venerdì 30 ottobre 2015

RIVISTA = IL SEGNALE

IL SEGNALE - anno XXXIV - n° 102 - ottobre 2015
Sommario:
-Letteratura e realtà:
Pancrazio Luisi : Topografia e sociologia
Aldo Marchetti : I fantasmi della modernità
-Scritture parallele.
Gianluca Bocchinfuso : Mondi sovrapposti e identità capovolte
-Differenze e alterità:
Felice Accame : Una citazione di autore più o meno identificato
Sebastiano Aglieco . Gli alberi poeti/ci
-Soggettività e scritture :
Liliana Ugolini, Massimo Rizza , Antonella Doria , Pancrazio Luisi , Giulio Campiglio :La spiegazione.
-Testi :
Pilar Paz Casamar
Alessandro Megherini
Antonio Spagnuolo
(città visibili):
G. Bocchinfuso
G. Campiglio
A. Doria
S. Longo
P. Luisi
M. Nasr
G. Niccolai
A. Rizza
L. Scanavini
Maddalena Capalbi
Massimo Scrignòli
-Narrazioni :
Massimo Rizza : Le lettere di Ernestina
Letture critiche :
Mario Buonofiglio : Neolingua e "seconda poesia" in Giancarlo Majorino
Sebastiano Aglieco : Nella storia "Milo de Angelis"
- Schede critiche
- Rassegna delle rivista
- Poesia libri-novità
Riferimento : segnale@fastwebnet.it

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARCO GIUSEPPE CIAURRO

SU “DEL CERCHIO CHE VIENE ALL’IDEA” IN "A TRAZIONE POETICA" DI MARCO GIUSEPPE CIAURRO ( Carmignani Editrice- Poesia, Cascina, Pisa, 2015).


“Chiedo i cerchi”
A te parola non chiedo sillabe
che squadrino ogni lato
latente afflato che germini una voce
(…)
A te parola chiedo i cerchi
del sasso nello stagno
che genera onde di pensiero
(…)
(Dall’omonima raccolta di Valeria Serofilli, "Chiedo i cerchi", puntoacapo Editrice, 2008)



Il presente contributo intende focalizzarsi su un singolo testo della raccolta A trazione poetica, seguito da contro la notte che Marco G.Ciaurro ha recentemente pubblicato per i tipi di Carmignani Editrice, Collana Poesia, nello specifico su “Del cerchio che viene all’idea”, con occhio rivolto tuttavia all’intero volume.
Si tratta di uno scritto di fatto caratterizzato da lemmi incisivi che veicolano e creano un senso d’inquietudine riguardo all’eterno interrogativo dell’uomo sul significato della parola e del linguaggio e, per estensione, sul valore più profondo del tempo e dell’eternità:
“C’è una parola ponte che apre varchi, unisce holzewege, (…). Poi l’insignificanza del gesto di darti il braccio sulle scale per un milione di volte (…) ma c’è anche una parola- bengala lanciata in alto (…)”.
Ritroviamo Ungaretti nella scrittura di Ciaurro, autore del resto espressamente citato nella lirica “Inconscio”; ma anche il montaliano varco (“il maestro è chi apre un varco in sé” scrive infatti Ciaurro nel Prologo), e ancora, sempre riguardo a Montale, palese risulta il riferimento ai versi meritatamente famosi della sezione Xenia di Satura, precisamente a “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”, nel senso dell’assunzione, da parte del nostro, della montaliana poetica dell’assenza, per poi tuttavia superarla con l’assunzione di un impegno positivo d’indagine.
Recita la poesia eponima:
“Di mio padre non ho un ricordo
mia madre non so chi è
niente so dei miei fratelli e
delle mie sorelle
niente so di niente
per concludere invece:
niente tranne che esisto!
(…)
sono tutto fino all’origine".
(Da “A trazione poetica”)

Per tornare ad Ungaretti, la sua dichiarazione di poetica, quasi una sentenza, faceva consistere il valore della poesia nell’umanità e nell’esistenza nella sua pienezza in quanto “la parola può far sbocciare, fiorire la vita”:
”Quando trovo / in questo mio silenzio/ una parola/ scavata è nella mia vita/ come un abisso”.
Ma il significato della propria scrittura per Ciaurro, consiste non solo in un’operazione di scavo e d’esplorazione del sé, in una “parola scavata nel silenzio e nell’ascolto del cosmo”(Prologo, già cit.).
A trazione poetica rappresenta, a mio avviso, il passaggio della ricerca sul senso dell’essere in riferimento all’esistenza umana, basata sul metodo della fenomenologia, all’indagine diretta alla verità dell’essere come evento del linguaggio, caratteristica anche della seconda fase del pensiero di Heidegger, autore di Sentieri interrotti, (Holzwege) del 1950.
Parola-cosa, parola-ponte, parola-bengala, parola-domanda, parola-segno/senso che trasformi il silenzio in cosa, parola indicibile quella di Ciaurro, comunque un verso che come un sasso gettato in uno stagno, non laceri la mano ma muova di onde nuove lo stagno del pensiero. Perché come sostiene Elias Canetti “Ogni parola pronunciata è falsa. Ogni parola scritta è falsa. Ogni parola, è falsa. Ma cosa c'è senza la parola?”
E Ciaurro chiede alla poesia la misura della circolarità, quei cerchi che ogni poeta ha in sé e che in questo volume è riuscito ad estrarre e separare per farne poesia, come recita la già citata lirica eponima:
“Sono l’origine e la fine simultaneamente,
fino a trarne poesia..”
Ring composition che lega anche A trazione poetica a Contro la notte in un poetico tutt’uno.

Valeria Serofilli

mercoledì 28 ottobre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = SERGIO GALLO

Sergio Gallo – “Pharmakon” -puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2014 – pagg. 197 - € 18.00

Sergio Gallo è nato a Cuneo nel 1968; ha pubblicato varie raccolte di poesia e ha vinto numerosi premi.
“Pharmakon” è un libro corposo, articolato a livello architettonico e presenta varie tematiche.
E’ scandito nelle seguenti sezioni:” Sulla tomba di Keats, Della pesca in acqua dolce, Filosofi della montagna, Il taglio dell’ascia sul legno, Degli antidoti, dei veleni, Bestiario breve, L’ampiezza dello scarto, Altre scritture. Epilogo”.
Traspare nella raccolta un forte amore per la natura che si evidenzia nella nominazione di numerosissime specie animali, tali da costituire un vero e proprio bestiario.
Questo avviene attraverso le formule di definizione morfologica dei vari tipi e si evidenzia con un occhio attento di naturalista che traduce in versi i comportamenti degli animali di tantissime specie, descritte, spesso, nei minimi particolari.
Ogni bestia diviene simbolo di indoli e temperamenti, caratteri, che, in qualche modo, possono essere avvicinati a quelli degli esseri umani.
Anche descrizioni di paesaggi, a volte idilliaci, altre volte numinosi, costellano la raccolta.
Raffigurazioni di amene vegetazioni non mancano nel testo e tutto sembra sussistere all’insegna di una natura che dà stupore ed è portatrice di pervicace bellezza e di un senso di serenità all’anima.
La cifra essenziale della poetica di Gallo pare essere quella di una forte chiarezza, anche se l’ordine del discorso è articolato e sinuoso.
Una sicurezza e una raffinatezza, di una parola detta sempre con urgenza ed una notevole eleganza formale costituiscono gli elementi salienti del poiein di Sergio.
Poesia descrittiva, nella quale, pittura e sensazione si amalgamano in modo suadente, dando vita ad immagini a volte di un incanto struggente, si inverano sulla pagina decollando con leggerezza.
Un certo lirismo pervade questi versi accurati, precisi, scattanti, luminosi e icastici.
Ma non è neolirica tout-court questa rappresentazione variegata e sospesa che Gallo ci offre, un esercizio di conoscenza, attraverso segnali, accensioni e spegnimenti a volte memorabili.
Molto riuscita e originale è una poesia nella quale Sergio si chiede di che cosa si nutrano le farfalle, sviluppando un linguaggio complesso e evocativo.
Nello stesso componimento egli si chiede di che si nutrono i giovani poeti: questa è una domanda profonda che si presta a diverse risposte.
Se la poesia salva, allora ben venga per i giovani poeti: ma subentra la competitività in questo settore, tipica di ogni tempo, e non si deve giungere al punto che la poesia superi, come valore, la vita stessa, della quale è specchio.
*
Raffaele Piazza

