venerdì 30 giugno 2017

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia in treno"

Pari a un fiume il treno
dalle acque invisibili
a inalvearsi nel letto
del binario per ragazza
Alessia in limine alla
vita dopo nell’albereto
con Giovanni l’amore.
Intravede case e campi
anima vestita Alessia
ragazza e poi il romano
acquedotto nel giungere
a Termini stazione
per l’esistere felice
come una donna
sedici anni contati come
semi. Ha al collo una
bucata moneta e della
Vergine la medaglietta
d’oro. (Ieri l’ho persa
la verginità e mi è piaciuto
speriamo che ora non
mi lasci e che non ci
sono rimasta), pensa
Alessia.
*

"Alessia e della pace il lago"

Segue il bagno nuda nel lago
per Alessia dopo essere uscita
dallo spogliatoio dell’anima
e degli indumenti (le scarpe,
gli slip, il reggiseno e l’azzurro
cielo del vestito). La speranza
di non essere lasciata per vivere
ai lieti colli dell’anima di ragazza
sotto di luglio ad abbronzarla
il sole infinito come ragazza Alessia.
Si distende sull’erba emersa
dalle acque nella con natura
la fusione e dispone fotogrammi
per la vita nell’intessersi
i pensieri con del cielo le nuvole
fatate.

*

"Alessia nella pioggia"

Aria nell’umidità dell’
acquata estiva per Alessia
ragazza appoggiata
all’edera di fiorevole
gioia sul muro e attende.
Pioggia verticale a bagnare
di Alessia i capelli e l’anima
dove era già stata nell’
abbandonare il prato azzurro
di cielo antistante la villa
della gioia. Pioggia nell’
inalvearsi di Alessia il pensiero
fino alle braccia di Giovanni
sincero e trarne felicità
per di vacanza un chiaro mattino
di sosta a fare nell’albereto
l’amore sotto fresche gocce
ad accadere.
*

"Alessia riscopre le stelle"

Attimi di sera per Alessia
nel mettersela nella tasca
dei jeans sdruciti. Il buio
interrotto dalle lampade
per Alessia ragazza al bar
Virgilio nel leggere di Foscolo
i sonetti e uscire dalla
resistenza dell’aria a riscoprire
le stelle nell’intermittenza
del lucore di nuova vita
in vita per rinnovarsi pari
ad astro per riaccogliere
Giovanni levigata dal vento
e si stupisce Alessia della
gioia.

*

"Alessia allegra"

Ride Alessia dopo l’esame
d’italiano superato. Gesto
simbolico getta contro del cielo
l’azzurro con i libri la borsa.
Esultanza di Alessia nell’
abbeverarsi alla quinta stagione
nella camera della mente.
Allegria di Alessia nel
di gioia naufragio nell’
interanimarsi alla sorgente
dei sogni più dolci nel
tendersi al ramo dell’arancio
per prendere il frutto e
dissetarsene nell’infinita
vita a proseguire ed esistere
già nel mondo di ora
cosmo di ragazza Alessia
nel trasfigurarsi nell’estasi
tra delle piante del giardino
la bellezza.
*

Raffaele Piazza

giovedì 29 giugno 2017

SEGNALAZIONE VOLUMI = FELICE SERINO

Felice Serino – “La vita nascosta” - (poesie 2014 – 2017)
Copyright 2017 by Felice Serino

