SEGNALAZIONE VOLUMI = EDITH DZIEDUSZYCKA
**Edith Dzieduszycka, Frattaglie, AltrEdizioni Casa Editrice, 2022
Libro imprevisto, nel senso di sorprendente, questo di E. Dzieduszycka, in quanto gioca sullo straniamento e la devianza. In primis dei generi letterari così come acutamente rileva Luciana Gravina nella prefazione in quanto «scelta consapevole di devianza lessemica, oltre che semantica, la qualcosa è precipua del codice poetico». E sembra che qui la poetessa voglia divertirsi con una scrittura paradossale e ammaliante, allestendo un prezioso tessuto testuale in bilico tra il poetico, l’ironico, l’aforismatico, l’acutezza barocca insieme al récit e ad una idea (forse impraticabile) di modello narrativo. Allora il racconto sfuma nelle allusioni, nell’ aneddoto sarcastico di un osservatore disilluso che giudica da lontane distanze. E il lettore precipita nelle frattaglie (non casuale è il referente biologico) delle cose e dei casi umani in un vortice di immagini e analogie.
Un atlante minimo delle personalità e delle debolezze: dall’ “eroe a mano armata” del primo testo, il vate grandeur in ritratto caricaturale, alla Dignità, virtù fuori moda e obsoleta ormai: «Così spennalizzata, anzi sdignitizzata, piano piano spennata, pura malignità, peggio malvagità, nessuno più capiva, la Dignità chi fosse Comunque nel frangente a nessuno importava...»
Quasi una moderna raccolta di cammei sull’impronta dei moralisti classici, questi schizzi della Dzieduszycka, che nella brevità di poche righe condensano un carattere, un’inclinazione, un vizio con una lingua intensamente espressionista. Tra le armi retoriche attualizzate per colpire i conformismi e la decadenza sociale dei nostri tempi l’ironia e il grottesco. Ma ancor di più l’autrice vira il discorso in un senso che la retorica classica avrebbe definito ‘asiano’: manieristico, disarmonizzante e moderno. Giochi di parole, cadenze surrealiste, uso delle Phantasiai, trasfigurazioni e aggregazioni di visioni: «Così fummo gettati, vegetariani vivi, nella caldaia accesa, e d’aglio e rosmarino farciti e rosolati».
Soprattutto le enumerazioni dotte e fantasiose, gli accostamenti improbabili in un gioco di immagini morbose e grottesche: «Ferine le parole appena risputate sul gozzo d’un abisso, carburante filoso, bava di scarafaggi, ortica, lance e frecce, coratelle di ragni, esche glicemiche...». Bisogna ricordare che la parola latina ingenium ha il significato di ‘dote dell’invenzione spiritosa’, perché collegando il dissimile genera stupore. In questi testi l’ingegno e l’acutezza dell’autrice rendono visibile la prospettiva di un mondo rovesciato, di una contemporaneità per molti versi inafferrabile, oscura, dominata da forze autodistruttive. Le sei malattie dello spirito contemporaneo di cui ci parla il filosofo rumeno Costantin Noica sono assommate in questi “Scherzi” filosofico-musicali che rappresentano la precarietà dell’essere, la vita e le sue contraddizioni. L’autrice pare divertirsi molto a scrivere certe distorte visioni o certi giocosi illusionismi riuscendo ad illuminare a giorno un esistenziale che ci comprende e riguarda.
Non è un caso che la raccolta venga introdotta da una sorta di calligramma, e cioè il disegno di alcune lettere dell’alfabeto, le sole consonanti del titolo, (eliminate le vocali come nella lingua sacra ebraica) con piccoli ornamenti simbolici. A sottolineare che il valore della lettera e della parola, (e qui di un titolo che sigla il discorso), inizia già dal segno grafico. E l’avviso all’incauto lettore che varca la pagina è già una promessa di delizie come quelle di un quadro di Hieronymus Bosch: «Entrate con cautela nell’arena addobbata di stracci sanguinanti corde catene mazze impalpabili virus ogni tanto fermando i vostri cauti passi per chiedervi dubbiosi: è prosa poesia è sogno pandemia?»
(Letizia Leone)
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da "RUBRICA LIBRI RICEVUTI"
Edith Dzieduszycka, Un’altra pelle, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2022
Dal suo lungo percorso poetico, letterario e artistico Edith Dzieduszycka torna alla forma giapponese dell’Haiku, già sperimentata in passato (Haikuore – genesi, 2017) stazione quasi inevitabile per chi voglia collocare la sua scrittura in una nuova posizione di misura versale che crea una distanza con la tradizione del verso alessandrino o dell’endecasillabo, verso principe della tradizione poetica italiana, che Ungaretti conteggiava nella misura esatta di un respiro. La poetessa stessa chiarisce la sua attrazione per tale componimento: «il piccolo grumo di parole, quelle diciassette sillabe, cinque – sette - cinque, che ho già definito “angusta gabbia”, un blocco compatto e senza sbavature, un concentrato che costringe ogni volta a brevità ed essenzialità». L’Haiku risponde ad una esigenza di concentrazione semantica e linguistica tanto che scusandosi anticipatamente per aver deragliato dalla regola aurea di composizione orientale, la Dzieduszycka chiude il libro con una sorta di dialogo erotico ‘Sotto la brace’ dove è forte l’eco delle poesie di ‘L’immobile volo’, (Progetto Cultura, 2020). Nella sua dotta introduzione Giuseppe Gallo ci rammenta l’originarietà del gesto sacrale della scrittura giapponese nello spazio deificato del giardino zen, per poi analizzare lo scarto da tale modello della poetessa francese: «Da una parte sa che sta utilizzando gli haiku non per ciò che questi sono all’interno della tradizione culturale dell’estetica giapponese, ma per ciò che questa forma poetica le può permettere...In effetti la sua attenzione intellettuale e la sua creatività cercavano una struttura che potesse scalfire la prosopopea della versificazione lineare francese e italiana per costringere se stessa alla “brevità” e alla “essenzialità”. È il famoso “risparmio verbale” di cui parlava Zanzotto.» Questa perfezione formale permette alla poetessa di riprendere possesso di un universo naturale e creaturale abbondantemente esplorato dalla tradizione ma qui investito di una nuova aura, di un’altra pelle, lontano dagli stereotipi: a casa nostra / formiche scarafaggi / non li vogliamo.
(Letizia Leone)