lunedì 26 ottobre 2015

RIVISTA = NUOVO CONTRAPPUNTO

NUOVO CONTRAPPUNTO - anno XXIV - n° 3 Luglio-settembre 2015.
Sommario :
La redazione : Ricordo di Gianni Rescigno
Elio Andriuoli :Lisbona : L'oceanario / La torre di Belem
Silvano Demarchi : A questo dovrò col tempo / Nei torridi giorni
Guido Zavanone : Il soggiorno / Crocifissione
Liana De Luca : La Fenice
Luigi Cattanei : Rifugio / In tenda
Davide Puccini : La libellula
Patrice Dyerval Angelini : La Merveille / Poesie
Recensioni a firma di Elio Andriuoli e Liliana Porro Andriuoli
Opera grafica di Alberico Gnocchi
-Riferimento : elioandriuoli@alice.it

mercoledì 21 ottobre 2015

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia nella radura"

Intorno il bosco delle querce,
radura per Alessia nell’umidità
dell’erba a trasalire
in uno sguardo a una rondine
che vira a destra della vita.
La sorgente fresca a dissetarla
a farla uscire dalle ombre
di un nuotare senza senso,
cattura un pensiero (si invera
di giorno in giorno la soavità
del sogno). Respira Alessia.
Giovanni attende e in lontananza
il fienile dell’amore ancora
esiste.
*

"Alessia e il sole"

Ottobre fresco nel rigenerare
il sole ragazza Alessia
al colmo della grazia,
nel quadriportico dell’università
sul muretto grigio distesa,
occhi socchiusi nel prenderne
fino all’anima i raggi a iridarla.
Felice Alessia nel tepore
della vita venire vede Giovanni,
che oggi non lavora.
Bacio, nel fissarsi libero
nella vita: ridono nell’auto
nera dell’amore.
Domani l’esame d’italiano
per Alessia.
Pensa a cose belle.
*
"Alessia e l’alta marea"

Crisalide di pomeriggio
a farsi sera, cammino
per ragazza Alessia su
dei sogni il lungomare
nell’iridarsi delle onde
nel fermarle di Alessia
lo sguardo. Sale la marea,
selenico regolarsi
delle acque (naufraga
di Alessia l’anima e
polita riemerge, lavata
dalla terra).
Interanimata al segnale
del faro della luna la luce
si accende
(tanto non mi lascia).
*
"Alessia e la stella polare"

Notte di stella polare nell’anima
di ragazza Alessia in esatta
meraviglia ad accenderla.
In limine con gli albereti
che sono la vita gioca con la stella
polare Alessia: dimmi stella
che non mi lascia!!! E guarda.
Incantesimo nel divenire la
stella tinta di ametista. Decifra
il codice Alessia (non mi lascia).
Ride Alessia come una donna.
*

"Alessia sotto la pioggia"

Sera di Alessia nell’interanimarsi
con le nuvole a sfioccarsi,
anelito di brina nel dissetarsi
pari a entrare in sorgente,
nel comunicare a Giovanni
il desiderio di farlo nella notte.
Piove su di Alessia i capelli.
Dice Giovanni ok.
Si staglia il cielo grandioso.
Recupera Alessia la gioia
e sceglie i vestiti per la festa.
*

"Alessia scalza nella pioggia"

Incanto meridiano, pioggia
a scendere sotto il cielo
di ora per Alessia campita
nel cobalto a tessere la vita.
Accade un pensiero fiorevole
di ragazza Alessia nel correre
scalza tra iridate pozzanghere
specchi di arcobaleni simultanei
nell’arte di essere viva.
Gioca alla California Alessia,
capelli bagnati nella terra
del viso di madonna barocca.
E intanto il giorno s’inalvea
nel sogno più bello,
nelle ciglia umide d’amore.
*
Raffaele Piazza

martedì 20 ottobre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = PAOLO OTTAVIANI

Paolo Ottaviani – “Nel rispetto del cielo” -puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2015 – pagg. 171 - € 16,00

Paolo Ottaviani è nato a Norcia nel 1948; ha pubblicato varie raccolte di poesia.
“Nel rispetto del cielo” rappresenta l’esito più alto del poeta umbro e include uno scritto critico di Mauro Ferrari intitolato “La felice classicità di Paolo Ottaviani”.
In apertura ritroviamo la nota dello stesso Ottaviani intitolata “Avvertenze”.
Il testo è corposo ed esteso e va oltre le dimensioni consuete dei libri di poesia.
Il libro è denso e articolato a livello architettonico.
E’scandito nelle seguenti sezioni: “Poemetti”, suddivisa in “Geminario, Il felice gioco delle trecce e Trecce sparse, Haiku e Trihaiku e Poesie sparse ed altre rime”.
Una molteplicità di forme connota il poiein di Ottaviani, autore che dimostra una piena coscienza letteraria dei propri intenti, una maturità acquisita e affinata con il passare del tempo.
Il poeta si cimenta in vari generi poetici, ottenendo di volta in volta esiti alti.
Sono presenti anche componimenti in vernacolo.
Interessante la composizione “Progemino II”, costituita da dieci terzine libere.
Da notare che il Nostro, nella suddetta, produce rime alternate, che intensificano il senso dell’icasticità attraverso la ridondanza.
In Progemino II il poeta si ripiega sulla poesia stessa, riflette sui suoi meccanismi genetici, raggiungendo, pur nella chiarezza, una forma di notevole straniamento.
I versi si susseguono in maniera elegante, senza il minimo sforzo apparente e le immagini prodotte dai sintagmi sono tutte correlate tra loro fino a formare una densa trama.
Si tratta di un tessuto linguistico connotato da leggerezza, precisione e velocità, che ha la capacità di non ripetersi mai, di rinnovarsi in ogni espressione detta con urgenza.
La poetica di Paolo Ottaviani si può considerare neolirica con una forte effusione dell’io-poetante che, di passaggio in passaggio, mette in scena se stesso.
Fa bene Mauro Ferrari a parlare di “Felice classicità”, per quanto riguarda questa poesia, che è sempre misurata e controllata in ogni sua sfumatura.
Bella la composizione, nella quale, in terzine dai versi brevi Ottaviani descrive una corsa in bicicletta in un’idilliaca campagna.
Qui è detta splendidamente una natura che non è assolutamente pittura né tantomeno oleografia; è invece la vita stessa che si rivela negli elementi naturalistici con la sua gioia e il suo dolore, nei sembianti nudi e crudi, belli e affascinanti di ogni elemento.

