venerdì 28 febbraio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = NAZARIO PARDINI

NAZARIO PARDINI : "LETTURA DI TESTI DI AUTORI CONTEMPORANEI" - Ed. The Writer - 2014 - pagg. 774 -€ 28,00
Prefazioni , recensioni , note critiche ,articoli e saggi , pubblicati da e per Nazario Pardini dal 1990 al 2013. Un volume che si distingue per la ricchezza degli interventi , per la cura attenta della scrittura , per il numero enorme dei riferimenti , per la presenza di centinaia di autori che colorano pagine e pagine di poesia."A dire il vero - scrive Pasquale Balestrere nella prefazione - il nostro è lettore così fervido e puntuale che , per redigere una nota critica , gli basta venire a contatto, in qualsiasi modo, con un'opera che - semplicemente - lo emozioni. Per questo il presente volume si colloca tra le altre pubblicazioni contemporanee come un repertorio degli scrittori del nostro tempo spesso noti sopratutto agli addetti ai lavori, ma certo non invalidi, come si può facilmente scoprire scorrendo l'indice e leggendone le opere." Il prezioso lavoro di ricerca qui risulta indispensabile intreccio tra la esperienza particolareggiata del critico e la plasmabile particolarità stilistica dell'affondo.
ANTONIO SPAGNUOLO

NOTIZIA = PRESENTAZIONE VOLUME

VENERDI' 7 MARZO , presso il Museo archeologico delle Marionette in Palermo presentazione del volume di versi di Pina Rando "Le belle parole". Relatori Gioacchino Lanza Tomasi , Franco Lo Piparo , Natale Tedesco. Presiede Antonino Buttitta.

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARINO PIAZZOLLA

AA.VV: Testimonianze critiche per Marino Piazzolla poeta, vol. 2
Fermenti Editrice, Roma, 2013, pagg.131, € 12,00

Pubblicato con il contributo della Fondazione Marino Piazzolla di Roma presieduta da Velio Carratoni, il presente testo è costituito da vari saggi sul nostro, nato nel 1910 nella desolata e abbacinante piana pugliese di S. Ferdinando, deceduto a Roma nel giugno 1985.
Elemento saliente nella vita di Piazzolla è il suo inserimento nella società letteraria francese, grazie ai contatti giovanili con Valery, Claudel, Eluard, Breton, Sartre, Gide, che ospita sulla rivista “Art et Ideé” il suo primo saggio, intitolato Pirandello e la tragedia, un anno dopo la scomparsa del drammaturgo siciliano.
In Francia il poeta studia alla Sorbona, dove si laurea in filosofia nel 1938 con una Tesi sulle poetiche da Aristotele all'Abate Brémont.
Marino visse per un decennio a Parigi, tra il 1930 e il 1940 e ne assorbì gli umori più stimolanti.
Nella capitale francese Piazzolla interagisce con intellettuali significativi che cercano il rinnovamento culturale battendosi per rendere superstite la poesia in una società dove domina la tecnica.
Dopo il periodo francese il nostro torna a Roma, divenendo redattore della “Fiera Letteraria”, diretta da Vincenzo Cardarelli.
Nel corso della sua lunga attività, complessivamente dà alle stampe trenta libri di poesia.
A volte, pratica la forma aforismatica e la sua inclinazione, molto spesso, è lirica con venature filosofiche..
I saggi che costituiscono il volume sono caratterizzati da forza ermeneutica, bellezza stilistica, profondità di sguardo.
Interessante il primo contributo del testo intitolato L’amata non c’è più, a firma René Méjean che ha come occasione generante la morte dell’amata Liliana.
Qui si incontra la tematica della negazione del’ineluttabile e della disperazione, anche se si insinua spesso una immediatezza viscerale.
È presente nella raccolta la ricerca furiosa di chi non vive più ed emotivamente si avverte un lacerante turbamento, contenuto e razionale.
La poetica di Piazzolla può essere associata al tema della solitudine, che lo porta all’introspezione, con un’unitarietà di emozioni centellinate e frazionate.
Nella sua ricerca si nota il moto progressivo di un’inesausta analisi ontologica, che tende a conciliare le antinomie tra causalità e destino.
Tornando al senso della solitudine si può affermare che la viva come distacco o inavvertenza alla solidarietà degli uomini e della storia.
Tuttavia, per sua natura, il nostro non tende ad isolarsi, a fuggire dalle realtà; non negando la vita, che ama decifrare nel dolore e nella gioia.
Come è scritto nel saggio Dolore greco di Mario Sansone, chi gli si accosti soltanto, percepisce la vasta aderenza dello scrittore alle varie forme dell'esistenza, percependo una generosità espansiva, che si effonde sino alla sofferenza della morte e dell’assenza.
Nella sua ricerca il poeta sviluppa molteplici tematiche: esprimendosi con una purezza originaria, che ripropone il clima dei lirici greci. Altre volte è disponibile al dialogo o all’eloquio, che sprigiona travagli intimi, che lo inseguono.
Come scrive Donato Di Stasi nella postfazione, non deve ingannare l’incedere fluido e melodioso delle sue liriche, non essendoci una docilità del dire (Mario Sansone), né un’ispirazione bolsa e ripetitiva (Michele Dell’Aquila), piuttosto un comporre impetuoso (Gino Raya) che trova sbocco nel raggiungimento dell’extraordinario (termine assai caro ai rilievi filosofici di Silvana Folliero).
Tra gli altri autori presenti nella carrellata c'è Franco Ferrara che, a proposito di Un pianeta che ignoro del 1974, arriva a un dotto excursus sul panorama che spazia dalle essenze dei ricercatori del vuoto e della lingua perduta per arrivare a tante conquiste che segue un viaggio omeopatico che va “verso la preesistenza di archetipi e in labirinti decifrabili solo come momento musicale”. E da qui emergono figure che vanno da Sir John de Mandeville a Münchhausen a Baraduc per non tralasciare Zolla, Rossellino, Laurana, Erwin, Steinur ecc. E in tale contesto che fine fa Piazzolla? Diviene compagno di strada di tante menti che hanno popolato il globo non per appesantire o schiacciare, ma per ridare valori a tante gnoseologie disperse non per sfoggio, ma per esigenze di riempire il vuoto del mondo e l'aridità di troppe vite che sbandano in deserti sconfinati, in agglomerati di estensioni di masserizie decomposte, prive di vite e di realtà.
E dal vuoto dell'oggi Carlo Belli rievoca il pregio che i greci attribuivano ai gioielli per avere come spunto il culto per la bellezza fisica per il gusto del vero e del giusto. E dal concetto delle virtù intrinseche si arriva al rispetto di Piazzolla per la scultura greca. Belli da esteta raro e raffinato rievoca il tempo che azzanna il marmo, “come fosse tenera carne umana”. “Per millenni starai / bellezza devastata”, questo per Piazzolla un presupposto che supererà ogni giudizio sul tempo e sulla propagazione del bello. Belli non si limita a rievocare la predilezione di Marino per le modellazioni classiche, arrivando a fonderle nell'effetto dell'effluvio del linguaggio che Sartre aveva apprezzato nel leggerlo in francese.
Due mondi, due realtà che inglobava l'armonia simbolica di tante fusioni di parvenze, vocaboli che animano lingue e voci.
Altri autori testimoni di Piazzolla: Giacinto Spagnoletti, in riferimento a Lo strappo: “Un autore, a cui volentieri lo assomiglierei, per la tendenza affine, di ricondurre il meglio di sé... è Max Jacob, lo strano, indimenticabile personaggio che percorse la Francia del Novecento, sino alla morte atroce in un lager: nella sua dimensione ironico-laforghiana lo Jacob poeta crede più vicino a sé l'atteggiamento clownesco, sì da trarne il massimo effetto. Ma per Piazzolla la solitudine è anche modo serrato di escludere dalla pletora...”.
Pietro Cimatti, in riferimento a Un po' di meraviglioso: “...Il poeta che la brutalità del luogo comune indica come un sognatore, è al contrario, il solo realista: poiché il vero realismo è sapere e sentire che la vera realtà è il dolore – il resto è letteratura”.
Il resto è silenzio... Nella sua opera... Piazzolla svolge una tesi delirante, dimostrando che l'uomo vuole essere giovane.
Gaetano Salveti: “da Elegie doriche a Mia figlia è innamorata, è [...] presente un’immagine densa, reiterata, calata in tonalità calde e turbanti non scevre da analogie che richiamano non pochi accostamenti a Gide e a Eluard”.
Niccolò Sigillino, a proposito di Il paese d'Iride: “...domina il colore come strumento di resa interpretativa, con il quale [...] coopera la similitudine (talora ricavata alla «crepuscolare», ma più risentita) ed al quale saltuariamente dà sapore anche l’intonazione di volta in volta confidenziale, da rapsodia o addirittura da cantata popolaresca”.
Silvana Folliero: “... Sul piano artistico ed estetico Piazzolla realizza una sorta di magica presenza ma volta al dopo, cioè quando ogni cosa è ombra e ricordo”.
Alberto Frattini: “... Un essere sempre in bilico tra realtà e irrealtà, presenza o assenza, attesa o miraggio; un continuo ripullulare di sembianze speranze sofferenze umane in un mondo di fiori acque stelle musiche; una febbrile ricerca nel cuore della realtà vivente irradiata nel pensiero e verificata, sulle parole.”
Donato Di Stasi: “... Critici di un tempo andato, appaiono così innamorati della loro vocazione, si immergono con timore e tremore nell’analisi delle più remote pulsioni dell’Autore, lavorano a unire l’oggettività naturale e la soggettività intellegibile, relative alla rastremata e angosciosa esperienza dello scrivere”.
Velio Carratoni: “... tanti modi passati o recenti, per ricordare un autore, sempre più da scoprire che dimostra quanto la sostanza dei suoi contenuti, a volte discontinui o adatti a limitazioni, non sono certo da meno di tanti santificati oratori dell’ordine precostituito”.

