giovedì 4 dicembre 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = PASQUALE MESOLELLA


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Pasquale Mesolella: “L’ultimo guerriero” – Ed. Pentalinea – 2025 – pag. 52 -€ 13,00
L’assenza improvvisa corrode inesorabilmente ogni possibilità di ripetizione, e troppo spesso incide negativamente contro ogni ondeggiamento dei sentimenti, intrecciando interstizi di contrarietà e ricucendo gli strappi del caos quotidiano per un frammento colorato di sentimentalismo.
Il lutto è il mantello nero che avvolge ed immobilizza!
Molto più devastante l’onda d’urto quando la Falce Nera colpisce un figlio ancora giovane, di soli trentasei anni, e nel pieno della sua espressione artistica e culturale. Il torrente dei versi che Pasquale Mesolella avvia, in un crescendo di vibrazioni emotive e in un cratere acceso dalla memoria, continuano ad accostare momenti di comunanze artistiche a inesorabili giochi del fato, per raccontare e rivivere alcune occasioni di creatività e riabbracciare nell’ombra dell’eterno la figura dell’erede prematuramente scomparso.
Le poesie raccolte in questa silloge mostrano date differenti, che si avviano dal 2023, quasi a voler disegnare un tragitto di vita e di affetti che hanno modellato il rapporto amoroso, anche prima della catastrofe.
“In questa strada senza fine mi perdo/ come un sonnambulo a tentoni/ con le mani libere/ mi sento senza appigli/ che possano fermare/ le braccia tese.”
Scrive Nicolàs Lopez-Perez in prefazione: “L’ultimo guerriero è un libro che sa delineare gli interstizi di amarezza e dolcezza che un poeta è in grado di identificare con il suo sguardo e la sua passione (intesa come pathos); con il suo corpo e il suo mestiere. Il volume presenta sprazzi di un presente in cui il poeta non è solo: la guerra, la memoria, alcune presenze che rattristano, le complicità inaudite, e altre esistenze che indignano.”
“E sei volato come un’ombra nera/ nel cielo plumbeo di un pomeriggio/ di marzo senza neppure darmi il tempo/ di salutarti, di darti un caldo addio.”
Un racconto infervorato che trasporta in un linguaggio decorosamente forgiato, che conduce a qualcosa di delicato, qualcosa che concorda con la “volubilità delle intemperie/ sulla rotta dell’ignoto, dell’imprecisato”.
Arricchiscono il volume diverse riproduzioni di disegni, serigrafie, fotografie, di Luca Mesolella, e che testimoniano la sua poliedrica capacità creativa.
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ANTONIO SPAGNUOLO

lunedì 1 dicembre 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARTINA GIANNI'


