venerdì 27 settembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = CARLO CIPPARRONE

CARLO CIPPARRONE : “Il poeta è un clandestino” – Ed- Di Felice – 2013 – pagg. 128 - € 12,00 –
Nella collana “I poeti di smerilliana” diretta da Enrico D’Angelo questo volume risulta tra i più compiuti ed attualissimo nella sua espressione storica e culturale. Una proporzionata scommessa di lettura per il confronto irrimediabilmente fallimentare – dice lo stesso poeta – della poesia con il contesto che caratterizza la misura di una società dedita alla schiacciante determinazione mediatica. “Le parole non bastano,/ non basta più scriverle, gridarle:/ nemici attenti le scancellano, amici distratti le dimenticano./ No, non bastano le parole ! / Ma altro non so fare / e ne ho vergogna.” Per una tale dichiarazione ecco che le pagine si sviluppano tutte dedite alla composizione – scomposizione del dettato, perché finalmente la poesia non risulti indesiderata e sia per il fruitore lo schermo di immagini policromatiche e possibilmente fondamentali per la luminosità di illusioni e memorie. Le più che ricche sezioni nella quali il volume si divide , da “le parole non bastano” , a “il disordine delle parole”, “le parole non cadono dall’alto”, “poesie sulla poesia di questi anni”, “invettive” , “la comune strada”, offrono un tragitto coerente e suggestivo per una indagine e per una forte impronta interrogativa sulla scrittura e sulla necessità letteraria. Il “gioco” di Cipparrone è motivo di unità nel binomio costituito dalla bellezza del verso , abbagliante nelle verità sottese , e la presenza ineludibile dell’autocritica , che non cade in contraddizione, ma alimenta le sospensioni. “Spunta ogni tanto un critico ambizioso / che , stanco di riproporre saggi riciclati / per anniversari di nascite / e di morti di scrittori importanti, rovistando tra versi dissonanti / e distici armoniosi,/ scova un poeta postumo / racchiuso in una cripta …” – Il luogo dove si costruiscono i ponti dell’arte, della scrittura, delle tensioni fra scoperta e invenzione, diviene il luogo delle interrogazioni, con le urgenze del nostro presente e le ombre che temiamo di incontrare. Così queste poesie tratteggiano con arguzia il confronto di un poeta clandestino con la gioiosa capacità di esplodere.
ANTONIO SPAGNUOLO --

SEGNALAZIONE VOLUMI = GUGLIELMO APRILE

GUGLIELMO APRILE – “Il profumo di Giorgia” (canzoniere) -
Loffredo Editore – Napoli – 2013 - pagg 167 - € 12,50

Guglielmo Aprile, autore del testo che prendiamo in considerazione in questa sede, è nato a Napoli nel 1978 e ha pubblicato diverse raccolte di poesia; collabora a numerose riviste letterarie nazionali e internazionali.
Il profumo di Giorgia è un canzoniere amoroso; l’opera ha un taglio apertamente lirico e aspira a saldarsi alla illustre tradizione dei canzonieri amorosi, che hanno scandito la storia della poesia occidentale.
L’opera può essere letta come un poemetto composito e articolato, anche per l’assenza di suddivisioni..
Il testo, per le immagini naturalistiche, delineate dall’autore, si può avvicinare, come genere, al Cantico dei cantici biblico, nel quale l’amata viene detta dall’amato, in sintonia e quasi in simbiosi con la natura stessa e con le sue bellezze vegetali e animali.
Protagonista del canzoniere è il tu al quale l’io-poetante si rivolge per tutta l’estensione e la durata del libro intenso e corposo.
Il testo si apre con tre poesie senza titolo, che fluiscono in lunga ed ininterrotta sequenza, due delle quali sono costituite da una sola strofa e una da tre strofe.
Frequente è l’aggettivazione che dà sfumature al tessuto linguistico; i versi sono spesso debordanti ma sempre ben controllati.
La forma è chiara, nitida e limpida e connotata da una vaga chiarezza che si coniuga a narratività.
Tutti i componimenti presentano una forte densità metaforica e sinestesia.
Cifra dominante dell’opera pare essere il tema del trasporto sensuale, ma anche mistico e spirituale, dell’io-poetante verso la figura dell’amata, destinataria dei versi e musa ispiratrice.
Si avvertono sospensione e magia in un tipo di poesia poco praticato nel panorama odierno e che ha il suo massimo riferimento nel Canzoniere del Petrarca In vita e in morte di madonna Laura.
Viene ad intessersi sulla pagina un gioco di tinte, tonalità, sensazioni, percezioni, stupore e magia, che affascinano il lettore.
Una certa vena neobarocca dello stile caratterizza il libro di Guglielmo Aprile, che segna una svolta nella sua produzione: infatti le sue raccolte poetiche precedenti sono differenti nella loro intrinseca essenza, anche se, tra i temi trattati ci sono quello mistico e quello erotico.
In realtà in Il profuma di Giorgia l’autore cambia stile, passando da immagini dette con urgenza, che hanno come caratteristica una notevole oscurità e complessità, a raffigurazioni, sempre articolate, ma più semplici, che potrebbero essere considerate, ad una prima lettura, elementari.
Invece, quello che sorprende nel testo, è il caleidoscopio incredibile di risorse espressive, che il poeta riesce a mettere in atto sulla pagina, pur rielaborando sempre un unico tema.
Se volessimo adoperare una metafora musicale, si potrebbe affermare che ogni singola composizione è una variazione relativa ad una sola tematica, quella erotica – amorosa.
L’erotismo detto dall’autore è raffinato e la sua donna è descritta attraverso la sua fisicità, che porta, tramite le bellezze del suo corpo, alla sua anima; un libro, appunto, sulla capacità d’amare.
*
RAFFAELE PIAZZA--
***

Con tutti quei pezzi di ferro
che porti sull’orecchio
(piercing, li chiami tu),
come farei, se proprio
lì volessi baciarti?
Ma un albergo non ha
soltanto una stanza, mi fai,
lanciandomi un’occhiata
che sa di maliziosa
allusione e di falsa
promessa, e poi vai via,
proprio quando mi stavo
per lasciarmi andare a un audace
e sciocco doppio senso
sul tema dell’albergo
e della chiave. Mossa
la tua quanto mai, se ci penso,
saggia, provvidenziale.