L'elenco potrebbe continuare ma lo fermiamo qui per documentare presupposti da stimolare per riscattare metodologie represse o lasciate in apnea per timore di sorprese che potrebbero sconfessare troppe posizioni inamovibili .
Le testimonianze stimolano approfondimenti imprevisti, tenendo d'occhio la strada di un frequente riesame.
**
Raffaele Piazza
**
Da: "Il paese d’Iride"

…Ora è una piazza di Ischia che ti chiama / con tre
foglie di menta e un ramo/ di gelsomino che pende
a un davanzale.

L’estate strizza il sole che perde / luce come ragna-
tela e veli di schiume che fanno un coro per due
barchette con vele che sono/ strisce di luce a
picco.

Se aspetti sulla sabbia udrai dal fondo / il boato
del sole che schizza diamanti / e fa l’eco di fuoco
e poi si affonda / lasciando sull’acqua una via di
sangue.

POESIA = LUCA GIORDANO

RONDINE NELLA LUCE--

Le nubi attraversate dalla luce
non hanno i colori della primavera,
lo staglio d’orizzonte tra i palazzi
è breve, agile il volo tra le case.

Le esili falci che sono le mie ali
tagliano il vento, sfreccio
tra le vie dal colore antico
dove intuisco una tristezza.

Manca chi abbia l’innocenza
di raccogliere qualche verità.
È la sazietà o la smisurata fame
a occupare il posto alle domande.

Un mandorlo fiorito è bellezza e vi balzo,
mi tuffo nella chioma, nel colore,
poi salgo lontano dall’asfalto
inganno la gravità banale,
la fretta senza sogni.

Dall’alto mi accorgo
che tutti guardano il mandorlo fiorito,
che questa scura aria non piace
e canto strappando la tristezza,
lo senti il mio garrito?
È primavera.
**
LUCA GIORDANO

giovedì 27 febbraio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROBERTO MAGGIANI

ROBERTO MAGGIANI : “La bellezza non si somma” – Ed. italic – 2014 – pagg. 72 - € 12,00 –
Nel rincorrersi in movenze veloci e accattivanti i versi di Roberto Maggiani hanno un personalissimo riscontro culturale che rende la pagina pregna di fermenti talvolta di tormentata caratura , talvolta di allegra sinfonia. Inquietudine e larvata irriverenza sono tra gli specchi di una poesia sapientemente armonizzata dall’autore, determinando un piacevole incrocio di metafore e di calibrature , capaci di suggerire al lettore atmosfere multicolori ed immediatamente attingibili. Il paesaggio è sospeso : “E’ un qualunque mattino di serenità:/ il sole alto sull’orizzonte marino/ la nuvola bianchissima nell’azzurro subtropicale/ la palma ondeggiante lungomare/ il frastuono dell’onda sulle pietre./ Minuti sospesi/ sul baratro dell’inesistenza-/ ma noi di questo non ci preoccupiamo …” – Nel sospetto ammaliante anche la presenza di Dio diventa un azzardo psicologico, cercando di evocarlo nelle forme , nei colori , nelle cose , nella brezza , negli sguardi , per una sigla finale che non sia del tutto ignota al tempo delle realtà quotidiane. Echeggia a tratti una semplicissima astrazione dal tangibile, per metafore accorte che si propongono nella loro raffinata sapienza formale.
Antonio Spagnuolo

PREMIO DI POESIA = MARIO APREA

PREMIO DI POESIA "MARIO APREA" - Comune di Rocca di Mezzo
- per poesia inedita in lingua italiana a tema libero
- per poesia inedita a tema "località Rocca di Mezzo"
- saggio , o romanzo , o biografia o tesi di laurea.
Scadenza 20 maggio 2014 -
Premiazione nel mese di agosto 2014.
Richiedere il bando completo a Pro Loco Rocca di Mezzo
piazzetta dell'oratorio -- 67048 - Rocca di Mezzo (Aq).

martedì 25 febbraio 2014

POESIA = NEVIO NIGRO

NESSUNO VIDE
(gioventù)

Nessuno vide.
Ma tutte tue
furono le carezze.

Forse quei fiori
lungo la strada
dove sorridevi.
Forse quei fiori...

E gli occhi
e le mani
e le carezze
furono là per sempre.

E tu non c’eri.
E’ rimasta un’ombra
ferma sull’acqua.
Di te soltanto.
*
Nevio Nigro

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIOVANNI BALDACCINI

Giovanni Baldaccini – Antòn Pasterius – Luciana Riommi:"3 d’union aforismi poesie racconti" -
Fermenti Editrice – 2013 – pagg. 105 - € 14,00


Il libro che prendiamo in considerazione in questa sede, come mette in evidenza il suo stesso titolo, può essere considerato un’opera corale a tre voci.
Si tratta di un esperimento letterario ben riuscito, nella sua alchimia intrinseca ed affascinante.
Per la sua struttura composita, a livello formale e semantico, il volume può essere considerato un ipertesto.
Si tratta di una pubblicazione multiforme, stimolante e originalissima, un unicum nella sua sostanza,
In essa si ritrovano insieme diversi generi letterari, che interagiscono dialetticamente tra loro, sviluppando un’idea di unitarietà, nella sua stessa articolazione.
Addentrandosi nella lettura delle pagine, sembra di assistere ad una fusione e, nello stesso tempo, ad una dispersione dei vari contenuti.
Tale sensazione è sottesa ai fili rossi del tema dell’introspezione, motivo dominante e, a volte, dei rimandi, che legano un segmento all’altro.