Raffaele Piazza

sabato 17 ottobre 2015

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

– “Rimorsi”
Rimane il profumo del tuo seno
nel dubbio che mi assale tra i riflessi
che rincorrono i colori del desiderio.
Sono momenti di angoscia per sciogliere
il grigio del mio pensiero, la tua voce
ripete il rimorso degli anni
mentre il silenzio è menzogna:
labile incrinare della lingua che inceppa.
Vorrei gridare contro la memoria
le incerte visioni che rimbalzano,
ma ritorna vertigine.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 15 ottobre 2015

INTERVENTO = PER VALERIA SEROFILLI

"Sotto il segno di Ulisse" *
In questo intervento intendo soffermarmi su due recentissimi lavori di Valeria Serofilli, l’e-book Ulisse (La Recherche, 2014), una raccolta di brevi racconti, e la silloge poetica ancora inedita, Vestali; si tratta di opere differenti, pensate e realizzate autonomamente eppur non prive di molteplici rapporti ideali e formali, tali da rendere criticamente proficuo un attento esame comparativo.
Occorre comunque muovere da una premessa: la ricerca della scrittrice, ormai piuttosto ricca di testi, appare caratterizzata dall’interazione di intensa esperienza personale e di raffinata elaborazione culturale-letteraria la quale canalizza e sublima i dati emozionali e sentimentali attraverso una strategia di allusioni prestigiose, di riferimenti archetipici di rilievo pregnante e dall’effetto universalizzante.
Nelle prose che compongono Ulisse – spesso di “impronta lirica”, come bene ha visto il prefatore Ivano Mugnaini – i richiami formano grappoli associativi:
Il mio uragano personale con te, che mi prendi e mi lasci come l’onda che sbatte sullo scafo. Ulisse sirena, naufragio d’anime. O Adamo e la sua donna, dai tempi (racconto Ulisse (il mio Ulisse);
Ora e da ora, con te, sarà un nuovo viaggio. Riprende il volo d’Icaro, ma con ali che non siano di cera, che non si sciolgano al fuoco di nuove passioni: basi più solide per nuove fondamenta. Così ti dico – Buon viaggio, mio Ulisse - ( ivi, corsivo nel testo ).
E’ indubbia d’altronde la centralità dell’antico eroe greco, stando altresì all’indicazione dell’autrice presente nell’explicit del racconto eponimo, racconto d’apertura che fin dal titolo – Ulisse (il mio Ulisse) – rivela quell’interazione compositiva a cui si è in precedenza fatto cenno:
Con l’augurio, più che altro a me stessa, che tu sia un Ulisse omerico, che torna a casa dopo il varco delle colonne d’Ercole, e non dantesco, a perdersi nell’illimitato.
Il rinvio alle grandi auctoritates poetiche, a due delle massime della letteratura europea, è di certo stimolante e giustifica una serie di considerazioni introduttive di carattere storico.
Per quanto riguarda Omero, è da tener presente specialmente l’Odissea, giacché, se nell’Iliade l’argomento principale consegue da una puntualizzazione tematica sul filo del discorso narrativo ( l’ira di Achille e i suoi effetti rovinosi per l’esercito degli Achei), nel secondo poema fin dall’inizio s’intende prevalentemente “cantare un uomo”( Àndra moi ènnepe, Musa…”), ovvero delineare e proporre un modello antropologico-culturale, suggerire le peculiarità tipologiche di una figura esemplare e nondimeno assai complessa, di grande interesse proprio in forza delle tante sfumature che la contraddistinguono.
Definire Ulisse “eroe del viaggio” può risultare banale; lo è meno porre in evidenza l’àmbito di costrizione, di sofferenza e di privazione in cui il paradigma “viatorio” si realizza ( la persecuzione del dio del mare Poseidone) e che induce nel navigatore il desiderio struggente del nostos, del ritorno.
Gli episodî della guerra di Troia che rivivono nel canto dell’aedo Demodoco alla reggia di Alcinoo, re dei Feaci, provocano in lui un pianto accorato: egli è l’uomo che “molto sopporta” (polýtlas).
Numerosi altri epiteti il poeta attribuisce al suo personaggio, con chiara volontà di qualificazione etica e psicologica; Ulisse è infatti ora polýmetis ( uomo dai molti pensieri, simbolo stesso della libido sciendi, come quando, nella caverna di Polifemo, si trattiene nell’antro perché vivamente interessato a conoscerne gli abitatori, o in occasione dell’incontro con le Sirene, allorché vuole ascoltarne il pericoloso canto ammaliatore), ora polýtropos (dall’ingegno multiforme, dall’intelligenza duttile e, tra l’altro, capace di controllo razionale degli impulsi istintivi, come nell’atto di punire il Ciclope omicida o nel compiere la vendetta sui Proci), ma è pure polymèchanos (dalle tante astuzie, dai mille disegni ingannevoli, sostenuto in questo dall’avvincente, efficacissima, inarrivabile eloquenza).
La tradizione post-omerica e segnatamente virgiliana operò con riduttivo schematismo sulla varietà e densità di quel modello, privilegiando le doti intellettive, ma sovente connotandole in senso negativo, poiché stimate coefficienti decisivi di obliquità fraudolenta, quando non di aperta malvagità: Ulisse è infatti designato quale dirus, saevus, durus, pellax e fandi fictor, scelerum inventor…
In Dante la sottolineatura valorizzante l’esigenza assoluta della conoscenza, la narrazione dell’avventura estrema dell’intelligenza esplorativa giungono a una tensione acuta al punto di configurare il “folle” ardimento e, secondo taluni interpreti, la dismisura di un comportamento passibile della condanna divina.
Non è possibile in questa sede diffondersi ulteriormente sulla fortuna poetica di Ulisse, anche soltanto nella letteratura italiana, da Tasso a Foscolo; la sua figura così variamente e intensamente emblematica ha nel tempo sollecitato molti scrittori al confronto e all’appropriazione critico-culturale che nel Novecento si sono risolti in un significativo processo di frantumazione del profilo dell’eroe, attraverso la disgregazione dell’apparato mitologico solitamente ad esso connesso e un proposito selettivo mirante all’apprezzamento di un solo frammento della vasta costruzione omerica.
Avendo ormai alle spalle decenni di esperienza didattica, ricordo lo stupore degli studenti disorientati per la non immediatamente individuabile presenza di Ulisse nel celebre, omonimo componimento di Umberto Saba:
Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’acqua emergevano…
(…) Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi, me al largo
sospinge ancora il non domato spirito… ( vv. 1-3 e 9-12 )
Gli è che il riferimento alla terra di “nessuno” (noto eteronimo dell’Itacese) vale un atto di sfida morale, la rivolta contro l’ordinarietà delle comode, ma trite consuetudini, significa l’aspirazione a una vita libera, all’indipendenza etico-intellettuale insita nell’idea di “spingersi al largo”, di raggiungere il “mare aperto” che garantisce all’esistenza la qualità di un’avventura gratificante perché imprevedibile.
Nella cultura del secolo appena trascorso prevale perciò un approccio personale alla vicenda del guerriero-navigatore, un’adibizione spiccatamente soggettiva di essa mediante l’utilizzo meditato di un particolare suggestivo, di un tratto che risulti connaturale e coinvolgente.
