venerdì 27 aprile 2012

Poesie = LUCIA GADDO ZANOVELLO

INCONTRI --

Mi piange il cuore anche per l’ago
di un nulla detto o che non ha detto nulla
irreplicato gesto che non ama
o gesto tardo o sminuito, nella forma
lieve.

Invece è forte e desto e pronto, atto
che si leva al giusto tempo,
e nodo che tiene
come all’arco che si piega
per lo slancio
del centro fatto.

È incontro unisono nel canto in coro
diretto dall’attenti dell’ordine che chiama.

Qui s’ha da fare un gioco che parli e dica chiaramente.
Qui s’ha da stare in più d’uno su questo piedistallo
aperto per le stelle
e l’annuncio è in luce dalla fonte:
in con passione ama l’anima
inappartiene
le mani al cuore date
per ritrovare a terra
erme di bellezza sciolte e sparse gemme
negli incontri
imperlati dell’oro dei sorrisi.

(sette settembre 2011)
**

REPORTAGE --

Il riepilogo stornò la somma cumulata
delle promesse ricusate.

Le creature della luce, dell’erba e del volo
tumulate
nel fango divelto dall’eresia delle ruspe.

Stilettate di sfregio all’amore dei padri.

E non si ferma il braccio temerario
della follia infedele
steso sul sacro suolo dei morti.
Non basterà l’argine della legge.
Non salva il divieto
dal furore della protervia,
dagli squilibrati mezzi difformi
a questo ninnolo mondo d’argento molle,
decapitato senso della vita.

Tutto sommerso
dall’ebbrezza dell’esaltazione
nel vortice gorgo della bestiale noncuranza.

Dissanguato il disegno sogno di tuo padre.
Tu, il primo figlio, tu l’hai destituito,
deriso, sfruttato, l’hai svilito e disprezzato,
tu hai scempiato nella bestemmia falsaria
l’implosa famiglia.

Scaverai ora, fino al centro della Terra,
fino al fuoco che consuma
nel piombo fuso
ogni ricordo.

(luglio 2011)
*
LUCIA GADDO ZANOVELLO
*
Lucia Gaddo Zanovello è nata a Padova l’11 aprile 1951. È stata docente di lettere nella scuola media fino al 2010. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Porto Antico (Padova, Edigam, 1978); Bramiti (Firenze, La Ginestra, 1980); Da serpe amica (Padova Press Edizioni, 1987); Semiminime (Padova Press Edizioni, 1988); Per erbe piú chiare (Sora – Fr- Edizioni Dei Dioscuri, 1988); nel 1998, per le Edizioni Cleup (Cooperativa Libraria Editrice Università di Padova), la raccolta retrospettiva relativa agli anni ’88 -’98, in cinque volumi: Nóstoi (che include Fiordocuore), Fatalgía, In lúmine, La trilogia del volo, La partitura; Il sonno delle viole (Padova, Cleup, 1999); Un parlare d’acqua (Padova, Cleup, 2000); Solargento (Padova, Cleup, 2000); Memodía (Venezia, Marsilio, 2003); Silentissime (Limena – Pd - Imprimenda, 2006); Ad lucem per undas (Novi Ligure – Al - Joker, 2007); Amare serve (Padova, Cleup, 2010); Illuminillime (Padova, Cleup, 2011); Rodografie (Padova, Cleup, 2012). --

giovedì 26 aprile 2012

Notizie = Riviste

STEVE - rivista di poesia – N° 41 – autunno-inverno 2011 –
Sommario :
Carlo Alberto Sitta : Il cantiere della poesia
Marco Fregni : Giancarlo Pontiggia al Laboratorio di poesia
Irene Palladini : Polvere diluce (G.Pontiggia)
Giancarlo Pontiggia : Il confine della polvere
Mario Moroni :La parola fine
Marco Fregni : Carlo Giuliano
Giuliano Mesa : Before morning you shall be here
D. Bisagno : I luoghi ermetici e la religione delle altezze
Marco Fregni : Parola e corpo
Laura Accerboni : Oltre confine
Mario Moroni : Intendere a oltranza
Maddalena Vaglio Tanet : L’assente
Giorgio Mobili : Lip service
Miria Baccolini : Alice in wonderland, II
Marco Fregni : Poesia dell’ombra e dell’onda
Laura Accerboni : La parte dell’annegato , II
Gabriella Sica : La sua vita per immagini
Carlo Alberto Sitta : Il mare sotto casa
Antonio Porta : Cambiare la voce
Mario Moroni : Il mostro del lago Seneca
Carlo Alberto Sitta : L’età del gesto , XI
Antonello Borra : Autoscatti
Fabio De Santis : Il banco delle riviste
Carlo Alberto Sitta : La carta dei libri, XX
Riferimento : labpoesiamo@libero.it

mercoledì 25 aprile 2012

Poesie = Flavio Vacchetta

A GUIDO---

se potessi del silenzio
studiarne la mappa
la tonicità del fiore agli occhi
per vedere me stesso, una candidatura al sole
questa quiete, questo fitto ricovero
è una penombra di Guido

se potessi restare appeso semplicemente
tra mare e sole appena svelati
ah, cavalcherei quest'onda col mio dolore
ravviverei le acque del Giordano sporche di chemio
nella scoperta della scala luminosa di Guido

se potessi, se potessi
ah non poterlo fare
tuttavia custodirei
con malinconica ferita
il ricordo di Guido

ma posso vedermi i nudi piedi
spalancarmi gli occhi
abbandonarmi al sole
riaprire al vento
le persiane di Guido

tuttavia raccoglierò con fierezza
l'eredità di un esempio
sopra il cuore di Guido
*
FLAVIO VACCHETTA
*
Flavio B.Vacchetta è nato a Bene Vagienna dove vive e lavora.
Ha pubblicato diverse raccolte poetiche: Nel segno della bilancia
(2000), Silente meridiana (2001, prefazione di F. Piccinelli), Sorgenti
(2002), Universo vagabondo (2003), Altra metà (2005, prefazione di M.
Della Ferrera), Akeldamà (2009, prefazione di G. Bàrberi Squarotti e M.
Della Ferrera) È presente in numerose antologie letterarie. Appassionato
di astronomia ha fondato il “Gruppo Astrofili Benesi” e collabora con l’Uai
(Unione Astrofili Italiani). Il connubio fra astronomia e poesia si ritrova in
una recente mostra fotografica e in un dvd, da lui curati e dedicati all'"astropoesia

martedì 24 aprile 2012

Poesie = Francesco Paolo Tanzj

(Poesia d’occasione)
ODE AL MARE E AI POETI VAGANTI
*
Fosse il mare l’occasione migliore
Per dare un taglio a questi affanni rovinosi
Per affrontare a viso pieno la burrasca degli anni
E del gioco crudele dei ricordi
Sceglierei di partire sul tavolato salmastro del Kon Tiki
Senza conoscere mete suggerite né tantomeno plausibili obiettivi
Riconoscibili da una ragione che tenta l’infinito
Senza speranze di penetrarne il nome che non è
Vagando, a lume di naso
Sugli inclinati piani di un’assoluta meraviglia
Per lasciarmi stupire ogni volta
Da miraggi di terre emergenti
Da luminosi lungimiranti segnali
Di visi, volti, popoli, profumi, sensi incantati
Di nostalgie tenerissime e improvvise.


Sciogliersi, fluire, perché no, lasciarsi andare
Al freddo o caldo senso di un umido ancestrale
Come Martin Eden che dall’oblò della notte
Sprofondò nel buio senza più parole
Senza ritorno, senza più santi in paradiso
Senza neanche l’illusione di ipotetiche reincarnazioni
Tali da giustificare eventuali pentimenti finali
Senza ne’ bene e ne’ male
Solo lievi, impercettibili correnti
Fredde o tiepide come amniotici richiami
Onda su onda, e sotto
L’ombra mobile di una presenza antica (oscura)
Perduta testimonianza
Di ciò che è stato e che sarà.


I poeti hanno col mare un rapporto speciale
Privilegiato, si potrebbe ipotizzare
Forse perché inseguono mete, isole sperdute
Vissute nei sogni inappagati
Come inutili chimere e sonnacchiose
E partono, partono senza sapere
Quale sarà l’approdo, l’ultima Thule
Ansiosi di messaggi sovrumani, appesi al filo tenue
Di un’avvolgente solitudine amica
Stelle comete in cerca del loro salvatore
Eroi senza tempo senza rancore
Ingenuamente affezionati a parole insufficienti
A raccontare il turbinio dei loro sensi.


Per questo amano lasciarsi affascinare
Dal movimento incessante dell’acqua
Madre unica (per noi terrestri)
Di biologiche storie (per noi) legate al fato
Di millenarie sofferenti agonie
E preferiscono riconoscersi in pochi, lasciando segnali
Al tempo indifferente
Ai troppo umani tentativi
Di impedire
Che le cose siano così come sono
Fragili, a volte indecisi, imbarazzanti
Nella loro sostanziale ingenuità
Caparbiamente attaccati
All’unico minimo comun denominatore
Di quell’insopprimibile anelito a voler cavalcare l’infinito.


I poeti si ritrovano all’alba e al tramonto
Perché vogliono fare il punto della situazione
Si parlano si cercano si scambiano occhiate
Gratificati comunque dal fatto che qualcuno li starà a sentire
Cosa non facile, dato il freddo di quest’epoca infame
Dove assai poche sono le anime assetate
Di trovare finalmente una qualche via d’uscita
Alla volgarità di un’esistenza banale
Alla pochezza degli estratti conto e delle leggi di mercato
All’andirivieni delle grigie figure di potere
All’inutile chiasso di pulsioni virtuali
Subliminalmente affioranti nella melma appiccicosa
Delle perdute stagioni che ci tocca affrontare.


Altre acque, altri mari vorrebbero solcare
Gli improbabili battelli e le scialuppe incatramate
Di questa strana inattuale genìa
Di poveri cristi, poeti vaganti sul mare
Delle notti faticose, abitate
Dai ridicoli folletti delle occasioni perdute
Perché si lasciano travolgere dagli eventi
E non possono reagire
E in altre certe occasioni non sanno che fare
Ripromettendosi di vivere oltre i versi, al di là delle parole
Consapevoli in fondo
Della loro sovrabbondanza d’amore
Che spesso li lascia smarriti
Alti, lassù
Nelle vertigini che troppo pochi saprebbero abitare.


Vorrei dirti
Ma non posso, non ne sono capace
Di quest’oceano ingordo che ci avvolge i pensieri
Della salsedine
Degli orizzonti andati a farsi benedire
Degli incontri fugaci, dei grilli parlanti
Dei venti dell’est, dello zenit, delle aurore boreali
Dei deja-vu, dei gesti quotidiani
Dei segni misteriosi, delle attese, dei risvegli improvvisi
Di questo viaggio
Che sembra non finire mai
Lungo le rotte
Che portano là dove continua a tramontare il cielo.
*
(Agnone – Tremiti – Agnone - Agosto 2006)
FRANCESCO PAOLO TANZJ

*
Francesco Paolo Tanzj, nato a Roma, vive per scelta nel Molise, ad Agnone, dove ha diretto per anni i Readings di Poesia Contemporanea, con Luigi Amendola, Plinio Perilli, Dario Bellezza, Max Manfredi, Maria Luisa Spaziani, Alberto Bevilacqua, Antonio Spagnuolo, Giuseppe Jovine, Dacia Maraini, Sabino d’Acunto, Stanislao Nievo, Amelia Rosselli ed altri.
Ha pubblicato in prosa Elogio della Provincia (1999) e il romanzo Un paradiso triste (2007), e cinque libri di poesia: Aggregazioni (1974), Oltre (1995), Grande Orchestra Jazz (1996), Per dove non sono stato mai (2002), Oltre i confini - Beyond Boundaries (2008). Quest’ultimo è stato scritto a quattro mani con la poetessa londinese Jessica d’Este, con testo a fronte inglese-italiano, per un tentativo di comunicazione autenticamente europea e globale.
La sua ultima pubblicazione è la silloge antologica “L’oceano ingordo dei pensieri” Ed. Artescrittura, Roma 2012. Frequenti le sue incursioni nella multimedialità, di cui è testimone il CD video-poetico-musicale “Ad alta voce” (2001-2010), dove le sperimentazioni visive si uniscono alle elaborazioni sonore dei testi. Visitabili anche su youtube. - Per ulteriori notizie: www.francescopaolotanzj.it

domenica 22 aprile 2012

Poesie = Giuseppe Panella

-- I --
Non so più quando ho capito
che il mondo è fatto soltanto
delle cose che si amano, del piacere
o del dolore che si accetta come tale,
senza finalità, senza rimpianti…
la mia realtà di ieri si congiunge
con quella sconcertata dell’oggi
e si rinsangua del progetto che la nutre
e la consacra, la conserva e la prosciuga
nella pura e semplice capacità del suo
rinnovamento…
e ogni volta è sempre più facile
cambiare pelle e vestito,
spogliare il corpo per prenderne piacere,
consultare la dolcezza dell’anima
per nutrirla dei sogni profondi
che il tempo ha fatto maturare
per gioirne e saturarsi del suo effetto
dirompente, salvifico, ingegnoso…
non ho paura di scoprirmi e di incitare
la mente a riempirsi dell’immagine
che ogni volta, tutte le volte,
inventa e predispone
per raggiungere una verità parziale,
mai la stessa,
sempre il sogno o la scoperta,
e non la morte assurda
che rimando, intimorita, al mio destino…
**