Introduzione: le parole e l’ascolto di Giovanni Baldaccini (febbraio 2013), il primo brano, può essere considerato un frammento di prosa poetica sul tema dei libri e del loro fascino e sulla lettura stessa; ha un carattere programmatico.
Nel suddetto pezzo l’io-narrante, di notte, osserva, in un’atmosfera vaga e sognante, i volumi negli scaffali della sua casa.
Si assiste all’accattivante gioco della fruizione dei testi e della scrittura, che riflettono su se stesse, in un avvincente dialogo.
Questo avviene con un meccanismo letterario simile a quello che è sotteso alla cornice architettonica del romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino.
L’autore dice, non a caso, di ricomporre letture.
Al brano in prosa segue una poesia centrata sulla pagina, sempre connotata dalle stesse tematiche.
In essa si nota un tu, al quale l’-io poetante si rivolge e del quale ogni riferimento resta presunto.

Lo stesso Baldaccini è inserito nell’opera, oltre che con il frammento suddetto, con i seguenti racconti:: Lascaux, sottotitolato Omaggio a le maschere di Dio di Joseph Campbell, La musica dei tarli, Omaggio a Joseph Roth, ispirato ai romanzi Fuga senza fine e Giobbe e Kappa, Omaggio a Kafka, che trae spunto da Il Processo, Il Castello, La metamorfosi e Lettera al padre.
Di Antòn Pasterius leggiamo un racconto, scritto in terza persona, intitolato Un pomeriggio di Antòn, la silloge Sistema binario, nella quale le poesie, ad eccezione dei titoli, sono costruite da parole tratte dalla raccolta di narrativa Desiderare altrimenti, dello stesso Baldaccini, e il brano Intimo donna, nudo d’autore.
Luciana Riommi ci propone tre sequenze di aforismi, riunite sotto lo stesso titolo: Da uno scaffale all’altro: tali serie sono: :umanità & dintorni, eros & thanatos e psico & analisi.

Un pomeriggio di Antòn, di Pasterius, ha una forte vena autobiografica.
In esso viene descritta una passeggiata dell’autore per le strade di Parigi, nella quale il poeta è spinto dal desiderio di raggiungere il suo gallerista della Rive Droite.
Intanto l’antico materialista organico e dialettico osserva distrattamente il fiume e le sue acque colorate, nella ricerca, con lo sguardo, di una coppia pressoché stanziale che occupa in permanenza la stessa panchina.
Dice a se stesso che devono essere tante le coppie che si alternano nel loro amoroso lavoro di giornata, fornendo ai turisti occasionali, la stessa stabile vista, che si costituisce come parte integrante del panorama romantico della metropoli.
Deve proprio essere così, altrimenti, lo capisce bene il vecchio, non avrebbe potuto osservare una classica scena parigina e avrebbe dovuto rifarsi alle immagini di una delle tante foto poster alla maniera di Doiseau.
Pasterius si ricorda bene della delusione, morale e artistica, che ha sperimentato, quando si è saputo, dopo tanti anni di “autenticità”, che lo scatto più noto di Doiseau era un “falso”.
Il Maestro aveva messo in posa la coppia a ripetere lo slancio amoroso sotto la sua attenta regia eseguita “a regola di dis-arte”, come il protagonista vuole puntigliosamente precisarsi.
L’autore – io narrante cita Giorgio Manganelli, riportando il suo assunto, secondo il quale, la letteratura è menzogna, dimostrando che non esiste l’arte se non c’è la bugia a sostenerne il valore.
Viene descritta la sosta del poeta in un bar per bere un corroborante café–crème.
Nello stesso bar il poeta si sente a suo agio; poi, evento centrale, percepisce su di sé qualcosa di insolito, ma di già conosciuto.
Si tratta di uno sguardo particolare, che non lo fa scomporre.
Infatti rimane immobile; poi lasciato trascorrere un tempo acconcio, si gira lentamente verso la direzione che è quella giusta.
Due perlacei occhi femminili lo stanno fissando intensamente e il loro sguardo esprime interesse e cupidigia.
Lo scrittore risponde all’occhiata con piglio ostinato e sovrano, osservando il viso di quegli occhi, così dolci oblunghi e orientali.
Il volto della ragazza, giovane e matura nello stesso tempo, dall’aria francamente seduttiva, è ben piazzato, non a caso, al colmo di un manifesto a cura della municipalità, che raccomanda in amore l’uso del profilattico.
In un intrigante gioco di occhi, che si compenetrano, Pasterius le sorride e le dice che è inutile che quelle cose d’amore accadano tra loro.
Altro evento forte, nella promenade del nostro, accade quando egli si avvicina ad una tomba, della quale il marmo non è freddo, come pensava, e, là dove era inciso il nome, risultava ancora tiepido.
In una scena di tipo pirandelliano, Pasterius legge l’iscrizione tombale: “A. Pasterius”, la sua stessa denominazione, e ne rimane sbigottito.
Tuttavia lo scrittore non si perde d’animo e realizza che quella è la tomba del suo sfortunato cugino Alexander.
Sulla via del ritorno il protagonista si chiede se tutta la sua passeggiata ellittica, non fosse stata soltanto uno sporco espediente, escogitato per far luce su qualcosa di sconosciuto di Sé che pure gli apparteneva.

In Sistema binario tutti i componimenti, che iniziano con la lettera minuscola, sono ben risolti in un unico respiro, senza uso di punteggiatura.
Le poesie sono caratterizzate da una forte densità metaforica e sinestesica e i versi hanno un carattere leggermente anarchico.
E’ presente un forte senso di mistero e la poetica è permeata da un tono surreale.
Il tono è epigrammatico, avvertito. e scattante, e, temi dominanti, sono quelli della corporeità e dell’erotismo.

“3 d’union”, complessivamente, ha come idea fondante, come etimo, chiave interpretativa, una forte valenza connessa alla psicoanalisi freudiana e alla psicologia analitica junghiana.
Tale fattore consiste nello scavo profondo nei meandri delle menti dei personaggi nominati, che agiscono come specchi delle psicologie e delle personalità degli autori.
Non a caso, rispetto a quanto suddetto, bisogna tenere presente che Luciana Riommi e Giovanni Baldaccini sono psicoterapeuti.
Tale ascendenza culturale condiziona le loro scritture e si rivela nelle affabulazioni, nelle varie situazioni descritte.
Essa permea l’essenza dell’opera, in toto, di magia, sospensione e vaghezza e le dà un certo tratto mercuriale.

La Riommi mostra, nella composizione dei suoi aforismi, una notevole capacità combinatoria.
Infatti questi componimenti sono costituiti da citazioni e titoli, estrapolati tout-court da vari autori, poeti, scrittori, scienziati e psicoanalisti, ognuno della lunghezza di un rigo.
In realtà, nell’elaborazione dei testi, si assiste ad una vera e propria opera di assemblaggio dei vari materiali.
Questo procedimento non è casuale, ma ben mirato, nel giustapporre le varie parti, e sottende una crescita di senso, una forte dose di ipersegno.
In calce ad ogni singola sequenza di versi, tra parentesi, leggiamo, in ordine progressivo, i nomi degli autori delle varie sezioni delle opere, tra i quali, spesso, incontriamo non a caso quelli di Freud e Jung.

