giovedì 29 ottobre 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIUSEPPINA BIONDO


Giuseppina Biondo – La contadina---puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – pag. 77 - € 12,00
La contadina, la raccolta di poesie di Giuseppina Biondo, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Giuseppe Conte acutissima, sensibile e ricca di acribia. Il volume è scandito in Parte I – Amore (1-12) e Parte II Metamorfosi e distrazioni.
Cifra essenziale della poetica della Biondo è quella di un poiein che ha il realistico pregio della chiarezza pur essendo sotteso ad una complessità del linguaggio nel ripiegarsi della poetessa su sé stessa con un discorso esistenziale che spesso si apre anche all’altro nel lanciare messaggi soprattutto nella prima sezione ad un interlocutore che non risponde, presumibilmente l’amato, del quale si leggono pochi riferimenti e del resto nella suddetta nitidezza si nota una matrice neolirica nella parola avvertita e perfettamente controllata a livello delle emozioni che pure sono fortissime e totalizzanti. Scrive il prefatore che come tutti i veri poeti, Giuseppina Biondo rimane un mistero a noi e a sé stesa; una figura mitologica, un enigma che nessun Edipo sa risolvere, neppure un Edipo attuale capace di algoritmi e di ogni astuzia tecnologica. L’enigma di cui parla Conte si realizza proprio nei tessuti verbali unici che la Biondo sa realizzare che hanno un’impronta inconfondibile sottesa ad una scaltrita coscienza letteraria. La prima parte può considerarsi un poemetto, un canzoniere amoroso nel quale il sublime sentimento per l’amato dalla realtà fisica e psicologica viene tradotto in parola e se è vero che l’amore fa soffrire è vero che può essere una fonte di indicibile gioia conoscendosi e conoscendo l’altro per migliorare, appunto, la capacità d’amare che è un’arte in sé stessa e la poesia nell’essere praticata è strettamente connessa all’ars amandi e serve a migliorarla nella relazione con la persona amata. Un amore, quello detto con urgenza, grazia e anche sensualità da Giuseppina ci fa provare sensazioni che tutti noi abbiamo provato e che solo la poesia può esprimere nel loro diventare globalizzanti. La seconda parte si apre con lo splendido poemetto eponimo La contadina che come scrive Conte è centrale nella raccolta. È un poemetto che produce nella ripetizione di strofe effetti di malia e magia nella sua melodia incantatoria. È giocato su due piani paralleli: il primo è quello dell’effusione dell’io – poetante che iterativamente si vede essere inseguito da una pantera sul punto di saltare nel vuoto: quindi è una raffigurazione tragica un’immagine icastica soggetta al peggio possibile ma è notorio che dopo che l’ansia dopo essersi specchiata sul fondo che coincide con l’inconscio svanisce risalendo e trova il suo sollievo. Ma poi nell’intervallarsi delle strofe entra in scena la contadina che per la sua umiltà e per il carattere empatico che la lega alla terra e alla natura in generale in una fusione ontologica diviene simbolo e metafora di una possibile salvezza. Se Giuseppina è una persona coltissima e intelligentissima, cosa che soprattutto per una poetessa porta all’ipersensibilità, la contadina, presumibilmente felice nel suo microcosmo di pascoliana memoria è detta per una funzione catartica e palingenetica nella vita che è degna di essere vissuta, una vita parallela per la Biondo.
*** Raffaele Piazza

martedì 27 ottobre 2020

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia e il presagio del Paro Virgiliano"
Attimo tra dolore e gioia
dove c'è la vita
e della telefonata l'attesa.
Gli alberi crescono pinetti
al Parco Virgiliano
e fuori nel neronotte
dell'auto farà lamore Alessia
con di mimose nei capelli
sensuale il giallo
e lui berrà alla sua giovane
fonte di freschezza
e Alessia avrà piacere
e arriverà sperando
che dopo non la lasci
* RAFFAELE PIAZZA

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCO BORGIA

***
Francesco Borgia – "Violante il mare" (Andrea Pacilli Editore)- 2017 - PAGG. 64 - € 10,00
La forma del verso spazia in ricordo di un soggetto a portata di cuore, di un sentimento che volge all’assoluto, del Pensiero che si scioglie benché attratti da un essere umano. Trattasi di un lirismo che fonde fisicità e ragione per un dettame universale, cosicché si rischiara una verità composta da impressioni di tattile acume.
“Tacerti è un ladro d’amore”.
Il buongusto disseta isolati virtuosismi, di nascosto, col sole calante come una delizia per la pelle, e l’acqua marina che non rumoreggiando permette di concepire l’amore, per soluzioni intimistiche. Se l’impeto dell’aria cela il desiderio, allora l’anima si centellina dall’alto verso il basso, per il bene della coscienza, dovendo tracciare i percorsi del cuore. Atmosferico candore si raffigura a sprezzo dell’inaridimento. La parola di Borgia prende largo innocentemente in acque affettive, con l’autore a identificarsi nell’effusione solitaria, non smarrendo la meraviglia profusa dallo spirito. Nubi leggiadre ritoccano il cielo, ricreano la luce primaria, e a una coppia pregna d’amore si presentano ore piccole, spoglie, divinizzanti il sentimento più umano. La tenerezza scotta assistendo alla serenità che soffia sugli astri una cura preordinabile. La persona amata possiede un’indole universale per travolgere il poeta affettuosamente, nei viaggi di cui si fa pregio l’etereo batte il tacito movimento.
“Agli innamorati resta la sera nuda sul cuore”.
Violante imbocca il suo innamorato con una passione che traspare, saporita e irradiante il didentro, fedele al proprio essere echeggiante - grazie al cielo -. Gli occhi che fissano il poeta raccontano di un mare aperto, mentre l’alba comincia a trasparire. Una brezza leggera si ripone sulla pelle della vita rivangante il cielo, e il piacere carnale si nutre semplicemente di bontà d’animo. Il disorientamento comporta l’isolamento per intendere il sentimento percorribile delicatamente, mirando all’insù, su distanze da colmare con l’amore nei polmoni.
“Una nuvola in bianca quiete (…) volta al plenilunio dei sensi”. “lento il respiro di sogni”.
Il bacio umidifica l’essenziale per emozionarsi, schiarisce la passione per i segreti d’addolcire. Il più romantico dei satelliti vaga nel desiderio di colei che priva di veli assimila un dondolamento rinfrancante nubi sottili, che lentamente scompare per divenire una bevanda per la triste stagione. Si sta dietro celestiali avanzate, con l’acqua piovana a bagnare le labbra di chi è comunque in grado di rimanere ammaliato dall’immacolata serenità contenuta da una nube. Lo slancio vitale verte sul variegato assetto lunare, e il tatto della donna dei sogni si rende fatale per mezzo di una brezza sfuggente, che si alterna con della luce argentea in passivo. Sulla solarità di un fiore si posa l’umano tacere, propagante la vita per i desideri. L’amore non soffre l’invernale dolcezza, tanto vale allora consegnarsi alla speranza che l’altra metà sia autentica, di un riposo passionale.
“E resti serena tempesta”.
:::VINCENZO CALO'

