domenica 27 settembre 2015

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia e il fresco di settembre"

Autunno alle porte dell’anima
di Alessia: fresco serale nella
fisicità di ragazza Alessia a
giungere alla linea azzurra
della mente. Poi arrivano i flussi
degli albereti a detergere
la terra del viso di Alessia
in limine con la vita.
Ora si sente fantastica
interanimata al sogno più
bello. Nel delta del viale
di campagna d’isola con il
filo di spiga in bocca
cammina.
*

"Alessia e la meteora"

Sul filo della fibula
a farsi favola, campita
nell’immenso si accende
Alessia, pari a stella
cadente nello scorgerla,
dalla luce trafitta
e rigenerata per grazia
a illuminarla.
Sedici anni contati
come lune nel fare
l’amore con Giovanni
nell’interanimarsi
alla vita e al sogno
più soave.
*

"Gioia di Alessia nuova"

Come in prove di danza
rasenta la gioia ragazza
Alessia per poi raggiungerla
nella vita nel bianco
della mappa albare. Aurora
a entrarle dentro come
in una donna. Contempla
il cielo di nuvole campite
in forme di cavalli e delfini
spumosi. Vede il presagio
dell’amore nella foglia
verde brillante che aggetta
in un angolo di casa
e di Alessia è la nuova gioia.
*

"Alessia sale le scale"

Chiostra d’azzurro di monti
nell’interanimarsi con di Alessia
il sogno soave
pari ad acqua di neve sciolta.
Nella parete della roccia
ha scherzato la natura
nel creare di pietra scalinate:
le sale ragazza Alessia con
passo leggero con la giacca
rosacielo e la speranza:
(Giovanni non mi lascia).
Raggiunge Alessia i 3000
metri, aria fredda a entrarle
nell’anima di 18 grammi
e rinfrescarla.
Si libra senza nome un volatile
nel dire: attenzione!!!
*

"Alessia e la fertile luna"

Luna luce di genetico
cereale, sospesa nel cielo
di ragazza Alessia per
magia, albero maestro
a indicare da seguire la
rotta. Danza Alessia sotto
il lucore nell’albereto
nella chiostra racchiuso
di monti d’azzurro vestiti,
raccoglie le fragole Alessia,
segue il fresco di ottobre,
la traccia attende nella
fotocopia di un anno fa.
Il sogno più dolce,
poi uno bello (ha sognato
il bagno nuda nel ruscello
e faceva con Giovanni
l’amore).
Fertile luna ad accrescere
gli averi di Alessia,
adesso studia e fa la
commessa (€ 550 al mese).
*
"Alessia e l’albero"

Nel rinominare Alessia
l’albero ad angolo con
la vita, lo chiama Giovanni
come l’amato.
Sembra un pino, non sa bene,
riemerge felice dalla
contemplazione.
Portami fortuna, albero…
Incrocia Alessia le dita
affilate. Fa che non mi
lasci, albero senza nome!!!
Azzurrità a protrarsi
nel fitto verde vegetale
dove gli occhi di Alessia
non erano mai stati.
Ancora esiste l’albero.
*

Raffaele Piazza.

sabato 26 settembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = WILLIAM CLIFF

William Cliff – “Poesie scelte”---a cura di Fabrizio Bajec--
Fermenti Editrice – Roma – 2015 – pagg 189 - € 18,00
(Percorsi della poesia contemporanea
Considerazioni su tematiche non amorose o erotiche)

William Cliff (Gembloux, 1940) è un poeta e prosatore belga di espressione francese.
Ha vinto vari premi letterari ed è considerato uno dei più importanti poeti francofoni viventi.
Oltre ai libri di viaggio, di memorie e ad alcuni testi teatrali, ha al suo attivo una quindicina di raccolte poetiche.
In “Poesie scelte” è presentata una selezione dei vari componimenti contenuti nelle suddette.
Il libro, nel quale possiamo leggere i versi in lingua francese a fronte, presenta un’introduzione del curatore Fabrizio Bajec corposa e ricca di acribia.
Il volume è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma diretta da Velio Carratoni.
Non sono solo il sesso e l’amore, tematiche ricorrenti, ad esprimere la cifra della poetica di William Cliff.
Un altro tema, affrontato nel libro “America, 1973”, è quello del viaggio per mare, con immagini evocative di navigazioni vissute dall’io – poetante.
In un componimento molto suggestivo senza titolo della suddetta raccolta è affrontato il tema della monotonia delle distese oceaniche.
Essa è interrotta dalle visioni di una balena e dei pesci volanti in un contesto di forte magia e sospensione.
Il poeta realizza le descrizioni di suggestivi spaesamenti nell’immensità cielo – mare, nella quale la nave diviene un guscio di noce, nel suo inserimento nella natura immensa e numinosa.
Ci sono particolareggiate descrizioni di navi, che si fanno simbolo del viaggio e il vero protagonista è il mare.
Nel procedere del battello al buio si prova il senso del dolore umano come in una notte dell’anima
Il poeta si rivolge alla nave stessa pregandola di cullarlo in un’atmosfera di sogno ad occhi aperti e di onirismo purgatoriale.
In una bella immagine Cliff si butta in ginocchio davanti alle anime forti dei marinai che, per liberarsi dal peso del vivere sulla terra, hanno preferito passare la loro esistenza negli oceani.
Anche una tematica sociale emerge in “America”, quando viene nominata, in una composizione senza titolo, costituita da sette quartine libere, la tristissima e desolante condizione di abbrutimento di un’umanità desolata di esseri deformi, infelici e poveri, che abitano un porto visitato dal poeta.
La desolazione è detta realisticamente nel delineare frotte di bambini rimasti tra cocci di ciotole e piatti sul selciato di una stradina, tra resti di cibo putrefatto sul selciato, che lasciano ai passanti un tanfo d’immondizia.
Anche lo sfondo paesaggistico – architettonico di queste vicende è desolante, con una palma malmenata che un giorno aveva una bellissima cima.
La pianta non si distingue dagli alberi maestri eretti sui battelli annodati alle bitte.
Anche scenari di scale cadute e claudicanti su una pozza dove qualche moro si arrischia a piedi nudi, donne incinte sciagurate costrette a sgobbare in case malsane tutto il giorno, paragonate a orrendi piccoli pesci dal ventre gonfio, costituiscono la sceneggiatura di queste poesie.
Inoltre in alberghi una volta sontuosi e ora in decadenza, alloggiano puttane e marinai con il loro lerciume.
Alta la poesia “I pellicani”, scritta in lunga ed ininterrotta sequenza, nella quale i volatili stessi vengono definiti immondi rapaci per la loro caratteristica di cibarsi nel porto di avanzi di pesci scuoiati.
I pellicani vengono detti brutte bestie dal piumaggio di un grigio sporco e viscoso e il poeta si chiede come mai il Buon Dio ha fatto in modo che esistesse lo stesso piumaggio così orrido, quando ci sono tanti altri uccelli le cui ali graziosamente attraversano l’aria dei mari e le terre.
Un componimento senza titolo interessante ha come interlocutori i Neri per i quali l’autore dice di provare una grande simpatia.
Il tema della diversità degli uomini di colore si collega a quello della difformità dello stesso Cliff per la sua condizione di omosessuale.
Così viene affrontato un tema politico e William dichiara di accettare i Neri anche se svolgono attività illecite e nonostante il fatto che il poeta pensi di essere detestato dagli stessi Neri.
Un affetto sensibile lo fa sentire accomunato ai Neri, perché, come lui, sono perseguitati dai filistei, presumibilmente i bianchi borghesi.
Nella raccolta “In Oriente” (1986) ritroviamo ancora la tematica del viaggio.
Questa volta l’ambientazione è nel Punjab, regione posta a cavallo della frontiera tra India e Pakistan.
Cliff con il suo stile chiaro, articolato, leggero e icastico descrive la città di Lahore che è un vasto miscuglio di tre milioni di abitanti sotto gli altoparlanti che allo spuntare del sole diffondono sui tetti terribili lamenti Allah Akbar.
Nello stesso componimento l’io-poetante si chiede se i bambini temono questi ululati che fanno svegliare e fanno inginocchiare i loro genitori.
Nelle poesie di viaggio l’occhio perspicace di William riesce ad individuare con acutezza aspetti che altrimenti resterebbero sconosciuti dei paesi e dei sembianti visitati.
In questo fondamentale è l’atteggiamento empatico del poeta nel porsi in sintonia con quello che lo circonda.
Toccante la poesia lunga e senza titolo, dedicata al poeta greco Costantino Kavafis, suddivisa in quattro strofe e formata da un’alternanza di un verso regolare e da un altro di una, due, tre o quattro parole, centrato sulla pagina.
In essa, tratta dalla raccolta “In Oriente” (1986), è nominato l’ultimo periodo dell’esistenza dell’autore ellenico, momento tragico e doloroso, segnato dalla malattia e dall’indigenza.
Nell’incipit il poeta afferma di aver visto la stanza dove Kavafis è morto.
Dovette infatti vendere l’appartamento che possedeva per occupare solamente una camera con l’arabo un “servitore”
Cliff afferma che Kavafis, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1863, è morto nel 1933 nell’indifferenza del mondo intero.
Contrariamente all’ultimo periodo della sua vita, durante la giovinezza e la maturità Kavafis aveva vissuto nell’agiatezza e nella raffinatezza.
Il fulcro della composizione consiste nella decadenza fisica, morale ed economica che caratterizza la vita di Kavafis, quando i vari livelli s’intersecano tra loro.
In “Immensa esistenza” (2007) è presente la poesia “Ballata delle donne del tempo presente” suddivisa in sei strofe
Nella poesia si sente da parte del poeta l’attrazione irresistibile per l’eterno femminino, ambigua perché il Nostro è omosessuale.
Vengono dette varie attrici e cantanti come Vanessa Paradis, Fanny Ardant, Gina Lollobrigida, Marilyn e Dalida.
Con scavo psicologico Cliff penetra nelle anime di queste donne legate per vari versi al mito e alla leggenda nel nostro immaginario collettivo.
S’immedesima nelle loro gioie e nei loro dolori e proiettandosi nei meandri delle loro personalità si chiede, con un certo distacco, ma anche con partecipazione quali siano stati i motivi a condurre al suicidio Marilyn e Dalida, mentre, per quanto riguarda le altre, entra nei loro vissuti di felicità esuberante.
Lo stile delle poesie di Cliff è sempre connotato da una vaga bellezza e da un rigorosissimo controllo e i sintagmi, le immagini, le frasi, nella loro velocità, si dispongono in un ordine stupendo, costituendo le composizioni sempre pervase da una grande intelligenza.
*
Raffaele Piazza

