SEGNALAZIONE VOLUMI = GABRIELLA CINTI
Gabriella Cinti, La lingua del sorriso/ Poema da viaggio, PROMETHEUS Ed., Milano 2020, pp. 160, E. 15,00, Introduzione di Francesco Solitario
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Leggiamo insieme questo componimento tratto dal volume poetico di Gabriella Cinti di recentissima pubblicazione, La lingua del sorriso, ed entriamo così in medias res
ENTANGLEMENT-CONGIUNZIONE QUANTICA
La vita, il ricordo breve
di quel volo, le ore
come cirri in fuga
e ritrovarsi ad accogliere il glicine
obliquo caduto in diagonale
sulle ciglia, l’accento di un sorriso
consegnato a soffi di memoria.
Maggio, raggio e assaggio
del più bello dei viaggi.
Ricomincio dalla gentilezza
di verde nascenza,
scandita da minuscoli soli,
nel vestito cremisi
delle frasi al mattino.
E insegnarti il mestiere della luce,
quando si opaca la musica
solare intorno al tuo sguardo.
Navigando il filo del mistero
ci si trova uniti a dorso,
congiunzione quantica,
nel calderone cosmico,
nell’urto dell’imprevisto celeste,
nell’entanglement che ci irreta.
La certezza di esserti accanto
- anima mia correlata a te
nel groviglio cosmico –
addestra il mio incedere
nella misura stretta
dei giorni prigionieri.
Attorniata dal tuo viso lunare,
emerso nel multiverso,
mi appaga il tuo
decollo divino di luce.
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Fenomeno che si verifica a livello quantistico; coinvolge due o più particelle generate da uno stesso processo o che si siano trovate in interazione reciproca per un certo periodo. Tali particelle rimangono in qualche modo legate indissolubilmente (entangled), nel senso che quello che accade a una di esse si ripercuote immediatamente anche sull’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa.
L’aspetto che si coglie in questi versi non esito a intenderlo come un’apertura dell’autrice a una sorta di «Estetica della interdisciplinarità» perché tentando di far dialogare dinamicamente la parola scientifica con la parola poetica Gabriella Cinti tesse audacemente una fitta rete di rapporti di complementarità, di integrazione, di interazione fra gli svariati frammenti dispersi qua e là, sparpagliati in tanti rivoli del contemporaneo sapere al fine di farli convergere tutti in un sapere unitario per cui discipline diverse, (scienza, fisica quantistica, letteratura, poesia, religione, mitologia) convergono in principî comuni sia nel metodo applicato alla ricerca, sia nell’ambito della costruzione teorica, per l’ottenimento di un sapere unitario che d’altra parte accoglie e valorizza la molteplicità e la varietà delle conoscenze acquisite nella storia delle civiltà e delle culture, con uno sguardo diretto al travolgente progresso del sapere scientifico e al mutamento della stessa lingua della poesia. Nel parallelismo fra particelle subatomiche entanglate e parole che tra di loro interferiscono nel suo componimento poetico Gabriella Cinti associa alla «Estetica della interdisciplinarità» la «Poetica delle interferenze», che in poesia non possono che essere «interferenze linguistiche». Apre così la sua ricerca poetica verso approdi “altri” sia ontologici, sia estetici, lasciandosi alle spalle tanto novecentismo becero di idillio, di «mini canone» minimalista, di elegia post-crepuscolare. E’ di per sé già questa una autentica novità nell’acqua stagnante di tanta “roba”, pubblicata e diffusa come “poesia contemporanea”, di truismo, di emozionalismo d’accatto, di ipertrofia di significanti, di io narcisistico e basterebbero da soli questi versi “- anima mia correlata a te/ nel groviglio cosmico –“ per suggellare la facoltà della Cinti di osare linguisticamente spostando il baricentro di questa sua poesia verso approdi fono-prosodici nuovi e verso esiti estetico-formali “altri” percorrendo l’unica strada possibile: il profondo lavoro sul logos.
Ma per Gabriella Cinti la poesia è anche un «luogo di incontro» nel senso tranströmeriano del termine, un luogo della meditazione attiva che tiene desto l’uomo nel mondo, come in questi altri versi
DA CAOS A CAOS
L’incontro era già nell’Alto,
confusi primordi dell’essere,
noi indistinti portatori di intento.
Nel momento esploso della collisione,
capiremo il senso del riconoscersi,
la fiammella dal caos al caos,
materia anima significato.
Eravamo nubi di spore vaganti
pellegrini dei sistemi solari,
intermittenza di sorrisi stellari.
Io ero un ramo del tuo pensiero,
la fronte coraggiosa della tua chimera,
i giochi dell’ombra,
l’arcano del gioco astrale.
Nel transito d’abisso,
tra le intenzioni incenerite,
si dissemina informe
la storia delle nostre pupille,
il palpito invisibile disincarnato,
la Rosa di sangue precipitata nel buio.
E ora, tra pareti d’inverno,
tra araldi di gru, alati pentagrammi
a bordo del nulla,
dipingo quel lontano soffio,
le convergenze, le frecce
e il ricordo della luce.
Strappata dal tutto,
incommensurabile esilio,
vedo, ai lati del tempo,
sovrumana Dimora,
La Risposta di tutte le vite,
l’ultima Domanda d’amore,
infine esaudita.
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Versi nei quali la parola chiave che regge il componimento è «esilio» che nel caso del poeta non è il transito dalla patria ad altra terra, nel caso del poeta l’esilio coincide con l’idea centrale della poetica di Josif Brodskij:«[…]L’esilio del poeta è sempre un fatto linguistico». L’esilio della Cinti coincide con il dover abitare al di fuori della sua «patria linguistica», con l’essere sospinta dalle atrocità della Storia o da altri sfavorevoli eventi al di fuori della patria delle sue parole «abitate», le uniche a dare autenticità alla poesia. Le «parole abitate» da Gabriella Cinti manifestano tutte la necessità di essere dette, di essere pronunciate. In esse, come per esempio nel Manzoni dell’ Addio ai monti… o di Quel ramo del lago di Como…, (Giovanni Testori ha condotto uno studio severo su questo tipo di parole nell’ambito di quello che fu «il Teatro della Parola») si avverte come uno struggimento che spinge le parole di poesia della Cinti a voler uscire dalla bocca del lettore per farsi «voce». Ed è questa, per ammissione della stessa Gabriella Cinti, la vera cifra costitutiva dell’intera sua poetica: le sue parole aspirano a diventare «voce» perché sentono di poter dire e di poter dare un qualcosa in più rispetto alla semplice parola scritta.
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Gino Rago