Felice Serino, nato a Pozzuoli e residente a Torino, autodidatta, è un poeta che ha ottenuto numerosi consensi critici e che ha vinto molti premi letterari. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia.
Gestisce svariati siti su Internet di ottimo livello e qualità, che ospitano anche poeti prestigiosi. E’ stato tradotto in otto lingue.
“La vita nascosta” è un’opera corposa nel suo racchiudere le raccolte del Nostro “Trasfigurati aneliti” (2015) e “Nell’infinito di noi” (2016) ed è corredata da una presentazione di Giovanni Perri ricca di acribia.
Cifra essenziale, che connota la poetica del Nostro, di raccolta in raccolta, è una vena originalissima che parte da una visione del sacro, visto sia in maniera trascendente che immanente. Serino si pone nei confronti della realtà, del mondo, del cosmo, che nella nostra contemporaneità spesso diviene caos, inizialmente come creatura che anela ad un essere superiore tramite una religiosità che supera e va oltre le forme confessionali e ritualistiche della Chiesa. Sono spesso nominati da Felice Dio, Gesù, la Madonna e soprattutto gli angeli, ma il poeta non cade nel dogmatismo, credendo in un amore interessato per Dio, in un rapporto con Lui non mediato, tipico dei mistici, e che trova la sua realizzazione, il suo inveramento proprio attraverso, le sue poesie, che presentano unitarietà del discorso e coerenza. Proprio in questo modo e in tal senso egli da creatura si eleva a persona, che vive criticamente in una società, relazionandosi con essa secondo una sua personalissima visione del mondo. Tema essenziale del suo “riflettere in versi” è quello dell’amore per la vita, che lo porta ad una certa forma di ottimismo. Per Serino l’esistenza umana è degna di essere vissuta e anche la morte non è considerata come la fine di tutto, ma come il passaggio dalla transitorietà all’eternità. Non solo i contenuti sono originali nel poiein dell’autore, ma anche la forma dei suoi testi in massima parte brevi. Il poeta attraverso gli occhi si rivolge alle cose che lo circondano, che vengono trasfigurate in versi, divenendo cariche di senso e di pathos. Ecco dunque il sentire di Serino in “Trasfigurati aneliti”, che esprime la stabile tensione del poeta verso l’universo e anche verso il microcosmo. Il libro è costituito da 45 componimenti tutti forniti di titolo e non è scandito in sezioni. Trasfigurati aneliti potrebbe essere letto come un poemetto vista la sua unitarietà e tutte le poesie che lo compongono fluiscono in lunga ed ininterrotta sequenza e sono risolte in un unico respiro. S’incontrano diversi interlocutori in questa raccolta, ai quali l’io-poetante si rivolge, figure che sono Dio, Gesù, gli angeli e anche esseri terreni dei quali ogni riferimento resta taciuto. Una vena epigrammatica connota il dettato del poeta che pratica una poesia neolirica. Si notano precisione, velocità, leggerezza, icasticità, grazia e armonia nel versificare di questo autore. A volte il tema del sacro si coniuga con quello della classicità, in versi sempre luminosi e controllatissimi.
In “Nell’infinito di noi”, Serino continua ad elaborare la sua personalissima e originale ricerca letteraria. La raccolta è suddivisa in due sezioni, entrambe costituite da quarantacinque componimenti, “Lo sguardo velato” e quella eponima. Se la poesia è in se stessa sempre metafisica, si deve mettere in evidenza che, di raccolta in raccolta, Felice riesce a produrre componimenti collegati tra loro che, oltre ad essere metafisici, sono connotati sempre da un forte alone, o ancora meglio, da un’aurea di sorprendente misticismo postmoderno. Il suddetto si può evincere, sia in testi che hanno come oggetto o tematica figure tratte dall’immaginario religioso, come il Cristo o gli angeli, sia quando il poeta proietta la sua vena trascendente in situazioni del tutto quotidiane, nelle quali l’io – poetante e le varie figure protagoniste, dette con urgenza, sono in tensione appunto verso l’infinito (e qui giocano un ruolo importante le tematiche della nascita e della morte). Un accentuato senso del sacro caratterizza “Nell’infinito di noi”. Esso qui trova la sua espressione estrema, rispetto alle raccolte precedenti del Nostro, nelle quali già si notava. Il poeta sembra suggerirci, con il titolo della raccolta, che noi esseri, come persone, pur vivendo sotto specie umana, per dirla con Mario Luzi, già nel nostro transito terreno siamo infiniti e che le nostre anime sono immortali. I componimenti sono tutti connotati (e non potrebbe essere altrimenti per quanto già affermato), da sospensione e magia che si realizzano nei versi icastici, veloci e leggeri. Stabile è la tensione verso il limite nella ricerca dell’attimo in senso heideggeriano, della vita oltre il tempo degli orologi. Così Serino produce tessuti linguistici pieni di illuminazioni e spegnimenti, nei quali è visibile una luce, che è appunto quella di una realtà soprannaturale, che si proietta tout-court in quella delle nostre vite, restituendoci una notevole carica di senso. Particolarmente affascinante, nella sezione eponima, la poesia intitolata proprio Nell’infinito di noi, nella quale sono stabili visionarietà, sospensione e dissolvenza. In questa il tu, al quale il poeta si rivolge, e del quale ogni riferimento resta taciuto, è Nina, una figura che, nell’incipit, volteggia nelle stanze viola della memoria. Qui si evidenzia una forte tensione attraverso una parola sempre raffinata ed avvertita. Particolarmente alto il verso apparire o entrare nello specchio/ dell’essenza, nella quale è presente una forte valenza ontologica. Nella seconda breve strofa della composizione il tu afferma che qui siamo affratellati nel sangue con la terra e la morte. Poetica mistica, dunque quella di Serino, la cui cifra essenziale è quella di una parola che scava in profondità per riportare alla luce l’essenza dell’esistere in tutte le sue sfaccettature.
Perché il titolo onnicomprensivo La vita nascosta? La risposta risiede nel fatto che nel mare magnum del nostro postmoderno occidentale l’umanità è alienata e vittima del consumismo e del mondo dell’avere che prevale su quello dell’essere su uno sfondo dove Dio è morto e i valori non esistono.
I poeti in generale, e tanto più Serino che oltre ad essere un poeta è un mistico, nel loro pensiero divergente, trovano la felicità in altri modi e la vita nascosta di cui ci parla il Nostro è una vita parallela a misura umana perché sottende l’atto di fede nell’esistenza dell’eternità e non la credenza nel nulla eterno foscoliano.
*
Raffaele Piazza


mercoledì 28 giugno 2017

SEGNALAZIONE VOLUMI = MAKSIM GOR'RKIJ

Maksim Gor’rkij – Minacciosi schiumano i flutti
Versi tra fine ‘800 e inizi ‘900
Fermenti Editrice – Roma – 2017 – pp. 94 - € 15.00