venerdì 25 settembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = DONATO DI STASI

Donato Di Stasi – Le due scarpe sinistre dei poeti - Saggi (1996 – 2014)
Fermenti Editrice – Roma – 2015 – pagg. 181 - € 18,00
( - Osservazioni sugli scritti riguardanti i poeti inclusi nel volume- )
*
“Le due scarpe sinistre dei poeti” è un testo costituito da diciotto monografie di varie dimensioni su poeti e poetesse, tutti italiani tranne Arthur Rimbaud, che hanno avuto un’importanza rilevante nel panorama letterario tra Ottocento e Novecento.
Il volume è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma diretta da Velio Carratoni.

In “L’ircocervo Emilio Villa”, Di Stasi compie un’approfondita e corposa disanima, ricca di acribia, sulla poetica di Emilio Villa (1914-2003).
Il Nostro è stato artista, poeta, biblista ed intellettuale e viene analizzato criticamente, sia come uomo e personaggio, sia a livello delle sua produzione artistica.
Da notare che il termine ircocervo, usato dallo scrittore nel titolo della monografia, designa un animale favoloso per metà caprone e metà cervo e, metaforicamente, qualcosa di assurdo o irreale.
Va considerato che Villa, nato nel quartiere di Milano Affori e morto a Rieti, è solo per una ristretta cerchia di lettori uno dei massimi esponenti della letteratura del Novecento.
Nonostante l’indiscutibile qualità della sua opera, sull’autore è calato uno dei silenzi più forti nell’ambito della cultura italiana.
Nel ricercare le ragioni della scarsa fortuna di Emilio, a livello di pubblico, il critico si rifà ad uno degli assunti fondamentali di “Le due scarpe sinistre dei poeti”, espresso in “Avvertenze”, che apre il volume.
Secondo tale asserzione, molti poeti rimangono incompresi, incomprensibili e non letti.
Questo è il risultato di un’attitudine dei lettori di poesia, che sono spesso essi stessi poeti, a preferire una forma di scrittura lirica e consolatrice senza barocchismi o ponderose oscurità di senso, un tipo di stesura, non a caso, antitetica a quella villiana.
Come persona Emilio è stato un uomo dalle molte esperienze, che si riverberano nella sua fertile attività di poeta.
Nella lunga vita ha trascorso gli anni giovanili in seminario e ha compiuto viaggi intercontinentali, con numerose permanenze nei luoghi visitati.
L’ultima fase dolorosa della sua esistenza è stata segnata dall’indigenza e da un terribile ictus che gli aveva portato via la parola.
Villa è stato anarchico senza né tetto né legge e intellettuale, come dice il saggista, fluttuante tra lombardismo, omerismo, sumerismo, francesismo et coetera.
La critica gli ha attribuito le stigmate di un generico e molto oscuro sperimentalismo – desemantismo.
Spesso ci si è guardati bene dall’inoltrarsi nei perigliosi meandri dell’esegesi e della disputa, preferendo la Villa – cancellazione, cioè il silenzio sull’autore a cui si accennava sopra.
Altre volte si è verificata un’acritica genuflessione dinanzi a questa figura, vista quasi come un santo profano, comparatista, filologo, glottologo o quant’altro.
Nella sua esistenza, in sintonia con gli accadimenti collettivi del Novecento, (Monarchia, Fascismo, Repubblica Prima e Seconda), il poeta è stato sempre persona e cittadino del suo tempo, in forte tensione dialettica con esso.
Individuo del tutto anticonformista nei suoi atteggiamenti.
Infatti aveva un disprezzo assoluto per il danaro e insegnava con ricchezza di dettagli l’arte di dormire sotto i ponti del Tevere.
Inoltre, manifestando recrudescenze contro il perbenismo e il decoro piccolo – piccolo borghese, si ostinava a riavviare i capelli con un pettinino azzurro a metà di ogni cena a cui era invitato.
Complesso, articolato, composito e a tratti cupo il suo fare poesia.
Infatti il poeta costringe il lettore a fatiche ardue e spesso irritanti.
Gli oggetti, le tematiche e le figure di Villa, che s’inverano nella sua versificazione, sono molto originali e spesso quasi minimalistici.
Sono nominati, infatti, tramvieri, attricette di terz’ordine che orinano sui marciapiedi a notte inoltrata, materassi battuti all’alba sulle ringhiere di scalcinate case popolari, le palpebre arrossate delle guardie notturne, i postini, la Grande Proletaria in movimento compulsivo verso la Storia.
Attraverso la sua concezione dell’arte, nei suoi testi, oggetti assolutamente impoetici si fanno linguaggio poetico.
Emerge anche il tema sociopolitico con la descrizione della metropoli lombarda, che inizia a entrare nella fase del boom economico con i suoi processi di migrazione forzata dal sud e dalle campagne padane.
Scrittura antilirica e antielegiaca tout-court, quella che incontriamo nelle sue composizioni, veloce, a tratti gridata, ma controllata.
Dagli stessi componimenti icastici, densissimi metaforicamente e semanticamente, emerge una dose fortissima di ipersegno.
Tramite immagini veloci, non irrelate tra loro, il poeta raggiunge accensioni e spegnimenti, illuminazioni fulminanti.
Rifacendosi ad una natura archetipica del mondo, l’anarchico Villa crea nuove modalità lessicali e una diversa rappresentazione del rapporto tra formale ed informale.
La struttura del tessuto linguistico di Emilio si fa riflesso del suo modo di essere e del suo atteggiamento verso la vita.
Infatti le stesure delle poesie presentano non a caso una forte vena anarchica, mantenendo però sempre un filo rosso, che lega le loro parti, una vaga razionalità.
Così i sintagmi, nel loro comporsi e strutturarsi sulla pagina, non sfiorano nemmeno l’indistinto né l’alogico.
In “E ma dopo” il poeta nomina il germe e, iterativamente e anaforicamente, l’etimo.
Qui sembra che le parole stesse vadano alla ricerca della definizione dell’esistenza, della sua essenza, anche se si tratta di un vivere dominato dalla privazione e dalla precarietà.
L’autore pare preferire una terra dimessa e vitale e va al di là, sia dalle false avanguardie, che dai sentimentalismi.
Caleidoscopico può definirsi il modellarsi delle immagini contenute nei suoi componimenti.
Esse vedono affiancarsi, nella loro sostanza, elementi eterogenei tra loro, dai bulloni alle turbine, dai reperti preistorici d’arte vasaria alle scie fosforiche, dalle polpe di brina alle architetture di zucchero.
Nell’ambito espressivo di Villa, frammentario nelle sue parti, si evidenziano venature di magia, che emergono attraverso tracce di una luminosità intermittente e pulsante che pervade le parole, le fossili rocce illuminate.
In “Oramai” è presente anche una tematica religiosa che si rivela quando la felicità ha voltato fuori, all’angolo della strada, lungo le rotaie.
Qui l’io-poetante e un interlocutore, del quale ogni riferimento resta taciuto, divengono due martiri.
Magmatico il decollare veloce di queste composizioni, intrise, a volte, da squarci di sublime bellezza, da elementi cangianti e misteriosi.
In esse si realizzano sinestesie icastiche che catturano chi legge e si presta a questo con la dovuta pazienza e attenzione.
Un’esperienza appartata quella del poeta lombardo, riattualizzata da Fermenti Editrice anche con il volume Mosaico villiano, 2012, di Renato Fascetti, amico di Villa.
In esso ci si sofferma sulla storia privata del poeta, soprattutto sul suo ultimo tragico periodo,
Così, con il suddetto testo, possiamo comprendere ancora meglio la sua eccentrica personalità fuori dai canoni delle convenzioni letterarie, che esce del tutto dall’ambito di ogni tipo di conformismo.
*
Raffaele Piazza