NOTIZIE = PREMIO PORTA PORTESE

"LA VOCE DI PORTA PORTESE" è un concorso letterario ideato da Claudio Fiorentini.
Poesia in lingua, poesia dialettale, racconto,fotografia , racconto scuola elementare, racconto scuola media,disegni scuola elementare.
Non è richiesta tassa di lettura.
Scadenza 31 dicembre 2013 .
Chiedere il bando completo a : claudio_fiorentini@yahoo.it -

mercoledì 25 settembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = SEROFILLI

VALERIA SEROFILLI : – "Dei tempi" -(raccolta inedita 2013)

Valeria Serofilli con "Dei tempi", plaquette inedita, raggiunge una notevole maturità espressiva, che era già visibile e intuibile nelle sue precedenti raccolte, come, per esempio, Chiedo i cerchi.
La poeta, con queste poesie, traccia un vero e proprio diario dell’anima, che ha per argomento l’amore, gli affetti familiari e la riflessione solipsistica su se stessa, come creatura e persona, inserita nel mare magnum della quotidianità del nostro postmoderno occidentale, nel quale, la parola poetica, detta con urgenza, costituisce l’apertura di un varco si salvezza, per giungere ad una piena consapevolezza del senso.
C’è da notare, elemento stilistico costante nella raccolta, che la poeta interrompe i singoli versi con il segno /, procedimento che rende il ritmo incalzante e dà una forte musicalità al dettato, con una notevole dose di sospensione, bellezza e magia.
Nel componimento eponima, che apre il libro, c’è la presenza di un tu, presumibilmente quello della figura dell’amato, del quale vengono detti molti riferimenti.
In Dei tempi, come dallo stesso titolo, l’amore è visto e vissuto in maniera diacronica. Infatti, nella composizione, l’amato è raffigurato nei panni di diversi personaggi, connessi al passato: come un uomo primitivo con la clava, che stringe l’io-poetante per metterlo al riparo dagli orsi, o come un etrusco, un bizantino o un antico romano.
Ottima la tenuta dei numerosi versi lunghi e tutto il tessuto linguistico e permeato da chiarezza, nitore, luminosità e narratività.
Sono presenti ironia e leggerezza e la Serofilli dimostra di avere un’avvertita coscienza letteraria nel produrre versi che s’imprimono sulla pagina senza nessuno sforzo, con la massima naturalezza nel padroneggiare la materia.
E’ presente una frequente aggettivazione che dà ai sintagmi un’aurea nella quale anche i minimi particolari vengono portati alla luce e l’intonazione è caratterizzata da intimismo e da un tono colloquiale.
I versi procedono per accumulo e sembrano sgorgare gli uni dagli altri, librandosi sulla pagina senza la minima pesantezza e sono connotati da velocità e armonia. Nella breve opera, nella quale alcuni dei testi sono tradotti, la cifra essenziale è quella di una forte originalità della forma e dei contenuti. E’ detto un microcosmo di affetti, pulsioni, sensazioni con consapevolezza e ricchezza di raffigurazioni e particolari.
La poetica espressa dalla poeta in Dei tempi non può definirsi tout-court neolirica in quanto, pur essendo effusione di stati d’animo, sentiti e detti in modo particolarmente armonioso, riflette un certo intellettualismo, che ne costituisce uno dei valori fondanti, pur nella sua immediatezza.
Particolarmente bella la poesia la poesia Il fornaio, nella quale l’io-poetante immagina di essere stato impastato come una pagnotta e, nella chiusa la poesia stessa si fa pane.
In Lettera al padre si assiste ad un colloquio serrato con la figura paterna e la Serofilli si chiede se il genitore esista ancora, s’interroga sulla sua presunta vita dopo la morte terrena. Alla fine del componimento la poetessa torna bambina e scrive: padre mio ti voglio bene. Si percepisce spesso un forte senso materico in queste composizioni.

RAFFAELE PIAZZA --

martedì 24 settembre 2013

" TEATRANDO- Oggi il teatro lo facciamo noi!"

E' in allestimento il < Festival Int. per Corti e Monologhi teatrali " Teatrando- Oggi il teatro lo facciamo noi!" >
scadenza il 15 Novembre 2013. Richiedere il Bando completo a " associazionelucedellarte@live.it " - del sito :
www.lucedellarte.altervista.org

domenica 22 settembre 2013

UN INEDITO DI LEOPARDI

Inedito del Leopardi ?
*
Sei tu leggiadra amica a lambiccare
intimità di amante,
fanciulla di pietade avara.
Alli occhi miei niun confine vale,
e ti prego soccorra,
i’ m’accorgo sovente di star male
duro di nervo e di polpa struggente,
e tu conforta!
Per diletto della tua gioventù
levitando tornita infra le braccia,
presta ai miei tocchi il petto tuo fremente
come giovenca che irride.
Non voluto da alcuno, fuggente ed annoiato,
l’ultimo squillo …
Ma cosa è questa?
Impallidisce nello spazio mio breve
ed incosciente
la selva bruciata, per li tempi e l’ombre.
A te che sudori miei dolce lenisci
vorrei cantare in sogno
un sogno che a la mente improvvisa,
intorno alle tue vesti azzurre.
Come carbone vive de la fiamma,
trasborda le mie voglie infra i tuoi sensi
per conturbare il ventre.
L’indomito virgulto
se tu vedessi innanze
non lasceresti più or che lo vuoi
il delirio e l’ardor.
Contemplando il costume che ti adorna:
discinta e in ruinosi gorghi
arcane danze inventando al mio diletto.
**
GIACOMO LEOPARDI ( ? )