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“Per brevità chiamato amore” di Martina Giannì (Eretica Edizioni, 2025 pp. 60 € 15.00) analizza, con sapiente e intenzionale laconicità, la frammentaria esposizione alla vita intorno alla ricerca tangibile e sensuale dell'identità e al sedimento emotivo, carnale della realtà dell'innamoramento. Martina Giannì indaga la varietà teatrale dell'anima in un palcoscenico di espressioni concesse al gioco delle apparenze, dove gli sguardi si posano lievi sull'amara consapevolezza e oltrepassano gli entusiasmi e gli incanti del cuore, da voce al respiro infinito di ogni tentazione sensibile di essere viva e di accogliere il desiderio, creando un dialogo suggestivo tra le varie voci interiori che animano i suoi versi e compongono l'entità coinvolgente dell'amore. La poesia di Martina Giannì è un territorio privilegiato in cui ogni intensa attrazione verso l'altro risponde a un'estensione seducente della vicinanza, un'oasi naturale dove approdare, un'autentica necessità di lasciarsi andare e cadere tra le braccia di una sensazione, nel confine labile e provvisorio delle atmosfere vissute e sentite. Evoca scenari transitori, allestiti nella fragilità delle relazioni umane, descritti in un linguaggio incisivo, epigrammatico, ma nella brevità e nell'evidenza scultorea dei versi è racchiusa tutta la forza divulgatrice dell'essenza, lucida e fuggevole, di ogni esperienza.
L'autrice rincorre la natura delle proprie vulnerabilità elevandole a motivo di resilienza e di crescita personale, alimenta una nuova intuizione alle parole donando loro uno strumento illuminato per diffondere la percezione affettiva, per scavare la dimensione olfattiva dei luoghi e l'occupazione sensoriale delle persone, per comunicare la contraddizione suscettibile della coscienza e per incoraggiare l'efficacia dei versi come un'ancora di salvezza. Martina Giannì conosce il vuoto dell'assenza, attraversa gli avvertimenti della solitudine, si confronta con l'irresolutezza del nulla e la vibrazione della provvisorietà, rivela una riflessione tagliente e ironica sull'amore, consolida la pungente intesa esistenziale contro le ipocrite consuetudini morali, suggella la sincerità nella connessione fiduciosa di un tempo percorso da fondamenti vivi di nostalgia e malinconia. Sperimenta e consolida il proprio cammino poetico intorno alla conferma di ogni congiuntura favorevole per il viaggio dell'accadere, conforto e sostegno in una successione naturale delle presenze e degli abbandoni, nell'ordine miracoloso del flusso delle stagioni interiori, nel labirintico e spietato incrocio delle illusioni, nell'abbraccio decisivo e languido delle attese perdute. Il libro conserva l'amorevole tenerezza, delicata e inafferrabile sulle cose, custodisce l'acuta e disarmante dichiarazione sulle aspettative affettuose, l'inesorabile e accorata comprensione delle tensioni romantiche, l'inquieta e struggente elegia dei ricordi. Martina Giannì conduce il tragitto bruciante e disilluso delle relazioni verso la rotta realista di ogni spazio bianco, da riempire, nella pagina trafitta da agguati impulsivi e accordi passionali, insegue un richiamo caloroso verso l'assedio rovente del contatto umano, l'oscillazione di uno spirito smanioso che dalla terra riceve la sua linfa empatica e identifica, oltre la disgregazione, la traccia dell'appartenenza. Nell'impalpabile distacco da ogni perfezione, esegue le declinazioni possibili di ogni sequestro emozionale, nella forma diluita e inaspettata del divenire.
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Rita Bompadre
- Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/
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Testi scelti
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Qualcuno dice
che i sentimenti non sono innati,
nessuno ce li ha mai spiegati. Bisogna insegnare il sentimento:
la cura,
la paura,
il malcontento,
/> quella cosa nel tuo sguardo
che si perde nel vento.
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Voglio essere
una carezza leggera
che scivola lontana,
una dolce parola vana.
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Era bello il cielo
sfregiato dalla tua ombra.
Ci sono cose
che si somigliano
quando si rompono.
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Scrivi una poesia
sulle mie braccia,
leggi ad alta voce,
urlamela in faccia.

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L'amore,
la vita,
il disincanto.
Ho seppellito
i suoi versi
in un solenne pianto.
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Non esiste
condanna peggiore
del disamore
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C'è la nostalgia,
c'è la poesia
a tenermi compagnia. La tua voce
che sfiora le persiane,
il cielo vuoto della sera,
un pezzo di pane.
Aiutami a colmare
i vuoti del cuscino,
ad immaginare
il mio destino.
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Nei luoghi
rimane ogni cosa:
le orme dei passi,
gli odori nell'aria,
il fermo immagine
della tua ultima posa.
Dove ti ho incontrato l'ultima volta
è nata una rosa.
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È nata la terra
sotto i miei piedi,
per camminarti lontano,
per non chiedermi più
chi siamo,
per non cercarti più invano.
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domenica 30 novembre 2025

POESIA = FRANCESCA LO BUE


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"Montagna"
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Il cielo discende.
Sorella neve che ti veli di nebbie e sprofondi nell’abisso sconosciuto,
alla luce vaga di un nugolo di stelle, visione soave di lontananza,
invoca il Padre, il suo Trono gelido.
Padre vento, in un tripudio di cupole,
spingi il cielo a discendere il tuo sedile.
Picchi innevati sorgono da altari di roccia,
rimuovendo pensieri di eternità.
Silenziosi, mi sommergono nel sapore del silenzio.
Immobili, terrorizza la loro potenza,
come i mulinelli del vento bisbigliano leggende
disegnando le impronte di dei preistorici.
Hanno la sublimità di saldezze inesprimibili,
la solitudine della pietra,
il grido straziato che ridesta la speranza.
I vecchi saggi lessero i significati dei sogni,
ruminando profezie in un diletto di infinito e solitudine.
Nella montagna c’è la dignità delle nostre radici,
lo spazio della patria dove nascono ed echeggiano i suoni e i ritmi della lingua.
Cerco nella salita il nettare della luce pura,
la sua duttile fragranza,
il viola etereo dell’aria soave
e il suono armonioso della legge perfetta.
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Sbuca dai cieli dei cieli
la bufera incandescente del Sole del mezzodì.
Ed è grido di gioia,
matura la vita dai petti straziati dei monti,
i frutti della fecondità, la forza dell’alimento.
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Francesca Lo Bue

giovedì 27 novembre 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = VALERIA SEROFILLI


