Donato Di Stasi – Le due scarpe sinistre dei poeti - Saggi (1996 – 2014)
Fermenti Editrice – Roma – 2015 – pagg. 181 - € 18,00
( - Osservazioni sugli scritti riguardanti i poeti inclusi nel volume- )
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“Le due scarpe sinistre dei poeti” è un testo costituito da diciotto monografie di varie dimensioni su poeti e poetesse, tutti italiani tranne Arthur Rimbaud, che hanno avuto un’importanza rilevante nel panorama letterario tra Ottocento e Novecento.
Il volume è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma diretta da Velio Carratoni.
In “L’ircocervo Emilio Villa”, Di Stasi compie un’approfondita e corposa disanima, ricca di acribia, sulla poetica di Emilio Villa (1914-2003).
Il Nostro è stato artista, poeta, biblista ed intellettuale e viene analizzato criticamente, sia come uomo e personaggio, sia a livello delle sua produzione artistica.
Da notare che il termine ircocervo, usato dallo scrittore nel titolo della monografia, designa un animale favoloso per metà caprone e metà cervo e, metaforicamente, qualcosa di assurdo o irreale.
Va considerato che Villa, nato nel quartiere di Milano Affori e morto a Rieti, è solo per una ristretta cerchia di lettori uno dei massimi esponenti della letteratura del Novecento.
Nonostante l’indiscutibile qualità della sua opera, sull’autore è calato uno dei silenzi più forti nell’ambito della cultura italiana.
Nel ricercare le ragioni della scarsa fortuna di Emilio, a livello di pubblico, il critico si rifà ad uno degli assunti fondamentali di “Le due scarpe sinistre dei poeti”, espresso in “Avvertenze”, che apre il volume.
Secondo tale asserzione, molti poeti rimangono incompresi, incomprensibili e non letti.
Questo è il risultato di un’attitudine dei lettori di poesia, che sono spesso essi stessi poeti, a preferire una forma di scrittura lirica e consolatrice senza barocchismi o ponderose oscurità di senso, un tipo di stesura, non a caso, antitetica a quella villiana.
Come persona Emilio è stato un uomo dalle molte esperienze, che si riverberano nella sua fertile attività di poeta.
Nella lunga vita ha trascorso gli anni giovanili in seminario e ha compiuto viaggi intercontinentali, con numerose permanenze nei luoghi visitati.
L’ultima fase dolorosa della sua esistenza è stata segnata dall’indigenza e da un terribile ictus che gli aveva portato via la parola.
Villa è stato anarchico senza né tetto né legge e intellettuale, come dice il saggista, fluttuante tra lombardismo, omerismo, sumerismo, francesismo et coetera.
La critica gli ha attribuito le stigmate di un generico e molto oscuro sperimentalismo – desemantismo.
Spesso ci si è guardati bene dall’inoltrarsi nei perigliosi meandri dell’esegesi e della disputa, preferendo la Villa – cancellazione, cioè il silenzio sull’autore a cui si accennava sopra.
Altre volte si è verificata un’acritica genuflessione dinanzi a questa figura, vista quasi come un santo profano, comparatista, filologo, glottologo o quant’altro.
Nella sua esistenza, in sintonia con gli accadimenti collettivi del Novecento, (Monarchia, Fascismo, Repubblica Prima e Seconda), il poeta è stato sempre persona e cittadino del suo tempo, in forte tensione dialettica con esso.
Individuo del tutto anticonformista nei suoi atteggiamenti.
Infatti aveva un disprezzo assoluto per il danaro e insegnava con ricchezza di dettagli l’arte di dormire sotto i ponti del Tevere.
Inoltre, manifestando recrudescenze contro il perbenismo e il decoro piccolo – piccolo borghese, si ostinava a riavviare i capelli con un pettinino azzurro a metà di ogni cena a cui era invitato.
Complesso, articolato, composito e a tratti cupo il suo fare poesia.
