-Raffaele Perrotta: "Attraverso la cruna di un ago", Roma, Aracne, 2013, € 8,50 -
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Io so. Ergo sum. So di essere. Che cosa? Ecco la prima domanda dopo tante asserzioni. Chi sono io che ho la coscienza di me stesso (Io non ego)? Sarà poi mio o me lo avranno messo o lo avrò messo io come maschera pirandelliana? Sono Amleto o Pessoa? Io sono tu: dice un proverbio arabo/giudaico/israelo/islamico/cristiano/induista, prima di Rimbaud. Perrotta dice: l’uomo storico più grande è stato Gesù, dal sotto della scala universitaria - l’unico principio inconfutabile da tutte le umanità è quello detto da Gesù: non fare all’altro quello che non vuoi sia fatto a te. Mi rispose: dici poco.
Raffaele Perrotta ama i soldatini, la carta sindacale del Quarnaro. Ama Mao e Pound, poco meno Eliot, quasi niente Auden, molto …….. D’Annunzio anche Heidegger Capasso.
Ha scoperto gli scritti di Sciacca, gli ultimi.
Mi presentò al Motta di Genova nel 1981 Carandente che veniva da Parigi. Poi si trasferì da Venezia a Genova. Università. Dopo Sydney. E comincio il sodalizio fatto di chiacchiere idioletti progetti effettuali litigate calcistiche revisioni di Socrate Platone Spinoza Wittgenstein Aristotele Hegel Kant la pittura la poesia l’architettura i nuovi artistipoeti , i corsi per giovani e studenti, all’università e fuori. Della cronaca politica sbeffeggiando le azioni da pupattoli maliziosi riconoscendo gli avversi. Sempre gentile sempre corretto sempre pronto sempre in ritardo sempre discontinuo nello stare in pubblico sempre costante nello scrivere, nel leggere pensare e ripensare ed agire.
Uomo. Falsamente distratto dalle cose nuove della vita che riporta sempre al proprio indirizzo mentale in sé ed elabora per trovare i principi del vivere totale, ama Nietzsche Wagner e la musica “leggera” soprattutto napoletano e Totò. Incoraggia l’intelligenza, attacca la superbia e la stupidaggine come l’ignoranza dei giovani che così si distruggeranno. S’incazza quando qualcuno lo vuol prendere coscientemente per il bavero, studente o personaggio o maestro. Parla adagio e forza sui termini per offendere senza essere offensivo. Ama la costanza, doppiamente. Costanza del vivere la Costanza sua figlia una dolce piccola grande indiana. La moglie e il cane, i cani che porta sempre a far pipì alla notte e talvolta assieme parliamo di morte di dio di arte di poesia di che cosa fare. Molti studenti tantissimi lo amano e lo rispettano, per amicizia lo chiamano ancora professore molti gli danno ancora del lei, pochi del tu e lui vorrebbe tutti assieme e lui in mezzo ad ascoltare per un poco per poi iniziare manovrando la mano gassmaniana curvato per girare e avvolgere nell’aria le parole pensate e uscite a parlare di un breve argomento per ore. Festina lente. Uomo che si carica nel silenzio ed esplode nella scrittura poetica, nella conversazione dotta, nel dialogo avveduto e sintetico. Ama Maradona Bene Pantani Coppi e ricorda con piacere suo padre sua madre e Milano e medicina e gli amici milanesi e veneziani e napoletani. Tanti ne ha. Viaggia poco, aveva paura di volare a Sydney e non voleva ritornare in Italia. Riconosce il maestro anche se è stato scorretto con lui. Si ama non per vanità ma per dovere di conoscenza. Mi ha aiutato e aiuta a corroborare la struttura di fiducia. E’ un buon maestro che si dice compagno. E’uomo di cultura, non ama gli intellettuali perché è uomo probo a cui piace la pastasciutta con a’pummarola in coppa e il vino. Guida ma teme la velocità quando guido. E’ un grande amico come don Perazzoli. Ha discusso con Mariuccia su vari temi e nel rispetto altrui non ha mai interrotto il suo cammino. Non capisco che cosa veda in Heidegger, questo giocatore di parole, trecartista come il Bolliito Oliva, lui Raffaele Perrotta che parla per arrivare alla parola originaria e originante in continuo svolgersi.
Credo che tra le sue righe troviamo i segreti aforismi posti dal Perrotta. Tra questi il suo vero che è uno degli infiniti raggi della verità, non interpretazione.
Ama la propria liberà e l’altrui. Non l’alterigia e l’ignoranza. Mi segnalò casi di alta psichiatria per alcuni professori e ricercatori dell’Università. Senza cattiveria con pietà meravigliata. Stupito che uomini potessero cadere in tal modo. Bisogna stare in piedi, sempre. Non è facile, ma quando si cammina a quattro zampe non bisogna stare in pubblico, bisogna isolarsi stare nel deserto. Soli per rigenerarsi.
