ANTONIO SPAGNUOLO:“Futili arpeggi" Ed- La valle del tempo 2024 - pag. 120 - € 14,00
Ho tra le mani l’ultima raccolta di poesie del maestro Antonio Spagnuolo “Futili arpeggi “ il cui titolo mi ha suscitato fin dal primo momento una certa curiosità. Secondo me, è un paradosso furbescamente voluto dall’autore per costringere il lettore a leggerlo. L’aggettivo ‘futili,’ che solitamente si usa per definire qualcosa di poca rilevanza, se non inutile, si accompagna infatti al sostantivo ‘arpeggi’ che richiama invece alla maestosità e alla dolcezza del suono di un’arpa. Nulla di più sublime nel meraviglioso mondo della musica. Armonia pura prodotta da uno dei più antichi strumenti a corde, specie se viene suonato dalle mani leggere di una brava musicista. Introduce la raccolta lo stesso autore, non con una prefazione, ma con una serie di domande sulla poesia che pone a sé stesso e di conseguenza ai suoi lettori, cercando di dare delle risposte personali molto interessanti, sul perché ancora oggi, in un mondo così violento, superficiale e qualunquista, si continui a scriverla. Da millenni l’uomo si pone le stesse domande senza trovare però risposte esaustive ed universali. Le risposte che l’autore ci dà sono disarmanti, sincere ed estremamente semplici. Per lui la poesia è soprattutto musica. Ma non solo, perché la sua poesia è colore, è fuga da un presente che non appaga; è strumento per portare alla luce il mondo dei ricordi, per riaccendere sentimenti, per stimolare ancora una volta la creatività che urge nell’anima.
Quindi per Spagnuolo la poesia è musica! Una musica che nasce dall’anima e si fa canto per dire, per dirsi, per esprimere ciò che sente, per dare corpo alle emozioni, ai sentimenti, alle esperienze, ai ricordi di un vissuto che, come per ogni persona sensibile, è fonte inesauribile da cui attingere ispirazione. Una musica che non è fatta di note, ma di parole, di una moltitudine di parole che generano immagini. Si scrive poesia, perché per il vero poeta non è possibile un modo diverso per dire al mondo:” esisto con tutto il mio portato di sentimenti, di riflessioni, di conoscenze.” E’ infatti il suo mezzo elettivo per mettersi in sintonia con il mondo, per comunicare, per dare corpo e sostanza alle emozioni, per cercare al di là del tempo e dello spazio altri con cui condividere il suo pensiero, a prescindere che sia gioia o dolore, sia estasi o tormento. Un messaggio di speranza pertanto che supera i limiti della morte.
La poesia ha bisogno di accoglienza, di fusione, di comprensione e di completamento nelle emozioni che suscita nei suoi lettori. Ha bisogno in sostanza di completarsi nel sentire emozionale di un altro. Il poeta crea i suoi versi perché li vive interiormente. E’ infatti il suo Ego interiore che li produce, talvolta quasi inconsciamente. Nasce spontanea da un attimo emozionale che coglie: un tramonto, un sorriso, talvolta anche solo il riaffiorare di un ricordo, un brivido improvviso, capace però di obbligare i sentimenti a rivelarsi, a generare pensieri, riflessioni, parole, una moltitudine di parole che a loro volta creano immagini, colori, suoni, per mostrare al mondo l’universo che il poeta possiede. Non servono parole dotte, non servono roboanti citazioni, bastano la sincerità, la semplicità, la passione e quel quid creativo che è il dono stupendo che madre natura ha fatto ad alcuni eletti. Ecco allora che l’Ego poetico si rivela nella sua maestosa pienezza.
Questo mi ha mostrato la sua colorata raccolta. Il poeta non può fingere, sarebbe come se mentisse a sé stesso. Si possono raccontare tante
fandonie nella vita, ma mentire a sé stessi è impossibile, è un atto innaturale perché la poesia è verità. La verità del soggetto che la scrive, per questo ha una funzione catartica in chi la scrive e in chi la comprende, infatti riesce a sciogliere e superare i nodi gordiani del dolore che ognuno di noi vive.
La poesia è magia perché riesce a ridare vita a chi non c’è più fisicamente, ma che è ben presente nell’immenso bagaglio di memoria del poeta. La poesia si nutre del passato perché è consapevole che nulla è più effimero del presente. Infatti il presente, fatto di attimi, è solo il tempo fugace che provoca e accende l’emozione, quello che ha il potere di far tornare alla memoria ciò che è già stato ed è rimasto stratificato nell’anima. Ma quanto dura il presente? Troppo poco purtroppo. Superato l’attimo, subito dopo si trasforma in memoria. E il futuro? Il futuro è solo una speranza senza materia, specie se chi scrive poesia è avanti negli anni. La poesia è sincerità, ecco perché da sempre ha suscitato l’interesse degli psicanalisti. L’anima del poeta si mette a nudo e si rivela al mondo.
Le analisi dei dotti, degli specialisti, degli psicanalisti vengono sempre dopo e per quanto raffinati, puntuali, sottolineano e analizzano ciò che è già stato scritto, non creano, non aggiungono nulla alla poesia. Sembrano tanti anatomopatologi che con un bisturi sezionano parola per parola, alla ricerca di ciò che l’inconscio del poeta ha voluto dire. Non capisco, confesso, il perché di tutta questa fatica, quando, spontaneamente è il poeta stesso che si rivela al mondo con la pienezza delle sue immagini, con la ricchezza delle sue parole, con il pathos che i suoi versi hanno saputo creare e trasmettere. Chiedo scusa al grande critico Carlo di Lieto che nella raccolta è presente con un lunghissimo e complesso saggio critico sulla poetica dell’autore. Un trattato che analizza il rapporto poesia/ psicoanalisi. La bellezza di questo ultimo libro sta proprio in ciò che il maestro Spagnuolo apertamente dice con un’immediatezza ed una spontaneità quasi giovanile, in un tripudio di colori e di immagini che si ricorrono per dare corpo a quelle pulsioni che vive nel momento in cui scrive. Un momento magico per la sua creatività, quasi di stupore che trascende le capacità terrene. Ritengo pertanto che tutte le elucubrazioni dotte della psicanalisi siano molto lontane da lui. Tutt’al più la sua attenzione potrebbe essere rivolta alla scelta delle parole del verso perché nell’insieme la poesia deve suonare, produrre quegli arpeggi che solo i virtuosi dell’arpa sanno trarre dalle corde tese. Una ricerca di musicalità e di colore indispensabile per rendere ancora più vivi i suoi ricordi, per renderci tangibili le persone e i luoghi che ha amato e che ama, per renderci partecipi ancora una volta di un dolore che non riesce a trovare in lui un vero conforto, anche perché chi abbiamo amato veramente, resta e resterà dentro di noi vivo, e si avvarrà della nostra vita per parlare, per raccontare ciò che è stato, ciò che ha vissuto con chi ha amato e lo ha amato.
Non un fantasma, ma un essere vero con cui, in un monologo interiore possiamo ancora entrare in sintonia per narrare ciò che vediamo e che sentiamo e a cui dedichiamo le nostre gioie e i nostri incantamenti.
La poesia è proprio come la musica, deve essere letta in piena libertà, centellinando verso dopo verso come se fosse un’ambrosia preziosa, con l’animo disposto a ricevere la sua bellezza e la sua grandiosità.
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Maria Luigia Chiosi