lunedì 26 ottobre 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIA GAITA-

***
Antonia Gaita, Ripetere il mondo, Book Editore, 2020, pag 89-- € 15,00
Fra dipinti e versi esiste un’attrazione irresistibile; è un rapporto però complicato, allo stesso tempo esaltante e tormentato, fecondo e teso. Pittura e poesia appartengono a due dimensioni artistiche e creative differenti, a volte fanno fatica a trovare il giusto accordo, una proficua e distesa sintonia. In certe occasioni la parola poetica entra in competizione con le immagini alzando il suo canto fino a sovrastarle; in altre abbassa voce e toni che finiscono sommessamente per accompagnare quelle immagini. La poetessa parmigiana Antonia Gaita, nella sua recente e bella raccolta Ripetere il mondo (Book Editore, 2020), trova invece la giusta misura e fa dialogare poesia e pittura in modo rispettoso, senza che una delle due prevalga; pur mantenendo la propria identità e autonomia, ognuna rafforza e valorizza l’altra. Una caratteristica rende questa raccolta particolare: a fianco della quasi totalità delle circa quaranta poesie che la compongono sono riprodotti i quadri con cui ogni testo si confronta. Non svelerò i nomi dei loro autori, rivelo soltanto che l’opera in copertina è di Carlo Mattioli, al quale il libro è dedicato e che è stato insegnante di Antonia Gaita. “Ripetere il mondo” è uno dei compiti della letteratura e dell’arte, non esclusivamente nel senso di raffigurarlo, ritrarlo e imitarlo, ma più ampiamente e intensamente di ricrearlo e reiventarlo. Quando si riproduce più o meno fedelmente la realtà contemporaneamente la si trasforma: ogni nuovo punto di vista fa emergere aspetti inediti e originali delle cose, perché “le cose hanno un’anima, un volto una vita”. I quadri possiedono un potere magnetico ed evocativo, ammaliano, catturano, rapiscono e ipnotizzano lo spettatore: “la tela ti avvince con l’occhio del serpe / che inchioda la preda”. La retina viene impressionata, l’occhio percepisce, indaga, “coglie visioni”. Il prodigio e la magia dell’arte stanno in questa penetrante fascinazione: “E accade a chi sosta e ferma lo sguardo / d’accostarsi a uno specchio, / riconoscere di sé l’immagine sommersa”. Le due parole che più frequentemente si ripetono nei versi donando loro vivacità e brillantezza sono: luce e colori. Una luce che “lenta declina / in un dorato autunno” oppure che si diffonde, dilaga, esplode; che abbaglia con “i guizzi sfuggenti della fiamma” oppure che flebile scivola nella penombra e nel chiaroscuro. Colori ora violenti ora sbiaditi, dal forte cromatismo o dalle “lievi screziature”, monocromi o policromi, tenui o densi. Luci e colori che si affidano a tocchi, pennellate (“Vortica il cielo di pennellate brevi”), a “linee tracciate a punta di pennello”. Con uno stile classico, misurato, elegante e armonioso, Antonia Gaita ci conduce nel territorio incantevole dove poesia e pittura si parlano con discrezione: “Parola o immagine / è arte di dire. / Forse soprattutto, arte di non dire”.
Giancarlo Baroni

domenica 25 ottobre 2020

*** Antonio Spagnuolo, Svestire le memorie, Edizioni Confronto, Fondi, 2019- pagg.48 -s.i.p.
L' autore dell'armoniosa ed elegante silloge, " Svestire le memorie", già nel titolo fa uso della catacresi, figura retorica che poi sarà presente nello sviluppo della versificazione, con l'obiettivo di coniugare immagini e suoni, quali preludi di una significazione che esplora i luoghi della memoria, tutti gli scenari fisici e metafisici, in cui l'amore della giovinezza viene cantato in tutte le sue forme, sempre accarezzando una salubre nostalgia per ciò e per chi non è più. Le trenta liriche si muovono senza ridondanza, sulla pagina bianca che intende restare pura nonostante i segni incisivi della grafia, per simboleggiare e trattenere nell' intimo, sia pure apparentemente svelato, tutta l'innocenza dell'età dei sogni impossibili- possibili, liberati sulle corde di un umile violino sul pentagramma eterno delle mutazioni.
" I lunghi violini d' autunno dalla voce falsa
traforano il profilo della lontananza,
Ingorgano ogni sera le mie smanie
trascinando nel buio le dita distorte
ove le trasparenze scompigliano le immagini
nel segreto della tua cifra eterna."
(Pag. 7 - Violini-)
Pennellate leopardiane affrescano i fogli della raccolta, avvicinando l'oggetto d'amore ormai lontano, con il ricorso alla " Rimembranza". Si canta, dunque, il ricordo dell'emozione, rendendola scevra dalla tirannia del tempo, proiettandosi in un tempo senza tempo, in una sorta di finito nell'infinito. Vivere e cantare la propria realtà del presente sarebbe come girare un documentario vivo e attuale nell' odierno e affidare tutto al consumo veloce lasciando poche scorie e resti per il divenire, ma cantare ciò che è stato nel passato o sarà nel futuro, conduce agli sguardi mossi sempre su basi che prescindono dal reale tocco di verità, metafisica, noumenica o fenomenica, appartenenti alla storia umana, culturale, biologica. Connettere il passato con il futuro, restando fermi sul presente vissuto come eterno, anastomizzando le annose separazioni e ferite tenute aperte da chi vuole immergersi nelle acque di un fiume eracliteo convinto di bagnarsi sempre con la stessa acqua, è come incedere a ritroso nella stonatura del grande concerto, ma serve per unificare, sapendo che: "Wir sind hier im lauf der zeit", " Noi siamo qui nel corso del tempo", come diceva Wim Wenders. E così Spagnuolo ci riporta nell'incavo del tronco che scivola silente verso le rapide trascinando con sé storie e fiabe criptate nel suo intimo nodoso e friabile che quando necessita affiora in superficie e narra, come in questi versi in cui l"anafora rafforzativa: "che rincorre, che varca, che inghiotte", intende allargare ogni schermata semantica per collocarla in spazi aperti nel Ciclo iniziatico fino al suo " Hortus conclusus".
" Il ricordo ha l'incanto del sogno,
il profumo del baleno che rincorre,
che varca i mari del naufragio,
che inghiotte le illusioni,
e la memoria inciampa nel miraggio"
(Pag.9 - Vertigini-)
L'attesa, che non necessariamente presuppone un' aspettazione, e lo stesso poeta sostano, come in una stazione dismessa, sapendo che il treno non verrà perché è già venuto, ma di esso resta il rimbombo dei fischi, il frastuono cadenzato sulle rotaie su cui continua a serpeggiare tra curve, ponti e gallerie, come la mente, il cuore dell'uomo sempre in viaggio, in permanente attesa di un qualcosa che non verrà poiché, come si diceva, è già venuto. La poesia si muove, si ferma, si evolve, si abbassa, si rialza quando e dove vuole, senza mostrare passaporti per varcare frontiere e mai indietreggia di fronte alle asperità della vita, delle vicissitudini personali, sociali, universali. Tra le tantissime cose, Aristotele sosteneva che l'oracolo di Apollo a Delfi avesse ragione quando diceva, " Gnothi seauton, Nosce te ipsum", ma a ciò bisognava aggiungere la " Misura". Il pensiero greco, in gran parte, conscio della finitudine dell' uomo, della morte, basava ogni cosa su tale realtà, al contrario di quello cristiano, che ribalta ogni pensiero esistente e lo sposta nella dimensione "Escatologica". L' occidente, impregnato in uno strano sincretismo religioso, politico, culturale, economico, umano e artistico, ha perduto il verde respiro delle radici e non sa districarsi in modo eccellente nelle spire di nuovi venti ultori e veloci, imprendibili. Fare poesia adesso è inattuale, "inattuale più attuale", direbbe Nietzsche e "Vivi dunque, poeta, continua a scrivere versi", direbbe Goethe. Antonio Spagnuolo è molto parsimonioso e conosce il peso e la leggerezza delle parole, soprattutto della parola poetica, profetica e al sommo grado, del " Verbum ". I versi di " Svestire le memorie", pur essendo tutti permeati dal respiro, dal profumo, dalla presenza- assenza-essenza, della moglie, della compagna, di cui solo una volta ne pronuncia il nome, creano un Apax Legomenon.
" Il tuo nome, il tuo nome Elena ricorre
per le mie vene in ultima illusione:
s' innesta la febbre alla polvere,
il capo chino ripete ritorni nel tempo
per sorprendere vertigini nel pensiero che oscilla."
(Pag. 11- Silenzi-)
I tropi, le similitudini, le iperboli, che infine si disperdono sublimandosi in un viaggio in cui si tenta di verificare il costo dell'impresa, dell'esperienza, rasentano in alcuni punti il sapore della litote, proponendo un linguaggio che varca i confini di tutto ciò che è stereotipato, creando nuove ramificazioni, nuove possibilità di combinazioni, di sintassi e di una grammatica generativo- trasformazionale. La misura, che si esalta nell'atto continuamente creativo, svolge una funzione di freno e di "limite liberatorio", nei costrutti poetici di Spagnuolo, che conosce bene il ritmo, le aritmie, le euritmie, sia del cuore, essendo un medico, sia della poesia, essendo un poeta. In ogni letteratura, nel suo interno, ricorre in modo imperante l'apoftegma giovanneo dell'Archè e del Logos. Sostanzialmente, noi siamo il frutto della Parola quale Verbo generatore e rigeneratore, che vibra nell"essere umano. Siamo lacerti finiti in un viaggio infinito, che è già porto approdo. La poesia è conoscenza, estetica, verità e quando scorre si sente, anche se si insinua nei cunicoli sotterranei della forma, involucro che la ospita, che la fa involvere per poi farla esplodere. L 'approccio formalistico serve solo a verificare gli elementi che compongono la sua struttura, ma per capirne la sua vera natura, bisogna vedere oltre, sconfinare oltre i meandri del noto e dell'ignoto, dove tutto si muove e pulsa, ma con leggi diverse.
"Le mie parole hanno il giogo dell'edera,
strette ai rami, irrequiete al vento per ricordi,
cingono la solitudine in quel nodo
che il nostro amore mostrava insaziabile."
(Pag. 13- Le Parole)
Svestire le memorie significa andare sino all'osso, affondare le mani e la mente nel caldo inferiore degli intestini, navigare in acque stagnanti e in rapide, soffermarsi sul più piccolo insignificante essere ed elemento, che compone la molteplicità umana, animale, vegetale e cantare il frutto dell'esperito, dopo l'emozione, forte o debole, del momento. Le associazioni semantiche e sintattiche di Spagnuolo portano sempre in luoghi alti e altri della materia, dello spirito e sfociano come per incanto in nuovi mari, le cui acque sono un continuo divenire e le nubi le aspettano per ridiventare gravide di loro e ridiscendere sul terreno erboso o sabbioso pronto a ricevere il seme rigenerante. La metafora migliore è proprio l'assenza di metafore, ma può la metafora essere assenza?
" Ritorna l'illusione del coltello che taglia
ogni mattina
il rigore d'inverno, la penombra di tutte le parole
che io spesso ricamo a rime del ricordo."
(Pag. 28 - Abbraccio)
A volte basterebbe un solo breve respiro spalancato nell'universo per sentire tutti i profumi che giungono dalla natura, i suoi segnali, ma troppo veloci corriamo, per intraprendere attività alienanti, estranee all'indole umana e non riusciamo a penetrare con il terzo occhio ciò che avviene nella stanza, oltre le persiane, restando navigatori di superfici, come le aguglie, perdendo il piacere degli abissi e delle altezze. Poiché tra le grinfie della nebbia la Poesia non può sostare, cerca un varco e si dirige verso i suoi siti naturali circumnavigando le attese per essere sempre azione, "Parole". Gli stichi di Antonio Spagnuolo inseguono una musica sempre viva e armonica dentro e fuori del pentagramma, del rigo musicale, che allarga la sua capienza per comprendere il suono singolare di altre note.
" Scompongo le avventure della nebbia
reinventando l'aorta interrotta
lacerando lunghe grida di angoscia.
C'è ancora un canto a fine di orizzonte
per le mie palpebre ferite dal silenzio."
(Pag. 32- Pagine-)
Ancora qui, cercando di trovare l'amo resistente e l'esca giusta e dolce per pescare l'infinito, i Poeti si misurano giorno per giorno, attimo per attimo, con la pochezza espressa dall'essere perituro, quando questi perde le sue sembianze umane e si trasforma, come il KafKiano Signor Samsa, nell'insetto più ignavo, immondo e inutile, pronto alle seminagioni del male, nei solchi della vita, ma prono a intraprendere anche nuove acerbe illuminanti navigazioni. Il poeta campano, consapevole di queste ibridazioni, sente il bisogno di far prevalere il Bene sul male ed esplode sulla carta questa sua precipua contemplazione elegiaca per una "Donna Fatale", incontrata nella pienezza della gioventù, rendendone essoterica l'intima relazione. Più che romantico, il suo canto appare magistralmente incastonato tra gli stilemi e i gusti: "Protoromantico e Decadente", incontrandosi nelle grandi linee con i cantori dell'Amore in tutte le sue sfaccettature, in tutte le sue temperie letterarie, di ogni epoca, aggiungendo un felice e profondo personale tassello, fuori da schemi e topoi già esistenti. Alla fine, come l'urna greca, ogni cosa rientra e ritorna al silenzio primevo, all' armonia della quiete, e i bassorilievi incisi sul marmo riecheggiano, rinnovano e narrano nel tempo, l'inviolata bellezza, che mai si piega all'usura distruttiva massiccia e ai morsi famelici del tempo. Quando la parola poetica, sia pure a volte nascondendosi, riesce a serpeggiare e a sgattaiolare tra i bui cuniculi, raggiungendo poi il gaudio delle altezze, della luce, il suo compito è stato adempiuto.
" Il marmo ti rapisce rimpiangendo le ultime scelte
tra gli squarci di un lembo intorpidito
e gli incanti imprigionati alle mie sere.
Pallida sulla veglia hai divorato inganni
per dissipare riflessi e lontananze,
o reinventare il sangue raggrumito
tra le brezze che imporpora la sera.
( Pag. 35- Ultima pagina-)
La sua amata Elena diventa un'icona immobile e inimitabile nel groviglio millenario di forme che scaturiscono da ogni dove per stabilire il predominio del Bello canonico, contro cui il poeta oppone, con dolcezza e convinzione, lo spessore e la delicatezza del suo canto. Agenti inotropi positivi e negativi, endogeni ed esogeni azzannano il nucleo del costrutto e le sue periferie modificando le frequenze del ritmo poetico sino a stabilizzarsi nella naturale intensità cavalcata da rimanenze di marosi su creste di acque mosse dall' ardore di navigazioni, di incontri, di moti di estasi. Puntuale, chiara, nei contenuti, nelle forme, essenziale e meticolosa nella qualità e nella quantità di lessico, "Svestire le memorie" giunge, in modo concreto e visionario, al lettore che, con segno di umiltà desideri intraprendere un viaggio catartio nel viaggio.
"Io ricompongo memorie in un libro
che potrebbe tradurre lo soazio angusto
della tua dimora"
(pag.35)
***BIAGIO PROPATO
Roma 16 - 9 - 2020 "

