LA RIVISTA ZETA -
Nel mese di giugno di quest’anno è uscito il numero 118 di “Zeta”, storica “Rivista internazionale di poesia e ricerche”, di cui è direttore Carlo Marcello Conti e attorno alla quale si è sviluppata, sin dal 1977, la Casa Editrice Campanotto (fondata durante l’anno precedente a Pasian di Prato, in provincia di Udine), di cui è stata presidente Franca Campanotto.
Si tratta di una realtà editoriale che, seppur piccola, in modo esemplare è riuscita a conservare per decenni il proprio aspetto “militante” attraverso riviste e quaderni e molteplici pubblicazioni e attività, soprattutto in relazione alla poesia sperimentale.
La Redazione di “Zeta” è composta da nomi di primo piano, come Lamberto Pignotti e Paolo Guzzi, e così pure l’elenco dei collaboratori e delle Redazioni estere risulta di rilievo.
Il numero 118 della rivista è un ricco concentrato di argomenti, riflessioni, contributi critici, poesie e racconti, tra immersioni nella realtà più concreta e necessarie astrazioni. Accanto a nomi di autori e critici famosi compaiono anche nomi meno noti, essendo la casa editrice sempre attenta alle novità provenienti dalle voci più giovani, oltre da quelle più importanti, come attestano i tanti riconoscimenti ottenuti.
La prima parte della rivista è riservata ai Saggi. In “Essere e la poesia” Carlo Marcello Conti si interroga su cosa sia la poesia: L’amore è una cosa semplice, canta Tiziano Ferro, e non è molto diverso per la poesia, difficile invece cercare di definirla, e impossibile ingabbiarla in una formula. Tuttavia, come osserva Carlo Marcello Conti: «Dopo questo limite illimitato dell’essere totale della poesia che non dice come essere semplicemente esistere è la sua totalità.».
Segue la Relazione scritta da Lamberto Pignotti, riguardante “Enrique Vila-Matas”, nell’ambito dell’edizione 2017 del Premio Feronia. Indagando su cosa possa vedere l’occhio dello scrittore al giorno d’oggi, si prende coscienza del fatto che in generale l’occhio cattura sempre più spesso la “realtà virtuale” anziché quella naturale. Pignotti accenna anche a quanto la nostra società, in realtà, sia poco divertente e troppo prevedibile, a ben vedere poco stimolante: «C’è troppa furbizia e troppa poca genialità in giro.».
Seguono le pagine piacevolissime firmate da Paolo Barozzi, che i lettori affezionati alla rivista di certo attendono, autore tra l’altro di Peggy Guggenheim – Una donna, una collezione, Venezia (Campanotto Editore, 2011), Peggy Guggenheim di cui è stato amico e collaboratore. Nel numero 118 di “Zeta” egli ci rende partecipi del suo “Incontro con Gore Vidal a Venezia”: come apprendiamo dalle sue stesse parole, «prima delle grandi invasioni dei turisti e delle grandi navi, Venezia offriva spesso la possibilità di incontrare degli scrittori famosi. Quasi ogni giorno incrociavo il poeta Ezra Pound con Olga Rudge durante la loro passeggiata mattutina alle Zattere dove abitavo. Nel mese di agosto vedevo spesso aggirarsi per la città Sartre e Simone de Beauvoir.».
Gore Vidal, durante questa intervista-conversazione, ebbe modo di dire, riguardo alla stesura dei suoi libri: «sono sempre io l’ago della bilancia. Non sono mai del tutto chiaro; senza ambiguità non c’è arte.». Durante il suo incontro con Paolo Barozzi, ci fu l’occasione per ricordare P. M. Pasinetti, troppo spesso dimenticato e apprezzato anche da Italo Calvino. La testimonianza qui riportata si chiude con il ricordo dell’arrivo di Joanne Woodward, la quale doveva recarsi insieme a Gore Vidal al teatro La Fenice. E Paolo Barozzi li accompagnò per un tratto di strada.
Dopo questa appassionante e coinvolgente lettura, seguono gli approfondimenti relativi a “Il fenomeno Hirst e la 57ₐ Biennale di Venezia” di GianCarlo Pagliasso e le “Prospettive aperte; poligrafia quarta” di Curzio Vivarelli.
Dopodiché, come tutto venga fagocitato nel susseguirsi delle stagioni, viene colto dalle parole di V. S. Gaudio con toni poetici e giocosità di forme e colori, in “Passilence – Mini-Lebenswelt con Joan Mirò / Silence”: in «questa macchia rossa di Joan Mirò, c’è quasi tutto il silenzio, c’è anche una “O”, e solo la “S” in alto a sinistra è fuori dalla grossa macchia di rosso, ma è un po’ macchiata da una schizzata di rosso. Se ci si mette, ad aspettare che lei passi, di lato, sul rettangolo giallo, intanto tu pensi che, basta poco, e arriva l’inverno».