“tutti i morti sono uguali e tutte le morti opinabili”

Si muore soltanto quando
si è diventati
inutili e stanchi,
finiti una volta per tutti
anche per se stessi
e il proprio gesto d’amore
diventa un lancio sciupato di dadi
che non vince…

cercare il riparo del ricordo
serve a dimenticare
che morire non è come partire,
nonostante…
e si torna laddove si è venuti
perché il tempo non basta abbastanza

tutti i morti sono uguali e tutte le morti opinabili
quando non sono naturali e dovuti al mondo
il saldo oggettivo della catastrofe
non nasce dal dolore
ma solo dal rimpianto…

ognuno dei morti
che vengono vissuti nell’oblio
sono il frutto di una morte che avviene
una sola volta,
perché tanto basteranno gli altri, i vivi,
a replicarla…

si muore soli anche sotto i riflettori
e si muore male anche quando il viaggio
sembra dolce e salvato dal pianto…

non ci sono differenze nel sogno
che ogni notte si ripete tra angosce
e salvazioni
così come nella morte non c’è
il riscatto della vita
ma solo il suo tranquillo necrologio…

ogni volta che penso al mio lento
disparire,
mi accorgo dello scacco che
mi aspetta e mi dileguo
nella ricerca affrettata
di uno spazio dove possa
attenderlo senza soffrire…

nel veder morire qualcuno che ami
è confitto il segreto della vita –
credere che in quel modo si possa
spegnere la giostra su cui sali
per continuare il gioco e la disfatta
è solo un’illusione infinita…
**

UN SOLO GIRO DI GIOSTRA
[alla memoria di mio padre Attilio]

Era come in un sogno mattutino,
limpido, attonito e precoce,
come nel ricordo di una giornata autunnale,
le foglie gialle ancora a vorticare
in un’aria tiepida di sole
già presaga dell’avvento
invernale, del freddo,
del tempo grigio e ansioso
che non riesce a durare,
ancora torpido e incapace
di riscaldare il vento e i corpi
attratti irresistibilmente
dal calore comune
che li congiunge e separa,
sdipanando la storia di ognuno
e congiungendola nell’amore
e nell’odio, nell’affetto e nell’orrore
che produce il contagio…
“Non è ancora venuto il tempo di chiudere
la partita per emettere
la fattura finale“ – mi disse l’uomo
che mi sedeva davanti, vecchio e bianco
ma orgoglioso nella sua saggezza…
Avrei voluto capire allora come si potesse
riuscire a morire senza soffrire e senza inorgoglirsi,
trasformando tutto in tenera dolcezza
e in rimpianto assoluto,
rendendolo un atto che sembrasse
soltanto naturale, intatto,
un gesto che non bruciasse come
quello – di solito fatale – che rende gli uomini
tutti simili al destino che congiunge
ognuno al rimorso del genere animale…
Volevo capire come si potesse morire
senza piangere, senza dolersi
di aver terminato il solo giro di giostra
che ci tocca in sorte amministrare…
Quel giro unico e (spesso) felice
di cui ognuno recepisce il velato riscontro
ma non dice…
**
GIUSEPPE PANELLA –
*
Giuseppe Panella è nato a Benevento l’8/3/1955. Si è laureato presso la Scuola Normale Superiore di Pisa dove attualmente insegna. Si è interessato alla nozione di Sublime (su di cui ha scritto Il Sublime e la prosa. Nove proposte di analisi letteraria, Firenze, Clinamen, 2005). E’ autore, tra l’altro, di alcuni volumi monografici: Alberto Arbasino, Firenze, Cadmo, 2004; Lo scrittore nel tempo. Friedrich Dürrenmatt e la poetica della responsabilità umana, Chieti, Solfanelli, 2005; Il lascito Foucault (in collaborazione con Giovanni Spena), Firenze, Clinamen, 2006; Émile Zola scrittore sperimentale. Per la ricostruzione di una poetica della modernità, Chieti, Solfanelli, 2008; Pier Paolo Pasolini. Il cinema come forma della narrazione, Firenze, Clinamen, 2009 ; Il sosia, il doppio, il replicante. Teoria e analisi critica di una figura letteraria, Bologna, Elara Edizioni, 2009, Jean-Jacques Rousseau e la società dello spettacolo, Firenze, Pagnini, 2010 e Il mantello dell’eretico. La pratica dell’eresia come modello culturale, Piateda (Sondrio), CFR Edizioni (Quaderno 1), 2011. Come poeta, ha pubblicato otto volumi di poesia, tra i quali Il terzo amante di Lucrezia Buti (Firenze, Polistampa, 2000) ha vinto il Fiorino d’oro del Premio Firenze dell’anno successivo. Ha inoltre realizzato in collaborazione con David Ballerini due documentari d’arte, La leggenda di Filippo Lippi, pittore a Prato (2000) (trasmesso su Rai2 l’anno dopo) e Il giorno della fiera. Racconti e percorsi in provincia di Prato (2002)-.

sabato 21 aprile 2012

Poesie = Davide Argnani

Da: ‘MUSA FITTA NELL’AZZURRO’
(1982-1998)
1
gli ori i verdi i rossi i bianchi i neri
la pianura slarga dietro la coda dei binari
dal colle al mare non si vede la fine
sentieri bianchi rettangoli verdi e gialli e
le case crepate di me bambino
le corse la caccia ai nidi i pianti
sassi neri fra le rotaie immobili
e ora corro a sud fra la nebbiolina a fumo-azzurro
la pianura distesa fra le querce e i canali
i fiumi e il mare i sassi e i roseti
il treno porta fra le acque del labirinto
come la corsa di un globulo nelle vene
e vedo la collina venire in-contro
di qua i solchi che dividono l’occhio dal vetro
in un viaggio senza fine arrotolati – ma dove? –
ma dove ogni cosa resta al suo posto
e scendo nei calanchi spinto dal vento
scivolando in discese dove la pianura
si chiude a imbuto e il sole taglia gli occhi

finisce il cielo dopo il Marecchia
e si riapre come Foglia subito dopo
verso Pesaro ai colori del sol levante
che a Urbino ingraziò il Raffaello

restano occhi gialli di sole
dentro i ghiacciai del cuore
si sono dispersi anche i rimpianti

nacqui al sole della falce e della pietra
per tre volte il sole ho chiamato –
in riva al mare imparai l’arte del disinnesco
quando allora le granate sorgevano dalla sabbia
e le conchiglie scivolavano fra fazzoletti
di carta fionde e temperini – solo al sole -

ora ho voglia di piangere sulla terra secca dei miei occhi

sulla sabbia un segno dov’è stato il corpo

e ripenso alla riga del tuo volto invisibile
il foro della bocca che cala giù e non si vede il fondo

Non te lo ricordi più il rifugio scavato in cantina
per ripararci dalle schegge – squarcio improvviso del tempo –
ho qui dentro di me il bengala nel buio
ora che all’ombra di Palazzo Ducale dilunghiamo il chiacchierio
dicendo la piega antica di un sogno cinquecentesco
mentre un guizzo agli occhi ti porta la memoria sul treno
o al suono di un’aria di cavalieri e di dame
in una partita a scacchi ho colto il segno perdente
riandando la vita sulla pietra colorata dall’acqua del mare
mentre a grandi passi i piedi ribattono la battigia
DAVIDE ARGNANI
**************************

DAVIDE ARGNANI è nato il 4 giugno 1939 a S. Maria Nuova di Bertinoro (FC). Dal 1953 vive e lavora a Forlì. Opere pubblicate: Ogni canto è finito (Todaruiana, Milano 1972), La città mugolante (Ed. Forum, Forlì 1975), Nulla su tutto meno uno - ricerca sulla scrittura murale (Forlì 1978), I lager fra noi (1978), Passante (Nuovo Ruolo, Forlì 1987), La casa delle parole (Presentazione di Roberto Roversi, Ellemme, Roma 1988), La festa degli alberi in collaborazione con Daniela Palmas (Ed. Pagine Lepine, Frosinone 1997); Stari Most (presentazione di Maurizio Pallante, testimonianza di Predrag Matvejevic, illustrazioni di Dinko Glibo; versione in croato (Lucì Zuvela), in tedesco (Francesca de Manzoni) e in inglese (George Peter Russell), Campanotto, Udine 1998. Si interessa di poesia visiva e ha pubblicato: Pianeta spaccato (Presentazione di Eugenio Miccini, Ed. Campanotto, Udine 1982), Diàclasi beante (id. 1983). Dirige la rivista L’Ortica.

Poesie = Antonio Spagnuolo

Pelle -
Nelle impronte della mia carcassa,
al misterioso anatema del mattino,
rincorro gli aromi del golfo,
ripeto il verso impaurito,
pulsando una carotide sdoppiata.
Pelle a pelle il linguaggio delle trasparenze
stordisce l’isteria della città,
mentre la fantasia rimbocca ancora
altri giorni contati,
come i grani di un rosario impazzito.
Nelle sere di agosto la tua vana rettifica
contrasta persiane, accostando le sillabe
per scongiurare i baci.
Le immagini dei flutti gonfi di sabbia
sono fruste dell’altrove
trasformate nello sfolgorio che illude,
per quel che fummo nel polline,
ora cometa da rincorrere e odiare.

*
Antonio Spagnuolo
* *

giovedì 19 aprile 2012

Notizie = Riviste

CAPOVERSO – rivista di scritture poetiche – N° 22 – giugno – dicembre 2011.
Sommario :
Franco Dionesalvi : Poesia civile e poesia incivile
- Saggi :
Guglielmo Aprile : Il sentimento religioso della natura nella poesia di Dylan Thomas
Pietro Civitareale : Schede per Franco Fortini
Merys Rizzo : Mark Standt . Il profilo sfuggente del nulla
- Testi :
Antonio Barsotelli : Cinque poesie
Riccardo Bertolotti : La disperata armonia
Carlo Ciparrone : da “Poesie brevi e brevissime”
Pino Corbo : Dismisure
Luigi Fontanella : Un poemetto e una poesia
Pierino Gallo : da “Baciami gli occhi”
Francesca Lo Bude : Tre poesie
Franco Loi : Due poesie
Mario Mastrangelo : Cinque poesie
Roberto Pagan : Tre poesie
Marisa Pelle : A mia madre
Tiziano Salari : Sette poesie
Salvatore Violante : Sei poesie
- Interventi :
Luca Benassi : Intervista con Marcello Fois
Mario Fresa : Intervista con Luigi Fontanella
Salvatore Francesco Lattarulo : Sul carteggio Erbe – Bodini
Giuliana Lucchini : Tradurre poesia, Poesia di traduzione. Traduttori poeti.
Luigi Mandoliti : C. Verbaro : una nuova ermeneutica per la poesia di Calogero.
- Letture –
- Cronache di poesia -
- Notizie sugli autori. –
Riferimento : alimenaf@libero.it

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Poesie = Fabiano Braccini

CON LEVITA’ DI PIUMA

Il soffio incostante del vento
nei giardini d’autunno
mulina le foglie e le confonde.
La scia d’un volo alto nel cielo
pare esile traccia di un sospiro
passeggero
che muove per un istante
pensieri, ricordi,
emozioni.