sabato 24 ottobre 2020

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

********* “Pavone”
A tenermi con se l’onda perenne dal variopinto colore,
pavone che ripete ed aggruma delicati legami.
Adesso come nel dentro di una cozza
rinchiudono i miei desideri quei fantasmi della gioventù,
mentre insiste l’inganno della nuova camicia,
in particolari scomposti, altro dubbio , altri debiti,
frammenti di attrazioni a testimonianza e suffragio
di apparenze.
Poi l’arresto vigilante di notizie, inderogabili magie
di folgorazioni ossessive e di illusioni per giornate contese
ai miei resti contorti.
Anche lo specchio è stanco.
*****
ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 23 ottobre 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = CECILIA MINISCI

******************Cecilia Minisci – Dalla tempesta al cielo************ Pasquale Gnasso Editore – Giugliano in Campania (NA) – 2018 – pag. 81 - € 12,00******************************************** Cecilia Minisci, l’autrice della raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede, nasce nel 1954 a San Giacomo D’Acri, un piccolo paese della provincia di Cosenza. Insegna matematica dal 1985 presso l’I.T.E. “R. Serra” di Cesena (FC), dove vive dal 1987. Legata fortemente alla terra d’origine, la Calabria, luogo che porta ancora i segni del suo glorioso passato, Cecilia si reca periodicamente nella casa di famiglia a San Giacomo D’Acri (CS), che la ispira a scrivere dove affonda nei ricordi che vuole conservare e far rivivere al lettore attraverso le sue poesie, tramite le quali ha vinto prestigiosi premi letterari e ha riportato numerosi giudizi positivi da parte della critica. Dal titolo della raccolta si potrebbe presumibilmente evincere che l’etimo del discorso della raccolta stessa consista nel fatto che la poetessa voglia intendere, nominare, una catarsi, una redenzione perché, se è vero che le tempeste sono eventi atmosferici, metaforicamente avvengono, accadono anche nella vita degli uomini e sono i lutti, le malattie, le sconfitte e tutte le altre cose connesse al dolore. Quindi partendo dall’angustia della tempesta stessa si può accedere gradualmente o subitaneamente al cielo, in quanto la vita è degna di essere vissuta e con gli strumenti umani il cielo, simbolo della felicità, può essere raggiunto e si possono trovare equilibrio ed armonia. Il volume è articolato in una nota biobibliografica, una prefazione di Domenico Pisani, le poesie stesse e una nota dell’Editore. Cifra essenziale della poetica dell’autrice sembra essere una vena neolirica ed elegiaca che si realizza nell’effusione dei sentimenti detti con urgenza che hanno in controcampo, come sfondo, una natura florida ed eterea. Si percepisce il senso di un sogno ad occhi aperti nei componimenti leggeri e icastici imbevuti di dolcezza e delicatezza nonché da un fortissimo pudore nel manifestare le emozioni. Di vaga bellezza la poesia nella quale il tu è il mare che magicamente diviene confidente della poetessa. Per la sua unitarietà formale, stilistica e contenutistica la raccolta può essere considerata un coeso poemetto. Se il ritmo è una variabile importante in poesia, quello sincopato e armonico, prodotto qui dalla Minisci, raggiunge esiti sublimi nella sua suadente e soave, pervasiva musicalità. Come scrive Pisani, nel suo scritto ricco di acribia, si tratta di una silloge che con Oscar Wilde, sembra dirci: “Ogni istante della nostra vita siamo ciò che saremo, non meno che ciò che siamo stati” e che con Eraclito sembra invitarci ad affermare:” Io stesso muto nell’istante in cui dico che le cose mutano”. Le composizioni sono generalmente sottese ad una vena di ottimismo anche se, per esempio, in A me, di leopardiana memoria, Cecilia dice di non essere stata compresa da chi ha amato. Tuttavia nella stessa poesia riesce ad accedere alla gioia, quella gioia del cielo, regalandosi un giorno pieno di sorrisi, fondendosi con gli elementi di una natura benevola e numinosa.***************************RAFFAELE PIAZZA

sabato 17 ottobre 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = LORENZO SPURIO