Nota a margine del curatore Paolo Galvagni


Maksim Gor’kij (“Massimo l’Amaro”, pseudonimo di Aleksej Maksimovic Peskov, 1868 – 1936) entra nella letteratura russa e sovietica come narratore. Da semplice giornalista di provincia diviene di colpo – accanto a Lev Tolstoj – il narratore russo più famoso del suo Paese. Il potere sovietico lo dipingerà come il più grande autore russo del suo tempo, padre del “realismo socialista”. Tuttavia testi poetici come “Il canto del Falco”, “Il canto della Procellaria”, “La fanciulla e la Morte” consentono di parlare di lui a pieno titolo anche come poeta. I versi sono una parte imprescindibile dell’opera di Maksim Gor’kij; egli si cimenta in vari generi: la poesia, la ballata, la canzone. “Io scrivo versi ogni giorno”, confessa egli nel 1933 al poeta russo Ivanov. In una delle prime poesie egli si definisce “poeta autodidatta”, che canta inni al futuro: “Non rimproverate la mia musa”. Molti dei suoi versi sono basati sull’ottimismo: la vittoria del principio vitale, del coraggio. “La fanciulla e la Morte” si conclude con l’immagine della Morte che “Costruisce instancabile, indefessa./ Le gioie d’Amore e la felicità della Vita”. Ne “Il canto del Falco” e ne “Il canto della Procellaria” gli elementi naturali (il mare, la tempesta) hanno un chiaro significato simbolico: alle nubi fosche si contrappone la potenza vittoriosa del sole; le forze creative vincono sul lato oscuro della vita, il pessimismo sull’ottimismo.

Gor’kij, narratore, drammaturgo, pubblicista e critico, anche nelle poesie riesce a dire la sua…

Riportiamo alcuni brani tratti dal testo:

…Non accogliete la mia musa
con negligenza e indifferenza;
in questa vita mala e sventurata
io canto inni al futuro
io nuoto, dietro di me
Minacciosi schiumano i flutti.
La via marina è ignota all’anima.
La lontananza è coperta dal manto del buio.

...La Morte taceva e i discorsi della fanciulla
Le struggevano le ossa col fuoco dell’invidia.
Ma il cuore della Morte cosa rivelava al mondo?
La Morte non è madre, ma donna, anche in lei
Il cuore è più forte dell’intelletto.
Nel cuore buio della morte ci sono germogli
Di compassione, d’ira e di malinconia.
A quanto lei amerà di più
A chi è punto nell’anima da perfida malinconia,
Con quanto amore di notte le sussurra
Della grande gioia della quiete!
“Ebbene, - disse la Morte –
sia il miracolo!
Ti concedo – vivi pure!
Ma io sarò accanto a te,
Sarò in eterno vicino all’Amore”…
*
PAOLO GALVANI


martedì 27 giugno 2017

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Specchio”
Il mio pensiero annega nel sogno
ed apre spazi indecisi
che il mistero riesce a dominare.
Non so piangere !
Non so trasformarle lacrime in versi
e versi in lacrime.
Guardo il silenzio del cielo nella notte
e in quel buio luminoso
riparo la fragile cura.
Un istante lontano potrebbe fiorire,
disperdendo i riflessi,
illudendo il ritmo degli spartiti,
l’ombra scheggiata nello specchio.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

lunedì 19 giugno 2017

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTOLOGIA FERMENTI n° 11

"Inquiete indolenze" - antologia a cura di Raffaele Piazza . Ed. Fermenti 2017 - pagg.278 - € 22,00
Raffaele Piazza , con l'impegno ormai noto che lo distingue nel riferirsi alla poesia che oggi si affaccia timida nella ricerca culturale , ha riunito in volume alcune poesie scelte di diciotto autori . In rigoroso ordine alfabetico sono presenti : Giovanni Baldaccini , Franco Celenza , Bruno Conte , Antonino Contiliano , Gianluca Di Stefano , Edith Dzieduszcka , Marco Furia , Maria Lenti , Loris Maria Marchetti , Dario Passero, Anton Pasterius , Pietro Salmoiraghi, Italo Scotti , Antonio Spagnuolo , Liliana Ugolini , Silvia Venuti , Vinicio Verzieri , Giuseppe Vetromile . Per ciascun autore una breve scheda di presentazione , stilata con il garbo della della riflessione e dell'incipit critico, ed in riferimento al registro che l'inquietudine dei versi riesce a trasmettere fra le sensazioni musicali e visive della parola. Le voci si rincorrono armoniose per sobrietà di scoperta, nelle atmosfere multicolori che riescono a realizzare un panorama abbastanza ricco , in questo momento esistenziale così torturato e complesso. La poesia continua a sorprenderci anche nella illusione del tempo.
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 18 giugno 2017

SEGNALAZIONE VOLUMI = MAURO DE MARIA

Mauro De Maria, “Beatritz”, Book Editore, 2017, con una nota critica di Giuseppe Marchetti.