venerdì 20 settembre 2013

INTERVENTO = ETTORE BONESSIO DI TERZET

L’ARTEPOESIA E’ DESIDERANTE

Sappiamo, anche se qualcuno ha fatto e fa finta di non saperlo, che l’essere artistapoeta è un dono, diciamo pure genetico. Non tutti sono artistipoeti, tanti fanno il poeta. Qui sta la differenza fondamentale tra gli artistipoeti e i nipotini loro, come in ogni altra manifestazione d’artepoesia.
Artistapoeta è colui che meraviglia con i segniparola, perché si è meravigliato lui, prima del lettore, di trovarsi sulla punta delle dita, prima ancora nel suo interno, mente e cuore, delle parole sulle quali ha la capacità di posizione e collegamento in un modo del tutto nuovo che noi diciamo artisticopoetico. Unisce con le parole se stesso agli altri esseri, conosciuti o no, unisce le varie culture siccome centrali sono nella sua scrittura i problemi fondamentali d’ogni essere che vive e muore, che sente i fruscii della vita.
Quando si studia a tavolino come iniziare una guerra contro un nemico, si pensano strategie e tattiche a tavolino per poi riversarle sul “campo di battaglia”. La differenza tra il pensare una guerra, anche finanziaria, e il pensare di scrivere poesia, sta inizialmente nel verbo che dobbiamo cambiare: non si pensa di fare una poesia, ma si sente di dover fare artepoesia. Non si sente a tavolino, con un piano razionale prestabilito, non si progettano strategie e tattiche, ma ci si pone di fronte al supporto scritturale e si attende che il momento avvenga. Se avviene la mano trasporta quello che è accaduto nella mente e nel cuore sul supporto ancora vergine, lo imbratta e lo corrompe con parole ed intrecci di parole. Corrompe il supporto cartaceo, o altro, in quanto materialità, in quanto compattezza che ostacola lo scrivere e si oppone alla trasmissione immateriale che va facendosi.
La materialità della carta contro l’immaterialità della parola.
Ecco perché cancellature, ritorni, ghirigori accanto, straccio del foglio e ripresa della scrittura. Si deve trovare un punto di connessione tra carta e scrittura, tra immaterialità e materialità; ecco perché consumiamo molta carta che è materia, ma nel momento della scrittura si trasforma in quella materialità che disturba il passaggio delle idee mentali in idee scritturali.
Artistapoeta non ha nessun nemico, meglio l’unico nemico che può ostacolare l’avvento dell’artepoesia è lui che può stravolgere mutare capovolgere addirittura quelle parole che a lui si presentano. Si elimina questo nemico, il più terribile e strenuo, con l’accettazione di essere, in prima battuta, solo un “traslatore”, un ponte per i segniparola, con l’accantonare il proprio ego, con il non intervenire nel flusso istantaneo che s’affolla alla mente, con il fermarlo velocemente in scrittura.
Ma l’io che ha sconfitto l’ego (contenente ogni stortura abitudine ritualità e che tende a conservare il passato sfuggendo al presente che s’infuturerà) non è solo ente ricettivo e passivo, ma diviene attivo ed elaborante una volta che “il flusso mentale” è stato fermato e il foglio non è più bianco. Allora lo lascia decantare come buon vino, lo discosta da se stesso per poi, quando sente che è dovuto, ritornarvi accanto e, con la mente il cuore e il sentimento della Bellezza, vedere come migliorarlo e come renderlo al massimo consentito a lui, io-uomo, nella coscienza che la “perfezioneartisticopoetica” è migliorabile, non compibile.
L’artepoesia è un dono che avviene nella nostra mente intimamente unita al cuore.
Il movimento razionale (che comporta conoscenza sapienza cultura e tecnica) viene secondo, viene nella fase del riordino del primo movimento, riordino che può migliorarlo come distruggerlo, quando l’ego, non spento o morto del tutto, insorge contro l’io e tenta di imporre la sua accumulata consolidata esperienza, confermata dalla maggioranza degli esseri che non vogliono cambiare, che stanno bene così, che pensano che ogni cosa e persona sia statica e non volventesi nello spaziotempo.
Se l’ego riesce vincitore, non ci sarà artepoesia, ma solo della scrittura che il gusto del tempo accetta ed onora come poesia, in effetti solo retorica.
Se l’io riesce a resistere, ecco lo splendore dell’artepoesia a riprova della quale è lo stupore e la meraviglia del poeta che vede legge sente la scrittura come altro da
sé, come se non fosse sua.
E non è sua, invero.
Artepoesia, se autentica, è di tutti e tutti possono leggerla secondo loro stessi, possono trovare altri significati, detestarne alcuni, prediligerne altri, ma saranno buoni lettori se coglieranno, o si avvicineranno, al significato centrale dell’artepoesia che l’artistapoeta ha donato all’umanità e all’universocosmo.
Tutti i lettori che si fermano alle proprie interpretazioni, perdono molto dell’artepoesia insita nella scrittura, non colgono la direzione che quei segniparola stanno indicando: si fermeranno ad una superficie molto inconsistente e deperibile. Non vedranno le meraviglie nascoste con e dentro i segniparola che l’artistapoeta, dopo il primo frastornamento, ha anche lui capito e ha voluto donare perché altri capiscano. Tutti utopicamente. Se lo desiderano.
L’artepoesia è capire il desiderio che è dentro l’uomo.
Qual è questo desiderio, che cosa desidera primariamente, tra i tanti oggetti del suo desiderare?
Tralasciando i desideri momentanei e transeunti della vita dell’essere e della società in cui vive, non interessandoci dei desideri per la sopravvivenza pure importanti, vediamo che i desideri costanti e forti presenti nell’essere, sono il desiderio di immortalità e il desiderio di eroicità.
Partiamo da quest’ultimo.
Che cosa significa essere eroe se non un essere diverso superiore più bello e più forte dell’altro, una mitologia di desiderio che parte dall’Inizio (storia e preistoria) e che si presenta alla cultura dell’essere europeo come Achille e Ettore, per esempio. In altre culture e civiltà ovviamente cambiano gli eroi, i proto-tipi.
Non potendo essere né Achille o Ettore, l’obiettivo viene abbassato e si scende sino alla banale eroicità della quotidianità, che tale non è ed avvilisce l’essere.
Immortalità: ogni essere desidera non morire, desidera essere per sempre, essere eterno. Quindi o si va contro l’Eterno per invidia e si perde, dato che moriamo, o al limite si patteggia e allora si vivacchia tremolanti; molto meglio se ci si concilia con l’Eterno e si tenta di capire quale sia la relazione riuscita tra essere ed Eterno.
La Bellezza è il simbolo più duraturo dell’Eterno.
L’essere la cerca in ogni azione.
La Bellezza è il desiderio costante del’uomo.
L’essere trova maggiormente sentore di Bellezza in quelle opere che non sono legate alla storia alla moda al gusto personale, nelle opere che trascorrono la storia il gusto e la moda del tempo, che resistono ad ogni nuova prospettiva sociologica psicologica, in quanto posseggono quella capacità di meraviglia e stupore che abbiamo prima visto, e che ci riportano alla fanciullezza dove le nuvole erano cavalli o angeli, la foresta nugolo di cavalieri, il mare una flotta di navi: l’essere sente la Bellezza quando pensiamo che tutto sia bello corretto buono, addirittura giusto e desideriamo che continui sempre. Utopicamente.
Il desiderio dell’utopia è soddisfatto dall’artepoesia.
Analogia utopia artepoesia eternità, questi i nodi presenti nel flusso istantaneo che quando deve si presenta come dono alla mente dell’essere. Analogia e utopia sono legate strettamente a tal punto che le possiamo trovare in una sola parola: simbolo. L’analogia è l’impossibilità di dire direttamente l’esistenza e l’essenza dell’Eterno e quindi è un trick retorico inventato dall’essere per poterne dire, mentre l’utopia è un orizzonte mitico che ci si da per poter reggere le insoddisfazioni della vita terrena.
Il simbolo le riassume entrambe e permette il rivestimento artisticopoetico dei segniparola che superano l’utopia riversandola in una visione di continuità spaziotemporale, quindi vicina al discorso dell’eternità, dell’Eterno.
Allora l’utopia, attraverso il discorso simbolico-analogico, ci fa reggere le fatiche del vivere, ci permette la vita. Non solo: fatto in modo di accettare le acutezze vitali, l’utopia ci permette di oltrepassare il contingente e di consistere con il problema della morte e dell’immortalità, ci permette di avere una visione (che è poi il sorgere dell’artepoesia) più larga più vasta più profonda e, soprattutto, di porre in atto il tentativo di risoluzione dell’opposizione vita/artepoesia/morte.
La morte e la vita sono in equilibrio sempre instabile e sono aiutate a sostenerne la durezza dall’artepoesia.
Dall’utopia all’artepoesia, il percorso dato all’essere per esaltare la vita conferendole senso e significato, per accettare la morte nell’artepoesia che traslata l’essere nei cieli infiniti indefiniti ignoti ma sentiti, dove i confini non sono più, dove ogni articolazione geometrico-matematica è presente nel minuscolo mansueto semplice potentissimo punto. .
20 Settembre 2013 ***
Ettore Bonessio di Terzet