********************La ecuadoriana Dina Bellrham (1984-2011) tradotta in italiano.****************************** Esce “Le iguane non mi turbano più” a cura di Lorenzo Spurio******************************* Per Le Mezzelane Editore di Santa Maria Nuova (AN) è uscito in questi giorni il libro Le iguane non mi turbano più, una ricca e commentata selezione di poesie di Dina Bellrham, tradotte dal poeta e critico letterario Lorenzo Spurio in italiano. L’opera è il frutto di un lavoro di studio, analisi e traduzione dell’opera poetica della poetessa ecuadoriana Edelina Adriana Beltrán Ramos (1984-2011), meglio nota con lo pseudonimo di Dina Bellrham, studentessa al quinto anno di Medicina presso l’Università Statale di Guayaquil (Ecuador), con la passione per la poesia (era grande appassionata di Alejandra Pizarnik) che fece parte del gruppo poetico giovanile “Buseta de Papel”. Pubblicò due raccolte poetiche: Con Plexo de Culpa (2008) e La Mujer de Helio (2011). Grazie all’interessamento della famiglia, nella figura della madre Cecibel Ramos e del critico letterario Siomara España, postumi sono stati pubblicati i volumi Je suis malade (2012) e Inédita Bellrham (2013). Alcune sue poesie sono state tradotte in inglese e francese su riviste e blog di cultura mentre questo di Spurio si tratta del primo libro organico, in una lingua diversa dallo spagnolo, prodotto su testi della giovane poetessa dello stato del Guayas. Tale edizione è stata possibile grazie alla disponibilità e al consenso della famiglia, nella figura della madre, la signora Cecibel Ramos. A impreziosire il volume si trova un ampio studio critico preliminare a cura della poetessa e critico letterario Siomara España tradotto in italiano dal curatore dal titolo “Dina Bellrham: contemplazione e comparsa”, nel quale si indagano con attenzione le caratteristiche preminenti della poetica della giovane poetessa. Come si legge dalla quarta di copertina: «La poesia della Bellrham è sospesa tra un fosco presentimento della morte – quasi un dialogo continuo con l’oltretomba – e una tensione amorosa per la vita, la famiglia e la quotidianità dei giorni della quale, pure, non manca di mettere in luce idiosincrasie, violenze e ingiustizie diffuse. La critica ha parlato di una sorta di nuovo Barocco per la sua poesia dove coesistono terminologie specialistiche della Medicina e squarci visionari che fanno pensare al più puro surrealismo. Entrare in una poetica così magmatica e a tratti scivolosa per cercarne di dare una versione nella nostra lingua non è compito semplice, dal momento che la poetessa coniò – come il critico Siomara España annota nello studio preliminare – un suo codice linguistico particolarissimo, inedito, personale e multi-stratificato. Eppure è un tentativo sentito (e in qualche modo doveroso) frutto di quella “chiamata” insondabile che non si è potuto eludere******************************* "Lorenzo Spurio (Jesi, 1985), poeta, scrittore e critico letterario. Per la poesia ha pubblicato Neoplasie civili (2014), La testa tra le mani (2016), Le acque depresse (2016), Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca (I ediz. 2016; II ediz. 2020) e Pareidolia (2018). Ha curato antologie poetiche tra cui Convivio in versi. Mappatura democratica della poesia marchigiana (2016, 2 voll.). Intensa la sua attività quale critico con la pubblicazione di saggi in rivista e volume, approfondimenti, prevalentemente sulla letteratura straniera, tra cui le monografie su Ian McEwan e il volume Cattivi dentro: dominazione, violenza e deviazione in alcune opere scelte della letteratura straniera (2018). Si è dedicato anche allo studio della poesia della sua regione pubblicando Scritti marchigiani (2017) e La nuova poesia marchigiana (2019). Tra i suoi principali interessi figura il poeta e drammaturgo spagnolo Federico García Lorca al quale ha dedicato un ampio saggio sulla sua opera teatrale, tutt’ora inedito e tiene incontri tematici. Ha tradotto dallo spagnolo racconti di César Vallejo e di Juan José Millás e una selezione di poesie di Dina Bellrham confluite in Le iguane non mi turbano più (2020). Su di lui si sono espressi, tra gli altri, Giorgio Bàrberi Squarotti, Dante Maffia, Corrado Calabrò, Ugo Piscopo, Nazario Pardini, Antonio Spagnuolo, Sandro Gros-Pietro, Guido Oldani, Mariella Bettarini, Emerico Giachery e molti altri."

venerdì 16 ottobre 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ATTILA F. BALAZS

---------------------- Attila F. Balàzs – "Corpo indifferente"-- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2020 – pag. 173 - € 16,00------------------------------------- "Corpo indifferente", la raccolta di poesie di Attila F. Balàzs che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta la prefazione di Tomaso Kemeny e la traduzione a fronte di Cinzia Demi. Come scrive il prefatore il Nostro, che è nato in Transilvania ed è appartenente alla minoranza di lingua ungherese e vive in Slovacchia, compone – genera versi che sgorgano direttamente dal profondo. Del resto lo rivela il poeta stesso “la poesia continua a scrivermi// la poesia continua a scrivermi”. In questo libro colloca il suo senso di solitudine in un intenso presente percepibile derivante dalla frattura da un possibile senso di continuità. La raccolta non è scandita in sezioni e per la sua unitarietà stilistica e contenutistica potrebbe essere classificata come un poemetto. Si percepisce un incontrovertibile senso di morte nella poetica dell’autore proprio a partire dal dato della corporeità che è programmatico nel titolo e in Pietre rotolanti, che è il primo componimento, il poeta scrive che il corpo si inaridisce, le ossa si scalzano, i vermi s’ingrassano e poi anche loro muoiono. Molto bello l’incipit del suddetto componimento l’immaginazione è un puledro imbrigliato/ una mancanza intrainabile versi che si riferiscono alla genesi dell’atto poetico e il puledro stesso diviene simbolo proprio della creatività, nella sua carica vitale e salvifica, nonché sempre giovane. Nella chiusa il poeta afferma che solo le pietre hanno lustro contro l’eternità proprio presumibilmente per la loro essenza minerale e inanimata. Il riferimento alle pietre come testimonianza della durata del tempo fa venire in mente i versi montaliani non vuole/ che la vita passi/ e intanto l’acqua logora i sassi che fanno parte della prima produzione del poeta ligure Premio Nobel. Quindi pietre e sassi, nei versi dei due poeti, autori profondamente diversi tra loro, divengono correlativi oggettivi per veicolare qualcosa che resiste al tempo stesso e c’è notare che in questo Montale è più estremo nello scrivere che anche i sassi si logorano a causa dell’acqua e che quindi anche loro sono destinati a finire proprio come il corpo indifferente sotto specie umana. Una vena anarchica e visionaria che a volte sfiora l’alogico connota il poiein di Attila nel quale sovente si notano accensioni e subitanei spegnimenti e la dizione pare scabra ed essenziale pervasa da una stabile crudezza. E proprio la tematica della durata pare essenziale in quest’opera nella quale il poeta produce un fluire del discorso del tutto antilirico e anti elegiaco realizzando una fantasmagoria di frammenti che si fanno immagini che scaturiscono le une dalle altre e in altri casi rimangono irrelate tra loro. Poeta notevole il Nostro e l’io-poetante pare librarsi nel suo espandersi sulla pagina e la prima qualità di questa scrittura è costituita dalla grandissima originalità che sembra essere un fattore pregevole e incontrovertibile. Il senso del dolore causato dall’esserci nel mondo pare essere costante nella scrittura di questo autore non solo per il corpo ma anche per l’anima che si trascina con le stampelle verso dalla grandissima capacità evocativa.------------------------ Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = VALERIA SEROFILLI