giovedì 24 settembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCA ALAIMO

Franca Alaimo
“SORSI”
(Introduzione di Giannino Balbis)
Collana Libri Liberi a cura di Giuliano Brenna e Roberto Maggiani
Pubblicazione in ebook della rivista online “La Recherche”


La forma chiusa, lungi dal rappresentare una gabbia, in poesia può funzionare come una macchina generatrice di nuove energie creative proprio grazie alla “costrizione” esercitata dai limiti autoimposti. Se poi, come nel caso dei versi di Franca Alaimo, la forma chiusa si risolve in una sequenza incalzante di microtesti scanditi dalla misura breve e armonicamente reiterati come una laica litania, allora – a causa dello schema ripetitivo – la sfida sembra farsi più difficile. Ma è proprio questa “costrizione” apparentemente rigida che spinge l’autrice a “spaziare” nella direzione opposta, di implodere cioè verso il profondo, scendendo nel ventre delle parole e sfruttando le loro più riposte potenzialità di suono e di senso.
In questa sua nuova raccolta Franca Alaimo presenta dunque 150 terzine sottili come haiku che scorrono una dopo l’altra oscillando fra "leggerezza calviniana" e "pesantezza del mondo in cui viviamo" (Balbis), fra gioiosa musicalità e schietta esternazione di personalissimi (ma anche umanissimi) dolori.
Tuttavia i momenti che risaltano maggiormente non sono, a mio parere, quelli più propriamente riflessivi o introspettivi, quanto piuttosto quelli “narrativi”. Sono questi squarci, questi tempi veloci di apertura al racconto a costituire la parte più originale e riuscita della raccolta. Certi versi sembrano generati da una mobile telecamera che racconta ciò che "accade" dentro e fuori di noi con innocenza, ironia o complicità, suddividendo quelli che comunemente chiamiamo "fatti" in brevi e fuggevoli clip o indistinte sequenze (“Cantava a squarciagola / Il melodioso usignolo / Senza nessun risparmio”). Sono inquadrature a volte sfocate, altre volte precisissime nei dettagli, che catturano i frammenti del quotidiano con speciale attenzione a un determinato microcosmo, quello di un ambiente naturale che potrebbe essere un giardino (abitato in ordine sparso da papaveri, malva, falchi, passeri, cipressi, usignoli, chiocciole, limoni, grilli, rose, gerani, calabroni, gelsomini, castagni…). Il campo di osservazione è così riservato agli effimeri accadimenti di un mondo animale e vegetale che, quasi pascolianamente, si fa simbolo di una condizione più ampia, come del resto viene asserito chiaramente già nei versi di apertura (“Senza la rete dei simboli / Ogni cosa diventa / Isola senza approdo”) dove peraltro risalta il raffinatissimo gioco di specchiature sonore fra le parole “simboli” e “isola” (a dar conto, fin dall’incipit, della perizia compositiva dell’autrice). E dove la necessità di trovare nessi simbolici individuando una rete di connessioni fra le cose del mondo, viene presentata come una possibile strada, quasi un antidoto, per sfuggire all’Isola / senza approdo, cioè (forse) alla solitudine esistenziale o alle indefinibili mancanze che la vita ci può riservare. Ma “Isola” è anche la Sicilia, la terra dell’autrice, quel “giardino in mezzo al mare” di cui parla una nota canzone popolare (C’è nu jardinu ‘mmezzu di lu mari…) e che idealmente ci piace sovrapporre al personale e più circoscritto giardino dove i “sorsi poetici” di questo libro prendono forma e si rispecchiano, mentre “La nebbia preme i vetri / E la casa sembra sospesa / Nel bianchissimo nulla”.
-
**Alfonso Lentini**
--

Da Sorsi

1
Senza la rete dei simboli
Ogni cosa diventa
Isola senza approdo

12
Se stride in alto il falco
Tra le fronde tacciono
I passeri impauriti

19
S’allungano ombre sul sentiero:
La punta del cipresso
Sfiora un istante il viso

23
Dalla cima della montagna
Le pecore brucanti
Sembrano sassi immoti

30
Caddi nel sonno mentre
I grilli cantavano:
Mi desto con i passeri

36
Una piuma che cade
Dimostra che la leggerezza
Ha orrore della terra

39
Sul groviglio dei rovi
Il ragno ha tessuto
Una mantellina cangiante

45
L’ape che ronza sul trifoglio
Invano cerca il fiore:
L’ha già strappato il vento

47
Ho risparmiato il gelsomino
Perché aveva sul ramo
Una piccola foglia

58
Umili fiori rampicanti
Avvinti ad un frassino
Raggiunsero la cima

78
Uno stormo di merli
Traghetta le stelle del cielo
Tra i battiti delle ali

84
Uscendo sul terrazzo
Vidi tremolare nell’acqua
Del secchio l’Orsa minore

127
Si orla di morte il fiore
della plumelia se lo tocchi:
simbolo delle nozze

132
Il vento lo scosse ed il ramo
Bussò alla mia finestra:
Tutto cerca conforto

141
Un istante di distrazione
E non trovo la luna:
Una nuvola la sigilla

POESIA = AURELIA ROSA IURILLI

"-Fucksie d’autunno-"

Con l’autunno
sei venuta ancora Fucksie in piena notte
spiando le fenditure dei miei sgretolati muri.
Le comare del paese mi additano peccatore e tu mi sussurri sgualdrina
gioisci,
mostri l’ombelico e la vena cerulea che la dalmatica brulla cela e porge.
E poi, non sai che sono già sposato?

Rimpiango te,
Fucksie d’autunno.

Tessi
strano fantasma
malie di fumo e cenere nei miei sogni
impigliate.