Nell’impossibilità di un’analisi approfondita di ognuno dei racconti presenti nel libro, ci soffermiamo anche su Lascaux di Giovanni Baldaccini.
Bisogna evidenziare che in Lascaux, che è il nome di un luogo mitico, è centrale il tema della misteriosa scomparsa di Pasterius, che avviene in un clima di attraente arcano e di leggenda.
Nell’affrontare il discorso si crea un gioco intrigante di incastri perché l’autore, di origini moldave, è uno degli autori di “3 d’union”.
In un passaggio saliente del racconto il misterioso personaggio, Madame, chiede all’io-narrante che cosa gli ha insegnato Pasterius.
Il protagonista risponde che gli ha insegnato a scomporre e dice che il mondo non è così come appare.
Afferma che gli ha detto che le prospettive sono infinite, come i punti di vista e che deve cambiare il suo e guardare allargato, poi a rovescio, di lato, dall’altro.
E che questo tuttavia non basta e che deve entrare nella materia, osservarne la composizione, ricomporla non uguale.
Rivela che lo scrittore gli ha chiesto gridando:-“Non sei capace d’inventare forme partendo da quella che ti è data?”-.
In un’atmosfera onirica e numinosa avviene la ricerca dello scrittore sparito.
L’io-narrante è condotto da Madame in un tunnel laterale, nel quale strani segni non decifrabili rivestono le pareti con tratti trasversali e oscuri incroci.
I due personaggi trovano l’impronta della mano di Pasterius.
La figura femminile dice al protagonista di prendere la lampada e di uscire, mentre lei resterà nel luogo ancestrale.
Poi la donna rivela di essere il Buio, la Notte senza stelle e di appartenere al posto simbolico, come lo stesso artista.
Il tono è fiabesco e intriso di misticismo; Madame rivela che anche lo scrittore fa parte del sito leggendario, è una sua entità.
Le due figure divengono espressioni quasi di vaghe divinità intermedie, esseri fantasmatici, personaggi onirici delle tenebre, immagini archetipiche dell’inconscio.

L’opera va ben oltre la forma del mero contenitore
Si presenta stimolante e piacevole nella sua lettura, che può avvenire a diversi livelli.
Il volume potrebbe divenire il punto di partenza, il modello, per altre opere strutturate in modo simile, connubio di diverse modalità espressive di svariati autori.
E’ traslato di una maniera nuova di fare letteratura, cultura, nel solco della contaminazione e della multidisciplinarietà.

Raffaele Piazza


SEGNALAZIONE VOLUMI = FEDERICA SCIANDIVASCI

FEDERICA SCIANDIVASCI – : “Il volo imperfetto” – Ed. Kairòs – 2014 – pagg. 110 - € 10,00 -
(prefazione)
Nel significativo esempio di omogeneizzazione stilistica mediante la koinè , a fronte della modernizzazione di scritture volutamente criptiche e indecifrabili , ecco che la poesia riprende la sua linea, originale struttura intima, capace di offrire soluzioni musicalmente equilibrate, nella immediata esperienza del reale, o nel gioco degli specchi che apre delicatamente all’immaginazione. Così si riconoscono, incorniciati nel riflesso luminoso di alcuni schermi, le apparizioni che rivelano il testo nel senso più autentico e ineludibile. La poesia , nell’intuizione dell’artista , è destinata ad esaurirsi in un lampo, in quello stesso sguardo al quale è affidata l’opera del pittore, conferendo così una inaudita eternità rinnovata nel gioco della epifania. --- Con la poesia della Sciandivasci ritroviamo pagina dopo pagina , e con limpidità nella traduzione , una elettrica reattività leggermente provocatoria , per una tensione sublimato ria che muove decisamente nella vena intimistica, spavaldamente ermetizzante ma non incomprensibile, per i suoi toni ricchi di rimandi e riservati ai diversi aspetti della quotidianità, e della passione. Un viaggio segreto nell’amore , attraverso figure e paesaggi che si inseguono come pennellate multicolori, per evaporare nei tratteggi del verso, quasi sempre breve e rapido , sostenuto da quel linguaggio simbolico che diviene la risposta verbale alle illusioni , alle emozioni , alle scansioni. Esteticamente travolto lo scambio della fisicità non è finzione , presa in giro , perdita di tempo , ma nel colore tempesta ormonale che realizza l’atto: “Chiedo alle mie gambe/ di divaricare il tempo della bellezza / offrendomi sull’ara della tua / eccitata virilità …” Il sorriso , le ombre della notte, il respiro , le dimensioni del dolore sono materia viva che si realizzano nel volo della fantasia, nel mentre ogni gesto d’amore acquista dimensioni e consapevolezza per esternarsi materialmente : “… Nel buio precipitiamo / abbandonato volo / e il respiro si fa orgasmo ..” – Il volo , il volo, e ancora il volo si ripresenta come promessa di amore, e non è difficile qui cogliere l’azione fertile della “parola” detta o sussurrata o urlata, saldamente agganciata alle presenze ora dissimulate , ora palesemente dimensionate , che da sola riesce a completare il giro della “canzone”. Il ritmo insegue le variopinte sembianze, inquiete e turbative, in un registro recitato con originale connotazione, senza rotture improvvise o variazioni drammatiche, per una sospensione dai contorni ben equilibrati. “Sono giorni scalzi/ questi miei / un volo senza ritorno./ Ti aspetto / e intanto accarezzo / il blu stella di Van Gogh./ Sei in ritardo-/ nessuna probabilità, nessuna redenzione. / Ho dimenticato me stessa / non la tua eternità.” Un percorso circolare che si alterna rapidissimo, prudente e meditato, attraverso quegli strati metaforici che dal momento del “vivere” accompagna il linguaggio concreto e ovattatamente lirico. La figura dell’uomo , del compagno , dell’amante rimbalza vigorosamente per avvinghiarsi con ardore alle membra , tra i tuffi improvvisi della sorpresa o nel chiaroscuro delle penombre, quando i silenzi trascinano senza tregua o i profumi incatenano lo sguardo. “Imbroglia la notte/ tu che sei protagonista / e coi tuoi perfetti silenzi / immobilizzi le mie stagioni./ Io. Che non ho mai imparato / l’attesa volo in caduta libera / trattengo il fiato - / l’approdo è la condanna / di questo letto immortale.” Il percorso degli approcci confluisce nelle particolari strutture del testo e segue spesso le angolazioni delle vicende artisticamente presentate , con una grazia remota e segreta equilibratamente lontana dalla dispersione, creando con impegno immagini disposte entro una sapiente orchestra di risonanze. La voce dell’introspezione, ove l’intreccio amoroso trova vincoli e sotterfugi , illusioni e sbandamenti , desideri e conquiste, ha una variabile successione di luminosità , nel riverbero del subconscio, sempre vigile e pregnante per il suo adagio ritmato, che rende le pagine perfettamente realizzate. “Ora parlami, insegnami / un nuovo alfabeto / raccontami, la promessa dell’amore / dona un volo puro alla mia preghiera/ e nel mistero di questo libro/ – che conserva il nome di ogni destino – / troverò le pagine mancanti / di una verità che tutto / ha perdonato.” La finestra reinventa occasioni , difficile sfuggire alla trasformazione dei sogni , quando la realtà infiltra domande inaspettate, e rivela nella sua pienezza, in maniera esplicita o indiretta, il contatto epidermico. Una visione sollecitata dall’impellente necessità di esternarsi . --- Ottimo l’impegno della traduttrice , che ha saputo interrogarsi sui significati e sulle modulazioni , richiamando le diverse esperienze culturali in una esposizione risultata di una intensità pregevole.
ANTONIO SPAGNUOLO -

lunedì 24 febbraio 2014

PREMIO DI POESIA = CONTINI BONACOSSI

PREMIO CONTINI BONACOSSI 2014 .
Sez. A = volumi di poesia in lingua italiana
Sez. B = poesie inedite a tema libero.
Scadenza 30 aprile 2014.
Premiazione Domenica 15 giugno 2014 (ore 17) nel parco della villa Medicea di Capezzano
dei Conti Contini Bonacossi - in Seano di Carmignano (Prato).
Richiedere il Bando completo alla segretaria Salvatrice Santoro (Tita Paternostro) via Redolone 25 - d -
51034 Casalguidi (PT)- tel. 0573929049 ---

domenica 23 febbraio 2014

POESIA = GIUSEPPINA RANDO


"Pensiero"

Dove spazio fa nascere spazio
nell'aprirsi infinito del cielo
come un lampo Il Pensiero.