Il tepore di un respiro
disegna nel gelo dell’aria
volute trasparenti:
quasi delicati messaggi segreti
che si stemperano piano,
senza alcun rumore.

Un bisbigliare sommesso
rivela intimi dialoghi
d’amore
e il leggero sfiorarsi di labbra
si fa turbamento impudico
di passioni latenti.

Con levità di piuma
si adagiano lenzuola candide
nel talamo dei sogni.
*****

BAGLIORI E LUMINARIE

Lampi improvvisi di Kalashnikov
tra i banchi di scuola violati a Beslan:
maestre e bambini nello stesso sangue.
Fu una orrenda mostruosità!

Fiamme feroci alla ThyssenKrupp:
corpi umani neri carbonizzati,
contorti come stoppini di candela.
Non fu solamente fatalità!

Bagliori di mine sui nostri soldati:
stille rosse a segnare la sabbia rovente
nei remoti deserti d’Irak e Afghanistan.
È un dilemma se restare là!

Ogni cerino oggi acceso può innescare
l’incendio in tutti i respiri del mondo:
ma la gente preferisce ignorare.
È incosciente irrazionalità!

Puntuale e festoso giungerà il Natale:
lusso di vetrine, doni, addobbi colorati
e i timori immolati al rituale gioioso.
Prestò un Messia ritornerà!
*****
RITRATTO DI SIGNORA

Dipingimi con tratto elegante
-tu che sai-
occhi intensi che mirano lontano
e un sorriso morbido,
soffuso lievemente di malìa.

Pittura nell’ovale del mio viso
-senza troppo marcare-
labbra che si atteggiano al bacio
e un filo appena di seduzione
che sia garbata, mai volgare.

Disegnami un corpo armonioso
-come di sirena-
snello ma non proprio magro,
che sinuoso si adagi
a modellare la veste leggera.

Se vuoi, ritrai giù sullo sfondo
-con la tua maestria-
l’atmosfera magica, sfumata
dai riflessi rosa di un tramonto
nelle sere chiare a primavera.

Alla mia mano poi, dai la posa
di un saluto.
Che non sembri però un addio,
perché io vorrei lasciare
-a chi domani sosterà a guardare-
la migliore immagine di me:
una delicata sensazione
del mio amore di vivere la vita
e l’impressione
di una interiore, pacata serenità.
****
FABIANO BRACCINI
****
Fabiano Braccini , nato in Toscana, da tempo vive e opera in Milano.
Fa parte di Giurie letterarie e tiene corsi di “Poesia del ‘900 ” presso la “UniTre” (Università delle Tre Età). È l’autore del dramma “Ombre di tormentosa memoria” -opera poetica in onore delle vittime dei lager- che viene rappresentata in teatri, biblioteche, scuole in occasione del “Giorno della memoria”.
“ La decisione di proporre al pubblico le proprie opere è maturata in Fabiano Braccini solamente alcuni anni fa, ma i lavori di questo valente scrittore hanno subito incontrato la favorevole e costante accoglienza da parte dei lettori e i riscontri largamente lusinghieri della critica e degli operatori del mondo letterario.” È presente svariate Antologie e Riviste culturali. I suoi libri di poesia “Un sentiero di spine e fiori” - 7 ristampe - “Un’emozione, un soffio, …un niente” (già alla terza edizione) e “Le impronte dei miti” hanno riscosso e continuano a ottenere il favore della critica. Di imminente uscita la nuova raccolta “Come foglie e fronde siamo a ogni vento”. Grazie poi alla partecipazione a svariati eventi e manifestazioni, alla frequentazione assidua di noti ambienti letterari nonché alla presenza attiva e fattiva in prestigiosi Circoli e Associazioni Culturali di Milano e di altre città, Fabiano Braccini risulta attualmente un Autore ben conosciuto e ovunque considerato, apprezzato e seguito ”

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Interventi = Luciana Vasile

PER PAOLO RUFFILLI ---
Ecco, ho qui accanto a me “Affari di cuore” di Paolo Ruffilli.
Ieri mattina, durante i miei giri, sono passata davanti alla libreria Feltrinelli a Roma in Piazza di Torre Argentina. Subito l'ho trovato e preso.
L'ho infilato, così piccolo e sottile, nella mia borsetta (è una porchette con tracolla).
Ci stava perfetto, comodo, a suo agio.
Cosa migliore che essere contenuto nell'angolo più riposto dell'Io? - nei sogni pare che la borsa della donna rappresenti lo spazio dove viene conservata la parte più interiore segreta e nascosta del subconscio, quella più vera e autentica -.
Bianco. Che come scelta è un colore, non un non colore, come erroneamente si potrebbe pensare. Solo i neri caratteri delle parole graffiano il candore della carta. A simboleggiare: qui si fa sul serio. Non ci sono intermediari. Entriamo senza indugi in argomento. Saranno solo le parole a suscitare suggestive immagini e tremori della pelle. L'ho lasciato con la sua placenta. Il foglio di plastica trasparente e aderente che tiene avvinte le pagine: i pensieri, l'amore e i suoi versi.
Quando, più tardi, la sera a letto lo avrei liberato, sarebbe esploso come una bolla di sapone con tutti i caleidoscopici colori, sapori, emozioni, sentimenti propri della passione che vi è descritta.

“Affari di cuore” mi ha rapita coinvolta schiacciata risucchiata, a volte ridotta lasciata a brandelli.
Il suo autore è il genio della poesia d’amore, della passione che travolge, dell’erotismo elegante ma che graffia e nutre la carne, della lotta che non è guerra, dei contrari e dei contrasti che si fondono nell’unica armonia di gioia e dolore possibile nelle nostre vite: l’Amore.
La musica di sottofondo, la sonorità e l’assonanza dei versi a volte ci culla, altre volte ci scuote fino a renderci aggressivi nei sensi.
Un modo così originale, tutto proprio di dirigere l’orchestra delle parole. Dalle più tenere e dolci, alle più crudeli e distruttive.
Nella singolarità e unicità è l’universale che viene accolto e raccolto. Una poesia superba per la sua bellezza da donare a tutti, per tutti, comunicabile in ogni dove della terra e del cielo e intorno alla quale ci si può solo unire, sentire il contatto della pelle e dell’anima. Quanto bisogno abbiamo di sentirci uniti, solo così, forse, migliori! Quando tutto, in questo inizio terzo millennio, nel sociale, nella politica, nella religione, nei mezzi di comunicazione… sembra regolato dalla distruzione e dall’odio che l’alimenta.
Poesia universale anche nello spazio e nel tempo. Ogni luogo è per l’amore. Ogni tempo lo vive. Dal tempo dell’orologio attraverso i secoli della storia dell’uomo, al tempo dell’Io. Dal tempo dell’esuberanza dei sensi della gioventù, alla più preziosa riflessiva profonda eroticità della maturità, dove il gusto del dare è desiderio pulsione che si traduce nella vera attenzione all’Altro. L’amore si moltiplica non resta imprigionato. Dall'Io al Tu ritorna al sé.
Fra le più belle poesie d’amore, erotiche, che abbia mai letto. Sì, so di non esagerare.
Io le parole le sperimento, le leggo su di me quando qualcuno sia riuscito a tatuarle sulla pelle e sulla mente. Cosa molto, molto difficile.
Quando, tolta la pellicola trasparente, il libro si è schiuso fra le mie mani, già alle prime liriche un ventaglio di emozioni mi ha pervaso.
E’ difficile raccontare questo, ma ci provo, sento di doverlo confessare fino in fondo senza rendermi conto se, per chi ha scritto, possa essere motivo di orgoglio o delusione: ho dovuto interrompermi. Non ce l’ho fatta ad andare avanti. Stavo male. Come una lacerazione dentro e fuori. Una ferita che sanguinava.
Nella mia vita di lettrice, attaccata da questa sofferenza impossibile da descrivere, c'è solo un precedente e nella narrativa. Anche lì ho dovuto chiudere il libro "Che sia tu per me il coltello" di David Grossman. C'è da non crederci, non sono più riuscita a riaprirlo.
Ma “Affari di cuore”, che ho dovuto far tacere nella silenziosa notte, complice il buio interrotto solo dalla piccola luce del lumetto sul comodino, ha sedimentato nei sogni. Poi la luce del giorno lo ha visto di nuovo riposto nella piccola borsa a tracolla, ora visibilmente gonfia d'amore.
Per non tenerlo troppo stretto dovevo dividerlo, solo così avrei potuto sopportare il languore e la suggestione che poteva altrimenti diventare già sperimentata sofferenza.
L'ho portato con me per la città, negli impegni del giorno, lui presente. Per aprirlo seduta sull'autobus, a un tavolino di un bar durante la colazione, appoggiata al muretto davanti al portone del cantiere vicino al Colosseo in attesa dell'idraulico e nel pomeriggio all'inaugurazione di una mostra di design organizzata dall'Ordine degli Architetti.
L'ho portato fra la gente, per contagiare me e l'ambiente, fargliene assaporare il profumo dell'innocenza o l'odore penetrante del mangiarsi a morsi, con la tentazione - ma sicuramente avverrà nei prossimi giorni - di leggerne dei passi a qualcuno: il vicino di seduta sull'autobus, l'draulico o il capo mastro, l'amico di una cena...
il viandante senza nome, tuttavia fratello nell'amore.
*
LUCIANA VASILE
(Roma 15 ottobre 2011)

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Poesie = Carla Paolini

LA PROPOSTA --
Colgo l’occasione
scelgo al buio senza saperti
azzardo costruzioni in abisso
fra l’alternanza obliqua del dato

sciorino interpreto
gioco a stornare il formicolio
che lambisce i tuoi sconcerti

la realtà sta qui accanto
nella sua autistica concentrazione
vuol essere corrotta
con strategie ineludibili

basta poco
per distorcere l’indizio nell’indizio
dopo aver detto
le cose che dovevo dire
ne aggiungo una
che annulla lo spasmo dei sospetti

così potrò prenderti per mano
fino all’altra dimensione
bigger than life
***

IL TROFEO --
Spalancate gli occhi
lasciatevi allettare dal mio abbaglio

mi propongo

sono l’offa succulenta
che smorza il presagio di inutilità

fate crescere in fretta
i gorghi di energia che tracimano
dal varco del vostro desiderio
hanno un sbocco umoroso
eruttano ipotesi volitive

porteranno il rischio sotto coscienza
oltre ogni fase di svantaggio

contro il punto di accumulo rabbioso
espulso dal radicamento
devastato
dall’inganno delle sue devastazioni

che fa di tutto il resto
un dettaglio
***

LA PAUSA

Dico a te
avvicinati
ho un disegno per attrarti

c’è pronta una cuccia d’erbe fiorite

ci accartocceremo
disattivati da ciò che sembrava destinato

ti aiuterò a fermare tutto
a travestirti
perché non ti riconoscano
a mutare i sensi in plasticità

galleggeremo
sulle ultime scremature di perfezione
al riparo da intenti di squilibrio

discorreremo solo
delle cose che non ci sono più
nutriti
dal tenero midollo dell’assenza
*
CARLA PAOLINI
*
Carla Paolini vive e lavora a Cremona.
Laureata in lettere con una ricerca sulla retorica per immagini nella pubblicità.
Si è dedicata per diversi anni allo studio di tecniche per la manipolazione della creta.
Partecipa, in collaborazione con altri artisti a progetti per varie manifestazioni culturali e a reading di poesia.
È stata finalista (con la silloge MODULATI modulati) e più volte segnalata al premio Lorenzo Montano-Verona, per la ricerca letteraria.
Ha pubblicato racconti, poesie, favole su antologie e riviste e le sillogi poetiche:
Impronte digitali (1993); Diverso inverso (1995); Una x Una (1998); Ai cancelli del flusso (2001); Amori diVersi (2002); Modulati modulati(2004).
Da qualche anno pubblica anche sul suo blog: http://specchio.ilcannocchiale.it