Analoga è la disposizione mentale di Valeria Serofilli, secondo quanto è possibile acquisire tramite l’analisi testuale; comincio pertanto con due citazioni, la prima proprio dall’inizio del racconto Pagina mare:
Liquidità e fisicità, due realtà così diverse, come possono del resto andare d’accordo? Forse solo in virtù del fatto di essere entrambi, uomo e mare, simboli della dinamica della vita e della creazione in senso ampio. Ma cos’è mai l’uomo? Non è forse un abisso, non è forse, come l’acqua, un fluire continuo in continua transizione tra le cose da compiere e il già portato a termine?
E l’altra dalla quarta sezione (Itaca) della raccolta poetica Vestali:
Ma che senza accorgermene/ mi portava nei suoi abissi
gabbia di cristallo mai infranta
E la sete, la pazzia/ la cieca corsa verso il mare aperto
smarrendo il mio sguardo/ oltre la soglia dell’amore ( Malata di tua perdizione, vv.4-7 )
E così il motivo “viatorio” e la prospettiva della libera espansione vitale dell’individuo si precisano in queste pagine nel senso dell’incontro con l’altro, nell’intesa “empatica” con il “compagno della vita”, nella relazione anche e soprattutto fisico-amorosa, sensualisticamente appassionata; e questo si determina all’interno di una concezione della realtà inequivoca e incardinata sui concetti di liquidità e di solidità, del resto fondamentali pure quali fattori dell’organizzazione formale dei testi.
La liquidità rimanda al costante fluire tipico dell’ordine delle cose e in particolare della condizione umana, nella sua dimensione esteriore (quella dei rapporti interpersonali) e in quella intima:
E la notte il sub, piccola anima errabonda, mi ha chiesto scusa con un bacio e un dolce abbraccio ( racconto Il sub, corsivo mio );
Si decise infine che la piccola anima errabonda potesse continuare a “nuotare” fino alla vita… ( racconto La sirena, corsivo mio );
Perché il bello consiste nell’essere di ritorno da ogni dove senza essere andati da nessuna parte se non dentro se stessi e il proprio animo ( racconto Un viaggio dentro)
Fluire è il continuo mutamento, la lotta all’abitudine, all’impersonalità delle situazioni cristallizzate (“Passavano le stagioni, mutavano i luoghi, non la nostra anima. Presto avremo fatto ritorno alla nostra vita di sempre ma ora eravamo felici e il fatto che non ci accorgessimo di esserlo, voleva dire che lo eravamo”, da Un viaggio dentro ), ma comporta altresì variabilità, incertezza, precarietà, potenziale disordine:
Ma vento che va e viene
ed io disillusa penelope che
tesse e disfà
Quale più annichilente vertigine a stordirmi
e rinsavire? ( Scirocco, in Sezione prima, Sirtaki, vv.12-16)
Ora l’incessante mutabilità – e la conseguente instabilità intellettuale e sentimentale-morale – non sono congeniali all’animo umano, che sa di certo godere dell’intensità dei momenti straordinarî, ma non si appaga dell’attimalità esaltante: pretende di fissare, dare consistenza stabile, continuità e durata alle situazioni, anche sensuali e voluttuarie, fisico-corporee:
Tutti gli incensi/ dall’ambra al muschio selvatico
non valgono una stilla/ del profumo della tua pelle
Dopo l’amore
sul tuo corpo tracce
del nostro amplesso/ miste ad altri odori
di cui non mi spiego il senso (Penelope,in Sezione , Ulisse,vv.13-15);
mentre intesso tasselli musivi sul tuo corpo/ ogni tassello un ricordo (ivi,vv.7-11);
E’ che l’amore lo riconosci dall’odore e tu hai l’odore dell’uomo della mia vita (racconto Ulisse).
Viaggiare affascina, eppure è necessario il “rientro in porto”, e quindi il possesso sicuro, il saldo legame, l’appartenenza profonda che trasformi l’ebbrezza dei sensi, la vibrazione passionale in relazione duratura, in tela solida e resistente, lungi dalle cadute nell’amarezza dell’abbandono, nella solitudine del freddo, sterile ricordo:
A chi interessa
se ha trasformato ogni mio gemito in tormento
se folle/ cerco il suo calore adorato
nel buio e gelo di una stanza vuota?
Mi trovo ora a vacillare incerta sui colori accesi di quei nostri giorni ( Malata di tua perdizione, cit., vv. 15-19)
In questi versi della poetessa moderna si avverte l’eco dei lamenti di donne d’altri tempi rivolti agli amanti lontani, del tipo di quelli consegnati, per esempio, all’elegia amorosa di Ovidio nelle Heroides, che non casualmente principiano proprio con la lettera di Penelope allo sposo assente da anni:
Hanc tua Penelope lento tibi mittit, Ulixe/ nil rescribas attinet: ipse veni! (vv.1-2: “E’ tua moglie Penelope a inviarti questa lettera, Ulisse, tardivo a ritornare; non c’è bisogno che tu risponda: vieni di persona!”);
Tu citius venias, portus et ara tuis! (v.110 : “Torna al più presto, tu che per i tuoi cari sei porto e altare di salvezza!”)
Il libro ovidiano raccoglie il dolente messaggio d’amore di molte eroine del mito, da Arianna a Didone.
Lo strazio della regina cartaginese abbandonata da Enea era stato già rappresentato con insuperati accenti patetici da Virgilio nel quarto libro dell’Eneide, ove si legge uno spunto, che forse sarà stato presente alla Serofilli, perché corrispondente appunto a quella necessità di assicurare tangibile continuità, carattere non transeunte all’incontro erotico-sentimentale:
Si quis mihi parvulus aula/ luderet Aeneas, qui te tamen ore referret/ non equidem omnino capta ac deserta viderer (vv.328-330: “Se giocasse per me nella sala del trono un piccolo Enea che nondimeno riportasse nel volto la tua fisionomia, non mi sembrerebbe di essere del tutto umiliata e abbandonata”)
Invero nella lirica Penelope prima citata si leggono versi siffatti:
Ci siamo lasciati
e ripresi mille volte
tra infinite voglie
Il filo interrotto e saldato
è diventato tronco
su cui arrampicarsi:
voglio un cambiamento
una catarsi (vv.5-12)
L’uomo è per sua natura incline a fermare, a stabilizzare, non si rassegna facilmente al flusso permanente, come annotava con incisiva lucidità Luigi Pirandello in un passo famoso del saggio L’umorismo (1908):
La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo di arrestare, di fissare in forme stabili e determinate, dentro e fuori di noi, perché noi siamo già forme fissate…Ma dentro di noi stessi, in ciò che noi chiamiamo anima e che è la vita in noi, il flusso continua, indistinto, sotto gli argini…
Al netto dell’impianto critico-riflessivo del discorso del grande scrittore e drammaturgo siciliano e a prescindere dalle deduzioni che egli ne ricavava sul fondamento di un radicale scetticismo corrosivo e demistificatore, un atteggiamento simile si riscontra anche in queste ultime opere di Valeria Serofilli, dominate dall’antitesi fra attimalità e continuità, fra dionisismo e vestalità (intesa quale vocazione alla custodia del sacro fuoco dell’amore: “Eccomi Vestale/ in estasi di te”, Sirtaki, in Sezione prima, Sirtaki,v.1).
La visione dell’autrice è a ben vedere in buona parte contraddittoria, per cui non sorprende che a conclusione dell’ultima sezione di Vestali i versi appaiano strutturati secondo un insistito, elegante gioco di antitesi:
Ma questa è l’ora/ in cui ti desidero forte:
Ferita ormai cauterizzata
torna più acceso di prima/ più tenace (…)
nel freddo eri la luce che scaldava il cuore
ora tu il buio, il buco nero
nel mio nuovo, vano tentativo di luce ( vv.11-12 e 20-23)
Floriano Romboli