Ci sono libri di versi che si aprono fiduciosi al nostro sguardo, che se ci vedono indugiare smarriti ci offrono immediatamente delle tracce, degli indizi, tali da permetterci di proseguire agevolmente la lettura. Ci sono al contrario volumi di poesia più ostici e oscuri, quasi arroccati; la loro parziale impenetrabilità ci tiene un poco in disparte e però, proprio per i segreti che sembrano gelosamente custodire, allo stesso tempo fortemente ci attirano.
Di fronte al primo tipo di libro dobbiamo evitare di scivolare fra le pagine, di credere che la lettura sia facile (troppo facile); nel secondo caso dobbiamo invece evitare di arrenderci presto (troppo presto), di abbandonare subito il campo, di non accettare la sfida.
Le raccolte di versi di Mauro De Maria, sia il primo e precedente “Trame e orditi” sia, soprattutto, l’attuale “Beatritz” (entrambi pubblicati da Book Editore), hanno l’aspetto di una fortezza compatta, dove i pieni prevalgono sui vuoti, dove non si scorgono comode vie di accesso. Allora bisogna prendere tempo, girare pazientemente attorno ai suoi recinti finché, come premio della nostra costanza, all’improvviso si spalanca una porticina che ci invita ad entrare.
Una volta dentro, scenari e paesaggi radicalmente mutano. Ci si trova proiettati e immersi nel medioevo prezioso e incantato dell’amor cortese, dei trovatori e dello Stilnovo. Nella “Nota a margine” l’autore di questo libro davvero originale, insolito e sostenuto da notevoli maestria e abilità stilistica, precisa: “Beatritz si configura come una riproposizione, il più possibile personale, dell’idealizzazione della donna amata e della sua trasformazione in una sorta di figura angelicata. Al contempo abbondano nel testo dichiarazioni di fede nell’arte e nella poesia che divengono elementi di potenziale superamento del tempo e si delineano come un credo parallelo a quello della donna trasformata in elemento divino”.
Beatritz è la principale, quasi assoluta protagonista. Evitiamo qui di inoltrarci e di lasciarci irretire dal labirinto di citazioni e riferimenti colti, limitandoci a segnalare, per il momento, che le poesie (cinquanta, più un incipit e un congedo) formano una coesa collana di versi dove la parola conclusiva di ogni singola composizione diviene quella iniziale della successiva. Giustamente il critico Giuseppe Marchetti, nella sua Nota conclusiva, sottolinea che l’opera di De Maria è “una conversazione ininterrotta con l’oggetto amato”.
L’amore di cui nel libro si parla è fondato sulla gentilezza d’animo e dei modi; è casto e spirituale. Tra innamorato e amata si frappone una distanza incolmabile, ad ogni slancio in avanti del primo segue uno spontaneo retrocedere della seconda. E questa impossibilità di raggiungersi, di sfiorarsi, di toccarsi, genera contemporaneamente sofferenza e desiderio. L’incontro è perennemente rinviato e procrastinato, il tempo dell’attesa si dilata a dismisura; “la compenetrazione di due corpi” e la fusione di “due esistenze” si rivelano mete impossibili. Lui (“il vinto trovatore”) e lei (la “dama irraggiungibile”) si muovono all’unisono e in maniera sincronica, mantenendo inalterata la loro distanza. Non esistono varchi e scorciatoie, esiste invece un “flusso d’amore / che migra verso te ogni giorno / varcando le colline / e di notte riporta tue notizie / avanti e indietro senza posa”.
Al poeta non resta che tradurre in versi questo amore sfolgorante e sfuggente, intenso e negato; alla poesia spetta la magia di farlo vivere in parole e di renderlo memorabile: “Guardare la tua vita a me negata / ha mutato i miei tremuli silenzi / in parole posate sulla carta / nella fragile attesa che i tuoi occhi / guidassero nei solchi della stampa / anche il tuo cuore che il mio sempre scarta”.
*
Giancarlo Baroni

venerdì 16 giugno 2017

Napoli teatro festival - un evento che segna nel tempo la ricerca poetica -


Dal 14 al 24 giugno 2017, inizio ore 19
Poeti di oggi e del passato a Villa Pignatelli (Napoli - Riviera di Chiaia)
*******

Io e tu / Pagine nascoste
Sezione Letteratura e Cinema del Napoli Teatro Festival Italia
****

Io e tu: sono i due pronomi dei poeti.
L’io che scava in se stesso, come volesse arrivare al centro della terra.
Il tu che si cerca, sporgendosi verso l’altro: amandolo, lasciandolo, anelandolo. Il tu che appare e scompare, come la passante di Baudelaire. O come il tu snodabile e plurimo, ma pur sempre uno, di Montale.
Nella loro relazione, io e tu s’inarcano nel ponte del noi.
Io e tu: è il titolo di una rassegna che nasce in contiguità con il teatro.
È la poesia la pratica letteraria più vicina a quella del teatro.
È la poesia che non ha mai abbandonato il rapporto con l’oralità.
Sono spesso i poeti a ricordare la necessità di essere accoglienti con chi è fuori di noi.
Ecco dunque dieci incontri, nati dal desiderio di fare un cerchio, prima che il sole tramonti, e di abitarlo bene.
Ci sono attori che amano poeti e se ne fanno palcoscenico vocale. Ci sono poeti che dialogano con altri poeti.
E ci sono voci che dalla parola parlata sanno trasbordare nel canto, come in una risalita verso l’origine.
E ci sono jam session poetiche. Si ascolteranno parole dal vivo e si potranno vedere film che raccontano storie di poeti del passato. E ci sarà anche una libreria interamente dedicata alla poesia.
Il tutto è accolto da Villa Pignatelli, la quale per dieci giorni sarà una vera e propria casa della poesia.
Come anni fa si trasformava nella casa della musica da camera, lasciando che il pubblico potesse con libertà frequentare le prove. A quel modello s’ispira deliberatamente Io e tu.