---------------------VALERIA SEROFILLI: "Taranta d’inchiostro" ----ED. OEDIPUS - 2020---------------------- L’immagine che mi induce il titolo è una macchia d’inchiostro su di un foglio bianco, illibato, pronto a ricevere scrittura in bella mostra, e invece.. tac, la macchia. Rovistando dentro quella macchia in punta di penna sorge una ragnatela, il foglio bianco ed illibato ha pronta la fonte di nutrimento ; Ella, la Poeta, diviene Taranta. Il tessuto vitale che tiene in vita il ragno, profuso ad oltranza, oggetto di ammirazione , ma anche di repulsione arcaica è il medesimo che condanna il poeta alla Poesia. La tela gittata ad arte , non costruita, non pensata, ma intuito ancestrale, richiamo cosmico, nutrice primigenia, coglie ed intrappola le umili vittime quotidiane assurgendole a soggetti prescelti di quel rito sacrificale che vuole la Poesia canto di morte, di vita e di trasformazione. E danza: liberatoria , sviscerante e taumaturgica. Taranta magica e forsennata, non occorre abilità nell’inseguirne il ritmo,: sincope e armonia è la vita stessa che scorre sotto gli sguardi e dentro le vene di ciascuno, ma prendere un volo aiuta a seguirne i fili, partecipare delle direttive, inutile arzigogolare sul punto di partenza o quello d’arrivo, intanto si danzi!, compiacendo le parole e i millesensi di cui le stesse si compiacciono, vanitose ed imperanti. Travalicare continenti e sentimenti , spingere il cuore nel piccolo granello umano esplorandone i sogni, farsi sogno per ogni granello e occhi grandi di bimbo e di donna rubata ai sogni. Leggerezza è un occhiolino attraverso la tela, un vedere sperando di non essere visti, ma incauta è la vanità, tutti sanno che ad un certo punto si sveste nel lasciare la scena, ed allora bisogna andare oltre la tela per cogliere un riflesso di libertà.----------- Libertà di cavallo che a coda// scaccia la mosca, questa volta il ragno// Libertà di poeta// contro militare costrizione// di cui tu figlio, mi spiace,// vivrai l’eterna contraddizione// Finché una nuova aurora sorgerà// da poterla rivivere// con occhi nuovi// senza mosche------------- Messina, 15/10/2020-------------- Francesca Cannavò

POESIA - PREMIO = FRANCESCA LO BUE

*******************PREMIO NAZIONALE “MARIO ARPEA” 2020, SETTIMA EDIZIONE ---COMUNE DI ROCCA DI MEZZO (AQ)------- SEZIONE A) Poesia inedita sul tema della montagna------ Primo premio a: FRANCESCA LO BUE---- MOTIVAZIONE: "La poesia Il trono dei morti di Francesca Lo Bue, con una versificazione densa di suggestioni emotive e visioni di profonda valenza simbolica, evoca una natura difficile e affascinante al contempo, in cui la montagna diventa osmotica dimora d’anima, “cura per non morire” e trovare consolazione all’umano patimento. “Nel silenzio della pietra”, il primigenio territorio declina e decanta “il grido e la supplica della parola” per ricomporre le cicatrici di un mosaico esistenziale fortemente ispirato a una sacralità ambientale. Gli elementi descrittivi attingono a un ricco universo interiore riaffermato attraverso molteplici sfumature lessicali, in uno straordinario incontro con il luogo, i suoi silenzi, le sue voci e le sue verità."---------------- Il trono dei morti--- “Guidami su rupe inaccessibile” (Sal. 60,2)----- Per andare alla terra buona,// passando al di là della pianura di giustizia.// Attraversare le cicatrici della carne,// arida di colline e fardello di affanni.// Entrare dalle porte dell’acqua,// nel fiume dai sedili di pienezza,// dove i colori unici del quetzal sacro coprono il Nome nella pietra.// La montagna fu patria per il solitario e voce per il silenzioso.// Cercavano i miseri un Monte di rifugio,// lontano da ribellioni e voci.// La Montagna fu dimora e cura// per non morire nell’oblio delle nuvole e nell’afflizione dei rami,/ affinché non vi sia lontananza e secchezza.// Dammi la forza e la corazza della guerra,// la pazienza del ciclamino dietro il groviglio di sterpi.// Sei il canto degli stendardi nelle colonne alte,// la Patria profonda con gli occhi verso la limpida Oscurità dei monti.// La montagna è la carne e il tempo dei morti,// un pensiero vivente che si desta nella notte,// il destino di incroci e cammini che biforcano// detronizzando un’aspirazione di luce.// È cadere e aspettare,// soccombere e chiamare alla grazia dell’aurora// che nascerà, tra infiorescenze di trinitarie,// nella loquacità dei boschi.// Il destino è nella nitidezza della notte in cui si invocano i silenzi sepolti.// Scendono dalla montagna le verità occulte e dimenticate,// i semi dei prossimi infiniti e i segreti cifrati,// la catena dei secoli e i nunzi della fertilità.// Fu il rictus nella tenebra di pietra, nella città dei superi.// Grido di pietà e giustizia che sostiene il Trono tenebroso e le ossa dell’etere.// Respiro, voce d’esistenza, loquacità insigne verso le tenebre,// visione di trasformazione nel deserto,// portatrice di messaggi arcani di mistero:// la poesia bianca del Dio gentile,// il fiore d’oro e la pianta imperitura.// Il nascosto parla al nascosto e dai pozzi volano le colombe.// Nel silenzio della pietra fu il grido e la supplica della parola.// Fu liberazione.// La luna è il fiore bianco della montagna.---------------------------------- Francesca Lo Bue

mercoledì 14 ottobre 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = VALERIA SEROFILLI

******************************* Scritto critico sulla sezione terza Luziane e sulla sezione quarta Paganelliane della raccolta di poesie Taranta d’inchiostro di Valeria Serofilli. Oèdipus – Salerno – 2020 – pag. 80.**************************************** Come scrive Floriano Romboli nella prefazione intitolata Il vario e sofferto lavoro del ragno la più recente raccolta di versi di Valeria Serofilli, Taranta d’inchiostro, è contraddistinta da un notevole equilibrio formale – stilistico e dall’indubbia coesione strutturale dei testi. Essendomi già occupato in sede critica del presente libro nella versione inedita mi soffermo qui sulle sezioni Luziane e Paganelliane, aggiunte dall’autrice nella versione edita definitiva, che è quella che prendiamo in considerazione in questa sede, frutto dell’attenta coscienza letteraria della poetessa che ha realizzato un riuscitissimo assemblaggio delle varie parti. Il volume presenta anche una postfazione di Antonio Spagnuolo intensa e ricca di acribia. nella quale è detto che nel vertiginoso rincorrere colori anche il poeta potrebbe raggiungere l’arcobaleno che misterioso quando appare propone capricciosamente la musica del tocco, per spirali e girandole impazzite, quasi inconsistenza rivelata in poco tempo. Entrando nel merito della sezione Luziane si deve mettere in evidenza che è molto essenziale essendo composta da quattro componimenti brevi e concentratissimi e, come riportato in un breve brano iniziale di Giuseppe Panella, l’insegnamento poetico dello stesso Luzi ha inciso molto su Valeria Serofilli e lo si vede bene nei suoi libri, ma è ovvio che la poetessa conservi una notevole originalità. La Serofilli gioca magistralmente con le parole producendo una fortissima densità semantica, metaforica e sinestesica con effetti di ridondanza e straniamento veramente notevoli che determinano una forte dose d’ipersegno. Come quella di Mario Luzi quella di Valeria è una poetica ontologica che va alle radici dell’essere e dell’esserci anche se il poeta toscano in questo senso ha raggiunto esiti più estremi. C’è anche da mettere in rilievo che Luzi nelle sue raccolte è più monotematico di Valeria che se scrive poesie concettuali e filosofiche tocca anche il tema dell’amore con il suo eros e il suo pathos in maniera molto raffinata e non mancano componimenti sempre molto sentiti dedicati alla madre e al figlio. Per sua significazione, la prima poesia della scansione, può essere definita una vera e propria dichiarazione di poetica tutta connessa alla partita tra detto e non detto quando è pronunciata la non parola che chiese al Poeta e si fece Poesia e significanza e qui c’è da notare la lettera maiuscola per i due vocaboli che sta ad indicare il valore alto e quasi sacrale dell’atto poetico stesso. Per quanto riguarda la sezione ispirata all’opera poetica di G. Luigi Paganelli bisogna affermare che è strutturata in quattro poesie armoniche che sembrerebbero essere state redatte all’insegna dell’ottimismo e non a caso inizialmente è citato il verso dello stesso poeta Nacqui alla torrida felicità. In Siamo figli del limbo il tema è quello della nascita che sottende il mistero della vita stessa. Anche se non c’è soluzione perché la vita umana comporta la morte il gettarsi nella cristiana ressa con l’atto della nascita stessa si può risolvere in felicità torride anche se irrisolte. Qualcosa di ludico anima questi componimenti e in Sarà domani un altro risveglio il risveglio stesso è previsto all’insegna della speranza perché si vedranno cedri dai terrazzi e si sarà destati da un inebriante profumo di zagare; molto bella qui nella seconda strofa la raffigurazione di una luce bianca di wagneriana memoria che entrerà tra le lenzuola quando il corpo/ conchiglia dell’amato accoglierà l’io-poetante come una perla. Anche il tema del male è detto dall’autrice in Credo non veri dove le false credenze divengono atti imbrigliati in concentrici cerchi. Parola unica, icastica e sapiente.*********************************** Raffaele Piazza