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mercoledì 18 aprile 2012

Segnalazione volumi = Duraccio

LUCIA DURACCIO : “Le ceneri e il germoglio” – Ed. Per Versi – 2012 – pagg. 64 - € 10,00 –
La vita molto spesso intacca , nel suo evolversi verso imprevisti ed intoppi, le urgenze della quotidianità , incidendo nei risvolti della spiritualità , e aprendo le luminosità di un credo , che riesce a sostenere le illusioni e le sospensioni dell’anima. In queste poesie il dolore per la “perdita” diviene messaggio , in una amorosa promessa, che interroga e sostiene , per lo sguardo che da tenero diviene a mano a mano certezza e sostegno nelle visoni e nel grido. “Piccolo fiore reciso in fretta,/ stella di luce che nel firmamento/ insieme alla costellazione degli angeli/ brilli più forte che mai/ oggi/ nel ricordo della tua nascita./ Fa che i nostri cuori/ che tanto ti hanno amata/ e tanto ti amano ancora,/ si plachino.” La preghiera si cela ed è la tessitura della voce , chiara , spontanea, nel valore che narra l’esperienza e prepara il senso della speranza quasi incredibile attesa di un ritorno che non è possibile. Nei suoi versi la poetessa tenta di verificare con armonia l’ideale nucleo dell’amore, mentre il venir fuori dalle ceneri contribuisce delicatamente a rinvenire l’inaspettato dono della vita. “Il titolo di questa raccolta è già in se una dichiarazione di poetica : le ceneri – scrive Armando Saveriano nella prefazione – implicano e abbracciano schema e struttura di origine e inizio, di rigenerazione e ripresa; sustanziano il mito atavico di una fenice traslata, non altro che trasmutazione di materia, ciclicità cosmica del noumeno – sovra sensibilità rivelabile alla coscienza morale.” Il privilegio di mutare ed esaltare le musicalità per riprendere misure e tensioni, sconfitte e impegno.
ANTONIO SPAGNUOLO

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martedì 17 aprile 2012

Poesie = Patrizia Trimboli

---***---

Il sangue della poesia giunse ad un ponte.
Si assottigliava a filo, sensibile, come la vita.
Assorta nel girotondo delle dita,
lei, sapeva l’agonia che fa sbattere la fronte
qua e là, come fossimo mosche impazzite.
C’inchiodava sulla carta come bestie spaventate.
Per darci – dentro - la vita, non gli avanzi di un gatto
dietro la porta, il verso adatto.
*
PATRIZIA TRIMBOLI
**
Patrizia Trimboli è nata a Milano nel 1959, articola la sua attività di sociologa counselor e docente nella formazione, con taglio clinico, tra Milano, Roma, Firenze ed Ancona, dove risiede. Ha affrontato l’utilizzo delle scienze umane e dei loro prodotti nella formazione degli operatori sanitari nell’area di emergenza, oltre ai corsi sulla comunicazione interpersonale ed al counseling, caratterizzato da un approccio integrato e dalla pratica delle Medical Humanities. L’ha sostenuta un lavoro basato sulla tessitura di esperienze e ricerche orientate all’indagine di nuovi significati ed all’ascolto attivo di emozioni. È autrice di articoli, di scrittura creativa, su riviste italiane ed estere, e di tre libri, il più recente Fessure dal cuore, 2011, edito dal Gruppo Albatros-Il Filo.

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lunedì 16 aprile 2012

Poesie = Luca Tognacci

( I )
Ho preso la piega delle spalle
lussate, incagliate tra testa e torace
come i sogni del mattino, ancora
un poco dentro al corpo nel risveglio,
i pensieri già in erezione, pronti allo stupro
delle giornate feriali, nelle fabbriche grigie,
con le sirene affilate che tagliano il giorno.
***
( II )
Tu che viaggiavi con un rossetto acre
sulle autostrade buie del mio corpo
e m'aprivi la notte sulla pelle
in un'apnea di labbra screpolate,
e l'orologio, che ticchettava
nel silenzio acceso dei nostri fiati,
saliva le scale di un fastidioso
ritmo, il dolore delle lancette
che non riescono a fermarsi, il dolore
dei nostri orecchi così sensibili
al tempo, e tu che ti alzavi, lo gettavi
nell'armadio e ritornavi agitata
nel letto, battezzata di tremori
che ti lenivo piano con la mia eresia
d'abbracci e collisioni.

***
( III )
Siamo stati traffico di lingue,
bulloni svasati che fregano
nel torcere del braccio.
L’orecchio che posavi alle pareti
per ascoltare i vortici dell’acqua
dentro i tubi e il crepitare
della corrente elettrica ora esplode
la notte di silenzi immobili.
Siamo stati immortali, come tutti
gli uomini lo sono, per frazioni
di tempo che scompare in qualche
curva, lo saremo ancora se la morte,
come dicevi tu, altro non fosse
che una corriera che ti riporta
a casa.
**
LUCA TOGNACCI
*
Luca Tognacci nasce a Rimini e vive a Santarcangelo di Romagna. E' redattore della rivista online Scrittinediti (www.scrittinediti.it). Nel 2002 insieme a Fabio Orrico e Paolo Vachino ha autoprodotto il libro Nei denti! Inserito in alcune antologie di giovani poeti. Email : sifossefoco@gmail.com

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Poesie = Elio Andriuoli

A NOSSIDE ---

Adion ouden erotos:
dell'amore nulla è più dolce.
Da un tempo remoto mi giunge
quest'oggi, fanciulla di Locri,
la tua voce.
Me la porta il vento che supera
come per gioco infinite distanze.
Me la ridice l'onda
che lenta si frange alla riva.

E il tuo sguardo ridente
dal mare dei secoli affiora
(dell'amore nulla è più dolce)
a rendere limpida e lieve
l'ora che veloce s'annera,
a far meno incerto il domani
di chi quest'oggi a te pensa
dal fondo di remote stagioni
e sommesso ripete il tuo nome.
**
SCUGNIZZO ---

E lo scugnizzo che ride,
ride perché fugge con la pesca rubata
che addenta, ed il succo
gli cola sul mento e la bocca
fresca gli addolcisce e lo schiara,
mentre se ne va lontano,
allegro e veloce,
per il suo firmamento
di vicoli e strade,
e risponde cantando
con limpida voce
al richiamo del vento
che lo rapisce
e a quello della vita
che mai finisce
di ricominciare.
**

DALLA CASA DEL BRACCIALE D'ORO
A POMPEI


Aveva stretti a sé i suoi tesori
la donna che morì sotto la cenere
nel 79 dopo Cristo a Pompei.
Un forziere colmo di monete e un bracciale
d'oro massiccio: non valsero
a salvarla dai lapilli e dal fuoco
che le mozzarono il respiro.
La morte
la colse così improvvisa, sulle scale
della sua lussuosa dimora patrizia,
precludendole ogni via di salvezza.

Con accanto i suoi averi preziosi,
la trovarono gli uomini degli scavi,
a lei giunti dopo un lungo volgere di secoli,
percorrendo il tempo a ritroso.

A rubarle per sempre ogni pensiero,
un sonno profondo era disceso su di lei,
venendo dai regni smemoranti della notte.

Forse per quei beni aveva smarrito il futuro.
In grotte profonde s'era perduto il suo grido.
**
ELIO ANDRIUOLI

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Poesie = Chiara Giulia Schiavini

COLPITA! ---

Cederò al tuo fascino,
all’inestimabile bellezza del tuo sguardo,
al bacio rubato,
dichiarazione d’amore senza parole.

Timidi boccioli di oleandro
nel buio attendono l’alba
per aprirsi
ed il raggio di sole
di una primavera inoltrata
per moltiplicarsi
come i battiti del cuore
di questa donna ormai tua.

Ore pomeridiane interminabili,
sole e vento tra dune
sabbia e cespugli,
faremo l’amore
fissando l’azzurro
di un cielo dimenticato.

Luna con la tua fredda luce,
che hai da spiare?
Son due cuori che battono innamorati
mentre due corpi nudi abbracciati
s’abbandonano nel sonno ristoratore.

* *
L’ELFO E LA FATA ---

Quando il cielo si tinge di rosa,
il manto di stelle vola
dall’altra parte del mondo,
due farfalle colorate
si rincorrono
posandosi sui fiori
dei giardini terrazzati.

E quando il sole tramonta,
due ragazzi in riva al mare
come due amanti
avvolti nel loro silenzio
si amano
mentre piccole onde rosse
muoiono ai loro piedi.
Sono l’elfo e la fata.
* *
CHIARA GIULIA SCHIAVINI
*
Chiara Giulia Schiavini è nata il 23 giugno 1979 - Da sempre appassionata alla scrittura, ha pubblicato poesie su internet, su riviste culturali e su antologie di premi letterari. Il suo ultimo romanzo “Fuga dalla guerra” è edito da Book on demand.

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domenica 15 aprile 2012

Poesie = Marco Salvia

COSI’ PARLA JOUB/preghiera ---

A cosa servono le mie lacrime
Maledetto dei bassi cieli
Prevaricatore degli insonni
La cui Misericordia è un insulto per chi crede
Come per chi crede e mai ottiene carezza di te o sorriso
Non vede, no
Ma sente
La tua potenza senza freno

Quale padrone può farsi Dio ?
Un padrone è solo un padrone
Quale Libertà può non essere Dio ?
Quale Dio può non essere completamente Libero
Uno- Solo . Assoluto
Hai forse creato marionette per il tuo scherno
E hai poi detto loro :
“Credete forse che vi avremmo creato per gioco ?”

No

Per cosa allora ?
se il tuo piano divino è così alto e noi umani e così bassi a capo chino a scomporre frammenti della tua creazione cercando ciò che è già
questo induce a farci percepire la tua danza stellare solo come intrattenimento
ipnotico suono creato nelle nostre carcasse, vuote, che Iblis muove come pedine stolte

Cosa dovremmo percepire se Tu Dio padrone ci impedisci la percezione del tuo mistero ?
E come esserne degni ?
Non credo al folle arbitrio di Faraone
Tu sei il suo vero nemico
Ed egli era un despota sulla terra
Ti lasci vivere da noi a volte, nella nostra infinita pochezza come il suo degno compare,
perché ?

Quale prova è questa ?

Perché ?
No-Non credo
Non crederò in questo
Fino a che Iblis mi sputerà in faccia la verità del suo vero servire, ignorerò la mia nullità nel comprendere.

Ma dimmi chi è allora, se non io, il tuo vero prigioniero ?
E Chi potrà mai servirti come lui ti ha servito ?
Egli è vittorioso nelle schiere di coloro che pascolano con il tuo santo nome in bocche marce di desideri inconfessabili e di azioni indegne .
Appaiono vittorie ingiuste che tu hai approvato
Legittimato
Accolto
Troppo indietro nel preesistente la tua risposta
La nostra accettazione prima della venuta è ancora lì
La confermo
Ma allora
A Noi
A questi
Sarà fatta misericordia ?
Nel nome della tua volontà univoca
Sara mondato il loro volto come il nostro da una sola parola di perdono ?

Quando ?

E il mio spirito che ti ha voluto è forse già morto di ipocrisia se scrivo questa parole di rabbia ?

Non la follia
Può occultare tale scandalo
Non la follia
Il giusto perdono
Ti prego
Al mendicante lecito
E all’ingannato dal luccichio dei riflessi
La più grande misericordia

Amen

* * *
RIMEMBRANZE --

Che tempi caldi
Quando mia madre era ancora mia madre
Voltandomi le spalle nel letto
Produceva buche profonde nella lana mal mossa del materasso.
Tane da bambino
Dove m’ infilavo al riparo dal mondo
Sicuro
Quando mia madre era ancora mia madre
Non una persona
Non un’ ombra
Una donna
O un pensiero
Solo ciò che doveva essere
Corpo più caldo
Per membra più piccole
E troppo fredde
Ancora
Per non scampare riparo
---
(Napoli Aprile 2012)
MARCO SALVIA –
*
Marco Salvia è nato a Napoli. In prosa ha scritto "Mara come me", cooper editore 2010/2004, e "L'ultimo sangue" edito da stampa alternativa con foto di Stefano Renna- cui si accompagna uno spettacolo di poesia ,multimediale che gira Italia ed Europa. In poesia ha pubblicato uno tra i primi cd musicali di versi e musica. Dal titolo "Lee marvin ha paura" contiene poesie di Milo de Angelis, Mario Luzi,D Bellezza , M. L. Spaziani e molti altri meno noti.
Segnalato al premio Montale per due anni di seguito 1993 1994 dopo aver vinto diversi premi poco significanti ha poi abbandonato l'idea di pubblicare libri di versi data la condizione del mercato della poesia. Sue poesie sono apparse tuttavia saltuariamente su "Nuovi argomenti ", Linea d'ombra", in alcune antologie e su Blog specializzati.