Pioggia sul viso,
Fucksie,
turbini di grigi e attesi uragani,
fanciulla corpo di bronzo viola morbida civetta
offerta sdraiata sul muschio umido di cera e caffè
femmina fatale con le perle
le sopracciglia di malafede
occhiaie vampe di catrame.

Fucksie d’autunno
gioco incerto di velluto.

Nascondi nel seno
melagrane pere e cotogni
e attendi, bendata, il raccolto.

T’ho impastata nella mia vigna
aperto il solco spartita la zolla bruna,
ho assaggiato il mosto della tua bocca
morso la mela dei tuoi capelli,
nel tuo grembo voglio addormentarmi.

Dissetami, Fucksie e non rispondermi nulla.

Poi,rivelerai nel vespro il germoglio indeciso.
*
AURELIA ROSA IURILLI-
*
Aurelia Rosa Iurilli è nata a Ruvo di Puglia nel 1941. Con le ultime ondate di emigrazione, nel 1952 si trasferisce in Argentina. Affronta gli studi sino alla laurea in Profesora de Castellano y Literatura. Nel 1984 ritorna definitivamente in Italia e lavora come lettrice all’Istituto Giulio Cesare di Bari, oggi Marco Polo. Propone la sezione “Esecitazioni” per la Grammatica di Spagnolo del Prof. Alfonso Falco, dell’Università della stessa città, (Ed. Levante 1988), dove lei intanto svolge attività di lettrice.
Entrata in pensione, si dedica attivamente all’attivita letteraria.
Collabora con il Centro Studi di Americanistica.

mercoledì 23 settembre 2015

POESIA = ROBERTO MOSI

Canto per Piazza Bovio
(Foglio Letterario 4/2015)
*
"La città nave"
Si allunga nel mare
al mattino la risacca
si spezza sulla prua
del faro, le ciminiere
liberano a poppa
i fumi dell’altoforno
al centro il lungo ponte
il Corso costellato di torri.

Dalla terrazza dell’albergo
sospesa alta sulla città
respiro l’aria del mare
scorgo l’isola, la linea
rosa dei monti. I gabbiani
saettano striduli dalle ciminiere
alla prua, padroni del cielo.

Marta passerà nel Corso
sul passeggino, da principessa.
Dalla piazza saluteremo
i traghetti e gli errabondi gabbiani
in un girotondo di risa felici.
Sarà il momento per liberare
gli ormeggi della città nave.
*
"La città libro"
La nave lascia il porto
sfiora il promontorio,
ecco Piombino dal mare
l’immagine di un libro
aperto, dai contrafforti
della Fortezza all’altura
dove si distende la Cittadella
e la casa di Elisa Baciocchi.

La piazza, al centro
oggi è in festa vestita
delle tende bianche
arruffate dal maestrale,
sui banchi uno stormo
di libri con le ali
di ogni colore.

Si levano in volo
leggeri come pensieri
la musica delle storie
il suono della poesia
il fragore delle utopie.
Tracciano nel cielo
le speranze della città libro.

La città lanterna
La sera di fine estate
mi porta sotto l’occhio
rosso del faro, onde lunghe
si frangono sugli scogli
bianche di spume. Il vento
ha mangiato ogni nube.
Sono al centro del mondo
sotto il cielo stellato.

Lanterne si alzano
dalla piazza, a una a una
raggiungono il cielo
gonfie d’aria, di pensieri
per la stagione che verrà,
navicelle che portano
in volo sogni e desideri.

Si allontanano in fila
al vento teso dello Stretto
incrociano le ombre
che lievitano dalla terra
le luci dei paesi sul mare
le navi di passaggio
le luci delle stelle.
*
ROBERTO MOSI
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Roberto Mosi ha pubblicato le Raccolte: La vita fa rumore (Teseo 2015), Concerto (Gazebo 2013; Premio per la Critica Abano Terme 2015), Concerto Golfo di Baratti (AA. VV. Poeti Contemp. 11°, Pagine 2013), L’invasione degli storni (Gazebo 2012), Luoghi del mito (LietoColle 2010), Aquiloni (Il Foglio 2010), Nonluoghi (Comune Firenze 2009), Florentia (Gazebo 2008; Premio Villa Bernocchi, Verbania 2009), Itinera (Masso delle Fate 2007). Sette di queste raccolte sono pubblicate come e-Book free dalle Edizioni www.larecherche.it assieme a contributi per le Antologie in onore di Marcel Proust. L’e-Book più frequentato: Itinera http://www.larecherche.it/librolibero_ebook.asp?Id=51 . Per la Narrativa, il romanzo fantasy: Non oltrepassare la linea gialla (Europa Edizioni 2014); la guida storica Elisa Baciocchi e il fratello Napoleone. Storie francesi da Piombino a Parigi (Il Foglio 2013). Ho realizzato alcune Mostre fotografiche. Sono stato dirigente per la Cultura alla Regione Toscana. Curo i Blog www.robertomosi.it e www.poesia3002.blogspot.it Rif.: mosi.firenze@gmail.com

SEGNALAZIONE VOLUMI = DONATO DI STASI

Donato Di Stasi – Le due scarpe sinistre dei poeti - Saggi (1996 – 2014)
Fermenti Editrice – Roma – 2015 – pagg. 181 - € 18,00
(Osservazioni sugli scritti riguardanti i poeti inclusi nel volume)


“Le due scarpe sinistre dei poeti” è un testo costituito da diciotto monografie di varie dimensioni su poeti e poetesse, tutti italiani tranne Arthur Rimbaud, che hanno avuto un’importanza rilevante nel panorama letterario tra Ottocento e Novecento.
Il volume è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma diretta da Velio Carratoni.

In “Rileggere Satura, ovvero come spaccare in due i capelli di Montale”, il saggista delinea il presupposto metodologico da assumere per pervenire ad un’esauriente ed efficace comprensione della stessa “Satura”.
Tale premessa consiste nel fatto che nel Novecento si costruisce un orizzonte puramente tecnico, mentre ci si adopera, in ogni modo, per demolire l’inservibile e inutile retaggio umanistico.
Anche Di Stasi, come gran parte degli autori, vede una netta linea di demarcazione nel ciclo poetologico di Montale, nato a Genova nel 1986 e morto a Milano nel 1981.
Infatti individua una prima fase costituita da “Ossi di seppia, Occasioni e Bufera” e un periodo successivo nel quale il poeta scrisse “Satura, Xenia, Diario del ’71 e del ’72, Quaderno di quattro anni e Altri Versi”.
Il primo periodo vede la difesa, con piglio solenne e sacerdotale, dell’accumulo storico della letteratura occidentale.
Il secondo, invece, l’impegno a leccare le ferite relative alla morte dell’arte per poi sogghignare e menare fendenti.
Verificatasi la suddetta fine della poesia, teorizzata da Paul Celan, dopo l’olocausto e la seconda guerra mondiale, la struttura della realtà cambia radicalmente.
In un mutato quadro politico e sociale, in una fase nuova di ricostruzione, pace e democrazia, in Italia, come in altri paesi, si trasforma quasi del tutto, a livello ontologico, l’approccio alla vita, che migliora la sua qualità.
Questo avviene proprio grazie alla magica e rinnovata parola libertà, che si coniuga ad un certo benessere economico per i cittadini, anche se nasce, contemporaneamente, il fantasma del consumismo.
Eugenio Montale coglie in pieno la portata epocale di questi avvenimenti ed è costretto ad uscire dall’ermetismo per immergersi nella rappresentazione di un mondo secondo la sua soggettività.
Nel 1956 pubblica “La bufera e altro”, ancora influenzata, in qualche misura, dal clima ermetico.
Invece nel 1971 fa propri i fermenti che il nuovo scenario stava vivendo ed esce con Satura, specchio del rinnovato orizzonte.
Proprio con tale pubblicazione, a ridosso dei settantacinque anni, il poeta genovese cambia la direzione del suo poiein.
Nel riflettersi in un contesto, che, se non è proprio a misura d’uomo, almeno risulta più vivibile, l’autore si esprime attraverso la prosapoesia e il diarismo fulmineo e tagliente.
Come scrive il saggista, Montale giunge a teorizzare il limite della poesia come organizzazione esclusivamente concettuale.
Nel compiere questo assume una posizione radicalmente empiristica, nell’assoluta convinzione della vanità di tutto (causa, sostanza, spazio, io, affetti).
E’ del vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1975, l’affermazione con la quale dichiarò che i primi tre libri di poesia li ha scritti in frac, mentre gli altri in abiti da casa dimessi.
Sicuramente Montale con Satura si può considerare un anticipatore, un precursore, di molta della poesia dei nostri giorni.
Tale concezione dell’arte vede il poeta in generale, interessato più al solipsismo, a rimanere autocentrato, che ad essere eterocentrato nella ricerca della comprensione critica del mondo, uscendo dalla sfera del privato.
La poetica di “Satura” è intrisa di un sobrio nichilismo e, a livello stilistico, i versi sono connotati da una fortissima precisione.
Ogni singolo sintagma ritrova il suo posto giusto sulla pagina e suona attento nella nebbia della vita, risultando memorabile anche per il lettore più sprovveduto.
Elemento fondante di “Satura”, del tutto contrario allo stile del primo Montale, è quello della sua collocazione, a livello temporale, in un limbo.
In tale spazio virtuale si può vivere senza esistere, si può amare senza provare alcun sentimento, si può parlare di verità avendo in mente solo la persuasione.
Con il correlativo oggettivo ogni immagine delle poesie rimanda ad altri significati, ad un piano altro, per giungere al varco che conduce alla salvezza.
Nelle composizioni di “Satura” si ritrova uno spleen compositivo del quale il poeta ha un’esatta e piena coscienza.
Una visione del mondo disincantata di un artista che nominava nei suoi versi l’oltrecielo, senza avere ideali trascendenti, e che ha lasciato come testamento spirituale due libri intitolati “Diari postumi”, usciti dopo la sua scomparsa, curati da Annalisa Cima.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANNALISA COMES