NOTA DI LETTURA = GIUSEPPE MAZZOTTA

******"Lie to me to Lie" (Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019) ed "Egregio Signore"( ETS, Pisa, 2019) di Giuseppe Mazzotta******* Nota di Lettura di Valeria Serofilli**************************** La lettura dei volumi "Lie to me to Lie" (Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2019) ed "Egregio Signore"( ETS, Pisa, 2019) di Giuseppe Mazzotta, pur nelle specificità anche tematiche di ciascuno dei due libri, mette in rilievo dei punti di contatto e un filo conduttore che è pienamente coerente sia con l'attività professionale che, soprattutto, con gli ideali che pratica e che pone come costante progetto di ricerca, come percorso e come meta. La riflessione sulla verità, e sul suo contrario, e sulla linea di confine sottile ma essenziale, fondamentale, che le unisce e le separa, è il tema cardine del primo dei due libri sopra citati. Scritto in forma narrativa ed inserito in un volume giuridico che tuttavia è attento agli aspetti che potremmo definire simbolico-metaforici della vita, a tratti ironici e sempre rivolti all'esplorazione alla volontà e alla necessità di scelte etiche assolute e determinanti. "Egregio signore" è un omaggio alla memoria e agli affetti familiari più importanti, presi come modello non da emulare ma da assumere come punto di riferimento per il proprio percorso esistenziale al fine di ricreare, anche in questo mondo attuale distratto e troppo spesso inconsistente, dei valori, non astratti e teorici, ma costituiti da impegno fattivo. Affinché il miglioramento personale si rifletta sulla società e sul mondo. La scrittura di Giuseppe Mazzotta è sempre lineare e di gradevole lettura, senza essere mai tuttavia un puro e fatuo passatempo. Una scrittura che rivela una apprezzabile ed apprezzata capacità affabulatoria unita ad intenti etici, mai imposti o dati per scontati, ma sempre indicati come meta ideale e vitale al termine di un cammino fatto di passi rigorosi e creativi allo stesso tempo, come le sillabe di una frase, di un significativo racconto.******************* Valeria Serofilli---

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROBERTA CALCE

********Roberta Calce – Sottosopra (La Caravella Ed.)***2013 --PAG. 178 - € 12,00********************************** Ecco una poetessa solidale, che riesce a spuntare a sorpresa per rigenerare dei sentimenti, conoscendo i propri limiti per riderci sopra, a tal punto da poter considerarla inimitabile, vera. A fronte delle condanne che il genere umano sollecita da sé, dovendo piuttosto stare a stretto contatto per vivere amorevolmente. Il desiderio di ridare il giusto significato a tutto ciò che si vede, assistendo da perfetti innocenti, daccapo, al film della propria esistenza, batte dentro Roberta Calce; una donna che ha la fortuna, subito l’inganno morale, di ricevere del sano conforto, svincolandosi dalle riflessioni quotidiane che di contro scaturiscono da una sorta di autorevolezza irrispettosa, che in fondo chiunque non è in grado di determinare. Come nella più fitta vegetazione, Roberta si muove eternamente ispirata, seguendo la retta via riconoscibile da un riferimento in carne e ossa, purché lei mantenga fede liberamente agli spazi che si crea. Qualsiasi difficoltà va approfondita per ritenersi pronti a sognare i soliti preziosi regali, quelli di una volontà da svecchiare. Il tentativo reciproco di cogliersi rimescolando la ragione nutre la sensibilità del fanciullino che serbiamo da grandi, depura rivestimenti passionali per lo spirito ammutolitosi in modo caotico, a causa di uno e più conflitti evitabilissimi, abbandonabili nei vuoti d’ambizione oramai sanciti. La Calce attorciglierà il segreto della poesia per l’immacolata ricchezza che la persona a lei cara fatica a contenere, scansando, quando si sta insieme, la rigidità e il fascino che, privi dell’erotica forma, si spendono per un elemento indissolubile ma reso futile; conquistabile in un atto spontaneo, crudele, che si cerca infine di stemperare delicatamente. La poetessa si raffigura evitando d’intralciare il sereno che volge di solito, come a toccare corde emozionali, evidenziabili se i bersagli comuni la smettono di confonderci le idee; con una vista così possente d’animare il prossimo, ma riconoscendo di dover compensare al massimo una confidenza inascoltata. Colpevole d’aver dato il cuore, Roberta si sente dentro l’intento, dell’amato, di costituire tramite ambigue banalità un dolore lacrimoso ma decisivo per il destino di una coppia; mentre la pelle sembra confessare rischiose attrazioni, ancor prima di donarsi fatalmente al moto degli eventi ch’è così furtivo, seccante addirittura la mente. Sotto il maltempo che s’intensifica coinvolgendo il rimpianto che gli occhi non trattengono, non ha senso separarsi nel profondo; alla poetessa non le resta che attendere il sussulto del sentimento dall’altra parte, come a sovrastare per giunta l’inabilità dell’oggi, fatta di appelli amari e privi d’entusiasmo, che coincidono più che bene. La Calce ammette comunque che, grazie alla sua metà, non verrà mai meno, invitando ad assaporare il buono che pulsa in lei, anche se tuona la difficoltà di concepire il bene immateriale, come se immerso e dimenticato nella predominanza dell’apparire. Tornare in auge concependo parole soavi che resistano alle tendenze moderne, beh, non ha a che fare con un insulto, e d’altronde si prova davvero piacere nell’intimo, argomentandolo sotto trasparenti imposizioni… invece il sesso desta tormento, e non resta che divertirsi alla faccia di coloro che deridono il di-verso. Indumenti consumati svaniscono nelle nudità dovute, quando d’altro canto una sconfitta per l’uomo consiste nell’accettare delle debolezze di principio, magari dopo aver fatto credere chissà cosa, con una leggerezza tale da non intenderla al restringimento della coscienza. Se poi l’altrove si manifesta allora non puoi che ricavare energia positiva; nonostante il tempo che passa dando adito a una furberia per cui serve ricordarsi in extremis delle responsabilità prese per garantirle, con della persuasione che lasci il segno nella memoria, al momento di godere come degli eremiti. Ogni cosa si conclude sussurrando della complicità, purché si abbia la forza di rivedere e lucidare atteggiamenti di facciata, con la paura di perdere chi si ha affianco. Ci pungiamo d’incanto per della concretezza da saldare, con della foga tracotante mista all’incertezza che rincresce, avendo di che pregare per della luce che si sprigioni, senza vergogna alcuna. La sconcezza sta nell’essere passivi al genio incamerato, infatti ne va compresa la presenza pazientemente, in mezzo a delle fatalità che son scadute non avendo risolto la sincerità per ogni evenienza. Pertanto il malessere sortisce piacere; seppur riproponga inoltre immagini di piccole creature scalze che proseguono, senza importarsene dell’impossibilità sin da subito di mordere, avanti con l’età immeritatamente, piene di sé per avere in pugno meno di un euro, di una desolazione a dir poco esauriente. La poetessa sostanzialmente riesce a descrivere tratti fisici, devastazioni sancite proprio dalla massa, come a scandire l’urgenza di pensare che si è strumenti in esclusiva, offuscata dalla vita da fermare per impreziosire, a costo d’intuire nulla da ingrandire di per sé; volendo agire d’istinto, serenamente; avventurarsi con la navigazione delle paure, divorata già dall’umano rapporto. Una corrente d’aria giunge allietando la poetessa per una favola che riprende, nonostante l’incontrollata foga sentimentalmente tralasciata, tanto da distruggerne il bisogno di floreale essenza, con sincera crudeltà. In solitudine Roberta scruta il niente, intervallato al massimo da suoni di passiva comunicazione, per una forma di memoria rischiarante al nuovo sorgere del sole. Lo stupore vagheggia preda del momento opportuno, l’osservazione s’immobilizza per ridestare quest’ultimo, su cui concentrarsi, anche col tagliente riferimento espresso da una madre di famiglia. Occorre uscire fuori dai rifiuti fisiologici per ripristinare purezza rinunciando sul serio a chi si approfitta di noi, privo di quella sensibilità che serve per ricreare l’incanto di un sentimento per esteso. Cavità minuscole, invisibili, volgono al pregio, ora che abbiamo a che fare negativamente, principalmente, con l’emarginazione, la sottomissione voluta verificando gli attributi maschili. La sorte viene fissata dopo una bevuta rigenerante, non ci capacitiamo coscientemente, mentre il tempo scorre indifferente. La Calce si leva dalla pelle la sabbia di un atteggiamento di facciata per provare il piacere di vivere passando sopra l’inciviltà che le ha fatto male, travolta piuttosto dall’ottimismo scorto in almeno un essere vivente, umano. La solidarietà le ritorna prepotentemente, in una richiesta da completare nutrendo il suo isolamento con l’amore per il Prossimo, rimasto incagliato tra atti di fede non spontanei, come ad attendere all’aperto che il proprio respiro si ritempri, senza sprecarlo. Se dotati d’indirizzi esclusivi, allora si rinasce per salvarsi dalla morte: trattasi di ambizioni indomabili per speranze caotiche, movimentate, che contengono l’infinitesima maledizione. La poetessa invita il partner a contribuire all’imperturbabilità di un legame, con una voglia dilagante che la indurrebbe a scatenarsi in un riparo fatto su misura d’uomo, piacevole, gustando delle debolezze purché rilanciate con energica passione.*** “Esplodendo nell’ombra del tuo desiderio”. Una specie di sconforto procacciatore di rivendicazioni la tormenta; Roberta resta sorpresa e priva di forze dinanzi al gagliardo contorno che minimizza la raffigurazione della più recente distensione di una persona per lei speciale in fondo, che andrebbe premiata volendole praticamente più che bene se ciò fosse possibile. Purtroppo niente colma la realtà, sapendo che la depressione è una brutta bestia, ma che in fondo molti soffrono maggiormente, quindi vale la pena farsi intercettare e lasciarsi benedire quotidianamente, al risveglio. E’ duro constatare che i perdenti s’incattiviscono, eppure si deve proseguire in grande stile per non cadere nel rancore. Desiderosa delle proprie capacità - da rivitalizzare in luoghi fidati, ossia delimitati da ferite carnali, sanate - la stanchezza dipende dall’atto d’amore, da cui però ne consegue la contemplazione della felicità, l’innalzamento di una fisicità maschile a ricoprire fedelmente quella femminile, che permette lo sbocciare di gemme primaverili, folli, con un cronometro sempre incalzante, ad annullare i contatti fatali. E’ fantastico secondo la Calce cogliere l’uomo in balia del suo senso di trasporto, portatore d’illusioni fuori dal comune per una soddisfazione non avente eguali, per cui fremere tutti dacché mentalmente attratti, oltre che realmente posseduti; giustappunto per svettare in un battito di pensiero, come donna.*** “Tu sei un uomo mentre io una sognatrice”. Al momento che l’agonia traspare in generale, il minimo cenno d’intesa del suo uomo fa capitolare la poetessa, nella pelle viscida e rivoluzionaria di un disegno divino che le comporta lo scorrimento di distese a perdita d’occhio, dettate da una fisicità d’insieme affogata e satolla. Inoltre, sulla gioventù andata puoi rosicare per un tale che ti ha fatto perdere stupidamente la testa, con un furore tendente all’armonico, singolare biasimo, che ti ha magari relegato a sopportare il fracasso derivabile dal mutismo emotivo. Per credere in se stessi non bisogna eccedere, bensì affidarsi al cammino dell’età, a costo d’insaporire un tozzo di spirito col brodo che si ottiene aspettando un’illuminazione. Candidi sono i cattivi pensieri che perciò addolorano, quando è buio mam l’altrove ti rapisce riuscendo a scovarti nel bel mezzo di un reprimibile arcano.*************************VINCENZO CALO'