. . . . . . .
*Questo è il testo lievemente adattato della relazione tenuta a Pisa il 20 marzo scorso nella Sala del Consiglio dei Dodici in occasione della presentazione dell’e-book antologico di racconti brevi Ulisse (La Recherche, 2014) e del Quaderno dell’Ussero (Puntoacapo Edizioni, Collezione 2014) di Valeria Serofilli. Ho conservato largamente alla struttura dell’intervento la forma originaria della comunicazione orale che mi auguro non dispiaccia all’autrice e ai lettori.
*
Pisa, 20 Marzo 2015

mercoledì 14 ottobre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANNALISA MACCHIA

L’ ININTERROTTO DIALOGO
Nota di lettura di Valeria Serofilli a "Interporto est" (Moretti & Vitali Editori, Bergamo 2014) di Annalisa Macchia.

Il volume di Annalisa Macchia "Interporto est" pubblicato per i tipi di Moretti & Vitali nel 2014 e qui oggi presentato nell’ambito del Calendario di incontri letterari dell’Ussero 2015, si pregia della postfazione di Luigi Fontanella.

Il dolore più grande può ammutolire oppure dare voce e infondere la necessità del canto, spingere a cercare l’oblio oppure fare riscoprire a poco a poco una memoria che sembrava distante nel tempo , come ricoperta da una patina. Annalisa Macchia in questo suo recente volume ha percorso tutte le tappe di questo itinerario riuscendo a trasmettere la forza delle emozioni. Ed è riescita a farlo con una nitidezza che emerge dal coraggio e dalla naturalezza ritrovata di uno sguardo che, rivisitando i luoghi dei paesaggi della memoria, riscopre un mondo che le appartiene e a cui, nonostante il trascorrere degli anni, lei stessa appartiene.
Una delle caratteristiche di maggior rilievo della produzione letteraria di Annalisa Macchia è quella, evidenziata anche da Fontanella, di porre fianco a fianco la dimensione reale e quella onirica. L’effetto di questo accostamento, sempre naturale, mai di maniera, rafforza l’acutezza dello sguardo e rende spontanee e credibili sia le descrizioni che le considerazioni di più ampio respiro. Leggerezza e consistenza, un binomio caro tra gli altri a Italo Calvino, contraddistinguono infatti i versi di questo piccolo poema in cui l’io lirico riesce infatti a creare uno spazio, un tempo altro, in cui realtà e visione onirica si intrecciano. E questo in un dialogo ininterrotto con la madre Maria Alberta, scomparsa nell’aprile 2011 a seguito di una lunga malattia, che svolge una funzione di trait d’union con il luogo, geograficamente identificabile con una frazione della campagna livornese. Proprio la figura materna è la indiscussa protagonista delle bellissime liriche Non ritrarla e Credevo che il tuo male fosse male puro:

Credevo che il tuo male fosse male puro
che ogni male portasse solo male.
Nebbia nel mio paesaggio:
la stessa che offusca la tua mente
e il corpo
più fragile più piccolo ogni anno.
Tardi capisco – e solo in questo luogo –
quanto mi hai lasciato
col tuo morire lento.
(…)

Oltre alla figura materna ecco altri personaggi uscire nitidi dalle pagine del libro: Arturina, Francesco il dottore, Nonna Maria, Ferruccio, Vittorina, Simone, Pietro, e Sofia, nella cornice della casa “dal viale oggi spoglio/ dove scoppiavano allori al passaggio” e dalle pareti sfarinate per l’umidità, con quel lembo di giardino in cui “giocano i piccoli di Giuggiola”, ove “ora scorrono / vividi ricordi di battaglie / polverosi scaffali / della mente>> (p. 37).
Tra gli oggetti-reliquia menzionati nel volume, una funzione importante è svolta dallo specchio, sorta di doppio in grado di effettuare un distanziamento da sé per raggiungere la conoscenza; del resto, uno dei privilegi della scrittura è proprio quello di poter scrutare al di là del contingente per trovare, come dice Alice nel Paese delle Meraviglie, la reale individualità attraverso la superficie dello specchio.
Il tema della raccolta consiste infatti in una riflessione su fatti della realtà psicologica, in una “ricognizione affettuosa di luoghi e persone molto cari all’autrice” (Fontanella, postfazione), mentre il punto di vista di chi scrive è espresso da un pronome personale esplicito: esiste un io che parla, identificabile in una certa misura, con la persona del poeta e sottolineato dall’uso del tu rivolto sia alla madre che a se stesso.
Alcuni esempi fra tanti:
“Corre la mia campagna livornese” (pag. 7);“Mai come altrove in questa casa / mi sento asserragliata” (pag. 33);“Da tempo non passavo / davanti a questa casa” (pag.21);“Ti muovi leggera fra i pesi del tempo” (pag. 43).
Ancora, riguardo al tema ed al registro, le parti narrative e rappresentative del piccolo poema sembrano fondersi ed uniformarsi a quelle riflessive e sentimentali, mentre sul piano della sintassi la costruzione del discorso poetico non è semplice e lineare ma, concordando con quanto scrive Paolo Lagazzi nel suo ispirato commento, “procede per ipotassi e flash, sovrapposizioni, contrappunti, rapidi accostamenti memoriali, cammini e soste, fughe e risalite dal presente al passato e viceversa”.
Uno dei luoghi descritti e narrati in versi, Livorno, è la più spontanea delle città toscane, apparentabile per certi versi con Napoli. L'immediatezza, anche del linguaggio, aperto e non di rado sboccato, rispecchia un atteggiamento sincero e una sete di comunicare, anche in modo carnale e sanguigno, come le voci delle comari riunite a parlare en plein air.
In questo libro, composto in pochi mesi, Annalisa ha voluto e saputo conciliare la sua indole, molto più riflessiva, con questa sete di conoscenza. Qui però il terreno da esplorare è più intimo e delicato. L'autrice percorre a ritroso gli anni, con sguardo mai patetico o retorico. La profondità nasce dal materiale più autentico, gli oggetti, l'eco delle voci, il racconto condiviso con emozione ma senza rendere la propria emozione un fardello per il lettore. Come osserva adeguatamente Maria Grazia Carraroli :"una scrittura, mi vien da dire, ben rappresentata dall’immagine di copertina del libro dove prevalgono i grigi e dove è fotografata la strada stretta di un borgo antico quanto mai suggestivo. Forse a quella si può accostare la strada della memoria dell’autrice che dal buio della morte viene sorpresa a tornare alle origini per ritrovare e ritrovarsi e dove la morbidezza del grigio, colore che porta in sé la notte confusa e resa preziosa dalla luce, è metafora del suo viaggio. Un viaggio che si connota come nostalgia senza rimpianto e come dolore senza pianto. Un viaggio che al suo termine approda a un più chiaro, rasserenato e consapevole presente". La natura complessa e multiforme di questo libro, lo rendono adeguato a ricalcare con cura gli angoli e i lati lisci, i contrasti e i chiaroscuri, i dolori e le attrattive ancora vive, mai spente. Corpo e mente, i due estremi in apparenza contrapposti, come evidenziato anche da PaoloLagazzi nel suo ispirato commento, sono i punti cardine di ogni scritto così come di ogni percorso di conoscenza del sé e della realtà.
Per concludere, Interporto est conferma la sincerità e la forza di un'emozione narrata in versi con lucida passione, sapendo che le parole fanno la differenza quando si tratta di discriminare la zavorra da ciò che resta ed è eternamente vivo.E con il tocco di classe a lei proprio, Annalisa Macchia ha saputo ancora una volta mettere in evidenza un mondo in cui in gioco è il delicato equilibrio dell’essenza custodita nelle pagine di un libro, mettendo in pratica il pensiero di Thomas Mann secondo cui “la valenza di uno scrittore consiste nel riuscire a trasformare il pensiero in sentimento”.
Valeria Serofilli