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"Confronto saggistico tra La morte di Fabrizio De André e Il cappello a fiori (Appointment in Samarra) di Valeria Serofilli"
Nel panorama delle rappresentazioni poetiche della morte, i testi di Fabrizio De André e Valeria Serofilli offrono due modalità espressive apparentemente affini, ma in realtà profondamente divergenti. La vicinanza tematica – la personificazione femminile della Morte – costituisce il punto di avvio di un confronto che rivela non solo differenze stilistiche, ma anche differenti posture esistenziali.
Nella canzone La morte (1967), De André propone una figura essenziale, quasi archetipica: una presenza improvvisa che “avrà le tue labbra e i tuoi occhi” e che si accosta con un gesto insieme intimo e irrevocabile, avvolgendo in “un velo bianco”. La Morte si configura così come un destino innominabile che assume i tratti dell’amato, fondendo eros e thanatos in un’immagine di annullamento dolce e al tempo stesso ineluttabile. L’improvvisazione dell’arrivo – “verrà all’improvviso” – sancisce il carattere fatale dell’incontro, inscritto nella necessità del ciclo vitale.
La poesia di Valeria Serofilli, Il cappello a fiori (Appointment in Samarra), muove da una medesima intuizione – la femminilizzazione della Morte – ma ne sviluppa un’immagine radicalmente diversa. La Signora evocata dalla poetessa non indossa la tradizionale veletta nera: appare invece trasfigurata in una figura luminosa e minuziosamente definita, con “capelli biondi”, “un cappello a fiori”, “guanti di trina bianca” e anelli multicolori. È una Morte decorata, sottratta all’iconografia lugubre e rivestita di elementi che appartengono alla sfera dell’intimità personale e del ricordo. Non c’è brusca irruzione: la Signora potrebbe “chiedere il permesso d’entrare”, tocca con dita affusolate simili a quelle della poetessa “da ragazza”, sfiora, invita. L’incontro si configura come un passaggio cerimoniale, quasi una visita annunciata da una delicatezza rituale.
Se in De André domina la dimensione del simbolo – il velo, gli occhi, il destino – nella poesia di Serofilli prevale la costruzione figurativa: la Morte è resa concreta, corporeizzata nei dettagli, sottraendola alla distanza del mito. Il movimento da un’immagine archetipica a una immagine personalizzata corrisponde a uno slittamento di tono: dal fatalismo lirico del cantautore a un tentativo di esorcizzazione poetica, dichiarato esplicitamente nella chiusa della lirica. La lacrima finale non è resa della soggettività al destino, ma elaborazione emotiva che trasforma la paura in gesto di consapevolezza.
In sintesi, mentre La morte di De André inscrive l’evento ultimo nella sfera dell’ineluttabile e del simbolico, Il cappello a fiori di Serofilli opera un movimento opposto: umanizza, colora, addomestica la Morte, rendendola una presenza quasi familiare. L’affinità iniziale delle immagini si scioglie così in due poetiche divergenti: una centrata sul destino, l’altra sulla trasformazione emotiva, entrambe unite dall’intento di dare alla Morte un volto che la parola poetica possa sostenere e contemplare.
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ANTONIO SPAGNUOLO
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"La morte"
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La morte verrà all'improvviso
Avrà le tue labbra e i tuoi occhi
Ti coprirà d'un velo bianco
Addormentandosi al tuo fianco
Nell'ozio, nel sonno, in battaglia
Verrà senza darti avvisaglia
La morte va a colpo sicuro
Non suona il corno né il tamburo
Madonna che in limpida fonte
Ristori le membra stupende
La morte non ti vedrà in faccia
Avrà il tuo seno e le tue braccia
Prelati, notabili e conti
Sull'uscio piangeste ben forte
Chi bene condusse sua vita
Male sopporterà sua morte
Straccioni che senza vergogna
Portaste il cilicio o la gogna
Partirvene non fu fatica
Perché la morte vi fu amica
Guerriero che in punta di lancia
Dal suolo d'Oriente alla Francia
Di stragi menasti gran vanto
E fra i nemici il lutto e il pianto
Di fronte all'estrema nemica
Non vale coraggio o fatica
Non serve colpirla nel cuore
Perché la morte mai non muore
Non serve colpirla nel cuore
Perché la morte mai non muore
=== FABRIZIO DE ANDRE'
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"Il cappello a fiori"
(Appointment in Samarra)
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Quando arriverà la
Signora
avrà i capelli biondi/ e un cappello a fiori
non la solita veletta nera
-
Celesti e non di fuoco gli occhi