Svanisce si fa solco sulla terra
ombra notte provata disfatta
e la parola si dissolve.

**

"Straniera"

Sono stille di rugiada
o forse luce obliqua
a fendere l'abisso.

Distanza o assenza
dell' Altro o dell'Altrove
a creare il cono d'ombra

e farmi "straniera"
in queste mie terre
trafitte da voli di rondine.
**

"Luce blu"

Presagio d’infiniti universi
luce blu
abita- qui ed ora –
nel silenzio delle cose
nel silenzio delle stanze.

Ombre in equilibrio sulle pareti
per me stillano
nettare dal tempo

-quello che la morte non sa cancellare-
energia che brucia e che sublima.

Leggera nel vuoto
ora col tutto
ora col nulla
mi confondo.
**


"Per te"

Forse non sarai
accanto a me
quando arriverà la sera
e il buio della vita

ma so che mi continuerai
ed io non morirò tutta.

Non lascio sulla riva
vento di parole vane
né conchiglie spezzate
senza l’eco del mare.

Lascio nell’onda viva
d’ogni stagione
palpiti d’amore per te.
**
GIUSEPPINA RANDO
***

"Nella semplicità del simbolo , l'intento di sussurrare l'attimo che manca per accarezzare la realtà.
L'immagine avanza per sopravvivere al vuoto." A.S.

venerdì 21 febbraio 2014

DIVAGAZIONI = GIOVANNI SCHIAVO CAMPO

" DIVAGAZIONI SULLA VIA DEL CIELO"
Tutto al mondo è grato di non trovare altra misura per sussistere che per mezzo di se stesso.
Di rendere grato che a ogni cosa non manchi nulla per sussistere è la via del cielo.
Compiere e non addossarsene il merito è il modo del cielo di manifestarsi: non è forse anche il modo di ingraziarsi il cielo?
Quando il cielo assegna a qualcuno una natura affine alla propria è segno che gli mostra riconoscenza.
Riconoscenza verso riconoscenza: questo è il modo per favorire la riconoscenza ovunque sulla terra.

Il cielo è rotondo come l'occhio, la terra è cava come l'orecchio.
L'occhio tutto rende riconoscibile; l'orecchio a tutto presta ascolto.
La terra a tutto si presta senza sacrificare l'infimo per amore dell'importante: infatti il grande ha radice dall'insignificante.

Il cielo ha posto il suo luogo di elezione nel distante.
La terra ha posto la sua discrezione in ciò che è in gestazione.
Nulla è paragonabile per profondità imperscrutabile al cielo.
Nulla è di sostegno sicuro come la terra.
Che cosa di visibilmente più distante della somma altitudine?
Che cosa di più segreto di cosa la terra mantiene avvolto?
Il cielo ha lo sfolgorìo della luce degli astri sopra di sé.
La terra ha riposto un fuoco dentro il suo cuore nascosto.
Potrebbero mai non rispecchiarsi il cielo e la terra?

Cinque vie attraversano da una parte all'altra tutto sotto il cielo: quattro portano in ogni direzione ci si incammini fino all'estremo orizzonte; con la quinta si sale e si scende, come lungo una scala a pioli piantata proprio nel mezzo che conduce dal più alto al più basso e dal più basso al più alto. Salendovi al culmine delle stelle fisse, compagne dell'Altissimo, si arriva alla sua casa: si chiama il Cuore del Cielo. Giungendovi si arriva a abbracciare la rotazione di tutto ciò che ha movimento. Non trova guida più sicura chi se ne serve per orientarsi.

E' inevitabile che ogni cosa si formi, compia il suo ciclo e torni infine alla radice. Anche per l'uomo è così. Una volta però raggiunta la destinazione, se il cielo vuole, ne sviluppa la radice e ne fa un'asse di misura della distanza fra il cielo e la terra.

La natura dell'uomo è come acqua. L'acqua, dispersa in fiumi e torrenti, torna a riunirsi dopo aver compiuto un ciclo.
Dove l'acqua si raccoglie, nel punto più basso, lì è anche il posto dell'uomo: quando vi si trova in stato di raccoglimento, perché sa dove stare, nulla vi è di più fermo. E' come acqua torbida che lasciando i detriti in fondo riacquista chiarezza.

Quando l'immanifesto, che ancora riuniva in sé ogni polarità, concepì che ogni cosa assumesse l'aspetto voluto, il notturno del cielo scelse per figura il primogenito di tutti i tori: lo sacrificò e si manifestò. Dal fondo dell'oscurità apparve allora la lunata come una vacca non ancora gravida: le rifulgeva sul capo una duplice falce di corna lucenti. Il primogenito del cielo dal nero mantello della notte premeditò in cuor suo di possederla; le si accostò muggendo di profondo desiderio, con le larghe froge sbuffanti, e si unirono. Nacquero così il sole e il circolo delle Pleiadi al fisso culmine della volta con le altre stelle e i pianeti. Da un fiotto di latte spruzzato scaturì una via che attraversa, si dice, colui che torna a ricongiungersi ai predecessori.

All'inizio il cielo era come una vacca, da cui è stata ricavata un otre di pelle di cuoio.
E' sufficiente sciogliere l'otre dai lacci e allora non vi è nulla che non sia riempito: non si ha che da coglierne i frutti. Ma come si può costringerlo?

La virtù del cielo è ampia: potrebbe nutrirsi di ciò che è sufficiente all'uomo? Ciò che serve all'uomo non è nemmeno una milionesima parte; l'uomo è egli stesso meno di una milionesima parte. Ma di tutto ciò che è meno di una milionesima parte, anche a poterlo calcolare, lo si può stimare meno di una milionesima parte di ciò che è innumerevole. Eppure, ciò che si rende visibile del cielo tutto intero è ancora meno di un milionesimo dell'innumerevole.

Il cielo non ha figura

****

Virtù dell'essenza si chiama "armonizzare il ritmo e il respiro": alterare il ritmo significa mozzare il respiro. Chi si azzarderà a farlo per mezzo di qualcos'altro senza correre il rischio di perdere la vita? Il mezzo si impadronisce di chi lo utilizza.

Una volta non c'erano misure né diapason per riconoscere il suono del legno; non si sarebbe saputo distinguerne note né accordi, eppure chi l'avesse intesa l'avrebbe ritenuta una musica superba. La virtù naturale del legno essicca anche se non la si comprime. Chi conosceva un tempo la virtù del legno non lo si sarebbe scalzato dalla radice, neanche se il vento avesse soffiato così forte da svellere alberi e case.
Un uomo dichiarava di averne appreso ogni segreto. Gli sarebbe bastato far cadere a terra il ciocco o il pezzo di legno tagliato per distinguerne subito, dal suono, il secco e l'umido. Si può dire non avesse altra scienza che quella delle stagioni: la pianta quando mette le foglie, si regola forse diversamente?

Progresso e regresso sono paragonabili a un pendolo: più si tende la corda dell'arco di oscillazione e più il progresso si tramuta in regresso e, al contrario, il regresso in progresso. Così ogni passo compiuto sulla strada del progresso corrisponde a una maggiore ampiezza della corda di oscillazione del pendolo destinato a riportare indietro nelle ere già percorse e ad avanzare di nuovo fino al presente, o più avanti o più indietro nel tempo lungo il moto oscillante della corda.