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Segnalazione volumi = De Napoli

FRANCESCO DE NAPOLI : “Carte da gioco” – Osanna edizioni 2011 – pagg. 72b - € 9,00
Quasi una narrazione attraverso alcuni ritmi dalla delicata tessitura. Le poesie, che dalle esigenze di un profondo raccoglimento memoriale si palesano per nostalgie e ricordi, per lontananze frammentate da accenni di preghiera , per emozioni rivissute, raccontano di recuperi e di ricordi che possono colorire ritorni ed illusioni . Esaustiva e completa la prefazione di Mario Santoro, il quale mette in luce gli ottimi risvolti della ricerca poetica, attraverso i precedenti testi. Ora il sogno lo si accarezza con le fratture degli anni, che scorrono senza interruzione, e divengono "mostruosa realtà" per chi ha ancora la speranza di toccare il "nudo" per sentirsi vivo . I momenti fuggono ma la freschezza della parola promette forse "una sera di estate...invocando di nuovo quella dolcezza che si chiama amore....". Si rincorre, tra le ultime pagine, quella atmosfera che ha inciso , tra le gelide rivoluzioni del tempo, alcune presenze storiche , cesellate oggi tra i ricordi che il sovvenire cerca di resuscitare, quasi ad inseguire le scene che diventano evanescenti, e sfuggono tra le nuove figure. Come carte da gioco possedute per ricreare taciturne premesse ecco l'inestricabile gomitolo che luci ed ombre cercano di dipanare, in una lirica condensata per strappi e sussulti, pregna di atmosfere particolarmente calde e musicali . Le occasioni diventano linguaggio dall’inconfondibile fragranza della ricognizione, rifugio per una realtà che ritorna e coinvolge il poeta.
ANTONIO SPAGNUOLO

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sabato 14 aprile 2012

Poesie = Valeria Serofilli

DAI TEMPI -----
Già ti conosco / meglio, ti ho riconosciuto
Sei lo stesso / dei tempi della clava
che si ostina con la pietra focaia
che mi stringe / al riparo dagli orsi

Sei l’antico etrusco
che abbraccio sul sarcofago
il bizantino con me nel mosaico

Ti ho riconosciuto
Sei lo stesso / con me steso sul triclinio
mentre sorseggi assenzio e mi accarezzi

Sei il fontanone romano / che mi schizza
e io la vestale che
scherza con il getto

Sei lo stesso con cui danzo
il minuetto e mi difende
da chi tenta lo sgambetto

Lo stesso che adesso
mi accompagna in ascensore
mentre clicca su fb “mi piace” o “commenta”
e che su Marte mi sposerà all’istante
cercando un varco telematico al consenso

Lo stesso sei, che stringo a me
dai tempi / ad adesso.
**

IL FORNAIO ----

Quando il Fornaio / impastò la mia pagnotta
vi mise sale / lievito, sesamo di giudizio / smalto rosso
di zenzero un pizzico
amore molto / vino bianco
e forse un po’ d’inchiostro

La unse quel tanto di sudore / giusto lavoro
la spezzettò in tasche di ricordo

Ne serbò briciole / per piazze di piccioni
e per piccole tese mani di ogni colore

Pezzi più grossi / cartilagine rigenerante
azione/ non azione
o per sgualcite merende sui banchi / ricreazione

Infornò il tutto, indicandone i tempi
di cottura / doratura

Lasciò detto che / quotidiana messe
pane vita fosse / per me
questa Poesia.
**
RESOCONTO ----
L’eredità non so del mio strano rapporto
con la vita o meglio / il suo diporto
Ora / altro poco conta, caro
né più né meno di come ti ricordo

Col vivere si versa / al vivere un acconto
ma sempre infine ti si riversa il conto
in scomodo ritardo, prolisso contrattempo
Fili di carrucola dipanano, strane circostanze / meccanismi
ricordi a branchi / brancolano il buio
ed io qui in attesa di dire - cosa? -
Quello che è stato, o quel ch’essere poteva?

Qui con i miei fantasmi / (a) tracimare
sciogliendo il giusto, il vero dal superfluo
scandagliandone il ritmo ed il meandro
scindendo l’essere dal non / l’ora dal quando

Lo strano riversarsi / lo strasogno
tra annichilimento e resoconto / catarsi
a summa del percorso, quel tuo darsi – strano a dirsi –
in fogli sparsi / aspersi di consenso, di non detto
Discorsi – quanti, (ricordi?) – sui corsi e sui ricorsi
il pessimismo / bicchiere mezzo vuoto
l’ottimismo, se è bicchiere mezzo pieno
l’altra metà è fine del sentiero

Ed ora qui / a riflettere se è vero, se esista un senso al verso
del pensiero, o se tutto è già scritto, falso e vero
Se è nel libro che ti addossi contro / in quel palmo riverso
nascita e mescita, rimescolio d’intenti / fraintendimenti
E noi assuefatti (ad) ossigeno e certezze, in bilico tra un sé stessi e il niente…
Ah! Se potessi / al vivere
non dover mai / dare
un resoconto!
*
VALERIA SEROFILLI –
*
Valeria Serofilli, laureata in Lettere presso l’Università di Pisa e abilitata all’insegnamento di Italiano a seguito della specializzazione SISS e all’insegnamento di Storia dell’Arte tramite Concorso a cattedra, insegna Lettere presso gli Istituti d'istruzione secondaria.
Come operatrice culturale è Presidente del Premio Nazionale di Poesia “Astrolabio”e degli Incontri Letterari presso il Caffè storico dell'Ussero di Pisa e il Relais dell’Ussero di Villa di Corliano. E' curatrice della collana "Passi - Poesia, I libri dell'Astrolabio" per la Puntoacapo Editrice di Novi Ligure e del sito personale www.valeriaserofilli.it nonché redattrice della rivista di poesia, arte e filosofia “La Mosca di Milano”. Pubblica note di lettura su riviste ed è presente in diverse antologie.

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Poesie = Stefano Scaranari

( I )

denti d’oro digrignano
dimorfismi distorti
matasse di individui
masse di numeri
apparentemente differenti.
non una co-scienza
è rimasta:
è il denaro
il Padre VOSTRO
**

De-lirium di oggi
strade dimenticate
sassi caduti
¿a caso?
causa di scelta caustica
dimentica di…
tutti i martiri
tutti gli anni
la storia
ma il solco…
rimane
**

(VOLGARITA')
volgarità
non è parola dell’Uomo
ma esistenza
per sé esiziale
di chi è corrotto
dentro
e del semplice cuce gli occhi
con i fili della sua ¿anima?
NERA
irrispettoso della propria
incontrovertibile appartenenza
**

Theōrêin


lo sguardo

nell’attimo astratto

del Sé

Altrui eterno
**
STEFANO SCARANARI

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venerdì 13 aprile 2012

Segnalazioni volumi = Giordano

FEDERICA GIORDANO : “LA PARTE CHE TI HO AFFIDATO” – ed. Boopen Led – 2011 -
Classe 1989, Nata a Napoli, pubblica la sua seconda raccolta di poesie, che viene alle stampe tre anni dopo “Nomadismi” (edita per Il filo -2008),sua prima pubblicazione.
Parlare di autori esordienti o semi-esordienti risulta sempre una scommessa difficile, d’altro canto le scommesse che danno maggiore soddisfazione sono proprio quelle rischiose. Pubblicare scritti quando si sono appena superati i vent’anni di età costituisce una sfida sia per chi decide di puntare su un’autrice esordiente, per di più così giovane, che per l’autrice stessa. Ogni scrittore è solito giudicare in modo diverso le cose che scrive col passare del tempo, e di solito il senso autocritico cresce rapidamente proprio nelle fasi iniziali.
Venendo a considerazioni stilistiche, una definizione che ritengo molto appropriata per questo libro sarebbe “L’elogio dell’ordinario”, il rispetto per i piccoli ornamenti, l’importanza delle attese, non aver paura di scrivere a “temperatura mite”, avendo consapevolezza di non esser fiochi. La poesia di Federica Giordano non ha bisogno di eccessi per misurare gli altorilievi delle sensazioni. Il quotidiano non viene alterato, né condito da sapori forti, semplicemente selezionato e ritagliato con cura, come in una fotografia di Luigi Ghirri, o una natura morta di Giorgio Morandi. Il gesto diviene un rito quotidiano, essenziale e totemico. Una scrittura fatta anche di silenzi e di pause, che sembrano abbellimenti più che cesure.
Se, per dirla con le parole di Marcel Proust, “l’adempimento di un’opera ha un fondamento più sicuro nelle abitudini che non in quei trasporti momentanei, ardenti e sterili “, la poesia è per Federica una sana abitudine morale, se non un bisogno che spinge - come acqua - piano e costante.
Entrando nel merito, vanno segnalate diverse poesie, tra cui: Le sorgenti, Autunno, Idrografia, o i versi finali del Cantante di strada, che “raccoglie i bottoni caduti ai cappotti delle folle”, ma il punto su cui insisterei è una presenza costante di immagini e spunti notevoli quasi in tutti gli episodi.
Molte sono le potenzialità di questo stile soffuso, e se un domani la nostra autrice andrà verso una direzione di maggiore universalità, partendo dalle esperienze personali per arrivare a considerazioni universali, il procedimento di crescita non potrà che compiersi al meglio.
“Nulla dias sine linea” (Plinio il Vecchio)
RICCARDO PRENCIPE

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Poesie = Loredana Savelli

ITACHE --

vado in un luogo dove il mare è lento
saluta raramente e passa oltre

non ho vele da issare
né il mio mare si è mosso
cammino a ritroso
dall’idea della culla

un’isola sospinse ulisse
verso altre isole
io circumnavigo la pena del ritorno
non parto

sogno un’itaca accecata dal sole
come una tenda ventilata e tersa
e io entro ed esco
**

LEGGEVO BAUDELAIRE --

leggevo baudelaire
su prati di vent’anni -
non era questione di lingua
(ignoravo il francese)
era un salto nel buio
dell’età spietata

a distanza di anni
la poesia è di nuovo fra noi -
non la capisci non la capisco
(la vita - s’intende -)

le ore vanno all’indietro
tutto va all’indietro
o forse gira in tondo
come un ricordo
**

LA STORIA –

se i gabbiani raccontino una storia millenaria
o se essa taccia nel sommerso
dell’acqua di fiume
è un inganno necessario
per chi dimentica come per chi ricorda

se si avverino silenzi o bugie
non so
guarda quanto somigliano di sera
gli uccelli al tremolio delle ombre
ascolta il loro insensato dolore
in questa macchia più densa di cielo

tra le canne
la garzetta confonde il piumaggio con le foglie
ma vanno alla foce tutti i viventi
con passo costante - predestinati
ciascuno al suo luccichio breve

***
LOREDANA SAVELLI
**

Loredana Savelli è nata a Molfetta (Ba), vive a Roma dal 2001. Ha intrapreso studi classici e musicali (pianoforte, musica corale). Laureata al Dams (Discipline Arte Musica Spettacolo) di Bologna, insegna musica nelle scuole medie statali. Si occupa di didattica musicale. Collabora a periodici di varia cultura ed è presente in alcune antologie.

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Poesie = Adriana Gloria Marigo

TUTTO SI CONSUMA NELL'AUTUNNO --

Tutto si consuma nell'autunno,
pure quest'alba che disincarna
il mattino devoto al richiamo dei tigli
nel frammento di brina,

pure il nostro amore
vuoto del distico arioso che
iniziò il tuo stretto parlare
agli spiriti del giorno, della notte.
**

L'APPARENZA DEL VERO SVAGATO --

Non erano le somiglianze tue
a sorprendermi nel tempo stretto
d'ottobre tra veglia e sonno,

era il gesto probatorio con cui
riavvolgevi il canapo delle partenze

il precipitato di sguardo
sulla dorsale per il volo e
l'apparenza del vero svagato.
**


3-4 GENNAIO 2011 --

Nel sottobosco dei tuoi occhi
s'adagiarono ombre vaghe
inclusioni di tempesta

spore d'amore giacquero
in calma di vento sul fondale
di menzogna del tuo volto.