sabato 10 ottobre 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = LILIANA PORRO ANDRIUOLI

******* Liliana Porro Andriuoli : “Poesia intimistica e civile in Bruno Rombi” – Ed. il Geco – 2020 – pag. 144 - € 12,00************************** Corposa indagine attraverso tutta la produzione poetica di Bruno Rombi, scomparso da poco all’età di 88 anni. E’ in effetti un ponderoso saggio offerto con la delicatezza di scrittura, che distingue elegantemente il bagaglio culturale dell’autrice. Il riflesso semplice e chiaro dei contenuti pone in evidenza i due aspetti più significativi della personalità umana ed artistica del Rombi: il primo è l’aspetto intimistico che si manifesta allorché egli, ripiegato su se stesso, dischiude il suo io più profondo, ed il secondo è l’aspetto della proiezione del poeta al di fuori di se, allorché egli guarda il mondo esterno e ne commenta idee e comportamenti. Liliana Porro riesce a centellinare il panorama policromatico del poeta, dalle incisioni che il dolore imprime nel distacco alla possibile rinascita morale e civile dell’individuo, dalla rappresentazione in fotogrammi della memoria alle immagini allegoriche di una analisi introspettiva, dal tuffo in una lacerata interiorità ai bagliori vertiginosi del sussurro. Strategia sostanziale che verifica il solco indelebile impresso dai valori lirici di una artista che si distingue per complessità tematica e varietà stilistica.************************ ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIORGIO CASALI

********Giorgio Casali : “Domestiche abitudini” (poesie 2004-219) – Ed. Contatti 2020 – pag. 154 – s.i.p.*************** Un tessuto uniformemente ricamato si offre alla lettura per una poesia scrupolosamente intrecciata tra memorie ed immagini improvvise. Il sottile filtro di elegante registro aggancia il sentimento che la lirica sussurra per riconciliare le vertiginose distrazioni che il destino impone alla quotidianità.Senza giungere ad un limite, incredulo di essere coinvolto dalla molteplicità dell'io, il poeta è capace di donare il tocco delle presenze, non più avvolto dalla dissoluzione di ogni punto di riferimento. Dal ricordo delicato di una finestra socchiusa nel riflesso del padre morente ai profumi che cambiano il sapore della bocca, dai segreti di “una sera a bassa luce” alla musica celata tra le “pareti che non riesce a toccare”, dalle vecchie vie per Sassuolo alle “punte amorose delle foglie” il ritmo incalza per uno scenario di umanità smarrita nel presagio atteso dal poeta. Ogni senso lega il particolare affresco che accorda una ricca e varia orchestrazione, immerso come appare nello smarrimento che evoca l’incanto segreto della parola incisa.*********** ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 9 ottobre 2020

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

****** "Alessia giovane nell’anima"************************* L’anno è il 2020, il posto la campagna// di Agnano e l’ora le venti.// Odore di vendemmia a pervadere// di Alessia la giovane anima// e accanto il fiore di chiesetta// chiusa e la luce della sacrestia// e pare Mirta che si è uccisa// aleggiare nell’aria infinita// oltre degli orologi il tempo// attimo a fermare la vita// istante azzurro, momento rosa// nella cristiana ressa// prima di fare nel nero// dell’auto l’amore e sta Alessia// sedicenne come una donna// in amore.******************* Raffaele Piazza

martedì 6 ottobre 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = LEONARDO MANETTI