Oggi vi sono macchine capaci di governare le stagioni e uomini che vi si lasciano governare; macchine che impartiscono ordini e uomini che ubbidiscono. Gli uomini non si lascerebbero governare se sapessero che le stagioni dipendono dalle loro attività: non si fanno impunemente altri lavori lasciando marcire i raccolti.
Dicono che le macchine apprendono a eseguire per loro conto ciò che gli uomini avrebbero imparato a rifiutare. Questo è quello che si dice: riconsegnare ciò che si è preso in prestito. Si può riconsegnare tutto, ma non annullare il prestito. Ora si vorrebbe dare il prestito in consegna alle macchine: non è come se si volesse tornare alla natura della pietra grezza dopo essere stati dispersi in sabbia?

Ma la pietra è unita e la sabbia volatile. Raccoglierla per tentare di rifare la pietra è come mettersi a inseguire il vento. Chi insegue il vento è come un fanciullo che si diverte a gettare manciate di sabbia al vento: perché mai la sabbia dovrebbe temere che lo faccia con cattive intenzioni? Solo dell'uomo ha cominciato a sospettare che voglia ridurla in suo potere per farne strade e case.

Il Letterato s'imbattè nel giovane letterato - Proprio te stavo per venire a cercare! Ti voglio insegnare i segreti della mia arte -; e il giovane - Sono pronto, Maestro. Ma dimmi almeno prima in che cosa mi tornerà utile -. - Ti insegnerò a comandare sulle essenze sottili; imparerai a sciogliere legami e a sostituirli con vincoli, a combinare suoni e segni per creare sovvertimenti, a sovvertire l'ordine delle stagioni perché non ti trovi mai privo di credito riguardo ai poteri di cui disponi, a far credere quello che nessuno oserebbe credere. E se ciò nonostante non sarai soddisfatto, potrai sempre insegnarlo come faccio io! -.

Il buono e il cattivo sono solo effetti: tutto è davvero il riflesso di un ordinamento superiore, ed è di questo che ogni cosa è espressione, questo in base a cui si valutano anche il buono e il cattivo. Perciò il saggio non terrà in minor conto la morte rispetto alla vita, non sacrificherà il tutto per amore di una parte, non dispregerà la più piccola delle creature, ma non ne lamenterà la perdita. E' saggio, si può dire, perché è colui che ne è semplicemente a conoscenza dei cicli, come accade per lo sbocciare dei fiori a primavera o il maturare dei frutti estivi.

Trovare regola nel tutto, non è forse trovare nel tutto la propria convenienza? Si impongono forse limiti all'amore? Vi è forse altra convenienza per il singolo che sacrificarsi per amore del tutto? Se per colui che ama l'amore è tutto, l'amante che vi si sacrifica non commette una pazzia: risponde all'appello del suo essere, che è più grande di lui. Si ama infatti per amore dell'amore, che è più grande di qualsiasi cosa si ami.

Quel prendere a cui tutti possono attingere può forse chiamarsi rubare? Ciò che è aperto viene dato senza malevolenza; chiunque ne può ricevere. Di quel respiro di cui si alimenta ogni cosa si può dire che qualcuno lo trattenga per sé solo?

Bisogna essere sacri come l'oracolo. L'oracolo non parla se non lo si interroga, ma chi vuole sapere troppo dall'oracolo finisce per perdere la facoltà di ascoltarsi. E' bene comunque sapere che l'oracolo non parla per comando o su imposizione: è il cielo che conferisce gli oracoli come sta all'uomo interpretarli. Fra cielo e uomo vi deve essere dunque una profonda consonanza, perché l'uno possa dichiarare la sua volontà e l'altro possa accoglierla in riverenza. Quando qualcuno è così invasato dell'alto, così pieno di abnegazione, che nulla rimane più di sé, non vi è cosa che non possa esprimere; ma tra la coscienza di sé o dell'altro, tra l'ascoltare sé o l'altro non deve essere rimarcata la differenza: divino è ciò che consuona e che non smette di risuonare in reciproca armonia.
*
GIOVANNI SCHIAVO CAMPO

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

ALESSIA E IL LIBRO APERTO-

Pagine squadernate sul bordo
del Mediterraneo, nella camera
tra persiane d’isola
dove ha fatto l’amore con
Giovanni. Poster di artico
paesaggio e il libro aperto
nel folto del piumone
fino alla riva di genesi
della vita, Le muse inquietanti
di Sylvia Plath resta
come segnacolo o amuleto.
Pensa ragazza Alessia all’amato
vestito da poeta, panni azzurri
come il cielo.
Sorriso alla fragola allo specchio
(tanto non mi lascia).
**

ALESSIA E LE GOCCE DEL MARE--

Accende una candela sul bordo
del Mediterraneo Alessia
(il luogo è Napoli).
Sta vicino al Castel dell’Ovo
Ragazza Alessia a guardare
il greto verde delle cose,
gocce del mare sulle sue mani
affilate a cogliere stelle
nella mente e portafortuna
di conchiglie rosa e azzurre
pari al cielo nel suo continuare.
La sera precedente che non
torna (attimi aurorali per detergere
l’anima e il corpo)
pari a notte infiorata da lumini.
Il sogno è stato bello,
attimi di pesca e albicocca
per Alessia a chiedersi
da quante gocce il Mediterraneo
è fatto.
**

ALESSIA E LA PIANTA DI FRAGOLE --

Sotteso anelito al culmine
dell’alba di Alessia rosa vestita
per la vita (accade il tempo
oltre gli orologi)
entra nel negozio ragazza
Alessia e una piantina di
fragole compra (18 euro
contati come semi).
Il verde e il rosso vegetali
le foglie e i frutti a tessere
la mappa dell’alba
(tanto Giovanni non
mi lascia)
Occhi negli occhi con l’amato
(nei suoi Alessia dolcezza
trova oltre la chiave della
nebbia) e s’incammina
fiorevole sentiero lungo
il recinto profano del campo
del recente amore
(natura buona per Alessia).
***
Raffaele Piazza

giovedì 20 febbraio 2014

PREMIO DI POESIA = MALATTIA DELLA VALLATA

XXVII EDIZIONE PREMIO "GIUSEPPE MALATTIA DELLA VALLATA"
Poesia in lingua italiana
Poesia nelle lingue delle minoranze.
Scadenza 6 maggio 2014.
Premiazione domenica 13 luglio 2014 , in Barcis.
Segreteria : Casella Postale 211 - U.P. Pordenone -- 33170 - Péordenone
Richiedere il Bando completo : www.premiogiuseppemalattia.it

mercoledì 19 febbraio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = DANIELE PETRINI

Daniele Pietrini – “Il fortino dell’invisibile” -Fermenti Editrice - Roma - 2013 – pagg. 111 - € 14.00