Non seppi dirti novella
neppure accennare a un'aria di
adagio o l'ovvia domanda,
*
ADRIANA GLORIA MARIGO
Adriana Gloria Marigo è nata e vive a Padova. Dopo gli studi di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano, è stata insegnante elementare dal 1975 al 1985. L’amore per il “pensiero” l’ha condotta ad approfondire la filosofia dei presocratici e avvicinarsi alla psicoanalisi di Jung e Hillman, in particolare. Cura i laboratori di poesia dell’associazione culturale che ha fondato insieme con un’altra autrice, un autore di teatro e saggista profondo conoscitore di Clemente Rebora.
Le poesie sono inserite nell’Antologia del Concorso e nella rivista Orizzonti.
Ha vinto diversi premi.
Sue poesie, interventi, recensioni sulla sua poesia compaiono nei blog Viadellebelledonne, Carte Sensibili, Nebbia e Risaie, Poetrydream.

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Poesie = Gabriella Cinti

FIN DOVE --

Fin dove arriverò
nel perlustrare i margini
che soli, vita mi accorda,
quando la residua esistenza
che mi concedi,
opporrà all’ambra segreta
che ancora mi elettrizza il respiro,
l’ultima barriera che spegne
gli azzardi della speranza
nello sgomento del prevedibile?
Guardo te e l’amore, nella voce
in cui ritrovo lo spessore dei sensi
e il profumo del sublime,
non ho che l’aria
per specchiarmi in te
e penso al tuo corpo di vento,
che mi appare quando
un frammento generoso di luce
si fa miele tra le mie ciglia disorientate.
Cado senza rimedio
nel nodo faticoso delle opzioni
senza riuscire ad avvicinarti
fuori dalle scelte,
fin quando mi aiuterai a scoprirti
nella fascinosa impossibilità dell’intero,
nostro struggente paradosso perduto,
dove sarò raggio fedele
nella luce rotonda del tuo pensiero.
**

LUNEDI’ NELL’ANIMA --

Non lo salto
il muro altissimo
di questo lunedì,
levigato ed ostile,
senza fessure di speranza.
Il girotondo
bianco delle ore
sfiocca solo respiri automatici
e non riguarda
il mio zero d'attesa.
Mi affatico in uno sguardo
senza visione
e dietro il sipario
dell’aria sento
lo scatto vuoto
dell’epifania
che mi neghi.
Sposto
nella parola
un sorriso di carta,
senza labbra,
ma leggero e veloce,
che plani,
oltre il mio cielo,
proprio fino ai tuoi piedi.
**

LA CAVERNA DEL SONNO TEMPO --

Dalla caverna del sonno tempo
di pseudo vita,
approdo nella folgore di una nascita
che ti appartiene.
Oltre la soglia dell’inizio
lampeggia il tuo benvenuto.
Più dolce cadere nel tempo
se una rete d’amore
ne fa soffice l’impatto.
Cortei di parole accendono
il mio viaggio
del senso.
La freccia obliqua del sublime
mi lancia
nella diagonale divina
dell’estasi.
*
GABRIELLA CINTI

(da "Euridice è Orfeo", ancora inedita)
*
Gabriella Cinti è’ nata a Jesi. Ha affiancato l’insegnamento alla critica letteraria coltivando al contempo interessi artistici e storico-filosofici e attualmente è impegnata in un Dottorato di Ricerca a Roma 2, con un Progetto di ricerca sul Labirinto. Si occupa di poesia, di filosofia e archeologia delle lingue europee, di paleolinguistica, di etimologia e in particolare di poesia greca antica, di cui è anche voce interpretante, con il nome d'arte “Mystis”, cioè l’iniziatrice. Opere: saggio di apertura dell’Atlante regionale dei vini delle Marche 2006 dal titolo Sentimento ellenico di-vino; “Suite per la parola”, ( PeQuod editore, 2008) che ha vinto il Premio Nabokov 2008 per la poesia, Il saggio “Il canto di Saffo. Musicalità e pensiero mitico nei lirici greci” , Moretti e Vitali, Bergamo, 2011. Dal 2009 ad oggi, è la raccolta poetica (ancora inedita) Euridice è Orfeo, di cui tre testi sono stati inclusi nell’antologia poetica “Le avventure della bellezza” a cura di Tomaso Kemeny, Arcipelago edizioni 2010.

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Poesie = Cataldo Russo

QUANDO LA POVERTA’ E’ UNA COLPA ---

Hanno sciolto le loro lunghe trecce
e guardano oltre l’orizzonte
dove solo la vista del cuore può arrivare.
Nel mare non vi sono sirene,
né navigatori solitari.
Caronte ha la barca piene di uomini
che non hanno pene da scontare.
Caronte non usa il remo né la frusta.
Caronte usa il mitra.
Caronte getta in mare i deboli,
i malati, i bambini…
Ma i pesci non hanno fame
di anime di bambini.
Di là, sull’altra sponda,
tutto sembra dorato e l’abbondanza
si fa esca.
La colpa di questi uomini
è quella di essere nati poveri.
Poveri in un mondo dove
la povertà è una colpa,
una pena da espiare
troppo spesso con la vita.
**

DENTRO UN VORTICE DI PENSIERI ---


Non catturerò il ragno
che la sua nobile bava
mi sputa nella coscienza,
né fermerò la millepiedi
che libera si muove
nei labirinti della carne.
Conserverò a lungo nei caveau
della mente le preziose pepite
del tempo.
Dentro un vortice di pensieri
mi aggroviglio come un baco
e come esperto rigattiere
rovisto fra cumuli di rifiuti
per recuperare emozioni
che il tempo rimuove,
ma non cancella mai.
**

RECLINO IL CAPO ---


Reclino il capo su spalle
che non trovo.
C’è qualcosa sulla mia testa…
Forse è cenere, o forse è il peso
mal dissimulato degli anni che avanzano.
So di aver scritto poco d’amore.
Poco perché ho amato.
Con mani di pietra ho battuto
su tamburi di latta e tante volte
sono rimasto in bilico sull’albero
maestro della nave in balia
delle mie stesse onde.
Ho cantato nelle notti di luna
sotto finestre di ricamatrici di sogni
E tante volte sono rimasto incagliato
nella cruna dell’ ago fra le mani
del sarto di turno che mi ritagliava
il vestito destinato a farsi
sempre più stretto.
*
CATALDO RUSSO

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Poesie = Rita Felerico

SULLE LABBRA --
desidero un gioco
e sfioro il tuo viso
con occhi socchiusi.
Le tue labbra
come in abisso
sento aprirsi alle dita.
Toccare le stelle,
le inaspettate parole
e ricorrerle,
accennando rinnovati idiomi.
Può darsi che il desiderio
oltre il viso
trascini anche il corpo.
Rubami ai nomi
allora,
che stanca sono
di attendere
**

AMORE DISEGNA VOLTI --
amore disegna i volti.
e l’essere diversi
inonda di chiaro gli spazi.
E’ allora che gli occhi e le parole
sono.

nella pienezza dei giorni,
resti lo sfolgorio degli inizi, sempre
a musicare d’incanto
chi ama e amerà.
**

ALBA --
è lì l’alba
luce sospesa
metafisico inizio
veloce soffio dei profumi del giorno.

ma oggi non s’apre
verso i sensi assonnati
persi fra le lenzuola,
non dona speranza
ai pensieri bui,
ai desideri dei cuori.

solo per i tuoi occhi spaesati
scommetto ancora
**
RITA FELERICO
**
Rita Felerico, giornalista pubblicista, counselor filosofico, collaboratrice presso la cattedra di Storia della Filosofia -Università l’Orientale-, nata a Salerno, vive e lavora a Napoli da più di trent’anni. Promotrice di manifestazioni e iniziative culturali, vincitrice di vari concorsi di poesia, è presente come socia in diverse associazioni, fra cui l’Associazione Eleonora Pimentel Lopez de Leon ed è vice presidente dell’Associazione Peripli – Culture e Società mediterranee. Protagonista in incontri, forum, seminari, presentazioni di libri e letture poetiche di cui spesso cura la realizzazione, della sua poesia dice: è un respiro di luce. Sue poesie sono presenti in raccolte, testi e saggi di vari autori e alcune commentano come postfazione. Ha pubblicato con la casa editrice Bibliopolis DeSiderio ,silloge poetica con disegni dell’artista Lello Esposito, edita anche a tiratura limitata in forma di Cartella d’Artista. Ultimo testo, la silloge poetica Invenzioni a due voci, editore Graus, con disegni di Riccardo Dalisi. Molti gli articoli,interviste o rubriche a sua cura in quotidiani e riviste. Ha collaborato alla rivisitazione dei Quaderni e dei Saggi di Letteratura e Filosofia del Festival della Letteratura e Poesia di Narni.

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Frammenti = Giovanni Schiavo Campo

L’EVOLUZIONE DEL SOGNO --
Anche l'uomo è frutto di un sogno materiale: perché la materia sogna

ogni trasmutazione è quindi anche soltanto uno stato transitorio

del sogno si può dire che vi sono stati di aggregazione e stati di dissoluzione: sono questi stati del sogno a coincidere con le forme in cui si presenta la materia e la natura tutta

l'evoluzione del sogno è dunque anche l'evoluzione del cosmo nei suoi stati successivi di trapasso

possiamo pensare un Sognatore, che riconosce forse noi come i Sogni in cui è assopito, perché se anche questi mutano rimangono pur sempre a sua somiglianza. Per questo, se il Sognatore è Dio, si può dire, secondo la teologia, che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio: ovvero siamo fatti a immagine e somiglianza della mente del Sognatore che è Dio.

Preferisco parlare del Sognatore e non impegnarmi a cercare di esprimere di Dio qualcosa che non so: chi è

poiché se è vero che siamo non solo sognanti, ma a nostra volta sognati, possiamo benissimo riconoscerci dipendenti da Colui che sogna come Egli dipende dai suoi sogni; come i sogni tutti sono dipendenti e legati gli uni agli altri. Ma non sapremo mai dire con precisione "chi" sogna

il "Chi è" della materia è l'agente che ne possiede il sogno. Agente o attore? Poiché se è attore è privo di azione; come attore essendo egli stesso strumento di azione.

La materia ha dunque un attore (uno strumento di azione, una maschera): come materia di per sé è indeterminazione allo stato informe, primordiale

tuttavia, se qualcosa è in grado di farsene strumento di azione, questo è solo un agente: un agente che possiede uno strumento di azione nella materia. La materia ha lo strumento, l'agente ha l'azione

ma chi è mai il Costruttore di Sogni, il Costruttore di Mondi? Lo sa forse la materia? Che cosa sa di se stessa?

Qualcosa comincia a figurarsi nella Materia: ma la figura che cosa conosce della sostanza di cui viene interrogata?

La vita è figurazione; ciascuno se ne rende partecipe consegnandosi all'altro come qualcosa di figurabile: come una forma.

GIOVANNI SCHIAVO CAMPO
***

Giovanni Schiavo Campo è nato nel 1960 a Milano, dove vive e lavora, oggi come collaboratore indipendente di vari periodici e critico d’arte. Come poeta, dopo il pieghevole “Le mandrie del sole” (Monza 1988), ha esordito con “L’oro e il fuoco” (All’insegna del pesce d’oro di Vanni Scheiwiller, Milano 1995). Inserito in diverse antologie e presente in periodici di varia cultura. Sue poesie accompagnate da acqueforti e disegni. Sul piano dell’elaborazione poetica, l’intervento “Segnatempo: frammenti sul segno come orientamento” pubblicato negli atti del convegno “Scritture e realtà – linguaggi e discipline a confronto” a cura di MilanoCosa (Milano 2000). Si inseriscono in un articolato percorso teoretico, al momento noto in minima parte, condotto anche attraverso la traduzione dal greco antico: frammenti di Eraclito, Empedocle e l’intera opera superstite di Parmenide la cui versione è disponibile on line. Frutto di una ricerca grafico-visiva intrapresa negli ultimi anni, improntata agli esagrammi dell’I Ching, il millenario oracolo cinese, e finalizzata alla grafica del libro è invece “Ausa” (2006), esperimento di autoproduzione editoriale con una ventina di testi più recenti riprodotti sia con mezzi elettronici, sia ora in versione realizzata con la tecnica di incisione su lastre di zinco (fotoincisione e acquaforte) in 30 copie, numerate e firmate, tirate a mano e rilegate dall’autore.