Mi chiederà il permesso d'entrare
o forse non me lo chiederà
e mi accarezzerà con lunghe dita affusolate, come le mie da ragazza
in guanti di trina bianca
magari francese
con anelli di pietre dure/ multicolori
-
Sfiorandomi le ciglia
m'inviterà a seguirla
perché sa che sugli occhi/ non voglio alcuna conchiglia
-
E forse l'esorcizzazione /è tutta in questa lacrima.
*
===VALERIA SEROFILLI

mercoledì 26 novembre 2025

POESIA = ROSANNA BADALAMENTI


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"Semmai mi vorrai ferire."
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Semmai mi vorrai ferire
dimmi che non sono mai stata nei tuoi pensieri,
ma solo tra le tue braccia,
un'ombra di albero senza radici.
Semmai mi vorrai ferire,
dimmi che la distanza tra me e te
era tra il mio e il tuo cuore
e non tra quell'incomprensione perenne
tra la mia mente e la tua.
Semmai mi vorrai ferire,
dimmi che non mi hai mai amata,
e che nei tuoi occhi
non sono mai stata altro che un riflesso
di ciò che desideravi.
Semmai mi vorrai ferire...
mi hai già ferita.
In quelle tue parole dette e maledette
nel peso di sentirle addosso
come macigni per formiche
e io lì,con l' anima denudata, inerme
e tu insensibile e verme.
Semmai mi vorrai ferire,
non ci riuscirai più.
Io ormai sto lontana da te,
anche nel silenzio tra me e me.
***
"Un ghissi scavusu cu simina spine"
(vernacolo)
A strata è longa,
u passu t’accigghia:
cu lassa pena,
pena pigghia.
-
Zizzania spargi?
Spina t’accumpagna:
‘nta l’anima resta
e prima o poi
t’affanna.
-
Unn’ diri mali:
u mali è ventu,
gira, trona,
ti veni ‘n pettu.
A vita è rota:
chiddu ca scanci,
ti torna.
-
Vucca di meli,
cori di feli?
L’ingannu spacca:
specchiu ‘n manu,
tagghiu e sangu.
E a cammisa
di cu è falsu
prima o poi
si leva.

Cu arriri primu
arriri pi ultimu.
=
-
"Non cammini scalzo chi semina spine"
-
La strada è lunga,
il passo ti avvisa:
chi lascia dolore,
dolore ravvisa.
-
Spargi discordia?
La spina rimane:
entra nell’anima
e prima o poi
fa male.
-
Non augurare male:
è vento storto,
gira, ritorna,
ti cade addosso.
La vita è ruota:
ciò che tu lanci,
ritorna.
-
Bocca di miele,
cuore di fiele?
L’inganno si spezza:
specchio in mano,
taglio che graffia.
E la camicia
a chi è bugiardo
prima o poi
si strappa.
-
Chi ride per primo,
ride per ultimo.
****
"Ti amo"
-
Se in qualcosa ho sbagliato,
e di certo avrò sbagliato, perdonami.
Sono tua mamma, ma sono umana.
Se qualcosa ho trascurato,
e di certo avrò trascurato, perdonami.
Sono tua mamma, ma sono umana.
Se qualche volta sono inciampata,
sono caduta
e la mia mano non ti ha sostenuta
era per proteggerti dal mio dolore
Perdonami se ti sono mancata.
Sono tua mamma, ma sono umana.
L'amore di una mamma,
quello sì, non è umano:
trascende ogni limite,
ogni fragilità, ogni confine.
Ricordalo sempre:
cercami dentro di te,
io sarò lì,
nel cuore del tuo essere,
in quell’amore che sfida il tempo
e non se ne va mai.
Non sono carne e ossa,
ma una forza invisibile che resta e ti abbraccia,
anche quando non ci sono.
Sono tua mamma.
Ti amo.
*
Rosanna Badalamenti

martedì 25 novembre 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = VALERIA DI FELICE