Agli incontri con i poeti d’oggi si accosteranno storie di poeti del passato, raccontate in alcuni cortometraggi, messi a disposizione dal Festivaletteratura di Mantova e Cine Agenzia.
È un work in progress. Versi che contengono altri versi. Tracciati di esperienze. Film.
Pagine nascoste. Titoli e pellicole che è molto difficile trovare nelle consuete sale cinematografiche.

Silvio Perrella

martedì 13 giugno 2017

RIVISTA = FERMENTI 245

Rivista “Fermenti” 245
Considerazione su poesie facenti parte del n. 245 (2017) di “Fermenti”.

- Poesia -

Ricco per numero di pagine e con un sommario articolato il numero 245 di “Fermenti”, rivista a carattere culturale, informativo, d’attualità e costume, diretta da Velio Carratoni,
In questa sede ci soffermiamo sulla sezione poesia, in particolare su “Le insegne non radiose” di Domenico Cara, “L’esperienza” di Ariodante Marianni, “Hai negli occhi il fulmine d’autunno” di Antonio Spagnuolo, “Extravaganti indignazioni” di Eleonora Bellini e “Il libro d’Ismaele” di Mauro Ferrari.

“Le insegne non radiose” è costituita da trentaquattro componimenti in massima parte brevi ed eterogenei per quanto riguarda le tematiche affrontate. Con questa sequenza Domenico Cara, studioso d’arte e di letteratura, editore e giornalista, conferma la cifra essenziale della sua poetica che è intellettualistica nella sua originalità, del tutto antilirica e fondata sulla riflessione.
A livello formale si registra un controllo in tutte le composizioni risolte nella loro compattezza. Nella raccolta si evince un pessimismo a partire dal titolo, scetticismo mitigato da una raffinata ironia e da un sottile psicologismo.
La scrittura è avvertita e ben cesellata. I versi procedono per accumulo nello sgorgare le immagini le une dalle altre. Si realizza un tono epigrammatico e gnomico nelle strofe in ininterrotta sequenza.
Le poesie hanno un carattere didascalico e lo stile è spesso anarchico, tendente all’alogico. S’inverano magia e sospensione in questi lavori che possiedono una forte densità semantica, metaforica e sinestesica.
Non mancano, nel tessuto linguistico, permeato da accensioni e spegnimenti, splendidi squarci naturalistici molto rarefatti. Visionarietà e magia sono presenti nel creare un’atmosfera di forte onirismo purgatoriale. Dominano armonia e musicalità arcane raggiunte attraverso il ritmo cadenzato e sincopato.
In ogni incipit i versi decollano sulla pagina per planare dolcemente nelle chiuse.
Alcune poesie esemplificano in versi concetti: questo avviene, per esempio, in quelle intitolate Turbamento, Allegoria quotidiana, Il pittoresco e Fermento. Altri testi hanno per nucleo di fondo le icone di animali e specie vegetali viste in modo sempre intellettualizzato.
Un cosciente esercizio di conoscenza quello di Cara nella serie composita e articolata architettonicamente.
“L’esperienza” di Ariodante Marianni, nato a Napoli, già segretario di Giuseppe Ungaretti, è costituita da tre poesie elegantemente risolte, che fanno parte di liriche inedite, composte probabilmente ai primi anni del duemila.
Tema centrale nei suddetti componimenti è quello del dolore che può essere superato attraverso la ricerca della felicità, tentativo raggiungibile, che non rimane una chimera. Secondo Marianni, che era ossessionato dal tema del labirinto nel suo poiein, la felicità ci è dovuta e può accadere.
Nella prima poesia, la più estesa, mentre il poeta pensa di stringere in pugno i bisogni dell’anima, s’imbatte in un giornale nel quale legge notizie di rapine, uccisioni, violenze, corruzioni e molti annunci economici.
La triste quotidianità degli articoli di cronaca, letti sul giornale stesso, ha per antidoto la pienezza della mente attraverso la poesia, il vivere poeticamente ogni momento come diceva Borges.
Nel vocio di alcune donne il poeta capta l’augurio per se stesso che una parte almeno del cammino che l’attende sia di calma, di fortezza e amore.
La terza poesia è contrassegnata da evocazioni suggestive di Roma e della sua storia attraverso l’immagine di un carretto evocatore di fascino, guidato da un cocchiere, che corre colmo, traboccante di carbone sui sampietrini.
Le composizioni, senza titolo, presentano il numero dal quale sono contrassegnate. Nella maniera affabulante e narrativa di Ariodante ritroviamo chiarezza insieme alla luminosità del dettato.
“Hai negli occhi il fulmine d’autunno” di Antonio Spagnuolo, nato a Napoli, inserito in molte antologie e che ha pubblicato numerosi volumi poetici, molti dei quali premiati, è una sequenza costituita da sette componimenti corposi. In essi anche i versi lunghi sono ben controllati. Nella silloge riemerge il tema delle recenti raccolte dell’autore, quello del trapasso della sua amatissima compagna di vita e del suo relazionarsi con lei che continua nell’immaginario rievocativo.
Da notare che Spagnuolo, pur soffermandosi sempre sullo stesso argomento, realizza un repertorio di variazioni che sembra inesauribile.
Il “tu” al quale il poeta si rivolge è proprio la consorte, nella sua presenza – assenza, della quale sono detti anche elementi fisici. Questi creano atmosfere erotiche, nei versi raffinati e ben cesellati, dove dominano metafore e sinestesie folgoranti.
In un componimento viene svelato il nome di Elena, che penetra nel sangue del poeta.
Nei testi si delinea un lavoro suggestivo, tramite architetture testuali che hanno qualcosa di barocco.
L’autore prova un forte struggimento per il silenzio della compagna che non profferisce “ti amo” quando il labbro rimane serrato.
Si realizza uno scatto e uno scarto memoriale che non è nostalgia, ma tentativo di una riattualizzazione dei momenti caratterizzati da un’immensa attesa sottesa all’amore. Solo con la poesia si può raggiungere la suddetta condizione e Spagnuolo ne è pienamente conscio.
Nei testi, paragonabili a partiture musicali articolate, emerge una liricità tormentata.
Il dolore e l’ansia sono controllati e sono evocati eros e pathos nel desiderio del poeta che la moglie non sia morta. L’angustia diviene produttiva e catartica nei versi ben controllati e cesellati.
Nel fluire icastico dei sintagmi si realizzano continue analogie e straniamenti che creano atmosfere di un’atemporale magia, che diventano varchi salvifici.