(Incontri Letterari al Caffè dell’Ussero, Pisa, Ottobre 2015)

sabato 10 ottobre 2015

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

– “ Oblio”
Ho perso l’ultimo lembo del delirio
per inseguire fantasmi , nel tenue riflesso
di una luce velata.
L’armonia di un attimo,
che ritorni al destino, altrove scivola perdoni
e rinchiude nel dubbio il desiderio
di un improvviso bagliore.
Non hai prodigi per queste mie sciocchezze
ed imponi il silenzio
per diventare granello dell’oblio.
*
- “Nella sera”
Silenziosa nella sera mi accompagni
e il camminare al buio fra le ombre
cancella ogni illusione di ritorni.
Le parole giacciono come giochi di asce,
di piombo cadono nelle flebili ferite
che hai inciso nelle mie pieghe,
finché sotto gli occhi la pervinca ha lontananze
nello sfavillio delle lame.
Il segnale della tua voce rincorre
la menzogna dei rimandi ed è coltello
nel silenzio che spacca le vertebre.
*

ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 9 ottobre 2015

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia cerca casa"

L’ha fatto all’albergo
degli angeli, nell’auto
nera di Giovanni, nel
fienile, nell’albereto,
nel campo di grano
dei papaveri rossi
come l’amore, il sesso,
ragazza Alessia con
l’amato nella quinta
stagione. Adesso
vuole affittare un
bilocale per stare
in una sua camera
dei corpi e della mente
ragazza Alessia,
e farlo con Giovanni,
in scena privata di un
fidanzamento.
Guadagna Alessia € 500
come commessa
e Giovanni in banca € 1500
vede l’annuncio
Via Posillipo, 8,
2 stanze e giardino di
eucalipti e mimose,
€ 800..
Telefona a Giovanni,
Alessia: l’ho trovato
come volevamo!!!
Volano gli amanti…
*

"Alessia in salvo"

Trova salvezza ragazza Alessia
nell’ottobre del fresco dell’anima.
L’hanno spinta nel folto di un’auto
due violentatori di notte a Piazza
Dante. Era uscita in minigonna
per l’amore con Giovanni
a piedi con passo di gazzella.
Al semaforo rosso nel buio
nero Alessia a via Costantinopoli
fuori dallo sportello si è gettata,
ha calibrato i movimenti dell’aerobica,
la feritoia dell’attimo è avvenuta,
Corre Alessia e la polizia incrocia
di fortuna, ferma due agenti.
Si calma, spiega, la portano
all’albergo da Giovanni.
*

"Alessia e i luministella"

Sera ora di ottobre nell’attraversarla
ragazza Alessia campita nel cielo cobalto
dei luministella intermittenti nel
fresco della pelle fino all’anima di
grammi 18 al Parco Virgiliano a riemergere
nella pineta dove ha fatto l’amore
con Giovanni. Ha trovato un quadrifoglio
Alessia (le porta fortuna e Giovanni
non la lascia). Interanimata all’angolo con
il mondo parte l’e-mail segreto nella
fabula.
*

"Lunazione di Alessia"

Sollievo per ragazza Alessia:
le sono venute (ritardo di
tre giorni per tanto caro sangue).
Sospira Alessia al cielo, al
balcone amico per il cielo
(diafano prima che Dio
l’inazzurri). Torrente di brezza
e pensa a quando era vergine
Alessia sospesa alla bellezza
di se stessa nuda allo specchio.
Telefona a Giovanni: "non sono
incinta ho le cose mie!!!
Risponde: per festeggiare
lo facciamo stasera lo stesso!!!"
*

"Specchio e Alessia"

Immagine replicata di Alessia
nuda come Eva prima del peccato.
Pensa Alessia (sono bella e sexy
in questo d’ottobre fresco).
Entra Giovanni (gli regala i laghi
degli occhi Alessia). Pagine di cielo
campiture fantastiche di albereti
nel pensiero di donna.
Alessia entra nel folto del gioco
con l’amato (facciamo margherita?).
Entra in Alessia Giovanni.
Si stupisce e da se stessa
esce Alessia.
*

"Sabato di Alessia"

Procede Alessia nel limbo
d’albereto in limine alla
vita del sabato. Un sospiro,
la margherita del responso
m’ama o non m’ama.
Si è vestita della tinta rosa
Alessia (piace a Giovanni),
l’appuntamento, il cielo,
la città. L’anno, il posto e
l’ora, di platino volatili
nell’ancora del tempo.
La selva della Floridiana
è chiara come di lui gli
occhi a poco a poco
per tornare dove aveva
fatto l’amore (il Virgiliano).
Ricorda di lui il seme
Alessia.
*

"Felicità di Alessia"

Sera di limbo duale
per Alessia nel protrarsi
della linea della nebbia
a Roccaraso fuori dal
tempo nelle acque
di neve. Attende da un
filo di grondaia il liquido
per scaramanzia
responso. Se viene acqua
chiara non mi lascia.
Scola fresca e azzurra,
la forma zampillante
(allora Giovanni non
mi lascia).
Ride Alessia come una donna.
*
Raffaele Piazza

giovedì 8 ottobre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIORGINA BUSCA GERNETTI

GIORGINA BUSCA GERNETTI : “ Echi e sussurri” – Ed- Polistampa – 2015 – pagg. 120 - € 10,00 –
Attraverso sfumature di puntuali scansioni una serrata scrittura propone pagine di variegate figure, nel tempo perduto , nell’illusione del presente , nella speranza di un futuro, ricche di fantasia e di memorie.
“Quando scendi invocata, / o cara sera amica , / si placano le tenebre dell’anima / nell’ombra tua serena. / La quiete tua m’accoglie/ come in un’urna di marmo istoriato:/ ecco l’obolo ed il viaggio fatale / sulla nave leggera verso l’Ade …” Le pennellate si increspano in vibrazioni ove i colori fanno riflesso al ritmo , che distingue i versi di calibrata incisiva fattura.
“C’è un residuo ontologico al fondo del perenne divenire, – scrive Marco Onofrio nella prefazione – per cui tutto scorre come un fiume, ma ciò che è accaduto è incancellabile (neanche Dio può far si che non sia accaduto) : resta e ritorna sempre.” Così la memoria , la psiche , il pensiero , affondano nella quint’essenza del linguaggio, ricamati con naturalezza da una cultura particolarmente ricca e sostenuta. Le voci hanno il tremolar della marina , i sussurri hanno lo scintillante argento delle onde , settembre ha il suo verde calpestato dal gregge , le spighe e i vigneti hanno frutti variopinti, le ombre dell’antica Agorà hanno riflessi omerici e il tempio ellenico fonde le maschere madide di pianto. Il bagaglio culturale classico della poetessa propone il suo luminoso effondersi in pagine ove la strategia estetica riesce a ricamare linguaggi dalla sfera alta.
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 7 ottobre 2015