giovedì 19 settembre 2013

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

IL TEMPO -
*
Quando rivedo gli alberi che un tempo
nidiavano di uccelli ed ora spogli
svelano gli anni, quasi spettri attenti,
fuori stupore, fuori dal canto accorto,
chiudo l’amaro cercando di scoprire
le impronte dei ricordi.
Confondo foglie, evanescenti ritorni,
fantasie animate da una stretta
surreale
che muta lo stupore nel gioco dei vent’anni.
Meticoloso delirio di parole la strada
che ripete nuovi insulti, tra mura imbiancate
e cancelli di ruggine.
A formare rovine ecco sospese le ciglia.
**
ANTONIO SPAGNUOLO --

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

SETTEMBRE NELLE COSE --
*
Freschezza della trasparenza
dell’aria nel panneggiare di
nuvole grandiose nell’accedere
ai cancelli della sera.
Brivido per Selene rosavestita
per la vita sul bordo del
Mediterraneo dove ha acceso
una candela verde, pari
al senso delle acque di mare
afrore a entrarle nella pelle.

Gioca Selene con Mario
la partita della vita i baci,
il vino. Poi sulla zattera
di letto a fare il primo
amore di settembre. Passano

nelle stelle un jet e una rondine
di platino sul farsi della
trasparenza del sentiero
che all’Albergo degli angeli
porta per il riposo.

Si riveste Selene, una doccia e….
**

SILENZIOSO ATTENDERE --

Poi nel tempo
oltre gli orologi
nel folto della
casa ad attenderti,
filo di speranza
ad intessersi
con i luoghi
dove siamo stati,
Assisi, Firenze,
Roma nel duale
procedere in
verità di vita e

si sono accesi
nuovi giorni
in questo settembre
a Napoli
con nel cielo
stelle ad infiorarlo,
l’odore del mare,
il Parco Virgiliano,
le disadorne strade
con gli amici.

Hai preso il nero
dell’auto e, guidando
come una donna
con il figlio 18enne,
continui una
vita che s’illumina
come il telefono
della buona fortuna.

E stai tra le cose una
più fresca aria a contenerle
e Dio vigila sul
farsi della sera gioca
a farci felici.

Napoli intesse il
ritmo di regate a mare
di vele oltre la soglia,
il limite tra amici
e parenti è tutto
un attendere.

Vedi, esiste ancora,
il senso di una vita
dal greto a
intravederla.

**

RAFFAELE PIAZZA --


mercoledì 18 settembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANNA MARIA GUIDI

ANNA MARIA GUIDI : “Senz’alfabeto” – Ed. Polistampa 2013 – pagg.88 - € 8,00 –
Un viaggio dagli intrecci inaspettati ove le istantanee si alternano al segno e al simbolo nella pura e impulsiva provocazione del verso, una scrittura sospesa alle altezze proprie della immaginazione, come tentativo di ripensare il limite della parola, il limite della percezione , il limite della riflessione. L’interpretazione della poetessa risponde in prima persona per una sottointesa provocazione che spinge a ricercare nuove esperienze : “Nell’invernino spolto d’una forra / scricchiano i miei passi la sorpresa / d’un gatto bianco e nero / che dalla morte esterrefatto guarda / con occhi di balocco invetriati.”
“Così le parole non lasciano che una flebile orma (flebile è una parola chiave della raccolta di Anna Maria Guidi ) e la loro verità edenica – scrive Giuseppe Panella nella prefazione – appare ormai persa, deflorata dal tempo e appesantita dalla loro inutilità, pronta a perdersi nel labirinto delle interpretazioni e delle chiacchiere, prestata alla morte come il ricordo dei sogni e la labilità del desiderio dei corpi …” Il continuo effluvio che si diffonde trova manifestazioni di interesse crescente nell’intreccio fra il razionale e il metafisico, nelle scansioni di una materia narrativa dedicata alle alterne vicende della vertigine, per la quale i versi straripano in un lucido sorprendersi.
Una certa forma di azione, piuttosto intima e calda, trasporta il poeta al di sopra di ciò che non è affatto, e l’accorda ad un linguaggio superiore, che riesce ad annunciare luminosità radiosa: l’insieme che assicura il privilegio dell’artista al vantaggio di significarsi per elevarsi. Costruzione sapiente e raffinata che fa respirare il testo aprendolo in variopinte direzioni.
Anche il contatto amoroso ha una particolare figurazione : “reduci dal corpo a corpo/ della guerriera fregola / due amanti s’addormono av-vinti / sugli origlieri sfranti / della sfibrata alcova.” Ove il verbo implode in uno stato psicologico dal percorso circolare, lucido , seppure mutevole e trasfigurante.
Una voce che vuole farsi misura e condizione, nei segreti delle immagini e nella vivificazione delle invenzioni.
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 17 settembre 2013

RIVISTA = L'IMMAGINAZIONE

L'IMMAGINAZIONE --N° 276 -- luglio - agosto 2013
Sommario :
- Le immagini :
Francesco Leonetti
Augusto Blotto
Andrea Zanzotto
Antonio Tabucchi
Velso Mucci
Walter Pedullà
Mariella Carriols
- Poesia:
Francesco Leonetti
Augusto Blotto
Andrea Breda Minello
Cristina Sparagana (nota di Giorgio Luzzi)
Francesco Iannone
- Prosa:
Lamberto Pignotti
Danilo Laccetti
Eros Baldissera
- Noterelle di lettura:
di Anna Grazia Doria
- Palestra critica:
Renato Barilli
- Per ricordare:
Marisa Michieli Zanzotto
Lorenzo Greco
-Per Velso Mucci:
Velso Mucci
Mario Lunetta
Francesco Muzzioli
- Per un libro:
Nicola Merola
- Le altre letterature:
Dal Nicaragua - Marianela Corriols
- Diario in pubblico:
Romano Luperini
- Il dinosauro:
Piero Dorfles
- Il divano:
Antonio Prete
- Refrattari :
Filippo La Porta
- Leggendo rileggendo:
Cesare Milanese
- Per diritto per rovescio:
Nico Naldini
- Grammatica :
Andrea Inglese
- Dal mondo anglofono:
Maria Sepa
- Pollice recto:
Renato Barilli
- I nuovi libri Manni
- Le recensioni .
- In copertina :
Lamberto Pignotti.
Riferimento : agdoria@mannieditori.it