In “Extravaganti indignazioni”, breve silloge costituita dai componimenti L’illuminazione della biblioteca, La manutenzione e Il ringhio, Eleonora Bellini, poetessa e scrittrice, ispiratrice e dedicatoria del volume Un amore senile, di Ariodante Marianni, realizza una poetica nello stesso tempo vaga e inquietante nel serpeggiare del tema della morte e del suo senso, connesso esplicitamente a quello del male.
Si tratta di un fare poesia descrittivo nella sua vena sarcastica e lo stile è caratterizzato da chiarezza e narratività.
L’illuminazione della biblioteca è una composizione originalissima per il suo tono affabulante, permeata spesso da nonsense, che si potrebbe definire un racconto in versi.
C’è nella rappresentazione della nuova illuminazione della biblioteca stessa una ricerca dei particolari più minuziosi e si evince dal discorso che l’autrice rimpiange la precedente illuminazione. Questa diviene simbolo di una storia migliore, di un passato nel quale la stessa luce diveniva metafora della pienezza.
Quelle prodotte dalla Bellini nei testi in questione, come dal titolo, sono immagini stravaganti. L’indignazione si coglie nell’incipit del suddetto componimento, mista a dolore, quando la poeta afferma che l’illuminazione della biblioteca stessa fu affidata ad un imbecille. Qui viene trattato il tema del lavoro congiunto con quello spinoso della meritocrazia, perché è detto che lo sprovveduto mai avrebbe potuto degnamente illuminare piazze, incroci, sale consiliari e uffici di manager.
Gli fu affidato l’incarico forse per motivi clientelari. E qui il discorso si fa originalissimo perché è trattato il tema economico nel privato, che si riflette nel pubblico.
C’è cinismo e dissacrazione nei versi della Bellini quando afferma che le lunghe lampade usate sarebbero state più intonate agli obitori, nelle sale d’autopsia, negli hangar, nei depositi bagagli e forse anche nei magazzini dei prosciutti di Parma.
Così Eleonora produce sensazioni e atmosfere di tipo kafkiano, inquietanti e misteriose, nonché surreali.
Tinte grottesche e quasi macabre e cimiteriali si ritrovano in La manutenzione. In essa si parla della manutenzione stessa di un futuro cadavere (espressione intrigante, ambigua e paradossale) con vari riferimenti alla corporeità. Infatti viene manifestato il fitness come rimedio e come alimentazione acqua in abbondanza, verdura e frutta secca e anche cosmetici per le rughe (creme e riempitivi), gel intorno agli occhi e infine a tutto il corpo massaggi d’Oriente sopra i prati.
Nelle due strofe finali del suddetto componimento l’autrice si chiede se si può dilatare il tempo e assaporarlo come si fa coi bei pensieri consegnati ai più riposti segreti della mente. Nel distico che chiude il componimento la Bellini risponde pessimisticamente alla suddetta domanda, affermando che la vita è breve e conviene ingurgitarla.
Nel componimento più breve, Il ringhio, emergono descrizioni sconcertanti nella loro icasticità. Si parla di una prima cittadina che, oltre a lanciare un ringhio, con la bocca, vorrebbe anche morsicare.
Ella, in un sogno ad occhi aperti, se la prende, sputando ingiurie, contro imprecisati volumi allineati. A tali imprecazioni risponde il silenzio misterioso dei personaggi dei libri e poi un volume, una raccolta di leggi, in un’atmosfera irreale, le plana sul capo, quasi animato da un meccanismo, una forza oscura.
Una crudezza di toni permea le poesie della Bellini anche nella chiusa del suddetto componimento, quando la prima cittadina tace attonita, non tanto per la temeraria impudenza di quel libro, ma per avere inghiottito un dente.
Nelle descrizioni di Eleonora, nell’enuclearsi del peggio possibile, è presente un forte controllo formale e la materia, sempre incandescente, non si apre mai alla mera disperazione, grazie all’ingrediente dell’ironia.
“Il libro di Ismaele” di Mauro Ferrari, nato a Novi Ligure, direttore di Puntoacapo, dell’Almanacco Punto della Poesia italiana e della Biennale di poesia d’Alessandria, è una serie strutturata in sette poesie.
C’è da evidenziare che nell’Antico Testamento biblico Ismaele è il figlio di Abramo e della schiava Agar e che Sara, moglie di Abramo, s’ingelosisce vedendo giocare Ismaele bambino con Isacco, suo figlio.
Nel racconto biblico Dio disse ad Abramo che dallo stesso Ismaele sarebbe nata una grande stirpe.
Ferrari, rifacendosi alla Bibbia, nel primo componimento, che sembra fare da prologo, afferma che Ismaele era tornato, aggrappato al suo nulla per galleggiare, quasi morto senza aver vissuto, avendo schivato rischi ed errori.
Ismaele è conscio di essere lui il predestinato nel raccontare quella vera storia essendo alla ricerca della sua identità come se dovessero definirla gli altri. Vuole farsi raccontare chi era, andando per il mondo.
I versi di Mauro, connotati da magia e sospensione, creano atmosfere vaghe, essendo colme di un’armonia rarefatta. Negli altri sei componimenti è stabile quasi sempre la presenza di un “tu” al quale il poeta si rivolge, presenza che, presumibilmente, è Ismaele stesso nella sua misteriosa ricerca di pace e di salvezza.
Affabulante è la poetica del Nostro in queste composizioni a volte chiare, nitide e luminose, nelle quali c’è una forte dose di narratività, che potrebbero essere definite di prosa poetica.
Sembra che in ogni attimo, nel dipanarsi della scrittura, la voce del poeta si metta in relazione con Ismaele stesso, uomo eletto, per rasserenarlo, tranquillizzarlo e per trarlo in salvo dai pericoli:-“…/un braccio teso può salvare, trarti via//”.
Lo stile è sinuoso e avvertito e la forma controllatissima e in alcuni passaggi il tono si fa quasi iniziatico:-“/E poi considera: non sai/ in fondo, che abbraccio vai cercando/ e quale voce ti darà la voce; che fine/ per i tuoi troppi inizi. Se guardi/ in basso vedi le offese/ di chi ha percorso questa stessa ascesa:/…”.
Nei suddetti sintagmi in un’aura magica ci si rivolge con urgenza proprio a Ismaele che poi sale per la massima pendenza, senza smuovere un sasso, come se non avesse impronte.
La trama, nella sua visionarietà, si può considerare di qualità, anche per la sua originalità e ricerca umana biblica. Quello che emerge, nonostante le tante difficoltà che incontra il protagonista, è una vena di ottimismo perché il personaggio veterotestamentario non soccombe ma trova alla fine la vittoria.
Infatti, non a caso, nell’ultima delle poesie di quello che potrebbe essere considerato un poemetto, Ismaele riferisce a genti amiche di come fu salvato, lui, che avrebbe avuto vita e dimora duratura.
*
Raffaele Piazza