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

– “ Parole”
Vorrei parlarti di quelle primavere
che ci videro al mare , nella sabbia
ancora fredda di brina ,e ricordare
il breve tumulto del petto , le illusioni
delle preziose parole sussurrate
ed ora svanite nel tuo sparire nel cielo.
Vorrei parlarti degli accenti segreti
che aprivano a musica
il nostro impetuoso sigillo,
del limpido flauto che carezzava i capelli
nel docile amplesso.
Tutto diventa ombra nei lacerti
della mia solitudine, per sfiorare il tempo
che soffoca il mio singhiozzo.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 6 ottobre 2015

POESIA = RAFFAELE GUIDA

"ACQUAFORTE"

Vieni, noi ora andiamo in un refolo di buio,
il tuo volto si affioca mentre cerchi il tuo nome,
noi ora marciamo e aspettiamo la mezzanotte,
un cadavere in spalla, i denti stretti a qualcosa.

Nell’àndito muffito, mia madre barcolla,
un passo, cade, io non peso che un sasso.
Vedi, nel giardino è spuntata la rosa,
è pallida, è muta. Forse sta per sfiorire.

Pare dica qualcosa, forse solo un respiro,
era qui, non comprendo. Era come vivo.
Il cuoio, il legno, le mani dure di mio padre,
quella dolcezza di vecchio che mi disfa il fiato.

Tra me e la morte non ci siete che voi,
compiuto il giorno, non saremo, non più.
Attendere il sonno; non avere da dire.
Un pianto e poco altro; questa piccola vita.

Nient’ altro che granelli di timido rancore
a rodere gli occhi di chi non ha mai visto
la sua stessa carogna sfasciata da miseria
l’esitante azzurro di un falso cielo di marzo.

Quel che resta è fame di ciò che non siamo.
Tradire, taciti, quel che c’è da tradire.
L’onda che muore e che non muore.
La cenere sopra le radici.
*
"ABBANDONO"

Le ombre affilate affondano nei muri
s’allungano s’assottigliano sulle rose pallide
si scuotono impaurite al bisbiglio di una candela
al gelo del nord che scavalca le montagne.

Ho lasciato una zattera sulla riva del mare
l’ho lasciata infreddolire sotto un alito di promesse.
I giorni desiderati, le parole future
sono vele lontane nella barba grigia dell’orizzonte.

Ho venduto la mia casa e ho comprato una vela
camminai sulla sabbia, nel torbato libeccio
nella foschia un marinaio, un ormeggio marcito
ascoltai le teorie di un uomo mentre arrangiava uno spago.

Perché noi siamo niente e tutto ci è nuovo
gettati nei colori esplosi all’improvviso
in iridi bambine che si dilatano dolcemente
in un atroce sogno vibrante di carne.
*
"AURUSPICINA"

Fin dove non si può più vedere
sopra gli enormi, eterni temporali
uccelli sparuti a spasso nel maestrale

con i chicchi nel cuore di quella sacra foresta
dardi di fuoco di assurde virate

mai più ritrovata quella sacra foresta
l’attesa divenne l’origine del passo

il ritorno inteso come impuro fato
digrignando sorrisi nella farsa dell’ora

mai più fui io nell’attimo del debole
un chicco mi cadde nell’assurda virata

a terra i clamori e le genti festanti
nel cielo il dolore di un impuro ritorno.
*
RAFFAELE GUIDA -






lunedì 5 ottobre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

Antonio Spagnuolo, "ULTIMO TOCCO" -Postfazione di Mauro Ferrari-, Punto a capo Editrice, Pasturana, 2015. pagg. 78 -€ 12,00

Una breve analisi dopo una doverosa attenta lettura della nuova silloge di Antonio Spagnuolo è necessaria. Il volume, dal titolo insolito di Ultimo tocco, si compone di due sezioni: una prima sezione che porta lo stesso titolo del volume costituita da dodici liriche ciascuna intitolata con una lettera dell’alfabeto in progressione e una seconda sezione intitolata Memorie, assai più nutrita dal punto di vista dei componimenti.
È evidente –e lo sottolinea anche Mauro Ferrari nella nota di postfazione- che queste liriche siano il prodotto di un’anima inquieta e sofferente, quella di Spagnuolo, che negli ultimi anni è visibilmente marcata da un inasprimento dei toni, da una fissità dei grigiori e da una vera e propria desolazione emotiva. Si tratta, infatti, di liriche che il poeta ha steso sulla carta nello stillicidio di mancanze e silenzi quotidiani, oramai rituali, che contraddistinguono le sue giornate dopo la grave perdita dell’amata, la signora Elena.
Ce ne rendiamo conto un po’ in ciascuna lirica dove, appunto, i riferimenti a un mondo di tacita solitudine, di abbandono e di snervante romitaggio per le stanze della propria casa, mettono in luce questa sofferta e disperata ricerca della sua metà. Consapevole che il mondo della carne, ossia la componente fisica del rapporto amoroso pluridecennale, non è più possibile, il Nostro ricerca come un impavido rabdomante nella contemporaneità che gli è data di momenti fissi e di pose oranti, almeno una traccia aeriforme. Se la corporeità non è più possibile, allora il Nostro tende a una ricerca, pure perigliosa nonché spesso infruttuosa, per il raggiungimento di una proiezione immaginifica: un’ombra, una parvenza o, ben più spesso, l’immagine di un ricordo.
È palpabile e via via più pressante il senso di tormento che si respira in questo percorso poetico, chiave di volta di un mondo fatto di giorni improntati alla rievocazione del passato, alla riflessione e alla contemplazione, anche alla preghiera che, comunque, mai diventa un pianto spropositato nel quale intuire un vittimismo di sorta, dunque un istinto di morte per la ricongiunzione delle anime.
Spagnuolo con questa silloge mostra di non essere più quel “poeta affranto di luce” delle sue precedenti prove poetiche (per dirla con una definizione di Plinio Perilli), ossia un pittore della parola, ma di aver conosciuto, a seguito dei recenti accadimenti familiari che tanto l’hanno provato, quel mondo cromatico per lo più privo di luce fatto di grigi, di visioni opache e nebbiose, di angosce e rabbie intestine che ne offuscano l’intensità dello sguardo.
Indelebile è però lo stile poetico del nostro scandito da versi spesso abbastanza lunghi nei quali è capace con una abilità figurativa quanto mai sviluppata di rendere un mondo domestico dove non è tanto la leggerezza e l’entusiasmo verso la vita a padroneggiare, piuttosto un appiattimento di tono che è funzionale, però, alla sua sempre lucidissima analisi emotiva.
Con questo “tocco” assai pregnante è come se il poeta ci invitasse a casa sua e, gentilmente, ci facesse sedere su una poltrona per poi mettersi a parlare di sé e delle sue giornate.
L’invito ad entrare nelle “sue stanze” è raccolto con grande partecipazione e con il necessario rispetto che esso necessita. Colloquiamo, così, con un uomo il cui ammasso di memorie è la unica linfa vitale di un’esistenza improntata ormai all’abbandono.