La tappa successiva proposta da questi Saggi ci conduce a “I viaggi simulati di Ginzburg”, con uno scritto inedito, risalente al 1980, di Mario Perniola sull’arte di Carlos Ginzburg, a ricordo del filosofo da poco scomparso (in questo numero di “Zeta” si ricordano anche Gillo Dorfles, Angela Felice e Angelo Tonelli).
Successivamente, “William Butler Yeats” e il suo interesse per la simbologia magica, l’esoterismo e lo spiritualismo sono al centro delle riflessioni di Elisabetta Salvador, la quale sottolinea l’importanza dell’immaginazione intesa quale «luogo mentale di sopravvivenza». Pertanto, anche se la maschera «rappresenta iconicamente l’ambiguità della condizione umana», ambiguità necessaria all’arte come sosteneva Gore Vidal (qui si manifesta soltanto uno dei tanti fili invisibili che legano tra loro vari contributi di questo numero della rivista), «l’impossibilità di distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è ha però un suo fascino».
La sezione dedicata ai Saggi si conclude con i “Trent’anni di Photoshop” di Annalisa Moschini, la quale si sofferma sulle varie possibilità di manipolare le immagini. Viene spontaneo pensare al ritocco fotografico e all’eliminazione dei difetti, ma si dovrebbe invece tenere presente l’importanza di quanto rimane al di fuori della fotografia, come si dovrebbe prestare attenzione sempre anche alle parole non dette.
La seconda parte della rivista è occupata dalla Poesia. Nei versi proposti di alcuni autori, vita e morte si compenetrano, nel destino di fragilità che accomuna tutti gli esseri viventi, tra fughe grida e silenzi. Facendo una rapida carrellata, in “Nigredo” di Cristina Caloni il cane, il padre, l’amico e tutti gli altri cari che non ci sono più, grazie alla parola vengono riportati per un attimo tra noi. In “Poesie” di Antonio Napoletano, «nel cuore ladro di signora / trapassa in maschera parola / è il compianto per la gazza / morente nell’afa del giardino». In “Aprire vie di fuga” di Alfonso Lentini, la formica «non sa dello specchio / e perciò non vi cerca sua figura / (e niente sa neppure / di se stessa. // come siamo formiche» anche noi umani, non meno fragili, non meno deboli. In “Entroltre” Bruno Conte, invece, ci rivela: «È un grido / la forma nocchiuta / della conchiglia / animale chiuso che grida / contro il chiuso cielo / del cielo». Chiudono la sezione dedicata alla poesia Carletto Negri con “Imago – (Non)” («avrei dovuto essere più attento / non pensarmi estraneo») e Miodrag Golubovič con “Il segno” («l’urlo ha ululato»).
Segue la sezione dei Testi con “Presente semplice – Bianca, manica lunga, botton down, senza tasca” di Giancarlo Sammito, alla ricerca di una camicia bianca (racconto da leggersi possibilmente, se si desidera seguire le indicazioni dell’autore, con l’accompagnamento di Astor Piazzolla, Histoire du Tango, per arpa e flauto traverso).
Si prosegue “Nel labirinto” di Natalia Milocco: «Mi avviai lungo uno stretto corridoio che immetteva in un vasto capannone le cui pareti, interminabili, come anche il pavimento erano tappezzati di libri disposti in modo un tempo forse ben ordinato. C’erano pile di volumi di varia grandezza, fascicoli, fogli e cartoni riproducenti poesie visive ormai dimenticate, recanti i segni di un nobile passato, esaltato da premi, ingentilito dalla presenza di illustri personaggi, testimoniato da mostre innovative, forse troppo innovative per il sentire comune, così molti lavori erano rimasti là accatastati». Così immagino possano essere gli spazi fisicamente occupati dalla casa editrice Campanotto.
Ancora di Natalia Milocco il commovente racconto “Piccola storia d’amore”, in ricordo di Blanche, per un lutto pieno, vissuto per una creatura innocente che ha portato solo gioia nella propria vita.
Seguono, nella sezione dedicata a Mostre e recensioni varie, “Bonjour à monsieur Julien Blaine” di Patricia Blasutto («Poesia, pane quotidiano, esiste anche in formato senza glutine. Medicina priva di ricetta medica, senza trafila burocratica»), “Tre libri tedeschi” di Vincenzo Cioni, “Rachid Ouramdane: Sfumato – In tournée in vari teatri europei” di Alberto Gabriele, “La 57ₐ Biennale d’Arte di Venezia” di Inga Conti, “Giri di parole” “Butta and Toppa” “Da Djagilev all’Astrattismo 1898-1922” di Carlo Marcello Conti.
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BRINA MAURER