lunedì 12 giugno 2017

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Palpebre”
Ho gli occhi di mio padre , le palpebre socchiuse
nel crepuscolo grigio che si increspa,
un’opaca dolcezza che a volte seduce
a volte bruscamente cancella una carezza.
Superato i suoi anni ora conosco la cenere
che annulla i profili e fuori dell’ora
rende inaudibili le sillabe a fior di labbra.
Tranne i colpi che a tanto caro sangue
segnava nei suoi tratti nulla rimane
e ancora la candela consumata
rifiuta le preghiere indiscrete.
*
Antonio Spagnuolo

domenica 4 giugno 2017

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia incinta a 16 anni"

Si ridesta Alessia ragazza dal sonno
senza coperte e pensa e si aggrappa
a un sogno. Poi nuda allo specchio
intravede del ventre la rotondità
(sono incinta a 16 anni). Lo sa solo
Giovanni che possiede € 200 e io
nulla. I genitori non lo sanno.
Piange Alessia lacrime salate
a giungerle alla bocca nel sapore.
(Mi faccio ammazzare ma il bambino
nascerà).
Squilla il telefono ed è Giovanni
(Non ti lascio Ale non temere!!!
Sono presto a casa tua!!!).
Il fazzoletto bianco per Alessia
a contare gli attimi.
*

"Alessia conta le stelle"

Lo spazio scenico è il Parco
Virgiliano. Notte. Il cielo è
infiorato da stelle – rose a
sbocciare in luce ad alonare
di Alessia del sorriso la forma.
Estasi mistica nell’accadere
del realizzarsi dei desideri di
ragazza Alessia. Squilla il
telefonino e lui dice: ti amo!!!
Ansia a stellare Alessia nel
lucore rarefatto e la casa
non è lontana. Attimi disadorni
poi scopre la luna Alessia
e pensa che le sono venute.
*

"Alessia si abbronza al sole"