(Jesi, 05-10-2015)
Lorenzo Spurio
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- II -
Si avverte immediata l’ombra metafisica dell’amata Elena, la si respira da ogni angolo della casa, risuona dalle stanze vuote l’eco dei suoi passi, la si intuisce dai ninnoli lasciati ancora al loro posto, dalla sua memoria che è impressa nella mente e nel cuore del poeta napoletano come un mantra: è una raccolta che dà l’esatta visione del percorso a rembours che l’autore compie, nella speranza di ritrovarla: la perdita non ne ha segnato la fine, ne ha solo rallentato l’estatica felicità, la gioia del possesso, della fisicità, ne ha acuito la nostalgia, ne ha reso il respiro più innaturale, più sofferto.
Vita/morte non cancellano mai completamente chi si e tanto amato, il legame non si spezza del tutto, ma rimane nella mente a fomentare ombre, ricordi, dolcezze, sinergie, “piccole cose” che la sacralità del vincolo conserva intatte, quasi gelosamente metabolizzate, fino a divenire atomi, aromi, sangue e scrittura a posteriore di una ricerca di equilibri semantici, di echi, d’irrequietezza e vuoto emotivi.
Antonio Spagnuolo con magistrale dovizia di particolari, scandisce il suo canto all’amata, ne avverte l’assenza come la luce emerge dal buio, dalle tenebre e si fa dialogo ampio di sconsolati raffronti. Luce/tenebra è il momento clou della sua impalpabile, aeriforme materialità (scusatemi l’ossimoro).
In questa sua ultima raccolta vi è un proiettarsi di memorie che se non raffrenano il tormento, lo rimodulano attraverso una laboriosa rielaborazione mnemonica, una rarissima osmosi che si ripete nella casa vuota, dove egli esule e solitario abitante, vaga in presenza delle orme tracciate, lasciate da Elena. Antonio Spagnuolo è oggi il poeta della traversata circolare: una dichiarazione d’amore che la sua Elena scandirebbe con toni chiari e nitidi trovandovi le ispirazioni e l’ardore del poeta dinnanzi al < tempus fugit >. Aspra si evince la tensione neoromantica della sua scrittura, forte e chiaro il messaggio metafisico che lo riporta indietro nel tempo e che la misura della perdita gli disvela: un semiotico quanto simbolico scandaglio nella complessità del suo travaglio ne rendono la percezione esemplarmente dichiarativa e la consapevolezza olistica dei contenuti, ne rivelano appieno il risultato felicemente raggiunto che è di una poetica alta, con toni e segnali connotativo/linguistici di grande spessore letterario.
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NINNJ DI STEFANO BUSA' -
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domenica 4 ottobre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = VALERIA SEROFILLI

VALERIA SEROFILLI : “Vestali” Ed. Ibiskos - Ulivieri – 2015 – pagg. 52 - € 12,00-
L’eco, che dalla conchiglia inventa il segno della musica, intreccia pagine rapide e suggestive , in un ritmo serrato che coinvolge e attanaglia. E’ la voce del mare che ripete l’incalzante ritorno delle onde , in un viaggio compreso nella voracità dell’attesa. “Dalla spiaggia, dalle sabbie vedrò ergersi / il tuo legno / tra i flutti e mille vascelli lo riconoscerò/ Affrettati mio Ulisse/ figlio dell’onda.” E’ il turbamento di un incontro imprevisto ma sognato che accende il tramonto del rosso in un abbraccio che stordisce all’incanto. E’ la memoria del mito che riascolta le occasioni del racconto per estasi e incanti. Così le parole prendono il segno delle passioni , nelle pagine attraversate dal ritmo. “E la sete, la pazzia / la cieca corsa verso il mare aperto smarrendo il mio sguardo/ oltre la soglia dell’amore …” - “La poetessa sa – scrive Ninnj Di Stefano Busà nella prefazione – che vi è un punto di non ritorno, un transfert che ingenera la follia di ogni trasformazione, forse di ogni abbandono e non può rassegnarsi, lo descrive come un indicibile arrendevole volo , qualcosa che procede a rilento nell’estinguersi, perché ormai è penetrato nelle vene e nel sangue, lasciando spasmi e sofferenze, graffi e contusioni : l’amore da, l’amore toglie …”
ANTONIO SPAGNUOLO -

venerdì 2 ottobre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROSSANA BUCCI E ORONZO LIUZZI

ROSSANA BUCCI e ORONZO LIUZZI : “DNA” – Eureka edizioni – 2015 – pagg. 30 – s.i.p.
(cento esemplari numerati con interventi manuali dell’autore)
Un coro a due voci , un percorso luminoso per una poesia che si sviluppa nel ritmo serrato dei riflessi. Si puntualizza nella cartellina che accompagna il volume che questa “è una sfida ed una nuova forma sperimentale del fare poesia per diventare sinergia di due voci , un intreccio vibrante, uno scambio di conversione e di dialogo.” In effetti le pagine sono un viaggio verso orizzonti che esplodono in un cielo tutto da ritrovare , frammenti di schegge di luce che si immergono nel pensiero e nelle figure emotive della poesia. I versi , intrecciati nelle espressioni musicali , ci offrono il sussurro innocente della canzone. Un piccolo gioiello editoriale , da collezione.
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 1 ottobre 2015

POESIA = ROBERTO MOSI

"Intorno alla rotonda"

Intorno alla rotonda
fiumi d’auto
tagliano la strada
facce di pietra, clacson,
al centro macchie d’erba,
d’olio, vernice spray
sulle zampe dei viadotti.

Intorno alla rotonda
fantasmi di cemento,
case d’altri tempi,
il rombo d’aerei
in fase di decollo.

Lontane le vie d’uscita,
la casa di una volta
la pace del cimitero
il chiostro della chiesa
l’argine del fiume culla
d’erba d’antichi amori.

Pensieri in fase di decollo.
*

"Il ragno"

Il ragno si affaccia dal soffitto,
di notte tesse la tela.
Scende veloce per il filo,
osserva i pazienti distesi,
gli aghi infilati nelle vene.
Mi guarda con simpatia.
Risale svelto, scompare
oltre il tubo del riscaldamento.
L’aspetto, l’Attesa è lunga.
Penso ai tesori del ripostiglio
resti di mosche, di moscerini.
“Cosa si ricorderà di me,
del mio passaggio nella stanza?”
*

"La via Francigena, verso San Miniato"

La strada bianca
è un balcone sospeso
sul cuore antico
della Toscana
nel paesaggio circondato
dall’azzurro dei monti.

E’ un ponte sospeso
fra passato e presente,
a lato la Pieve appartata,
delicata corolla
di rossi mattoni.

Di fronte la Torre
di Federico
e la finestra aperta
della “Notte di San Lorenzo”
illuminata da stelle cadenti
dove si rinnova
il racconto di genti
in lotta per la libertà.
* 
ROBERTO MOSI