Annalisa Comes : “Il corpo eterno” - Ed. Gazebo . 2015 – pagg. 88 – s.i.p.
Un itinerario che splende nella sua scrittura per figure e risvolti , incontri e illusioni , fra le luci variabili delle immagini, che si susseguono ed attendono dalla parola quasi una liberazione dalla solitudine e dagli spazi prigionieri.
“… Abbiamo solo noi stesse/ in quegli inverni che sembrano miti,/ ma poi ritrattano la promessa/ e spalancano porticine,/ allora gli spifferi si fanno bufera,/ la frutta geme per il freddo/ e il fuoco si spegne./ Abbiamo solo noi stesse/ quando il figlio parte con la sua sacca ,/ quando la madre trema e non trova pace…”
Nella partitura simbolista che si snoda nei versi le immagini si disvelano in forme ignude , nella rappresentazione di una realtà che non si nasconde e delicatamente cerca di sorprendere per la sua tensione. Le figure si proiettano nella fisicità, irriducibile e immutabile , per divenire vigilie o fermezze, per scoprire mani ignude e delicate, per raggomitolarsi al suono di un violino, per regalare ondulazioni alla memoria o per offrire un fiore nel silenzio.
Anche la preghiera ha un accento che turba , nel silenzio del segnale divino, nelle ombre che addensano fra nuvole: una voce che vorrebbe portare lontano in un respiro che si ripete attraverso le labbra, o negli spazi contesi tra stella e stella.
Il verso accenna misura del passo musicale , capace in ogni flessione di diventare sintesi e di smussare gli angoli del pensiero, mentre sul piano dell’espressione lievita una reazione alla finitudine e alla futilità, al di là di ogni esperienza sapienziale o mistica.
Arricchiscono il volume due foto di Vasco Ascolini, che mostra una biografia ricchissima e pregevole.
ANTONIO SPAGNUOLO

lunedì 21 settembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = SEMIRA BALDI

Semira Baldi –“Sfiorito è il tempo”--puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2014 – pagg. 47 - € 8,00


Semira Baldi è friulana d’origine ma vive da molti anni a San Donato Milanese (MI).
Ha scritto due libri di poesia ed è presente in vari siti.
Una tersa linearità dell’incanto, una vena neolirica tout-court, insolita nel nostro panorama letterario contemporaneo, sono la cifre stilistiche peculiari, che connotano la breve raccolta di poesia, considerabile per le sue esigue dimensioni una plaquette, che prendiamo in considerazione in questa sede.
Il testo non è scandito e, per la sua unitarietà tematica e contenutistica può essere considerato un poemetto, caratterizzato anche da un alone luminoso di elegia.
“Sfiorito il tempo” presenta una postfazione corposa e ricca di acribia di Ivano Mugnaini.
Interessante, per il suo carattere programmatico, il componimento “Parole blindate”, che fa da incipit alla raccolta.
Il suddetto è suddiviso in tre strofe armoniche (e l’armonia formale è una delle caratteristiche del libro).
Affascinante in “Parole blindate” il gioco di cerchi concentrici, che l’autrice coscientemente elabora, quello delle parole stesse, intese come vaghe entità, che sono dette nel titolo e che, nello stesso tempo, sono i mattoni che costituiscono la scrittura.
Ma, nello stesso tempo, “Parole blindate” è una poesia e le poesie sono fatte di parole concrete, colorate, incandescenti.
E così il procedimento e il circuito comunicativo si chiudono, dopo che la parola ha riflettuto su se stessa.
Entrando nel merito dei contenuti di “Parole blindate” l’autrice, conscia della forza della parola stessa, vorrebbe inviare un messaggio ad un interlocutore del quale ogni riferimento resta taciuto.
La poeta lo prega di ascoltare le parole da lei inviate nella sera con il vento marzolino, di lasciarle penetrare e di accoglierle.
Nell’ultima strofa si è portati a presumere che il tu, di cui si diceva, non viva più e che nulla lo può risvegliare: la poeta deve tenersi dentro le parole e nello stesso tempo predomina il mistero perché non è detta ls natura del messaggio, che in realtà non è stato mai mandato.
Perciò le parole restano blindate.
Questo componimento si collega a “Ricordo di te”, poesia nella quale, senza gemersi addosso, Semira si proietta verso una figura di defunto, presumibilmente l’amato, con toni accorati, nei quali viene riattualizzata una memoria, che non è vano rimpianto.
Attraverso immagini naturalistiche di nerudiana memoria la Baldi fa suo il momento che segue il commiato, la rimembranza che diviene simile a “fonte cristallina e refrigerio d’estate”.
Si avverte fortemente il senso della vita che passa inesorabilmente, degli anni a manciate, per dirla con Milo De Angelis.
Tutto passa e nulla si può fermare e molti compagni di viaggio sono periti nel naufragio e sembra che non ci sia salvagente.
Anche gli amori sono finiti.
E allora solo la poesia che accompagna i giorni di Semira salva: la vita trascorre inesorabile e solo i versi danno significato all’esistere.
*
Raffaele Piazza

sabato 19 settembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANFRANCO ISETTA

Gianfranco Isetta – “Passaggi curvi”-Poesie non euclidee--
puntoacapo Editrice - Pasturana (Al) – 2014 – pagg. 153 - € 14,00