******** Leonardo Manetti – Poesie sul sociale (Youcanprint Self-Publishing) 2017 --- pag. 48 -- € 9,00********************** Leonardo verseggia senza preoccuparsi della forma, distaccandosi da quel modo di poetare impartito fino a risultare noiosi, per preoccuparsi piuttosto di un temperamento emotivo, mica tanto notevole se l’andazzo terreno si presenta pieno d’angosce, con un fare altezzoso, che non si scioglie badando a un minimo d’ideale dato da masse disgregate ma costrette a ricompattarsi per muoversi; di singoli individui celanti obiettivi mastodontici. Manetti afferma con decisione ed entusiasmo pensieri che vanno comunicati a costo di rimanere ingenui, armonizzando parole per un’osservazione da leggere purché non si perda di vista la moderna gravame, dovendo rischiare e cioè sognare che la bellezza si sprigioni; che l’umanità non si lasci catturare dai persuasori del potere abilissimi a confonderci le idee ingabbiando con promesse in fondo ridicole. Tra i versi spunta quel respiro a pieni polmoni da particolareggiare sempre, per significare qualcosa ma senza contorcersi per distinguersi nient’altro che antipaticamente nel linguaggio; senza arrecare disordine avvantaggiando così le tendenze moderne, e dunque avvalorando quella maleducazione tecnica che ci distacca dall’animo umano. Effettivamente il lusso che viene sfoggiato di solito cela perfettamente la miseria mentale, c’impigrisce nel “bel mezzo” di una tragedia, come se incapaci d’ascoltare una guerra che perdura all’interno delle nuove generazioni, tra soggetti che potrebbero tranquillamente rispecchiarsi l’uno nell’altro… che invece arrecano dolore con un atto di fede che desta cultura per nulla. “Ci sono uomini costretti a sognare!”. La gente secondo il poeta - a causa di accordi sottobanco tra soggetti che si sfilano da essa sostenendo di volerla tutelare, pregni di quell’ambiguità che non semplifica i diritti dell’uomo ulteriormente - non si rende conto di essere rimasta imprigionata in ogni singola debolezza che le appartiene. La natura si ripropone in una forma disarmonica, come se non volesse accettare l’urbana digressione; l’accessorio per contenersi pendola ai rami di una pianta perenne, sotto la quale converrebbe ripararsi al solo pensiero di nutrirsi con artifizi o leccornie dalle caratteristiche comunque da preservare assolutamente, perché è necessario dare un’immagine. Un concentrato di bisogni del resto è insipido se non ci aggiungi delle volontà, sottostando alla procedura di norme che non si lasciano aggiornare, cosicché errori intraducibili sortiscono pene severe per individui normali che odiano la solitudine sulla quale diventa una missione impossibile informarsi correttamente; visto che chiunque si sente in potere di fare notizia, a costo di decretare il falso. “Bisogna vantarsi delle radici senza avere l'arroganza del monopolio della ragione”. Rifiutando la bellicosità facciamo affari con l’armamentario apposito, nelle sedi di lavoro altamente sofisticate, con l’atmosfera perfetta, innaturale, dove ci si schiavizza digitando impressioni tali da provocare dissesti al commercio ch’è più grande di quello che si pensa; terrorizzando in una forma ginnica, da mantenere costretti a stare chiusi in un tran tran professionale che poi chissà se verrà riconosciuto. Degustando la società con questi versi denoti pure come minuscole collocazioni vengano riempite da dettami promozionali che garantiscono la buona visione, in alternativa si attivano segreterie telefoniche, come se fosse normale ricevere (richiederlo non sia mai!) continuamente un invito a cogliere offerte circa l’infinitesimale ribasso di certi costi, ascoltando voci quasi sempre metalliche e inopportune, con lo stress che si manifesta in un viso pieno di ritocchini! Col mirino puntato esclusivamente sul domani, cerchiamo un aiuto semmai per invalidare alcune sanzioni stando a delle accelerate che diamo vivendo senza rispettare gli altri; essendo animali, vetture e congegni informatici su cui scommettere millantando un merito che chiunque può conseguire finché si contrasterà negativamente il malessere civile. “Tutti esigono, nessuno accompagna, sbagli incompresi puniti gravemente”. Si fantastica coi muscoli, trovando così il modo di contattare giovani in bilico tra sentimenti da quantificare quasi doverosamente; e aldilà del mestiere che si riduce in una copertura a fronte delle disparità terrene, sbiadente lo spirito prossimo agli arcobaleni rasserenanti in un senso figurativo per non dire veritiero. Il soggetto a cui gira intorno la poesia in questa raccolta è straordinario, e cioè abituale quando il superfluo è dedito alle disconoscenze per esempio della verità nello sguardo di una creatura, che a sua volta sprofonda nel linguaggio ai primi, seri approcci, per svilupparsi definitivamente, percependo delicatamente la possibilità di dare una vita, riflettendo sugli elementi della natura; da donna. La bellezza rimane riconducibile all’idea del domani che batte nei neonati; all’intento di cambiare le persone in positivo, incontrandole oltre i confini imposti dalla realtà, potendo soprattutto girare il mondo, purché sospinti dalla curiosità, per rientrare nella normalità e scioglierla in un respiro incontrovertibile.************ VINCENZO CALO'

lunedì 5 ottobre 2020

*** LUIGI IRDI: -- "OPERAZIONE ATHENA"- - Edizioni Nutrimenti - 2020----------------- Giornalista nel vero senso della parola, sesto senso fatto di curiosità e intuito, fiuto e tenacia, Luigi Irdi, con questo romanzo thriller, si cimenta con la crime story e trasporta il lettore subito coinvolto nei meandri di un'inchiesta che si rivelerà presto tutt'altro che semplice e lineare. Per situare l'autore, non nuovo ad indagini e trame tenebrose, Irdi ha fatto qualche giorno di prigionia nei primi anni '80 per aver alzato veli intempestivi su un'inchiesta scottante... Con 45 anni di giornalismo, soprattutto d'inchiesta, al Corriere della Sera, L'Europeo, National Geografic, Venerdì di Repubblica, Irdi è dunque ben piazzato per raccontarci una torbida storia intrisa di mistero e di suspense. Ambientato a Torre Piccola, finora tranquilla cittadina immaginaria situata su uno degli sterminati lungomari italiani, il giallo di Irdi mette in scena la giudice Sara Malerba, appena nominata pubblico ministero alla Procura della Repubblica del luogo dopo quattro anni da dimenticare passati a Gela. Appassionata di cinema di cui annota mano a mano titoli di film, citazioni e analogie con gli eventi accaduti su un taccuino rosso sempre a portata di mano, si ritrova subito incaricata dal procuratore Cantalamessa dell'inchiesta del giorno, insieme al cinquantenne maresciallo dei carabinieri Elvio Berardi, dai denti ingialliti. Diventano presto una squadra empatica e simpatica,impegnata a risolvere il caso e a scoprire la causa di una morte che tutti gli elementi sembrano far rientrare nella categoria "normale" - se così si può qualificare una morte sul lavoro - : la caduta da un'impalcatura a dieci metri di altezza - incidente, suicidio? - di un giovane saldatore, Francesco Ramarri. Il fatto è avvenuto sull'importantissimo cantiere Ostro, durante la costruzione di una supernave di crociera di 200 metri, la Athena Museal. Nave lussuosa, destinata agli svaghi di passeggeri dai robusti portafogli, e dotata al suo interno di un museo di arte contemporanea. Ma emergono rapidamente fatti sconcertanti e contraddittori sulla personalità della vittima. Strano saldatore dalla vita privata imperscrutabile, affetto da vertigine, peraltro bellissimo fusto dotato di cospicui attributi e che si scoprirà con sorpresa essere laureato in storia dell'arte e amante dei Macchiaioli. Che ci fa un siffatto personaggio in mezzo agli operai di un cantiere navale? Nel corso dell'inchiesta di routine tra cui spiccano presto la fretta della società armatrice della nave, degli addetti ai lavori e della popolazione nel vedere riaperti il cantiere e tutte le attività connesse, elementi portanti del relativo benessere della comunità, s'infiltra piano piano nella mente dei due investigatori la sensazione subdola che serpeggi in sottofondo qualcosa di strano dentro cui scavare . Intramezzato dai dialoghi serrati e spesso polemici con la madre defunta, il lavoro della giudice Malerba prosegue sempre in tandem con il maresciallo che dall'alto della sua lunga esperienza professionale le racconta delle sberle in caserma per "rabbia, paura o necessità", e le spiega i segreti della coreana, tecnica destinata a creare scompiglio nel campo avversario con una mossa a sorpresa e della caccia al cinghiale, con squadre di canai e squadre delle poste.... ...Tra i colori e i silenzi della città, il verde del muschio, il bianco sporco della calce, il blu macchiato di un portone incastonato tra le rovine di un palazzetto, il soffio ancora lieve di un grecale gelido, la giovane giudice, camminando, riflette sull'arroganza di un mestiere che le impone decisioni quotidiane sempre difficili. Uno ad uno vengono fuori oggetti e personaggi bizzarri, un grumo bluastro, una nonna pasticcera, un quadro di Carlo Levi, insieme ad un interessantissima incursione nel campo della storia dell'arte, un medico reticente, un emerito rettore, una ragazza sconsolata e tanti altri attori ancora sul palcoscenico di questo cupo dramma. Che non vi svelerò per non rovinare strada facendo le sorprese e scoperte, sale e pimento di ogni giallo che si rispetta. E che in questa crime story di Luigi Irdi non mancano di certo! ----------- Edith Dzieduszycka------ Ottobre 2020