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Valeria Di Felice: “Il giallo del semaforo” – Società Editrice Fiorentina – 2025 – pag. 80 - € 13,00
Primo volume della collana “Pasifae”, sapientemente diretta da Mario Fresa, collaudato cesellatore ed investigatore della parola, “Il giallo del semaforo” sembra, col suo titolo, voler invitare il lettore ad un’attesa obbligata di qualche minuto, prima di procedere nel sentiero che il verso potrà realizzare come esplorazione del sub conscio, sempre incantevolmente ricco di occasioni fulminanti.
Ed è proprio come lo scatto dell’acceleratore che ci si immerge repentinamente nella rievocazione di immagini, nell’annuncio di un azzardo, nel sussurro di un accento, nello spiraglio di “un gioco solitario della vita”, nel salmastro di una spiaggia appartata, nella “cabina ossidata della mente”.
“Non siamo la chiamata al cerchio, / ma il respiro slabbrato del tempo/ nella spirale dell’imperfetto. / La zeta messa a capo/ del nuovo alfabeto/ a scrivere i geroglifici del senso.”
Notevolmente ricca di simboli e di aperture semantiche la scrittura di Valeria Di Felice riflette percezioni che parlano da sole di fulgori e luccichii, che dettano elegantemente pensieri dal tessuto filosofico, che stringono tenacemente i nodi della quotidianità, che sfiorano delicatamente i palpiti dell’amore.
Così, diligentemente, le metafore affiorano evocando ricordi, legami indistruttibili con il passato, richiamando animali in un intreccio inestricabile e riprodotto dai colori di una tela pittorica, riflettendo sul deteriorarsi del tempo, additando le immagini del sogno che rimangono “incastrate tra le figure di fosforo delle lucciole in estate”.
La poesia continua incessantemente a ricamare la proiezione della realtà in un autentico esercizio del segno, riuscendo a decifrare apparenze ed esperienze, complicazioni ed innocenza, abbagli e desideri, luci ed oscurità, bottoni d’oro e maniglie del futuro.
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ANTONIO SPAGNUOLO (25-11-2025)

sabato 22 novembre 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANCARLO BUSSO


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Giancarlo Busso: “Campagne” – Fallone editore 2025 – pag. 100 - € 16,00
Opera prima ricca di componimenti poetici e di prose poetiche, preziosamente ricamate in un susseguirsi di impreviste meditazioni, di vertiginosi fotogrammi quotidiani, di impennate filosofiche, di tessiture immerse nel realismo.
Il tentativo di raccontare, di raccontarsi, è riuscito in pieno, lacerato da un esplodere di simboli che fanno della parola elemento stilistico che arricchisce la frase ed il verso.
“Essere sepolti nel proprio egoismo. Essere improvvisamente insofferenti, ma servili. Il verbo è ancora attendere, ma già si annuncia l’assenza. Camminare in una direzione, forse, ha senso?”
Ogni testo sembra avere un continuo altalenare tra il ritmo delle sillabe ed il plasmabile delle soluzioni. Soluzioni molto spesso richieste quasi come implorazione per un continuo accostarsi dei riflessi intimi. I sentimenti vengono stemperati in un’ amalgama di recupero, mentre il susseguirsi delle azioni abitudinarie vengono giocate sia dai finestroni dell’infinito, sia da repentini mutismi.
L’autore giostra abilmente con le allegorie che a tratti diventano materia palpabile in accenti precisi di sorpresa: “Parole trasmettevano altre parole/ fino a liberarle solo più a gesti/ nello spostare rumoroso di sedie/ tra boccali nebbiosi e improvvisi silenzi. / Si diceva che tutto fingeva anche adesso/ ma la verità si rigirava vorticosa su se stessa/ lasciando la lingua stancarsi tra i denti.”
I modelli ai quali attinge l’autore sono ritrovati nel semplice gesto del vissuto, e rielaborano menzioni o accennano manifestazioni familiari.
“L’ingresso era tra veli d’edera in stanze divenute ceste di cose, dove lenta si poggiava la neve di Natali passati. Postino di ricordi lasciava la corrispondenza ai piedi di un santo, in un angolo votivo dipinto sul muro, ormai da tempo sbiadito.”
“Il vicino è un tale che non conosco/ ma quando lo vedo capisco di essere solo/ tanto solo da essere non lontano dalle sue patate/ non lontano dai suoi peperoni/ molto vicino al gatto che scappa/ e ha paura di quel rantolare.”
Ogni tentativo di luminosità descrittiva si rifugia nella ricomposizione dell’esperienza privata, satura di cosciente delicatezza.
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ANTONIO SPAGNUOLO