Gianfranco Isetta è nato a Castelnuovo Scrivia (Al) nel 1949; ha pubblicato numerose raccolte di poesia e ha vinto vari premi.
“Passaggi curvi”, il libro del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è un’opera di notevole estensione, ben strutturata architettonicamente.
La raccolta è costituita dalle seguenti sezioni: “Universi e geometrie, Del tempo, Il caso, Il senso e Dell’amore”.
La definizione che, nel sottotitolo, il poeta dà al testo, ci fa comprendere i suoi intenti di non voler scrivere poesie razionali o rigorose.
Se la poesia nasce generalmente, in quello che gli psicoanalisti chiamano inconscio, la precisazione di Isetta accentua e mette in luce la forza di questo assunto.
In un panorama letterario in cui dominano raccolte pervase da una grande oscurità, tra neo orfismi e sperimentalismi vari, la voce di Isetta è caratterizzata (e in questo senso va controcorrente), da una forte chiarezza del suo dettato, costituito da versi luminosi e fluidi.
Si potrebbe definire, per certi versi, la poetica di questo autore neolirica per l’effondersi del suo animo in ogni singola poesia, nella stabile ricerca dell’idillio e della pace.
Un tema dominante pare essere quello della transitorietà di tutto e della morte dell’individuo, anche se inserito in una natura idilliaca e luminosa.
A quello suddetto è collegato il tema del sacro che si realizza proprio attraverso l’urgenza del dirsi della parola.
Cifra essenziale che caratterizza tutte le poesie di questa raccolta è quella di un io – poetante molto autocentrato, che, nel suo librarsi sulla pagina, si collega fortemente alla corporeità dell’autore, come se il corpo fosse il simulacro che contiene l’anima del poeta e come se il poeta avvertisse molto fortemente questo.
Si potrebbe perciò parlare di mistica corporea secondo quello che affermano alcune religioni.
C’è anche il tema della fusione panteistica con la realtà, quando Isetta per superare la finitezza, si rallegra per esser parte del tutto.
Sia che si trovi sotto un cielo incantevole, sia che si trovi in casa nell’esplorare la sua libreria con la finezza della mente, il poeta è fortemente conscio di essere, per dirla con Mario Luzi, sotto specie umana.
Anche il tema della memoria, vissuta non come nostalgia, ma come riattualizzazione di un passato lontano per riviverlo è presente in “Paesaggi curvi”, che può essere letto tout-court come un esercizio di conoscenza.
*
Raffaele Piazza

venerdì 18 settembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = CARLO DI LIETO

CARLO DI LIETO : “LEOPARDI E IL MAL DI NAPOLI” - Ed. Genesi 2014 – pagg. 1088 - € 60,00 –
Con la luminosità di un’opera veramente degna di ogni lode Carlo Di Lieto traccia un percorso ben delineato : il periodo fiorentino-napoletano del poeta di Recanati e ne disvela segreti e indiscrezioni che difficilmente si ritrovano negli scritti che propongono la vita del Leopardi. Saturo di contatti umani il periodo fu intenso di riflessioni , di impegni , di scontri, attraverso un continuo rincorrere un equilibrio di salute , continuamente negato, nella drammatica bellezza della natura e tra le incandescenti proposte della città. Uno scorrere attento tra le numerose lettere che legano il giovane al conte Monaldo , evocazioni , lagnanze , richieste , suppliche , implorazioni , scherzi , appelli , visoni , che esprimono la drammaticità di un sopravvivere difficoltato e compresso. Un meticoloso riesame degli atti ufficiali che confermano il mistero che avvolge la fine del grande poeta e della sepoltura , che rimane mai certa. Il lavoro certosino che Di Lieto ha compiuto si sviluppa in una ricchissima e sempre fedele ricognizione, incentrata nella tensione del racconto che riflette sul tempo e sulla temporalità dell’uomo Leopardi, rivissuto nella eleganza di un fraseggio che ha qualcosa di lussuoso e ri/creativo. La costellazione che guida tutto il saggio corrisponde alle valenze di una storiografia precisa e dettagliata, alla ricerca del luogo perduto , della passione mai sopita , dell’amicizia profondamente radicata nei sentimenti , delle illusioni inutilmente rincorse. La storia qui appare come una multicolore investigazione, particolarmente significativa per la sua pregnante chiarezza, immersa nella semplicità linguistica che caratterizza lo stile dell’autore. Basti scorrere l’indice per comprendere tutto il valore di questo volume : “Gli scenari del colera (1836-1837).Paura di vivere e di amare” , “Ranieri e Leopardi a Napoli” , “La non vita, il doppio , la teoria del piacere”, “Io vivo col Ranieri in libero e amichevole contubernio”, “Sette anni di sodalizio e la postuma sventura”, “L’eremita allo specchio: la coscienza captiva.”, “Nessuno tocchi la sua tomba : indagini e sospetti sulla morte.” E coloratissimo è l’affondare tra le minuziose ricognizioni delle abitudini quotidiane , dei menu serviti in tavola ed elaborati di persona , le puntigliose curiosità degli incontri con fanciulli e scugnizzi , tra le rappresentazioni popolari e nobiliari, tra le vibranti annotazioni giornalistiche e le romanzate profondità dell’intimo. Lo stesso Leopardi non vuole raccontare la storia della sua vita , bensì la storia di un’anima , un’anima sospesa nella poesia e realizzata nelle lettere , nel fantasma della creatività , alimentata dalle emozioni e trasfigurata dalle ingiurie del tempo. Messa tra parentesi la contemporaneità del quotidiano e della cronaca Di Lieto privilegia il discorso apertamente significativo e attuale , in una dichiarata sperimentazione del dettato che conduce ad una unitaria espressione, aperta alla fluidificazione della scrittura , tutta tesa nella dirittura di un bagaglio culturale ricco e particolarmente forte.
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 17 settembre 2015

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia e la pioggia fiorevole"

Nell’albereto del sogno
più dolce piove sui capelli
di Alessia, materica essenza
nell’interanimarsi con le
acque di un naturale battesimo.
I pini tessono linfe di bellezza
invisibile, le linfe a pervadere
ragazza Alessia guarita
dalla malinconia.
E oggi viene Giovanni con
un segnacolo di dono.
Occhi negli occhi con Alessia
e il cielo prosegue.
*

"Alessia e la rosa nuvola"

Nell’incielarsi nella mappa
albare in una rosa nuvola
di Alessia il pensiero
(Giovanni non mi lascia).
Appoggiata a una linea
di parole per la vita,
a una poesia di Petrarca,
riprende coraggio Alessia
come una donna
fino alla portineria dove
aveva riso e trova una sua
lettera. Trasale Alessia
nell’aprirla, legge ed è felice.
S’incammina in un filo
di gioia.
*

"Alessia e la polita mensola"

Piove fuori dalla camera
di Alessia, la dimora tra
le onde della vita.
Mensola ad aggettare sul
letto di Alessia ragazza
a poco a poco il coro
delle vergini del sogno
più soave sottofondo.
Mensola polita a contenere
il diario segreto scritto
con affilata grafia.
Gioisce Alessia della
pianta della fragola
e del biglietto di Giovanni:
non ti lascio.
*
Raffaele Piazza

martedì 15 settembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = DONATO DI STASI

Donato Di Stasi – “Le due scarpe sinistre dei poeti” - Saggi (1996 – 2014)
Fermenti Editrice – Roma – 2015 – pagg. 181 - € 18,00

(Osservazioni sugli scritti riguardanti i poeti inclusi nel volume)

“Le due scarpe sinistre dei poeti” è un testo costituito da diciotto monografie di varie dimensioni su poeti e poetesse, tutti italiani tranne Arthur Rimbaud, che hanno avuto un’importanza rilevante nel panorama letterario tra Ottocento e Novecento.
Il volume è stato pubblicato con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma diretta da Velio Carratoni.