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giovedì 12 aprile 2012

Poesie = Santalucia Scibona

SONETTO DI MAGGIO
(a Renzo Montagnoli)
Quando il sonno cala sull’umano
giaciglio, e con lieti sogni riscatta
i crucci del quotidiano,
la luna assonnata sbadiglia.

La rosa vermiglia,
per il giorno sepolto,
invoca sdegnosa, il chiarore
rosato del mattino.

Gravita nella notte fonda,
un silenzio inafferrabile,
adamantino.

Tacciono le dalie accasciate,
un silente interludio aleggia
sovrano, nel giardino.

( Siena, lunedì 31 maggio 2010)
* *
UN INSALUBRE AMORE
Tu forse, non lo sai.
Privo di tenerezza
e con brutale spavalderia,
è crollato all’improvviso
il pungolo celeste
delle illusioni. Eppure,

il sorriso mansueto sulle labbra
sogna ancora, il bacio
conturbante della tua bocca.
Un insalubre amore defluisce
dall’arida vita, senza
che alcuno l’avverta.
(Siena,15 settembre 2010)

* *

PALPITI D’ULIVO (a Duccio Benocci)
L’ulivo contorto innestato
nell’armoniosa terra,
non si spezza, si torce
al fiato spietato del vento.

Cosa dire al fato bugiardo,
che scuote e bersaglia
di spine acuminate,
il crepuscolo incerto
dell’ inerte grisaglia?
( Siena, venerdì 11/11/2011)
*
M. TERESA SANTALUCIA SCIBONA

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mercoledì 11 aprile 2012

Poesie = Taddei

COME L’AMORE –
Amore giovinastro da strapazzo
cedimi il passo, levati di torno
la tua magnificenza spettinata non mi si addice più.
Lo smalto dei tuoi occhi
ha sapore di cena natalizia,
di croccanti e di spezie indelicate;
conosco meglio la calma ricompensa alla stagione,
l’intuizione, la chiaroveggenza, dovuta alle ferite
condite con il sale della scienza.
Tu che ne sai…
rifila le tue occhiate
alla ragazza che ti sta vicino
l’aria fedele , il corpo da violino.
Cerco il silenzio, indiano pellerossa
potente ma indifeso
il fiato nella notte di bisbigli,
di corsi d’acqua e pietre rotolanti
cigolio di altalene, piccole frecce curve
più seducenti dei tuoi coltelli rossi.
Sono rumori forti,
come la vita, come il maestrale
quando acchiappa i capelli del mare
e soffia dentro l’acqua, e la fa sua.
*
( da “Quaderno della danza” ed. Manni)
FEDERICA TADDEI –
*
Federica Taddei vive a Roma. Giornalista ha collaborato con “Panorama”
e “L’espresso”. Ha pubblicato diversi volumi.
*

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Segnalazioni volumi = Pezzato

"LA FINE DEL NOVECENTO È L’INIZIO DI CHE COSA?"
(Per Lorenzo Pezzato)
Mi piace pensare al «Sacro Mediatico Impero» del villaggio della comunicazione globale come ad un nuovo Moloch dalle gambe di argilla che può essere afflosciato dalla puntura di spillo di una poesia.
Ma è una illusione.
In realtà, la poesia sopravvive a se stessa come un parassita sul corpo sociale delle attività produttive. È una entità parassitaria. Nelle condizioni(*) della odierna economia spirituale (e monetaria), il discorso poetico non può che perorare la propria radicale estraneità al Moloch.
Il conformismo, invece, è altamente produttivo: perché il libero mercato ha bisogno di un pubblico assuefatto e di una cultura massmediatizzata. È paradossale pensarlo ma non resta che ricrederci, abbiamo sbagliato: è produttivo soltanto ciò che conformistico, ciò che si adegua supinamente al conformismo di un gusto irrimediabilmente massmediatizzato.
Lorenzo Pezzato impiega l’arma dell’ironia, fa le capriole, assume pose attoriali, celebra cerimonie, prende possesso del palcoscenico come d’un artificio, d’una messinscena. Il divertimento del poeta desublimato corrisponde alla irriverenza con cui tratta il proprio materiale poetico; l’entrata in gioco (ovvero, l’entrata in scena) è anche la presa di possesso d’un materiale poetico povero, automatizzato, sclerotizzato, socialdemocraticamente complicato da rime, contro rime e anti rime, assonanze interne (ed esterne) dove è possibile perfino registrare il «gioco» tra presenza (dell’orecchio) e assenza (dell’occhio), squisita mistificazione del poeta di corte.
Ne esce l’istantanea composita di un «mondo in vetrina», un mondo che è la rappresentazione dell’eterna commedia italiana di palazzeschiana memoria, il ribaltamento dei piani e dei valori in dis-valori che il villaggio globale ha riscritto e risistemato, la giaculatoria nei confronti del «nuovo»: « Tutti i giorni mi umilio allo specchio / tutti i giorni mi umilio leggendo i versi di ieri / scaduti da ventiquattr’ore», sono gli indizi del lutto che la società del villaggio globale annunzia: gli oggetti scaduti (tra cui anche la poesia di ieri), l’amore di coppia, il sublime (e l’anti sublime) della tragicommedia dell’«io» moderno.
Mentre l’eterna Arcadia italica si esprime «nella lingua della clericatura», nella lingua di uso pragmatico (sempre più periferica e marginale) suonando con il plettro delle viandanze turistiche, la migliore poesia dei giovani dell’ultima generazione sceglie di esprimersi nell’idioma della propria marginalità assoluta, marginalità linguistica e stilistica che è stata scacciata dai circuiti della produzione-consumo (quel coacervo di superconformismo di una sottoclericatura destinata al servizio di corte): la marginalità della merce riciclata e riutilizzata dell’epoca della stagnazione stilistica.
Invece la gran parte della odierna poesia oggi in voga (una sorta di sub-derivazione del minimalismo), con tanto di sublime nel sub-jectum, scrive in un super latino della comunità internazionale qual è diventato il gergo poetico in Europa (di cui l’italiano è una sub componente gergale). Ma, è ovvio, qui siamo ancora (e sempre) sul vascello di una poesia leggera, che va a gonfie vele sopra la superficie dei linguaggi neutralizzati del Dopo il Moderno: srotolando questo linguaggio come un tappeto ci si accorge però che ci sono cibi precotti, già confezionati, da esportazione: non c’è profondità, non c’è spessore, non ci sono più limiti. La leggerezza rimbalza sulla superficie, non ne affronta cause ed effetti drammatici, non c’è indagine della superficialità fino a metterne a nudo le profondità. Lampante in questo senso “La parabola dei talenti”:

Scagliano versi con fionde rudimentali
come ciottoli da tavole di legge frantumate
nel passaggio al nuovo millennio,
i contemporanei poeti a corta gittata
stelle filanti
talenti in parabola discendente.

Ci sono i linguaggi del tappeto volante del tutto e subito e del paghi uno e prendi tre, del bianco che più bianco non si può. C’è una libertà sfrenata, una democrazia demagogica: si può andare dappertutto, e con qualsiasi veicolo, verso il rococò, verso la nuova Arcadia, verso la poesia civile, verso un nuovo maledettismo (con tanto di conto in banca dei genitori) e verso lo stile lapidario; una direzione vale l’altra, o meglio, c’è una indirezionalità ubiquitaria che ha fatto a meno della bussola: il nord equivale al sud, la sinistra equivale alla destra, l’alto sta sullo stesso piano del basso. In realtà, non si va in alcun luogo, si finisce sempre nell’ipermarket della superficie, dentro il tegumento dei linguaggi e dei temi neutralizzati. Siamo tutti finiti in quella che io ho recentemente definito poesia da superficie.
Ma nelle opere di un autore come Pezzato è visibile un mutamento radicale della situazione culturale del Dopo il Moderno, la ricerca di un Moderno privo di suffissi post che si ponga come partenza e arrivo di se stesso senza dipendere da, un distacco dai canoni e un arrembaggio alle difese che il discorso poetico ha costruito contro l’invasione di nuovi linguaggi.
Pezzato riparte dallo zero, dal minimo comun denominatore di un linguaggio che ha azzerato le tematiche che la critica dell’economia linguistica degli istituti stilistici maggioritari consegnava agli autori delle giovani generazioni e il suo «io» deve fare i conti con la finta centralità dell’«io», con il travestimento del poetico in koinè pseudo narrativa, con la dismissione dei parametri stilistici del secolo dello sperimentalismo. E la storia narrata dalla successione dei componimenti si conclude in perfetta linea con i tempi, senza assunzione di responsabilità da parte di alcuno, l’ennesima occasione di cambiare sprecata, bruciata dalle fiamme della pressione che il contorno esercita su ognuno di noi, una ferita che non si rimargina e continua a procurare dolore, il simbolo più rappresentativo della generazione che negli anni Dieci dovrebbe esprimere la classe dirigente e intellettuale di questo paese e che invece ancora langue in casa con i genitori, si accontenta della mediocrità alimentando il pantano che la paralizza, nel migliore dei casi produce letteratura ed arte in sintonia con l’appiattimento generale. Esseri umani colmi di potenzialità che si rendono conto della propria condizione, che si rendono conto anche di quanta fatica costerebbe loro –in ogni senso– trasformarsi, essere diversi, perciò scelgono di anestetizzarsi con le abitudini, i viaggi e lo shopping, l’illusione di una vita riempita di oggetti e cose da fare, inchiodata all’infimo privilegio concesso, svuotata di idee e coraggio:

Oggi nevica, che meraviglia
la legna crepita scaldando l’ambiente
persone allegre attorno al tavolo
cucinano o cercano di farlo, la polenta
nel paiolo di rame la fame di cibi
invernali conditi pesantemente,
su un ramo spoglio uno scricciolo
saltella come niente fosse
non è volato al sud rimane
al suo posto anche quando la tempesta
imperversa non molla resiste
non cede alla tentazione di sbattere
le ali e svernare altrove
un altro dove temperato
troppo affollato di uccelli codardi.

Con le parole dell’autore: “Non credo che la poesia contemporanea, in questo preciso momento storico, debba assumersi la responsabilità della ricerca linguistica e formale, ma debba per un attimo ricordarsi che il poeta è uomo e, come tale, inserito in una socialità che, non piacendogli, deve aggredire, non rifuggire cercando riparo nella lirica ad alto contenuto estetico sul petalo di rosa …”

Lorenzo Pezzato è legittimo rappresentante della «poesia degli anni Dieci» scaturente da una generazione cresciuta nella democrazia della stagnazione ma è troppo intelligente per non accorgersi che quella generazione «eclissata» perché economicamente invalida e culturalmente improvvida è anche la generazione della stagnazione stilistica, morale e politica. Si tratta della prima generazione in crisi di identità -in quanto figlia prima del benessere poi dalla crisi economica- che affronta un tempo denso di contraddizioni e di mutamenti repentini, di evoluzione sociale galoppante di cui non riesce a tenere il passo, che stenta a trovare una qualunque direzione e annaspa in un oceano di apatia e indolenza.
La poesia «degli anni Dieci» adotta qui il binario del surrogato della «Comunicazione», un equlibrismo tra lirica e prosa civile, andando a sottrarre alla poesia la maggior parte della sua potenza di astrazione, finendo vicina a diventare una sub componente gergale della «Comunicazione», poesia nutrita con i surrogati e i succhi gastrici della «Comunicazione».
Non c’è dubbio che la «nuova poesia degli anni Dieci» debba trarre linfa e forza dal vuoto che la circonda, dal quasi nulla a disposizione e da quello cerchi la ripartenza, cerchi di distillare il proprio linguaggio, il proprio modo e il proprio messaggio.
E’ d’altronde lo stesso Pezzato che tratteggia una poetica per la poesia a venire, una poesia intelligibile, diretta e scheletrica nella forma ma comunque attenta all'estetica dei suoni e dei ritmi (quasi in antitesi al concetto «classico»), che usa il linguaggio stringato e minimale del XXI° secolo, che propone temi di stretta attualità perché la poesia possa servire a «decifrare» anche il mondo moderno nell'immediatezza della sua rappresentazione, che utilizza l'Io ipertrofico -caratteristica tipica della nostra contemporaneità occidentale- come centro di gravità. Un tratteggiare su tabula rasa che si presenta arrogantemente come abbecedario poetico, come simbolico punto di partenza per la nuova poetica, come si intuisce incontrando i due “esercizi da sussidiario” (con la c e con la s).
Il poeta combatte con le armi convenzionali e tradizionali dentro una forma-interna invece molto «in avanti», come il cavallo «in avanti» che si appoggia sul morso tenendo in tensione le briglie per sottrarsi al loro controllo, scattando perennemente.