SEGNALAZIONE VOLUMI = LO BUE

FRANCESCA LO BUE – “Moiras” - Ed.Scienze e Lettere – Roma - 2012 – pagg. 143 - € 12,00

Francesca Lo Bue è nata a Lercara Friddi (PA); ha curato diversi studi letterari sia in italiano che in lingua spagnola; ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua spagnola, 2009 e il romanzo di viaggio Pedro Marciano, 2009.
Moiras è una raccolta di poesie non scandita in sezioni, completata da un’appendice e presenta la traduzione in spagnolo a fronte. Il testo è preceduto da una premessa in prosa dalla quale emerge una Roma caput mundi, archetipo di ogni luogo e civiltà; in tale scritto la parola Roma si ripete iterativamente in brani staccati tra loro di varia lunghezza.
Il testo presenta una forte icasticità del dettato e la scrittura, fortemente avvertita, è caratterizzata da sospensione e da una frequente punteggiatura che rende i componimenti molto frazionati nella loro unitarietà di senso.
Elemento saliente del testo è un naturalismo, spesso venato da misticismo. La poetica dell’autrice è caratterizzata da accensioni, spegnimenti ed epifanie e si potrebbe definire, in molti casi, della descrizione; è presente una forte densità metaforica e sinestesica, che si coniuga a visionarietà.
Spesso s’incontra una certa cifra anarchica dei versi, congiunta a una vena filosofeggiante e classicheggiante e tutto l’ordine del discorso è pervaso da un senso di mistero.
Il tessuto linguistico è connotato da un forte scarto poetico dalla lingua standard, che si gioca tramite una complessa tastiera analogica.
La natura detta dalla poeta è animata da una valenza spesso surreale, come per esempio nei versi che leggiamo in Ninfea:-“ le lacrime del sole purpureo che sorride”-.
I versi procedono per accumulo e le chiuse sono spesso folgoranti; la forma è intrisa da una vaga bellezza e le poesie sono costituite da frasi brevi staccate tra loro.
Globalmente Moiras potrebbe essere letto come un poemetto per l’unitarietà della materia trattata; sono descritte spesso figure mitologiche come la Sirena nera e si riscontrano sensualità e fisicità nelle immagini.
I componimenti sono concentratissimi e dai versi dell’autrice trapelano stupore e malia e un gusto neobarocco rarefatto nella sua forte dose d’inquietudine.
Il misticismo, sia cristiano, sia naturalistico, sia classicistico, potrebbe essere considerato come il filo rosso che lega i vari componimenti in un interanimarsi di materia e natura e sono frequenti le interrogazioni che la poeta esprime nei suoi versi.
In Il sole e i semi lo stesso sole viene visto come una divinità ed è nominata la morte.. Il tono spesso è mitico e c’è una forte densità nella scrittura, che procede in modo scattante e armonico.
Il dettato è caratterizzato da una certa pesantezza, la scrittura è alta e pervasa da venature neo orfiche. Il versificare è composito, variegato e complesso e spesso caratterizzato da un’oscurità che tende all’alogico.
E’ come se i versi avessero un’arcana provenienza, simili ad una voce che viene da un’arcana conchiglia e le poesie sono costituite da segmenti giustapposti..

Raffaele Piazza.

lunedì 9 settembre 2013

POESIA = NINNJ DI STEFANO BUSA'

UN LATTE DA BERE APPENA MUNTO

Quel tempo solo avemmo,
di vita e di morte, che ci fa pensare
ad allodole ferite, a frantumi di stelle;

gramigne che impazzano nei fossi,
e un latte da bere appena munto
con l'anima in festa.
Col fumo ai comignoli di case.
radure al sole, quando il grano
colora la grande avventura di stagione.


Svolazza la parola, si fa prodigio
al ciglio dei silenzi e sulle strade
di un sangue vermiglio si colora.
Le attese di ieri e di oggi a respirare
l'ala del suo cielo, vene d'infanzia.
E riparare infine allo scoglio verso il mare,
come una gabbianella ferita.
**

DONNA DEL VENTESIMO SECOLO --

Essere donna, (oggi), è una scommessa:
mentre cancelli lo spirito del luogo,
coaguli il sangue delle attese,
in un delirio d’altre rinascenze, d’altre assenze…

Ti strazia una solitudine di giorni,
dentro un’azzurrità di cieli altri.
E insegui i tuoi momenti collassati
in ventri d’abbandono solitari.
T’inventi, oh donna, emozioni di rito,
banchetti con le Esperidi, e celebri
riti alla luna in un florilegio d’amore.

Da ossari di pene sai cogliere il fiore proibito,
la certezza di essere donna nella misura
in cui doni te stessa a quell’aprirsi
che sveglia l’anima del mondo,
come una melagrana alla speranza.
**

Ninnj Di Stefano Busà

domenica 8 settembre 2013

POESIA = ROBERTO VOLPE

CAFFETTERIA MAURO
*
Quando la notte è lunga e selvaggia
da morire, quando cerchi degli occhi in cui perdere
un’alba, un posto dove passare illeso i suoi
postumi, quando cerchi di farla passare indenne,

ecco che pensi a Lei.

Chi sa se adesso la caffetteria è aperta, se c’è
Il mio angelo biondo a servire il cornetto,
se c’è ancora accesa la luce speranzosa dell’interno,
nelle strade di periferia, di passaggio…

Piccola città, anche se di ottantamila abitanti: i locali
Chiudono presto la notte, tranne forse ora che è sabato.

O forse sono io che preferisco il mio mal di stomaco
Ad uno, ben più grave, di persone.
**

ALEPPO
*
Passa l’aereo, passa il drone,
Porta il terrore, accecando
I bambini, gli adulti, le donne,
straziandoli nella polvere, nella terra,
nel fango.

Passa l’aereo, porta il terrore
Sul suolo martoriato mediorientale,
sul suolo distrutto, lacerato, ucciso,
sul suolo che una volta fu ricco, fu splendente,
colorato di piante, di profumi,
di torrenti, di vita.

Infuriano le bombe, schizzano i
proiettili, divampa il fuoco, acceca ogni
cosa, ingloba ogni cosa, rosseggia dappertutto,
divora tutto, urla il Dolore dell’Uomo
verso l’ Uomo.