In “Duetto per voce sola: Rimbaud e il ragazzo di Charleville”. il critico mette in rilievo la cifra distintiva che contraddistingue la poetica dell’autore francese, nato nel 1854 e morto nel 1891.
Tale carattere lo fa includere tra gli esponenti del Maledettismo, atteggiamento di ostentato anticonformismo, di plateale superamento dei canoni. morali, sociali ed estetici propri di un gruppo o di un ambiente.
Rimbaud è in sintonia con questa corrente per la sua indole fortemente trasgressiva e la sua personalità ribelle, insofferente a tutte le regole della collettività, che lo fa fuggire dalla guerra dei doveri.
Per questi elementi il poeta esce da qualsiasi collocazione nell’ambito dell’establishment culturale a lui coevo.
Inoltre è stato avvicinato, per la sua ispirazione, all’amico Verlaine e a Baudelaire, che si riallacciano per certi aspetti al Simbolismo.
E’ un rappresentante della sua epoca in senso contrario, nel suo porsi criticamente e nichilisticamente contro gran parte del mondo che lo circonda.
Infatti Rimbaud si ritrova a vivere in un momento di crisi e viene distrutto moralmente dall’umanesimo che stava per giungere alla fine.
A conferma del suo spirito tormentato, il Nostro ha attraversato situazioni estreme, come quella di camminare a perdifiato a Milano, in piazza Duomo, con le scarpe sfondate, cotto dal sole e stordito.
In questa situazione venne soccorso da una donna caritatevole, pronta a dargli un giaciglio su cui riposarsi e gettare tutta la sua ansia.
Poi si può presumere che, dopo essersi specchiato sul fondo della sua angoscia, sia riemerso, spinto da un’elementare volontà di vivere, oltre che dal credere nella pratica della poesia come valore catartico.
In ogni caso i versi dell’autore de Il Battello ebbro sono importanti nell’ambito della storia della poesia moderna stessa.
Essi sono connotati da una forza notevole che si realizza nei suoi componimenti, con la loro natura prorompente, vitalistica e iconoclastica.
Lo stesso Rimbaud, non a caso, affermava che il poeta è un veggente.
Infatti la carica dissenziente delle parole di questo autore, espressione per antonomasia del pensiero divergente, spinto al massimo grado, sottende una tensione.
Tale sforzo, nell’arrivare all’indicibile, possiede in sé stesso un’energia fortissima, nell’avvicinarsi sempre più ad una rappresentazione dell’oggettività, mai raggiungibile, ad un limite invalicabile.
Interessante il titolo che Donato dà al saggio, nel quale tende a sintetizzare l’identità dell’artista, che esprime, con una voce sola, il suo essere poeta, ragazzo di Charleville e Arthur.
Questa individualità si manifesta attraverso la sua verginità etica e fa risaltare e mettere in luce la sua grandezza, che si realizza con una capacità creativa vitale e originalissima.
Tramite l’urgenza del dire, esprime nelle sue composizioni l’insulto contro ogni realtà precostituita, infierisce e mette in scena l’odio.
Prima di arrivare al definitivo silenzio, a diciassette anni crede ancora nella possibilità salvifica della poesia.
A diciotto indossa i panni di una causa disperata e assume la responsabilità di non fornire più chiacchiere al suo pubblico.
Come scrive Di Stasi, Rimbaud non trova la vita, ma parole e allora basta parole. A vent’anni fa voto di non scrivere più.
Il suo approccio alla scrittura avviene attraverso la sua missione, che consiste nella volontà di volere graffiare la pagina.
Ciò si realizza secondo i canoni di un’estetica che privilegia una forma rigenerata, arcaica, magica, primitiva e innocente.
Il risultato è quello di un’immensa icasticità delle immagini nelle sue opere, prodotte attraverso uno stile inconfondibile e debordante, che fa della sua esperienza e del suo lavoro un unicum.
Situazioni estreme si susseguono nelle sue poesie ed emblematico nella sua produzione è il libro intitolato “Una stagione all’inferno”.
Questo è uno dei suoi capolavori ed è stato un punto di riferimento per molti poeti non solo a lui contemporanei..
*
Raffaele Piazza

sabato 12 settembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = UGO GAIATO

Ugo Gaiato: – "Collo sottile" -- puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2014 – pagg. 113 - € 12,00

Ugo Gaiato, nato nel 1957 a Casalborgone (TO) dove tuttora risiede, ha pubblicato numerose raccolte di poesia e ha riportato molti e prestigiosi premi letterari.
“Collo sottile”, che presenta una nota critica ricca di acribia di Mauro Ferrari, intitolata “Qualche riflessione sulla poesia di Ugo Gaiat”, è un libro connotato da una struttura architettonica composita e articolata.
Il volume è scandito in quattro sezioni: “Saliva, Momilla – Eutanasia, Colori e Lettera di Natale”.
Tutte le poesie che costituiscono il testo sono fornite di titolo.
La cifra essenziale della poetica di Gaiato è caratterizzata da una scrittura visionaria, vagamente anarchica, antilirica e antielegiaca, nella quale l’io – poetante è molto autocentrato e dove dominano nitore, leggerezza, velocità, icasticità e una luminosità fatta da accensioni e spegnimenti continui e costanti, che provocano magia e sospensione.
Il dettato è densissimo e affabulante, di vaga bellezza; nel tessuto linguistico si riscontra una fortissima densità metaforica e sinestesica, attraverso la quale si delinea il significato della raccolta, pagina dopo pagina.
L’originalità, che nel campo della poesia è un raro pregio, è raggiunta attraverso il fluire incessante delle immagini che scaturriscono l’una dall’altra, in uno scrosciare che potrebbe definirsi barocco in senso positivo.
Interessante e indicativa per addentrarci nei meandri del poiein di Ugo è proprio la poesia eponima, situata nella sezione Colori.
Proprio nel componimento “Collo sottile” si delinea la forma tipica, il denominatore comune del fare poesia di Gaiato.
C’è molta corporeità in questi versi e il collo sottile è proprio quello del poeta che viene detto come piegato a nord, mentre il cuore di un “tu”, probabilmente quello di una figura femminile, della quale ogni riferimento resta taciuto, sospira colline.
Una vena complessa e magmatica caratterizza questa composizione, nella quale, come in molte altre, vengono detti elementi vegetali come l’acero e il sanguinello dell’incipit.
Elemento centrale nella poesia “Collo sottile”, è quello della trasognata visione dell’autore, del suo sguardo che si sporge oltre i limiti di una finestra, per scrutare e interiorizzare un sembiante idilliaco e numinoso, che si fa spazio per l’anima.
Importante elemento è qui quello della luce che tiene in vita l’io-poetante.
Da notare che la terza strofa di “Collo sottile” è scritta in corsivo ed è magica e inquietante.
In essa è delineata una vaga figura genuflessa nel buio, alla cui bellezza triste il poeta si arrende, mentre scruta il nebuloso istante che lo separa dalla stessa.
Nell’ultimo verso Gaiato sfiora l’alogico in un’immagine triste e dolorosa che sembra irrelata dal complesso della poesia: infatti è nominata un’alba che si propaga nel corpo martire di una sposa.
Una natura incantevole e rarefatta fa da sfondo agli attori che si muovono nel teatro naturale di Ugo Gaiato.
Tale sembiante si delinea, come si accennava, essenzialmente attraverso la rappresentazione di figure di alberi e piante come quella del te, ma sono detti anche animali, cieli materici e squarci idilliaci.
Un fare poesia nuovissimo, in sintonia con la contemporaneità, che ha dato giustamente al Nostro importanti riconoscimenti.
*
Raffaele Piazza






lunedì 7 settembre 2015

POESIA = MICHELA ZANARELLA

"Se ho amato"

Se ho amato
è per sentire la vita sulla pelle
in un'eco di respiri
avvolti a vapore sui sensi.
Se ho amato
è per avere sembianze di luna
e precipitare come luce
dentro ai tuoi riflessi.
Meglio consumare i giorni
travolti nella pienezza dell'anima
spinti ad aprire il mare,
piuttosto che smarrire il cuore
dentro ad un brivido taciuto
che non si chiude al tempo.
*
Dacă am iubit

Dacă am iubit
e ca să simt viața pe propria mea piele
într-un ecou de respirații
învăluit în aburi peste simțuri.
Dacă am iubit
e ca să am asemănarea lunii
și să mă precipit ca lumina
în reflexele tale.
Mai bine să consumi zilele
copleşit de plinătatea sufletului
împins să deschizi marea,
mai degrabă decât să-ţi pierzi inima
într-un fior tăcut
care nu se închide la timp.

