la natura che proprio la poesia e tutte le arti riescono a fare riacquistare. Nella sua leggibilità questa poesia presenta una forte densità metaforica, sinestesica e simbolica che ne costituisce uno dei pregi fondamentali e la semplicità è solo apparente e la parola è sempre raffinata e ben cesellata nella sua urgenza di essere detta nel suo energico decollare negli incipit per planare nelle chiuse di ogni singolo componimento.
Sono nominati spesso animali come il corvo, il gatto e il granchio e specie vegetali come i pini che conquistano il ruolo di correlativi oggettivi.
Colpisce il lettore la capacità di Francesca di creare atmosfere stabilmente ludiche e giocose in quella che si potrebbe definire una poetica della gioia, tipo di espressione artistica che va controtendenza rispetto al fenomeno poesia stesso che a partire da Leopardi ha come contenuti dolore e pessimismo cosmico sublimati attraverso la parola. Non c’è tormento e come raramente avviene i versi irradiano pace nell’intimo del lettore che ne resta appagato.
Il piacere del testo è accresciuto dallo stile e dalla forma che sono egregiamente controllati e sorvegliati nell’essere ogni singola poesia perfettamente risolta.
*
Raffaele Piazza

lunedì 2 maggio 2022

SEGNALAZIONE VOLUMI = GENNARO OLIVIERO


**Gennaro Oliviero: "Il mio Proust" - Il ramo e la foglia edizioni - 2022 - € 20,00
Per la prima volta, mi sembra del tutto inutile recensire un libro, perché ciò che ha fatto l'autore per diffondere Marcel Proust in Italia, parla da solo. Noi italiani possiamo leggere Proust nella disorganica traduzione einaudiana, iniziata dalla Natalia Ginzburg, e portata a termine da altri traduttori; oppure, in quella più organica, uscita per i Meridiani Mondadori, tradotta tutta dal poeta compianto Giovanni Raboni. Torniamo, però, al meritorio lavoro di Gennaro Oliviero, edito dal " Il ramo e la foglia edizioni" , (Roma 2022).
Iniziamo con le parole dell'autore " Cosa è oggi per me Proust? Un amico sempre presente, un interlocutore silenzioso, direi addirittura l'osservatore a distanza della mia vita: una sorte di " mise en abyne", due specchi che si fronteggiano, immagini collocate nell'infinito: talvolta una " decente aux enfers", ma sempre risalite gioiose."
Il saggio si dipana in diciassette capitoli, con una scrittura limpida e cristallina, che non viene meno al rigore della ricerca: qualche titolo: " Alla ricerca dell'hotel di Jupien"; " Apparizioni pittoriche nelle "Recherche" ".
Non di poco conto l'introduzione di Lorenza Foschini e la curatela di Giuliano Brenna.
Che rimane da dire, basta scorrere la biografia dell'Oliviero e il gioco è fatto; senza dimenticare prima la folta bibliografia.
Nato a Portici nel 1940, ha insegnato nelle Università del Molise, Bari e Napoli, discipline giuridiche. Fondatore dell' Associazione Amici di Marcel Proust; pubblica il Bollettino d'informazione proustiane; la rivista Quaderni Proustiani. Ha promosso la realizzazione della Saletta Marcel Proust di Napoli. Ha allestito un " museo" proustiano. Ha pubblicato, liberamente scaricabile, l' e- book " Proust e le Cattedrali, La Recherche.it, 2011.
*
Bernardo Rossi