Aleppo, Siria…Terra.
*
ROBERTO VOLPE
*
Roberto Volpe è nato a Napoli il 2 Luglio 1986; vive a Pozzuoli (Na). E' laureto in Lettere Moderne e attualmente specializzando in Lingua e comunicazione nel Mediterraneo presso l' Orientale di Napoli. Ha pubblicato due raccolte di poesie autoprodotte, "Soliti approdi" (2009) e "Fumo" (2011). Attualmente sta lavorando ad una terza raccolta e alla traduzione dei saggi "Carte scoperte" dello scrittore Odisseas Elitis, premio Nobel per la Letteratura.

venerdì 6 settembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ETTORE BONESSIO DI TERZET

ETTORE BONESSIO di TERZET : “ L’utilità dell’arte poesia” – Aracne Editrice – 2013 – pagg. 158 - € 13,00 –
Una scrittura tutta tesa e lanciata per conoscere “esistenza” ed “essenza” nel periplo ondeggiante della filosofia , tra quotidianità e memorizzazione , ricca non solo di colori , ma anche di un respiro poematico che coagula il linguaggio. Ettore Bonessio di Terzet accede alla speranza di una finalità culturale originale , sia per quella visione del sapere legata contemporaneamente alla parola , alla luce, al colore, per rendere estremo ciò che è relativo, sia per comprendere l’atto creativo nelle parabole dall’attimo stesso in cui il poeta riesce a concretizzare il suo pensiero e le sue fantastiche immagini , tra realtà , desiderio , illusione. Così addentrarsi nell’arte contemporanea diviene il riflesso di un credo straordinariamente virtuale e regolato da produzione e fruizione particolarmente singolari : il livellamento dovrebbe essere scongiurato dalla molteplicità delle proposte , che sono senza alcun dubbio degne di riletture e ripensamenti . “La cultura dell’immagine è la civiltà dell’inutile che ha portato al livellamento verso il basso, al conformismo animale, che conduce all’autoritarismo …. La moda ha preso la formalità del colore, la musica della parola, ma rimangono prodotti, manufatti destinati al consumo immediato per lasciar posto ad altri prodotti in una processione di nascita e morte innaturale, in una fiera della vanità a cui partecipano giornalisti, presentatori, attori, imbonitori delle televisioni dei quotidiani delle riviste popolari e patinate che imbrogliano un pubblico felice di essere imbrogliato …” – Il discorso sulla pittura e la poesia correlate qui ha il carattere della rivelazione, per cui l’attenzione è rivolta sia all’ascolto della poesia che alla significazione del dipinto, in un eccellente respiro che scrive e descrive l’istantanea del vedere e del sentire. Si alternano in questo volume interventi in versi di Ettore Bonessio di Terzet, di Auden , di Leoni, di Porta , di Rondoni, di Spagnuolo, di V.S. Gaudio, interventi in prosa di Ettore Bonessio di Terzet, di Perrotta , e riproduzioni di opere di Cereda, Cerviglieri ,de Stael , Frettolini, Licini, Melotti, Roma, Serse. Il linguaggio ha una impronta decisiva nell’architettare una scelta che possa allontanare l’uomo dalle illusioni , dalla inutilità, dal disordine delle relazioni, in funzione di un astratto che inglobi l’inquietudine nella razionalizzazione del mito.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 5 settembre 2013

INTERVENTO = NINNJ DI STEFANO BUSA'

C’E' UN TEMPO PER TUTTO : uno per il declino e uno per la rinascita

Ad ogni declino, corrisponde un tempo di rinnovamento e di rinascita. Si rende necessario per la palingenesi dell’uomo, per la Storia e il ciclo evolutivo e programmatico della vita.
Una nuova evangelizzazione si rende imperativa per l’aggregarsi di nuove forze ed energie a favore della risorgenza delle esperienze spirituali dell’uomo. Finora, l’individuo si è reso reo di un processo di nichilismo e ostruzionismo verso la morale e l’etica di una civiltà millenaria che con la secolarizzazione ha smarrito il senso della fede.
E’ indispensabile un recupero delle coscienze. Forse la crisi della fede è da addebitare alla scarsa vita spirituale, all’impoverimento delle risorse interiori più autentiche che non ci prospettano più la partecipazione più intima come l’evangelizzazione e il rapporto con Cristo: pensiero dominante e puro di una fede forte, primigenia in cui vi sia la testimonianza di Cristo in ogni nostra azione col divino. Paolo VI affermava che: ‘il mondo soffre per mancanza di pensiero’. Allora, serve un nuovo slancio, una nuova esortazione e capacità di “vita nova” all’interno di un tentativo di rinnovamento”(vedi, Caritas in veritate n.53)
Il relativismo nichilistico della postmodernità ha prodotto una tale carenza di
spiritualità da essere paragonato ad una <(s)cristianizzazione> secolare, avendone gli uomini deturpato il volto di Dio attraverso miscredenze, ateismi, idolatrie, pressapochismi morali, disvalori etico-comportamentali con prospettive negative per l’intera umanità. Oggi si deve guardare al nuovo. Voltare pagina e riallinearsi alla coscienza e al pensiero positivi di una nuova alleanza in Dio, se si vuole salvare la fede cristiana e la nuova ideologia illuministica, senza il marxismo e il materialismo storico in cui è precipitato l’intero occidente.
In questo nostro tempo sono state trovate responsabilità sia in ambito laico che in quello religioso. In entrambe le categorie si registra un profondo smarrimento di valori, perché il mondo laicista sembra volto alla nullificazione della coscienza dell’essere, in cui predomina un libertarismo tecnocratico e un mercato sfrenato e mercificatorio nonché privo di remore etiche che è la logica conseguenza di una condotta amorale e senza scrupoli, all’insegna di un guasto epocale e di un revisionismo storici quanto abominevoli e insinceri, ridotti a processi formali reprobi, fondati su sviluppi scientifico materialistici di forte propensione progressista che escludano i moti dell’anima, proponendo sempre più modelli rivoluzionari di forte impatto illusorio.
Il mondo globalizzato sembra essere entrato in un vortice di cambiamenti senza precedenti; tutte le istituzioni, a cominciare dalla politica indicano un azzeramento dello stato evolutivo che potrebbe far supporre un terrae-motus di dissennati anacronismi universali.
Ci stiamo dirigendo a lunghi passi verso il caos proponendo solo un materialismo storico svincolato da ogni regola di evangelizzazione. Ma se si vuole cambiare rotta e procedere verso la salvezza bisogna riappropriarsi dell’ intelligenza logica del pensiero e della fede in Cristo.
*
NINNJ DI STEFANO BUSA'