Daniele Pietrini è nato nel 1974; ha pubblicato liriche su varie riviste nazionali ed è al suo secondo libro di poesia.
“Il fortino dell’invisibile”, bene strutturato architettonicamente e che presenta una densa prefazione di Gualtiero De Santi, è suddiviso nelle seguenti sezioni: “Ventuno quadri, Zalongo 1803, Francesco, Imhotep, Autobus, Annibale Carracci, In rapporto di consanguineità”.
Cifra dominante della poetica di Pietrini è il misticismo cristiano, che si coniuga spesso a filosofia, mito, storia ed arte, soprattutto alla pittura.
In Ventuno quadri (2007), la sezione che è nettamente la più estesa, troviamo nei testi una notevole componente descrittiva e iconica.
E’ evidente in molte composizioni il tema di una materica mistica corporea, per esempio nei versi:-“…/il mio viso eletto a costruzione edificante,/ fonte di luce nella casa…”-., tratti dal componimento Ritratto d’uomo.
Pare che, in questa scansione, l’autore sia fortemente consapevole di volere dare una valenza figurativa alle poesie dedicate in parte a tematiche religiose, che hanno come fonte i vangeli, (per esempio La probatica piscina, L’Annunciata e L’ultima cena) e in parte all’arte classica e anche contemporanea, avendo per soggetti dipinti famosi come Il mangiatore di fagioli, I coniugi Arnolfini,i La Gioconda e S. Girolamo nel suo studio.
Del resto questa prospettiva rientra nell’ottica del detto antico ut pictura poiesis, a dimostrazione dell’interagire delle due arti sotto il comune denominatore della bellezza.
Nella scrittura di Pietrini si avverte un forte senso di magia e sospensione, e le poesie sembrano aleggiare in una dimensione fuori dallo spazio e del tempo convenzionali e non vengono quasi mai detti elementi della quotidianità, essendo tutto il discorso immerso soprattutto nella dimensione del sacro e anche in quelle della storia e della leggenda..
A livello formale si nota che nei componimenti è presente, nella maggior parte dei casi, una fitta punteggiatura, elemento per il quale si accentua il carattere icastico di questi versi, caratterizzati da accensioni ed epifanie.
In Ventuno quadri i vari’io-poetanti si definiscono spesso come pittori, procedimento veramente originale e, spesso, il poeta sembra incarnarsi nelle tele dei suoi dipinti di parole; in molte poesie si ritrova il senso della metamorfosi.
E’presente nella raccolta una forte densità metaforica e sinestesica, che si combina a leggerezza nella scrittura del nostro e i versi sono affabulanti; i segmenti sono densi e scattanti e la forma è ben controllata; l’io-poetante è sempre molto autocentrato; la raccolta deve il suo titolo al fatto che il fortino, a livello simbolico, rappresenta l’interiorità del versificatore, che è invisibile ed è un concetto astratto.
Come scrive il prefatore “la conseguenza è che il portato “il fortino” di quanto invisibilmente viene in esso raccolto, comincia a rendersi percepibile in quello spaccato di realtà naturali, che appartengono alle esperienze del poeta, tanto intima e intellettuale quanto pulsionale e corporea”.
In La probatica piscina l’autore si rifà al vangelo in quanto in questa piscina situata in Gerusalemme, si lavavano le pecore destinate al sacrificio e si immergevano gli infermi.
Un alone di vaghezza caratterizza il suddetto componimento ed è detto nell’incipit un angelo che nessuno ha mai visto e del quale parlano le scritture; del resto il tema dell’angelo s’incontra spesso in queste pagine.
In L’Annunciata è la Madonna stessa a parlare descrivendo la sua psiche nelle sue pieghe più intime, rivelando la sua condizione di predestinata, in quanto testimone, e pronunciando, a sua volta, tra l’altro, il sintagma torre d’avorio, tratto dalle litanie del Santo Rosario.
In La dama con l’ermellino, celebre dipinto di Leonardo è la dama stessa a parlare quando afferma che altri cantano, pregano, vanno in pellegrinaggio, mentre lei ama il suo animaletto, con il quale stabilisce un rapporto affettivo, accarezzandolo e contemplandolo.
Le altre sezioni del libro sono brevi e, per la loro unitarietà, potrebbero definirsi dei poemetti
In Zalongo 1803 (2008) la scrittura è veloce a armonica e le poesie sono senza titolo; qui è descritto l’episodio storico, .avvenuto in Grecia, quando cinquantasette donne, danzando e tenendosi per mano, si gettarono in un precipizio pur di non essere fatte prigioniere dai turchi; l’io-poetante è una delle donne morte a Zalongo.
“Il fortino dell’invisibile” è un testo originale, quasi unico nel panorama attuale, per le sue implicazioni nell’indagare il soprannaturale, la sfera del trascendente, come è bene messo in evidenza nella prefazione
.
Raffaele Piazza



Ritratto d’uomo


C’è una parte del mio corpo
che emerge dalle cure quotidiane?
Un punto in cui il mio peso aumenta
straripo nel mondo dei sogni?
Il naso, gli occhi, la bocca: pittore, rilancia.
Prendi me, più qualcosa che non conosco:
i tuoi viaggi, i rapporti umani.
Quello che hai sognato stanotte.
E’ possibile che un certo rapporto tra le mie parti
rimandi a configurazioni ultraterrene,
racconti mitologici.
Fa un quadro per cui io sia punto d’inizio,
che per me è punto d’arrivo.
Il mio viso eletto a costruzione edificante,
fonte di luce nella casa.
Ch’io possa imparare, guardandomi.

domenica 16 febbraio 2014

PREMIO DI POESIA = ENERGIA PER LA VITA

PREMIO ENERGIA PER LA VITA

Sezione A Poesia Inedita
Inviare fino a tre liriche, in italiano o in dialetto con traduzione in lingua, ciascuna di lunghezza contenuta in una pagina di Formato A4, in cinque copie, di cui una firmata e completa dei dati personali dell’autore: nome, cognome, data di nascita, indirizzo, recapiti telefonici e indirizzo Email. Tutte le cinque copie dovranno venire fascicolate e pinzate.
Sezione B Narrativa Inedita
Inviare cinque copie di un racconto o di un saggio, di lunghezza contenuta in 5/6 cartelle o pagine di formato A4, copie fascicolate di cui una sola firmata e completa dei dati personali e recapiti dell’autore.
Sezione C Poesia Edita
Inviare quattro copie dell’opera, in italiano o in dialetto, edita a partire dal 2010 compreso, complete di firma, dati personali e recapiti dell’autore.
Le opere di qualunque sezione potranno avere già ottenuto riconoscimenti in altri analoghi premi letterari. Per le sezioni dell’inedito, si potranno presentare anche opere già premiate, ma che non abbiano avuto regolare pubblicazione editoriale, non abbiano cioè comportato la cessione dei Diritti d’Autore. L’inserimento in antologie non è motivo d’esclusione.
La scadenza per la presentazione degli elaborati è fissata alla data del 10 agosto 2014.
Farà fede il timbro postale di partenza.
Il plico delle opere e la scheda di partecipazione andranno spediti all’indirizzo sotto indicato, a partire dall’immissione del bando nei vari canali internet, fino a tutto il 10 agosto 2014:
Primo Premio Letterario Internazionale LIONS CLUB RHO “ENERGIA PER LA VITA”
Casella Postale 13500
20812 Ufficio Postale di Limbiate (MB)
*******
Per scaricare il bando---- http://lionsclubrho.weebly.com/
Riferimento : Email rita.iaco@libero.it

venerdì 14 febbraio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = ESTER CECERE