**

"E' l'ora di incidere sorrisi"

E' l'ora di incidere sorrisi
sul cuore
di scandire il buio dalle labbra
rinchiudendo vapori di luce
tra le guance.
La bellezza sta nell'intesa
del cielo e della terra
tra le fioriture morbide del vento
negli angoli azzurri d'infinito
nell' essere parte limpida del mondo.
La vita ha bisogno
dell'odore del sole,
di una scintilla
a richiamare il senso dell'alba.
*
E timpul să gravăm zâmbete

Este timpul să gravăm zâmbete
pe inimă
să rostim întunericul buzelor
închizând vapori de lumină
între obraji.
Frumusețea se află în armonia
cerului și a pământului
între florile moi ale vântului
în unghiurile albastre ale infinitului
în a fi parte clară a lumii.
Viaţa are nevoie
de mireasma soarelui,
de o scânteie
care să readucă rostul zorilor.
*
MICHELA ZANARELLA

(Le traduzioni in romeno sono a cura di Daniel Dragomirescu)

POESIA = GIORGIO STELLA

AMERICAMARX
_________________________

Scrivo questi versi in cattività,
Braccato, offeso, deluso
Da tutta la ridda dell folla umana -
- Non ho un incenso per coprire la mia anima,
Non ho una bottiglia di vino
Indelebile allo zero -
- Su questi passi c'è passato
Mio padre -
Aveva una barba così lunga
Che il mal di schiena
Gli offendev la vista paralitica -
Oggi ricordo il suo verso lontano:
" il tempo è galantuomo ".
Noi bambini nella recita
Eravamo Marx e l'americana
Che lo bacia
Sull'ombra del vuoto in cui ora credo...
Sul sangue scorticato che mangio e vedo
Nella sbornia
Negl'occhi di pioggia
Che ingoia e poi passa in vestaglia -
- Ti ho visto all'angolo blu dell'ultimo bar,
In forma di uno che esce da una fogna,
Credo che mi sorpresi nel dire:
" Vengo da una altro paese ,
Dove posso cantare al prete
Negro che il nostro
Cristo è stato messo in
Croce con i chiodi,
Il suo con le catene...".
Tu mi hai preso le mani a coppa
E ci hai applaudito sopra
Come la scossa che nell'amore divora
*
( PAG. 23)
**

BAR SANTO GRALL
___________________________________
(da ' umanesimo ' pag - 24 - )
*
in un cesto di sterco
da intrccio folle
come urlo di mercato
da ragazzo sono stato abbandonato
sotto la chiesa più metodica
dalla pompa della vita -
- se non fosse stato
per l'uscio calibrato della misura del vino
nelle osterie
che mi trovava già alloara
senza lacrime e senza nome
oggi neanche potrei più lavorare
quest'altre canzoni di poesia esangue
al singolare -
- se in quella lontana fiumana di sole
che invece di illuminarmi
mi escludeva all'ombra del ciglio sulla strada
non mi fossi appoggiato alla sbornia
remota nel mio d n a,
non annuserei ancora
l'odore di quella merda nel vimini
sfiorante // il bilico delle più oscene preghiere
dove giovane mi rialzavo
per poi ricadere in piedi sui miei stessi passi -
- questa mappa di piangere
non avrei mai scritto né attraversato
sazio di quel vino mai bevuto
che per sempre mi ripete nell'ora dopo le giornate:
" Ora che c'hai il ciuccio figlio mio,
Dormi il sottile sonno del calice...".
_______________________________________
Pag - 49 - (era x orietta una mia donna amata per anni morta ques'anno di quello di cui ancora nn sono morto io ... )
**

OLTRE L'OMBRA
___________________________
oltre l'ombra
il mio amore
è tutto in una stanza -
si sciaccia
le ossa tra le lenzuola...
favole, corone, cartastraccia -
superato il concetto
di finestra
parla bene la
sua lingua migliore
l'arrotino,
il mio amore
è tutto in una stanza,
una rondine pregna di vento,
non cerco e non voglio
più coltelli.
*
GIORGIO STELLA -----

sabato 5 settembre 2015

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

– “Autunno”
Smetterò di inseguire le illusioni
che il tuo ricordo accende senza tregua
se il mio settembre plasmerà promesse
nel risveglio della luna.
Il fruscio dell’ignoto accenna le cortecce
dell’anima smarrita, e rinchiude frammenti
nella mesta follia dell’autunno.
Un altro mondo raccoglie la tua assenza
nella stanchezza delle litanie
mentre trabocca l’orizzonte
l’inquieta armonia dell’esilio.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 4 settembre 2015

RIVISTA = CAPOVERSO

CAPOVERSO - N° 29 - gennaio - giugno 2015 - Omaggio a Pasolini -
Sommario :
Franco Dionesalvi : Senza Pasolini
Francesco De Napoli : Poesia e letteratura tra vocazione e provocazione. L'impegno educativo, sociale e politico.
- La poesia
Eleonora Bellini : Note su "L'usignolo della Chiesa Cattolica"
Giovanni Bianchi : L'autobiografismo storico di Pier Paolo Pasolini
Carlo Cipparrone : L'abiuria del presente, la nostalgia del passato e la profezia del futuro
Pietro Civitareale : Pier Paolo Pasolini e il dialetto
Pino Corbo : la "figura Christi" nella poesia di Pasolini
Vincenzo Guarracino : Il testamento di Pasolini
Giuseppe Panella :L'usignolo e la morte : Pasolini tra Pascoli e l'impegno morale
Fulvio Papi : Note npersonali : Le ceneri di Gramsci
- La narrativa
Saverio Bafaro : Ragazzi di vita - una lettura a più livelli
Alessandro Gaudio : la simmetria di "Petrolio". Sulla disposizione parodistica del potere nella tarda modernità
Sangiuliano : Da Belli a Pasolini . l'antilingua come epica e denuncia paradossale
- La saggistica
Angelo Gaccione : Pier Paolo Pasolini : un intellettuale contro il potere
- Il cinema
Paride Leporace :Pasolini , un poeta che faceva film
Roberto Villa : Pasolini e l'ultimo film della trilogia
Alessandro Zaccuri : Pasolini e il cinema
- Le testimonianze
Giuseppe Bilotti :Pasolini insegnante nei ricordi di un allievo
Giancarlo Ferretti :Sedici anni di ricordi
Annarosa Macrì : Pasolini e la Calabria
- Poesie per Pasolini
Testi di Mariella Bettarini ,Adele Desideri, Franco Giordano , Gabriella Maleti , Anna Petrungaro, Raffaele Piazza.
- Album fotografico
- Notizie sugli autori
* riferimento : alimenaf@libero.it

mercoledì 2 settembre 2015

PREMIO POESIA : POLVERINI

Premio : Leandro Polverini
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Possono partecipare libri editi di poesia in lingua italiana.
Tema libero.
Spedire una sola opera in 2 copie – di cui una firmata dall’autore – con posta normale non raccomandata entro il 30 settembre 2015 a PREMIO POLVERINI – via Acqua Marina 3 – 00042 Lavinio – Roma. Tel. 06/90286930 – 389/5468825 – indirizzo mail: editotem@mclink.it
Sulla busta di spedizione va scritto PIEGO DI LIBRI (tariffa postale euro 1,28)
I PLICHI RACCOMANDATI NON SARANNO RITIRATI.
Le opere dovranno essere accompagnate da una lettera su cui sono chiaramente indicati: nome – cognome – indirizzo – recapito telefonico dell’autore e mail.
Opere ammesse:
libri di poesia – di autori viventi – editi in Italia da gennaio 2000 a settembre 2015.
Sono ammesse anche opere stampate in proprio o presso tipografie, che contengano almeno 30 liriche.
Nessuna quota di adesione.
I premiati verranno avvisati tramite lettera cartacea.
Premiazione : Domenica 29 novembre 2015, ore 10 – presso la Sala Conferenze dell’Hotel Lido Garda – Piazza G. Caboto 8 – 00042 Anzio – Roma – tel. 069870354 (convenzione speciale per i poeti che volessero pernottare).
Giuria
Tito Cauchi (presidente)
Anna Maria Di Marcantonio
Gianfranco Cotronei
Loretta Sebastianelli
Paolo Procaccini
Nicoletta Gigli (ufficio stampa)
Angela Giassi (segretaria del premio).
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