martedì 3 settembre 2013

INTERVENTO = ETTORE BONESSIO DI TERZET

DAL BISOGNO DI SAPERE
AL DESIDERIO DI CAPIRE
*
Quando l’essere umano ha iniziato a pensare qualcosa ( sapendo di pensare), ha pensato come relazionarsi alla Natura e agli altri esseri umani, dapprima dello stesso gruppo.
Un problema si presentò ogni volta che gruppi diversi, magari della stessa etnia, venivano in contatto. Per lo più, ci dicono i dati archeologici, lo scontro era inevitabile, ma talora i gruppi si integravano, si allargavano e aumentavano la capacità del “nuovo gruppo “ di vivere meglio e di raffinare la propria tecnologia.
Che cosa pensavano e si dicevano gli esseri umani di questo gruppo ipotetico?
Certamente erano meravigliati di quello che vedevano sentivano provavano. Contemporaneamente erano curiosi di vedere e di sapere che cosa fossero le cose che vedevano, come funzionassero, come fossero “fatte” e come poterle utilizzare ai propri fini benefici.
Meraviglia curiosità emozioni voglia di sapere che cosa.
Questi i primi movimenti della mente e dello spirito degli esseri del nostro gruppo, mantenutisi per via genetica negli umani ulteriori.
Anche noi ci meravigliamo di fronte ad una cosa nuova, siamo stupiti dall’architettura di un tempio antico o di un palazzo modernissimo; siamo curiosi di avvicinarli di toccarli di vedere che cosa siano; siamo emozionati e vogliamo sapere come sono fatti. Poi li nomineremo secondo il nostro linguaggio in generale ed alcuni daranno loro un nome secondo la propria lingua, distinguendosi dai più.
E via così, venendo sempre più alla mente ed allo spirito il senso dell’ignoranza, il desiderio di sapere sempre di più e il sentimento disturbante di sapere che non sappiamo tutto, se non si intenda per tutto il mondo degli oggetti circostanti. Il che pare una limitazione da non prendere in considerazione.
Allora dobbiamo aggiungere ai primi moti che abbiamo detto, anche l’ignoranza, il sapere di non sapere.
Ignoranza che porta uno squilibrio, la sensazione che “muovendoci” incontreremo cose che non conoscevamo e che non sappiamo che cosa siano e come si comporteranno. Queste cose ignote portano un nuovo moto della mente e dello spirito: la paura.
Sappiamo soddisfare la nostra meraviglia lo stupore la conoscenza, ma non subito il sentimento di ignoranza e quello della paura.
Ignoranza e paura sono i sentimenti che hanno guidato gli esseri umani nella progressione positiva e negativa dell’evoluzione che va verso la completezza dell’essere umano.
Con che cosa si può combattere l’ignoranza è ben intuibile: con lo studio e la continua conoscenza degli oggetti. Ma la paura non è così facile da superare.
Ma anche l’ignoranza non è estinguibile giacché le cose da conoscere “aumentano” con il progredire del conoscere e del sapere.
Che cosa fare?
Per l’ignoranza non c’è scampo.
Possiamo arrenderci non procedendo più nella conoscenza e rientriamo, per sicurezza di sopravvivenza, nella “norma media del gruppo”.
Altrimenti possiamo continuare a conoscere a studiare e indagare “le cose del mondo nostro e altrui”, vicino lontano lontanissimo, ma nella consapevolezza che non raggiungeremo mai la conoscenza totale. Così alcuni esseri continueranno ad accumulare e raffinare il proprio conoscere tentando di pervenire ad un sapere più completo (più profondo) in campi relativamente ristretti e circoscritti, ossia si specializzano. Ma anche in questo caso, l’essere umano non può non riconoscere che ha un limite oltre il quale non può andare e, ragionevolmente, accetta (alcuni non lo accettano) tale limite come il limite di se stessi.
Bisogna ammettere che l’ignoranza si può contenere, ma non sconfiggere.
Più si conosce e più entriamo nella consapevolezza che un vasto territorio di conoscenze rimane da esplorare e che a noi, esseri umani, non è concesso toccare la fine di esso.
L’ignoranza non si sconfigge, ma fa riconoscere in particolare il limite del singolo essere, e in generale i limiti dell’umanità.
Vediamo che cosa succede con la paura.
Dapprima abbiamo paura di tante cose, dal buio al fuoco, del nuovo, del diverso sino a costruirci un nemico su cui scatenare la nostra paura che trasformiamo in aggressività.
Quando ci sembra di aver sconfitto la paura con l’aver individuato il perché del suo insorgere, ecco che un altro evento, cosa o persona, fa rinascere la paura.
E così via, possiamo andare più avanti per giungere alla matrice della paura: la morte.
Abbiamo paura perché sentiamo che siamo limitati dalla fine del nostro essere umani. Abbiamo paura di qualche cosa esterna ed interna perché abbiamo paura della morte. In generale, e oggi più di ieri, non siamo educati alla morte, se non attraverso pedagogie che inibiscono le nostre capacità e possibilità e ci portano se non alla rassegnazione, alla depressione.
Come superare la paura della morte?
Respingere il pensiero di essere immortali come quello dell’inutilità del fare, soprattutto non lasciarsi prendere dal naturale e vitalistico scorrere della vita, manifesto in certi modi di dire: è il destino, doveva andare così ecc.
Ogni essere umano è padrone e responsabile del suo destino e possiamo agire secondo quello che siamo. Ritorniamo all’accettazione del nostro limite, di noi stessi.
Nessuna rassegnazione, nessuna depressione, nessun fatalismo quindi.
Anche l’idea di immortalità può essere riportata, con una conversione mitica, al fatto che un tempo siamo stati immortali e che poi per qualche evento che non sappiamo e per una ragione ignota alla nostra ragione, siamo adesso mortali. Dobbiamo accettare di essere mortali e meglio lo faremo se migliore sarà stata l’educazione a questa condizione.
Solo con la consapevolezza che il nostro vero limite è la morte e non l’ignoranza, possiamo liberarci da questi due sentimenti e possiamo vivere nella libertà e responsabilità verso noi stessi e gli altri. Anch’essa limitata e non assoluta.
Sappiamo, adesso, che sin dall’Inizio l’essere ha saputo di esser limitato a tal punto che sparisce, muore agli affetti agli amori alle cose che per lui erano piacere gioia e lo soddisfacevano anche per un altro sentimento che aveva bussato alla sua mente e al suo spirito: la Bellezza.
La morte ci porta via il sentimento della Bellezza e del Bello.
Che fare a questo punto? Entra in gioco il pensiero.
Per una buona parte dei secoli, dalla Grecia ad oggi, il pensiero è stato confuso con la filosofia, con una certa filosofia che si presenta, troppo spesso sotto mentite spoglie, come una retorica per convincere e guidare la massa verso predeterminate finalità economico-politiche.
La scienza del potere è questa certa filosofia.
Dicevamo che entra in gioco il pensiero. Abbiamo molte tipologie di pensiero: metaforico, simbolico, mitico, metafisico, pragmatico, pratico, scientifico, tecnico e tecnologico (tutti di ordine operativo questi ultimi) ecc.
Entra, può entrare in gioco il pensiero totale, somma dei vari pensieri e che si può esprimere come pensiero trasformativo, a differenza del pensiero filosofico che si esprime come normativo e ripetitivo.
Il pensiero trasformativo è il pensiero che può salvare l’essere dalla sua paura fondamentale, la morte.
Gli impulsi che il sentimento della morte agita nel nostro interno ed esterno come atti e azioni possono non essere repressi (per paura), ma trasformati in possibilità positive per l’essere. Vale l’esempio di Van Gogh che, ossessionato dalla paura di non essere accettato e quindi isolato, respinto e negato come artista, ha trasformato le energie della paura della morte in opere d’artepoesia. Ed altri esempi esistono.
Trasformare la morte in vita attraverso l’opera d’artepoesia e non per raggiungere una immortalità orizzontale, ma per se stessi prima di tutto ovvero per esprime tutto quello che si poteva dire all’interno del limite riconosciuto e accettato. All’interno di questo limite l’artistapoeta esplode tutte le proprie energie non pensando a se stesso, ma mirando oltre la propria vita, alla vita dell’umanità, alla vita che non muore, ma si trasforma.
Oltre lo spazio e il tempo, verso lo spaziotempo, verso gli universi mondi indefiniti, forse infiniti. Grande scommessa anche senza fede in un Dio, avendo fede nella propria attività, nell’arte scelta per segnarsi nella massima umanità.
Ogni segno è parola.
L’essere trasforma il limite in una luce di Bellezza, siccome l’artistapoeta cerca nel suo “fare artistico” primariamente, se non solamente, la poesia. E sappiamo, nessuno può negarlo, che nel nostro complesso gruppo etnico europeo la poesia cerca l’idea che esprime la Bellezza.
Semplicemente possiamo dire che l’essere per esistere umanamente al massimo non può che essere un artistapoeta, un essere trasformativo che agisce e opera per la Bellezza, sconfiggendo ignoranza e morte, perché ha capito il grande gioco del pensiero e della parola a cui è stato chiamato.
*
ETTORE BONESSIO DI TERZET
1 settembre 2013