Infatti il poeta costringe il lettore a fatiche ardue e spesso irritanti.
Gli oggetti, le tematiche e le figure di Villa, che s’inverano nella sua versificazione, sono molto originali e spesso quasi minimalistici.
Sono nominati, infatti, tramvieri, attricette di terz’ordine che orinano sui marciapiedi a notte inoltrata, materassi battuti all’alba sulle ringhiere di scalcinate case popolari, le palpebre arrossate delle guardie notturne, i postini, la Grande Proletaria in movimento compulsivo verso la Storia.
Attraverso la sua concezione dell’arte, nei suoi testi, oggetti assolutamente impoetici si fanno linguaggio poetico.
Emerge anche il tema sociopolitico con la descrizione della metropoli lombarda, che inizia a entrare nella fase del boom economico con i suoi processi di migrazione forzata dal sud e dalle campagne padane.
Scrittura antilirica e antielegiaca tout-court, quella che incontriamo nelle sue composizioni, veloce, a tratti gridata, ma controllata.
Dagli stessi componimenti icastici, densissimi metaforicamente e semanticamente, emerge una dose fortissima di ipersegno.
Tramite immagini veloci, non irrelate tra loro, il poeta raggiunge accensioni e spegnimenti, illuminazioni fulminanti.
Rifacendosi ad una natura archetipica del mondo, l’anarchico Villa crea nuove modalità lessicali e una diversa rappresentazione del rapporto tra formale ed informale.
La struttura del tessuto linguistico di Emilio si fa riflesso del suo modo di essere e del suo atteggiamento verso la vita.
Infatti le stesure delle poesie presentano non a caso una forte vena anarchica, mantenendo però sempre un filo rosso, che lega le loro parti, una vaga razionalità.
Così i sintagmi, nel loro comporsi e strutturarsi sulla pagina, non sfiorano nemmeno l’indistinto né l’alogico.
In “E ma dopo” il poeta nomina il germe e, iterativamente e anaforicamente, l’etimo.
Qui sembra che le parole stesse vadano alla ricerca della definizione dell’esistenza, della sua essenza, anche se si tratta di un vivere dominato dalla privazione e dalla precarietà.
L’autore pare preferire una terra dimessa e vitale e va al di là, sia dalle false avanguardie, che dai sentimentalismi.
Caleidoscopico può definirsi il modellarsi delle immagini contenute nei suoi componimenti.
Esse vedono affiancarsi, nella loro sostanza, elementi eterogenei tra loro, dai bulloni alle turbine, dai reperti preistorici d’arte vasaria alle scie fosforiche, dalle polpe di brina alle architetture di zucchero.
Nell’ambito espressivo di Villa, frammentario nelle sue parti, si evidenziano venature di magia, che emergono attraverso tracce di una luminosità intermittente e pulsante che pervade le parole, le fossili rocce illuminate.
In “Oramai” è presente anche una tematica religiosa che si rivela quando la felicità ha voltato fuori, all’angolo della strada, lungo le rotaie.
Qui l’io-poetante e un interlocutore, del quale ogni riferimento resta taciuto, divengono due martiri.
Magmatico il decollare veloce di queste composizioni, intrise, a volte, da squarci di sublime bellezza, da elementi cangianti e misteriosi.
In esse si realizzano sinestesie icastiche che catturano chi legge e si presta a questo con la dovuta pazienza e attenzione.
Un’esperienza appartata quella del poeta lombardo, riattualizzata da Fermenti Editrice anche con il volume Mosaico villiano, 2012, di Renato Fascetti, amico di Villa.
In esso ci si sofferma sulla storia privata del poeta, soprattutto sul suo ultimo tragico periodo,
Così, con il suddetto testo, possiamo comprendere ancora meglio la sua eccentrica personalità fuori dai canoni delle convenzioni letterarie, che esce del tutto dall’ambito di ogni tipo di conformismo.
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Raffaele Piazza