Dunque, la «poesia degli anni Dieci», appare impegnata nella costruzione di un discorso poetico fondato sulla interrogazione dell’«inautenticità». E qui sorge un problema: è ancora possibile il discorso poetico fondato sull’«inautenticità»? È ancora possibile porre la questione di: quale poetica? Delle poetiche fondate sulla giustificazione del proposizionalismo come avveniva nel tardo Novecento? Si tratta di scegliere: quale proposizionalismo? Si tratta di scegliere: a) un discorso poetico che si regga sulla semplice giustificazione estetica delle proposizioni, che le incatena le une alle altre secondo la gerarchia stabilita dalla «funzione» poetica? b) o si tratta invece di fondare il discorso poetico non più sul giustificazionismo estetico e proposizionalistico di tipo tardo novecentesco ma sulla interrogazione dell’«inautenticità»?
Pezzato pone all’ordine del giorno la questione dell’«inautenticità»; con ciò traduce e ripianta su nuove basi il concetto di «autenticità», un modo strategico per introdurre «surrettiziamente» la questione di un nuovo statuto e di una nuova leggibilità della poesia non più intesa quale istituzione stilistica.
È oggi ormai chiaro a tutti che in pieno Dopo il Moderno (dopo che la post-modernità ha provocato l’inflazione e la stagnazione dei paradigmi stilistici dominanti), il discorso poetico non ha altra scelta, se vuole sopravvivere, che inoltrarsi verso il «vuoto», l’«ignoto» senza più la sicurezza dei parametri tematici e stilistici consolidati. Il futuro della poesia non dà certezze ma solo problemi aperti che attendono una soluzione.
Sulla poesia grava allora il compito di sollevare una serie nutrita di questioni fissando negli occhi la quotidianità contemporanea, di puntare l’indice e gli specchi per una profonda riflessione collettiva.
Non è un compito da poco.
-------------------
*In un articolo del 1976 Franco Fortini, meditava sul «Sacro Capitalistico Impero» e rifletteva sullo scrivere poesia in lingua nazionale e in dialetto, nella lingua della «clericatura» interna e internazionale. Da allora, sono trascorsi trentacinque anni e direi che il fortiniano «Sacro Capitalistico Impero» è diventato il «Sacro Mediatico Impero»; non più Impero del Male né Impero del Bene, siamo entrati in un’età che è effettivamente andata al di là del Bene e del Male, in un territorio direi neutro, in un territorio attraversato dalla «Comunicazione», in un territorio deterritorializzato la cui unica Costituzione è la Comunicazione Globale. Scriveva Fortini:
La vera questione non è quella del rapporto fra i dialetti e la lingua ma fra lingua nazionale e le massime lingue di cultura. In corrispondenza ad un irrigidimento della società in caste (maschera delle classi), il cosiddetto «italiano» o è una sottospecie dell’inglese che serve alla comunicazione dei potenti, dei sapienti, degli eminenti, dei borsisti, degli specialisti, dei registi, ecc. o è esso stesso un dialetto, la lingua d’uso destinata alla comunicazione pragmatica e affettiva. In questo senso i dialetti tradizionalmente intesi ritrovano tutta la loro legittimità: se consideriamo l’Italia una grande Manhattan, nei dialetti tradizionali vi sono linguaggi delle sottoculture, mentre l’italiano della comunicazione corrente (parlata o letteraria) è il linguaggio della sottocultura complessiva peninsulare e, al di sopra, sta l’italiano ufficiale, amministrativo, scientifico o specialistico, che è l’inglese o russo tradotto o traducibile; non a livello linguistico ma a livello morale e culturale. Per questo i dialetti, in quanto superstiti, sono «figura» dell’italiano, che già fin da ora è una lingua superstite. Non corrisponde a nulla di autonomo. Che Volponi scriva in (ottimo) italiano invece che in casigliano è un puro caso geografico. Un testo di Albino Pierro o di Franco Loi è solo una scelta di campo, uno squisito autolimitare (ed esaltare) la comunicazione. L’attitudine (e l’uso) del dialetto, e dei gerghi e – al limite – della lingua privata è l’altra faccia della costituzione di nuovi linguaggi internazionali. Scrivo un verso in italiano e so di scrivere in una lingua morta, in un dialetto agonizzante; scrivo invece queste righe traducibili in qualsiasi congresso con prenotazione alberghiera, presidenza e microfoni, e so di star scrivendo una specie di latino, nella lingua della clericatura. La dolce e infame anarchia del ghetto fa fiore e muffa per entro il Sacro Capitalistico Impero.
_____________

GIORGIO LINGUAGLOSSA

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martedì 10 aprile 2012

Poesie = Mariacristina Pianta

La caserma --

Grigia tra campi assolati.

Era quel mondo
di spoglie pareti
un improvvisato gioco.

Ad ogni sigaretta
citava versi latini
l’impiegato,
il capitano tra polvere
e registri disperdeva
inutili ordini.

Un volo basso
di fagiani colorava
l’ampia baraggia.

*
Il cavaliere –

Si aggira inquieto e tetro nella stanza,
non ama l’eco breve di parole
sfumate e scorda il raggio di sole,
ritorna scuro in viso anche in vacanza.

Distratto vive in famiglia e non coglie
segreti sguardi, nega ombre lontane,
dal grigio cielo scaccia gioie vane
ma sembra assente e stanco con la moglie.

Un giorno scopre strani movimenti
non può tornare tra arredi lussuosi,
un trasferimento improvviso accetta

e tutto pare banale. Ora lenti
scorrono gli anni vuoti e noiosi,
soltanto il passato splende e lo aspetta.

*
Cervo da stiro --

Con la fretta d’ogni giorno
mi guardi. Poche parole
e il faticoso oggetto
si trasforma, vola
su alti picchi, si nasconde
tra verdi pareti, scompare.

Solo un vago bramito
nella stanza deserta.
*
MARIACRISTINA PIANTA
*
Mariacristina Pianta, redattrice della rivista Il Monte Analogo, ha pubblicato sette raccolte di poesia per Prometheus, Pulcinoelefante, Nicolodi (prefazione di Giampiero Neri), Lietocolle.
Nel 2003 ha presentato, a Palazzo Reale, con Gilberto Finzi e Alessandro Quasimodo “O forse tutto non è stato” di Maria Cumani Quasimodo.
Ha partecipato al festival di poesia, a Parma per Lietocolle con l’antologia a cura di Giampiero Neri “Orchestra poeti all’opera”, numero 2, 2008.
Ha curato e presentato, il 30 gennaio 2012, a Milano, presso la libreria Feltrinelli di via Manzoni, insieme ad Alessandro Quasimodo, il libro “Il fuoco tra le dita” di Maria Cumani (casa editrice Abramo).
Dal 2002 guida il laboratorio di poesia del Civico Liceo Linguistico Manzoni.

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Poesie = Nevio Nigro

“LA DONNA OSCURA”

Sui prati della notte
danza una donna oscura.
Viene da un golfo d'ombra
in cui scompare il tempo.
Come a voce vicina di sirena
la vela corre.
Il ballo va al finale.
Sui prati della notte
siamo di fronte a lei.
Fatti di acqua e di vento
musica e parola.
Come bambini in pianto.
E siamo innamorati.
E siamo soli.
*
NEVIO NIGRO

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Poesie = Daniela Raimondi

"Un mattino d’aprile canterà la mia morte"

Ritornerò ai miei denti aguzzi,
alla criniera d’oro.
Riprenderò le piume lucenti
e le mie squame.

Lascerò il fruscío della mia anima
sull’erba piegata a ponente.
Liberata dal mio cadavere
e con il cuore leggero
come un foglio di carta bruciata.
*
"Gaza"

Una terra incandescente
e un nero che non conosce alba.
Il giorno nasce senz’ombra
con un artiglio nel sangue
e un pianto di ossa.

Alla radio una voce racconta
che a Gaza i bambini
non muoiono solo di piombo
ma d’infarto,
sotto un tuono di bombe
e col cuore spaccato a metà.
*
"Le stanze segrete di Frida" *

La casa blu, la pioggia,
il candore dei gigli e i quetzal. **
Un piccone sventra la stanza murata,
strappa la carta dalle pareti.

Il fascio di luce
cade su un mosaico di stelle.
Nella grotta segreta
splende la lampada di Aladino:
perle e bracciali d’argento,
la seta e il broccato,
il profumo dei fiori e l’oro dei Maya.

Ci sono biglietti dell’autobus,
il ventaglio, il rossetto,
le piccole mani di Pablo
e un testo di Trotskij,
e parole d’amore.
¡Hay, cuántas y cuántas palabras de amor!

Nel ritratto, Frida ha il viso di una vergine ebrea.
Alla sua festa di sposa il re sorrideva.
En las calles corría una música alegre,
un canto suave de pajaros y niños.

Nella penombra, c’è l’armatura di ferro
di una regina dalla schiena spezzata.
Su una sedia, la sua sottoveste di raso
e scialli di lino, il rosso e il cobalto,
le ciprie e i gioielli.
Nell’aria una polvere bianca.
Odore di muffa. Odore di urina.
Un gatto fugge dalla finestra.

Sul tavolo, c’è il giornale stampato
nel giorno della sua morte.
La foto de un cuerpo de nacar y miel:
i suoi occhi da cerva,
il lenzuolo abbassato sui fianchi
e sotto il lenzuolo la gamba di legno.

Nello sguardo di Frida c’è il ricordo
di un feto senza polmoni,
il dolore delle anche malate,
la neve a New York.
Ella cerraba los ojos del niño
y la nieve caía,
la nieve volaba en el cielo de Brooklyn.

Uno schizzo a matita.
La donna bionica cerchiata di ferro,
la foto di Georgia premuta sul cuore.***
Il capezzolo rosa
e Parigi, la nebbia.
L΄amore di Diego. L΄amore di sempre.

Nella stanza segreta
resta ancora il respiro,
la cenere sul fondo dell’urna.
Se ascolti, senti ancora
il suo cuore che pulsa
fra i fiori e la colla della parete.


* Mexico City, 1954. È irremovibile Diego Rivera alla morte della moglie: la casa di Frida veniva trasformata in museo aperto al pubblico, tranne per due piccole stanze da bagno che lui stesso fece murare. Le “stanze segrete” di Frida. Sigillate nel 1954, e rimaste tali per oltre cinquant'anni, le stanze murate della Casa Blu sono state riaperte nel 2004. A partire dal 1930, e per più di vent΄anni, nella Casa Blu erano passati gli amici più cari di Frida e di Diego, artisti rivoluzionari e amanti segreti. Fra questi Lev Trotskij, André Breton, Pablo Picasso, e con loro, un pezzo di storia artistica e politica del Novecento.
**I Quetzal sono gli uccelli mitici dei Maya.
***La fotografa Georgia O’Kieffe, la sola donna di cui si sia trovata prova scritta che fu amante di Frida Khalo.
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DANIELA RAIMONDI

Daniela Raimondi è nata in provincia di Mantova e ha vissuto per 30 anni in Inghilterra dove si è laureata in Lingue e Letterarature Moderne e ha conseguito un Master in Letteratura Ispano-Americana presso il King's College dell'Università di Londra. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti a concorsi letterari nazionali sia per la poesia che per la narrativa. Suoi testi sono stati tradotti e pubblicati in ungherese da Olga Erdös e sono usciti in versione inglese nelle riviste Gradiva (New York) e Fire (Inghilterra).. E' redattrice di Clepsydra Edizioni: http://www.clepsydraedizioni.com/
Ha pubblicato: Entierro - Monologo in versi (Mobydick Faenza, 2009) Ellissi (Ed. Raffaelli, Rimini, 2005); Inanna (Mobydick, Faenza, 2006); Mitolologie Private (Edizioni Clandestine, 2007); Diario Della Luce Libro/Cd (Mobydick Editore, gennaio 2011)

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