POESIA = RAFFAELE PIAZZA

LA TESSITURA DELL'INCANTO --
*
Prologo

Sei tu alla porta, vieni
in silenzio di platino nella
casa a respirarla con un
fiume di gioia.

1
Occhi che ieri vedono
il Parco Virgiliano,
la camera dove mi porti
a fare l’amore
scorgono.

2
Pacco sorpresa di un
autunno consecutivo
nell’anima di vetro e
di ragazza nello stabile
prealbare gioco.

3
Tempo non passa
fresco di fiume e di
sorgente in limine alla
vita.

4
Se dopo il sesso mi dedichi
un sorriso il profitto
sarà anche nel lavoro
nelle notti d’inchiostro
carte ad annerare.

5
Sei tu alla porta, vestita
di luna e felci, qui abitiamo
e il figlio adesso vola solo.
***

LINEA DELL'ALBA DI ALESSIA --

Prologo

Attimi amniotici
dell’alba di Alessia:
tocca il rosso del
sole sul vetro della
finestra visore,
a scaldarla nell’immensità
di un settembre ritagliato
con carta e forbici.

1
Istante di limbo di
Alessia nello sperdersi
della mente azzurra
nel cielo e ci sarà
raccolto, telefono
che squilla:-“Mi
ami?”. “Ti amo!”
risponde Giovanni.

2
Momento bello di Alessia
in limine della vita:
allo specchio ride come
una donna, vede azzurri
occhi e capelli biondi
madonna medievale

3
Poi fino alla portineria
trova dell’amato la lettera
rosa per l’incanto sorgivo
nell’aprirla
più di quello di una e-mail..

4
Entra nel folto del
tempo, futuro anteriore
nei diari lunari
sulla mensola.
**

SCENARIO DI ALESSIA --

Occhi azzurri per controllare
il mondo nell’aria senza
fiato. Vede la città salire
per Posillipo in auto e poi
il Parco Virgiliano, ridendo
come una donna,
ragazza Alessia nel mentre
della prima stella.

Guarda il mare Alessia
rosa vestita per la vita,
incantesimo azzurro
sulla linea della gioia
scesa dai pini sempreverdi,
negli occhi un cielo
fresco di stelle semispente
rivela la sua essenza di
azzurrità intermedia
a ragazza Alessia,
nel gioco della luna piena
sul bordo del Mediterraneo.
**
CONNUBIO SALVIFICO --

Poi tra le cose
sparse del figlio
nel bosco della
casa, le lanterne
dei tuoi occhi
ad accendermi.

Abbiamo attraversato
un deserto di parole
per giungere
alla vita che
s’illumina nel tempo
di un settembre
nella pelle
a dare sillabe anche
gli oggetti,
pigne della fortuna
raccolte al Parco
Virgiliano.

Linea bianca nel
cielo, scia di jet,
in un filo d’orizzonte
ad attenderci ceste
di gioia, una risata.

Se entri nel mio
candore, uscirai
dalla tua di fiore
d’acqua timidezza.

**
L’ICONA RESTITUITA ---

Prologo

Dal caldo delle
tue mani alle mie
un fiore azzurro
d’erba sotto il sole
ad accadere per
altre generazioni.

1
Hai percorso il tempo
in auto e sei venuta
a dare il senso del
latte al figlio diciottenne,
amato e non voluto e

2
nella chiostra prealbare
nel felice movimento
dello specchio
la tua icona ad entrarmi
per gioco negli occhi e

3
il treno blu che ti ha
trasportato l’anima
d vetro nel fondersi
della notte con la
visione dei pini piantati
nel primo ‘900 e

4
qui si respira aria tersa
incanto di sorgente
dai tuoi fianchi di ragazza
nel tendere alla via serale e

5
una scala per salire alle cose
del cielo è rimasta nel
tempo incantesimo tra
i nostri genitori e i nostri
figli e

6
sei giunta per altre navigazioni
oltre lo squillo del
telefono e la lettera alla
portineria arrivata
o il nuovo libro,
per accedere al luogo
dove eravamo stati
col bambino quando
aveva cinque anni e

7
ora è la stagione delle
spighe e il figlio ha
18 anni, la forza
trasparente dell’aria
nell’accadere di ore
al mio polso sottile

a stringere la giovinezza
a respirare, la brezza
di un luglio dove tutto
è fermo anche del sole
la lamina, il dischetto
che vedi alle diciannove
dall’incanto del Parco
Virgiliano e

8
poi la forza nelle gambe
che vengono da me
se sei l’icona a scendere
nel cuore fino a isole
altre.
***

DOMENICA DI SETTEMBRE DI ALESSIA ---

Il platino si chiude
dei cancelli dell’estate:
attimi rosapesca,
riemerge dal sonno
Alessia alle h.8.00,
acqua più fresca
dell’amnio della doccia:
attende la disadorna
via serale: l’incontro
con Giovanni alle h.20.00
per fare l’amore,
in sintonia con lo stellato
cielo immenso.

Pensa al piacere, ragazza
Alessia, quando esce da
se stessa e poi le risate
d’incanto senza esserci
rimasta. E se mi lascia?

Innaffia il verde delle piante
sul balcone. Il telefono
squilla ed è Veronica:
E se mi lascia?.
Le chiede Alessia
per la vita che è una.

Le dice di stare calma
Veronica, poi riaggancia.

Prende i doni di Giovanni
Alessia, la bambola rossa,
la conchiglia, la fedina
e gli orecchini:
sul letto li depone per
scaramantico gesto:
poi si mette a studiare
geografia.
***

RAFFAELE PIAZZA -