Sapore di sale per Alessia
dopo di mare il bagno a Torregaveta.
Imminenza di spiaggia
per ragazza Alessia in due pezzi
ad abbronzarsi. Il sole è diventato
un rosso dischetto nel tempo
meridiano di un giugno che mantiene
le promesse di caldo e luce.
Bionda Alessia con occhi azzurri
la pelle a farsi scura senza intervento
di persona. (Così gli piacerò di più)
pensa Alessia nel rinfrescarsi
al vento.
*

"Alessia e la pace"

Il lago nell’anima di Alessia,
di aprile acque fresche a tessere
una freddezza nuova. Attimi
stellanti e lentamente sul suo
bordo liquido Alessia ragazza
una candela accende dove
era già venuta in settembre
a bere la luce velata di momenti
di platino e d’aurora. Attesa.
La pace si distende in di Alessia
l’anima sinuosa e infinita.
La trova nella sua fotografia
con la scritta Ad Alessia per la
vita. E sarà una bella vita pensa
Alessia dopo 3 esami all’università
e quelli dell’esistere.
*

"Alessia e il rossetto"

Labbra baciate di Alessia
ieri da Giovanni. Adesso
ragazza Alessia le tocca
e pensa (è stato qui).
Poi sparge il rossetto
pari a fragola, la tinta
dell’anima e nello specchio
si guarda Alessia come
una donna (sedici anni
come sedici fiorite rose).
A poco a poco spedisce
il bacio ragazza Alessia
e per gioco toccano
della vita la sorgente
*

"Alessia attende luglio"

Sera di giugno nel campo
di grano profano per ragazza
Alessia al colmo della grazia
a fare secondo natura l’amore.
Attende luglio rosa vestita
per la vita nel chiaroscuro
lunare di un cielo che gioca
a entrare negli occhi e all’anima
giungere dove era già stata
la gioia di altra luce.
Poi si disperde un jet tra
le nuvole e attende il viaggio
Alessia.
*

"Alessia nella Villa Comunale"

Sinfonia di vento fresco
a raggiungere di Alessia
di 18 grammi l’anima.
Ore 20 a Napoli nella Villa
Comunale tra alberi centenari
e quelli nuovi in un soffio
di pioggia dove ragazza Alessia
era già venuta sette anni fa.
E i cani al guinzaglio e quelli
sciolti tra senza nome le piante
e nel cuore per Alessia una
poesia.
Vede la Villa Comunale
ancora esiste.
*
"Alessia libera nel suo film"


Fiumi d’inchiostra per Alessia
nei diari assiepati sulle mensole;
il tempo attende la disadorna
via serale. Libera entra Alessia
nel suo film ragazza a vivere
una vita parallela di preghiera
per l’amore profano e duale.
Una scena nel film (Alessia
a fare l’amore nel campo di grano).
Giovanni giunge in auto
verde petrolio e la bacia sulla
bocca di parole (fiore, cuore,
amore).
*

Raffaele Piazza

sabato 3 giugno 2017

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Futuro”
Mi curvo a scrutare il futuro,
un futuro che non concede speranze,
perché ha le notti interrotte dall’insonnia.
Fra queste quattro mura , sempre eguali ,
dove il fruscio delle tue cosce rompeva il tempo,
vado scorrendo le ore senza più pazienza
e interrompo preghiere poco fedeli
perché non credo agli incanti , arruffati
all’antico genio delle crepe.
Cerchio perpetuo che non riesce a fermarsi,
segnato dall’avvicendarsi del ricordo,
e rompe nel mio petto ad una ad una le costole
con i silenzi rimbalzo alle pareti.
*
ANTONIO SPAGNUOLO
**
Riceviamo e pubblichiamo : ---Caro Antonio, in questa poesia trovo (sento) la tua più forte vibrazione esistenziale. In cui la speranza si coniuga con la consapevolezza dei limiti assegnati dalla storia e dal tempo. Versi autentici, fini , sino alla sofferenza per non potere decidere dove e quando. Versi di grande sentimento della mancanza della persona amata, che amplifica il senso di vuoto che include l'io poetico alle scadenze inesorabili dell'umana vicenda.
Caro Antonio, questa è vera poesia. Un abbraccio

Ottavio Rossani -----

giovedì 1 giugno 2017

RIVISTA = NUOVO CONTRAPPUNTO

NUOVO CONTRAPPUNTO -- anno XXVI - gennaio marzo 2017 -
Sommario :
Elio Andriuoli : Ad Aurelio Valesi , Ad Archiloco
Silvano Demarchi : A Maiorca , Gli usignoli di Samotracia
Guido Zavanone : Tastiere , Verrò fuori di nuovo
Giuseppe Cassinelli : A Elena Bono pensando una sua lirica
Lucio Pisani : La cosa più bella , Tendono alla chiarità le cose oscure
Luigi De Rosa:Approdo in Liguria , Perché tanto splendore?
Enrico Rovegno : Parole nella sera
Bruno Bartoletti : Un angelo caduto , Dove sei ? , Solo un segno
Tiziana Monari : Gino (dedicata) , Sulla rotta di Mordor
- Opera grafica di Remo Abelardo Borzini
- Recensioni a firma di Elio Andriuoli , Luigi Reina, Franca Alaimo