Sta il Perrotta nell’ortoprassi di un seguace del Nazareno sul quale e a causa del quale legge ogni settimana i testi neoveterotestamentari.
Uomo di cultura, non intellettuale.
Chi lo ha ascoltato e chi lo ha letto potrebbe dire che le due cose non si accordano, che sono in opposizione e contradditorio. Niente di più sciocco. Perrotta quando parla o discute si dispiega essotericamente, si apre ad un uditorio non propriamente suo; quando scrive questo muta, diventa altro, gli ascoltatori che non vengono attratti da suadenze tonali o corporali, ma che devono seguire con il pensiero con la mente con l’intelligenza appassionata: qui il Perrotta è esoterico. Non per tutti quindi, ma per chi desidera sapere e capire, per chi non arretra dinanzi alle difficoltà dei problemi, dell’ignoto del nuovo e del presente-futuro.
Perrotta ama Eraclito e il discorso ellittico dei grandi mistici e dei profeti.
In lui tra interno/esterno, (esotericità/essotericità) non sussiste opposizione, tanto meno contraddittorietà; interno-esterno sono il recto-verso della persona Perrotta, uomo-sapiente che si tengono in una sola figura; sono unità, una inscindibilità sentita solo da chi è attento e non superficiale. Ecco l’autentico Raffaele Perrotta.
Il suo scrivere è stato ed è l’incessante procedere della sua intelligente ricerca di come stanno veramente le cose su questa terra non dimenticandosi di un rapporto più ampio, più universale. Tutto parte dall’Io trasformatosi dai magmi dell’Ego, Io non più egotico ma personale che dalle esperienze vissute astrae quello che è utile alla ricerca stessa e al proprio “ampliamento”, alla propria consistenza che lega in se stesso e a se stesso l’altrui. L’ampliamento dell’Io ingloba ogni Tu, ogni altro perché l’astrazione è concreta e riguarda il fondamento comune di ogni essere umano. Ricostruito integro il proprio Io, Perrotta lo attraversa e lo ripercorre come uno scanner per affinarlo, ripulirlo di ogni possibile scoria, opera che si traduce in opera di parola, composta distensione e organizzazione di parole: la parola contenente le parole. Il superamento della molteplicità.
Allora l’opera di Perrotta è opera di unicità, di risoluzione del problema centrale di senso e di significato che si affacci alla mente e alla intelligenza dell’uomo e del sapiente. Prima si ricompone l’uomo e secondo il dono trovato, i talenti posseduti dai geni, si esprime il contenuto e il contenete il significato e il significante contemporaneamente, sapendo l’artificiosità della lingua come della sua ineluttabilità per poter giungere al nocciolo dell’atomo-vita, per andare a vedere come si svolge questa vita tra simboli allegorie metonimie, rituali e miti ricostruiti secondo l’evoluzione dei tempi, dello spaziotempo.
Le opere di Perrotta sono lo svolgimento di un libro che a noi appare come libri, sono l’unitaria visione di visioni collocate sullo stesso piano, sulla medesima linea di orizzonte dove il passato e il futuro sono compresenti nel presente; dove tutte le parole che desiderano significare le esperienze del cuore-della mente sono presentate in una singola e singolare posizione, dove lo scenario è sempre l’oltreorizzonte, l’aperto infinito sul quale muovono le figure-parola che affiorano all’anima meditante.
Non sappiamo quanto è stato donato al Perrotta di visioni che rimanderà a noi attraverso il gioco convesso dei segni-parola, sappiamo certo che il suo libro equivale per valore storico e metastorico alle Confessioni di Agostino, sono un libro per i momenti solitari, quando si necessita di energia nuova, di maggiore energia per affrontare il proprio viaggiare tra la vita le vite. Per poi sostenere gli affronti e le bruttezze di parte dell’universocosmo.
Confessioni laiche dirà qualcuno, ma se il discorso del Perrotta non è, come pensiamo e crediamo seguendo Duchamp, catechistico ma poeticocreativo, allora sono confessioni di un artistapoeta, quindi non laiche né tantomeno sacre, ma opera attinente alla dimensione “divina”, a quella che una volta sapevamo che cosa fosse e di cui partecipavamo e che abbiamo perso, ma che attraverso l’immersione nell’opera e il distaccarsene possessivo, ci conduce alla Bellezza (includente il bello storico) alla soddisfazione del nostro desiderio di Eterno.
Nell’opera d’’artepoesia di Raffaele Perrotta il desiderio il reale-utopico la Bellezza sono soddisfatti dalle cifre e dai simbolismi della parola nella lucida selva di parole, ci spingono a migliore ricerca, ci meravigliano come la visione della prima luminosa stella.
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ETTORE BONESSIO DI TERZET -