ESTER CECERE : “Fragile. Maneggiare con cura” – ed. Kairòs – 2014 – pagg. 92 - € 10,00
Nell’ampia e approfondita prefazione firmata da Nazario Pardini leggiamo: “ Poesia agile , scattante, libera, docile, melodica , suasiva nella sua irruenza contenutistico – verbale. Nel suo reattivo, immediato e spesso convulso risentimento verso un percorso esistenziale zeppo di inquietudini, di malinconiche esperienze, di tradimenti di orchi reali. Ma infine di riposi , di approdi ad un redde rationem, carico di una spiritualità che lega il cielo alla terra”. Basterebbero queste poche frasi per illuminarci su tutta la raccolta di una poetessa , impegnata nella struttura particolarmente solida della sua scrittura. Fra gli abbozzi figurativi , gli sbalzi dell’onirico , gli accenni del sub conscio, il tratteggio delle illusioni , e gli affondi nel quotidiano , il verso propone , con pennellate multicolori, la tenerezza o i fantasmi , le speranze o le amarezze, i frammenti dell’amore o le glabre maschere. Non vi sono inutili silenzi per qualche ombra inattesa , ma adamantine accensioni che rendono la poesia un musicale arpeggio , pagina dopo pagina. Le metafore hanno il loro fertile simbolismo per le concrete realizzazioni del verso, particolarmente luminose negli intarsi sentimentali , o negli accadimenti scivolosi del quotidiano. Così anche la memoria ha le sue lampeggianti cuciture per una narrazione che ricompone il filo autobiografico.
ANTONIO SPAGNUOLO --

giovedì 13 febbraio 2014

PREMIO POESIA = ASTROLABIO

PREMIO : “Astrolabio 2014”
Bando di Concorso
Il Premio è istituito allo scopo di promuovere la parola poetica ed il componimento di fantasia, al fine di evidenziare, nel panorama letterario attuale, opere di autori degne di attenzione. Inoltre il Premio, nella presente edizione 2014, avrà anche l’intento di porre l’attenzione degli autori su importanti ricorrenze quali il 450^ anniversario della nascita di Galileo Galilei e i 950 anni dall’inizio della costruzione della Cattedrale pisana nonché il centenario della nascita di Mario Luzi.

Il Concorso si articola nel seguente modo:
oltre alle quattro sezioni a tema libero, gli autori potranno inviare lavori dedicati alle suddette ricorrenze.
LE SEZIONI SPECIFICHE SONO LE SEGUENTI:
OMAGGIO GALILEIANO: poesia, fiaba inedita e racconti per bambini e ragazzi inediti in dialogo con arte e scienza;
OMAGGIO ALLA CATTEDRALE DI PISA.
OMAGGIO A MARIO LUZI (n.20.10.1914).

SEZIONI A TEMA LIBERO

Prima sezione: Volume edito di poesia per un’opera in versi pubblicata a partire dal 2007. Inviare quattro copie del volume di poesia. Solo una delle copie dovrà recare i dati completi dell’ autore compreso un breve curriculum biobibliografico ed eventuale e-mail.

Seconda sezione: Silloge inedita di almeno 10 poesie e massimo 20 in quattro copie. Soltanto una delle copie dovrà recare il nome e l'indirizzo completo, compreso eventuale e-mail dell’autore. È gradito anche un breve curriculum da allegare in busta chiusa.

Terza sezione: Poesia singola a tema libero. Si partecipa inviando da una a tre poesie inedite e mai premiate in altri concorsi.
Inviare le poesie in 4 copie di cui solo una delle copie dovrà recare i dati completi dell’autore compreso un breve curriculum ed eventuale e-mail.

Quarta sezione: Fiabe e racconti inediti per bambini e ragazzi
Tema: libero. Lunghezza: da 3 a 12 pagine, indicativamente di 40 righe a corpo 12.
La sezione è aperta agli autori di età superiore a 16 anni.

Per inedito s'intende opera mai apparsa in volume individuale.
Per comodità della Segreteria si invita a inviare una copia via e-mail al seguente indirizzo: premio astrolabio@gmail.com in un file con indicazione del titolo dell’opera e della sezione di Concorso.
GIURIA
Presidente Valeria Serofilli (Presidente del Premio, poeta e critica letteraria)
Membri Mauro Ferrari (poeta, Direttore puntoacapo Editrice)
Ivano Mugnaini (scrittore e critico letterario)
Giulio Panzani (giornalista)
Andrea Salvini (antichista)
Antonio Spagnuolo ( poeta e curatore del sito letterario Poetry-Dream)
Comitato d’Onore:

Fabiana Angiolini (Consigliera regionale), Paolo Ghezzi (Vice Sindaco del Comune di Pisa), Dario Danti (Assessore alla Cultura del Comune di Pisa), Giorgio Bárberi Squarotti (scrittore e critico letterario), Dante Maffia (poeta e scrittore)
Regolamento
• Le opere partecipanti dovranno essere inviate a: Segreteria Premio Astrolabio, via Ciardi nr° 2F, 56017 Pontasserchio di San Giuliano Terme (PI) entro e non oltre il 27.09.2014 (farà fede il timbro postale).
• Per agevolare il lavoro della Giuria, si raccomanda ai concorrenti di inviare i propri lavori prima possibile, senza attendere il periodo a ridosso della scadenza.
• Possono partecipare al concorso autori italiani e stranieri con elaborati dattiloscritti in lingua italiana redatti su foglio formato A4.
• E’ ammessa la partecipazione a più sezioni.
Gli elaborati partecipanti al Premio non saranno restituiti: per i libri editi è prevista la cessione di una copia dei testi alla Biblioteca Comunale della città di Pisa.

L’esito del concorso verrà comunicato ai soli vincitori e segnalati e ai concorrenti che avranno indicato il proprio indirizzo di posta elettronica.

Per ciascuna sezione inviare € 20 per rimborso spese di segreteria, da versare in contanti in busta chiusa, oppure con assegno o tramite bonifico bancario (IBAN: IT 63 N 01030 25300 000000986 162 intestato a Bianchini Maria Luisa, specificando nella causale “Premio Nazionale di Poesia Astrolabio”e allegando al plico la fotocopia dell’avvenuto pagamento.
Per eventuali informazioni e comunicazioni rivolgersi preferibilmente al seguente indirizzo e-mail: valeriaserofilli@alice.it, oppure al numero telefonico 338.9640310.

mercoledì 12 febbraio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = PIETRO SALMOIRAGHI

Pietro Salmoiraghi –“ Autobiografia involontaria”- La Vita Felice – Milano – 2013 – pagg. 95 - € 12,00

“Autobiografia involontaria” è un testo interamente composto da sequenze poetiche di maggiore o minore estensione, che potrebbero considerarsi anche dei poemetti autonomi.
La raccolta ha per tema quello dell’esistenza dell’uomo, in tutte le sue sfaccettature, specialmente le più drammatiche, come quelle del tempo che passa inesorabilmente, della consunzione, della malattia e della morte.
La scrittura di Pietro Salmoiraghi è chiara e connotata da una certa narratività e il suo versificare procede per brevi periodi e frasi staccate l’una dall’altra.
La forma, che il poeta ci presenta, è elegante e controllata e connessa ad un ritmo incalzante e leggero e non manca una certa musicalità nei versi scabri, nervosi e scattanti.
Nella prima sequenza intitolata “La storia è uno stagn”, lo scorrere della vita è paragonato ad una navigazione, che porta, inevitabilmente, al limite estremo della morte – naufragio; il poeta non ha un ideale trascendente, per la qual cosa, fine di ogni cosa è il nulla; l’atto del navigare viene paragonato, simbolicamente, a quello dello scrivere. Fanno parte, dunque, come termini di uno stesso insieme, scrittura, vita, morte e navigazione, che, pur appartenendo a sfere sensoriali diverse, vengono accostati l’uno all’altro.
Paradossalmente il poeta afferma che la cosa più saggia, se mai sia possibile, è rimanere sulla terraferma e non imbarcarsi nella navigazione; il tono usato da Salmoiraghi è affabulante e leggero e si esprime nei versi, che sono veloci e icastici e il mare, nella sua numinosità, viene inteso come espressione del male, come una forza che va contro l’uomo. Nella sequenza “Prognosi riservata”, si parla della morte non senza autocompiacimento:-“Non conosceremo la nostra morte./ Ecco una verità che non conforta,/ e sbigottisce// Ardua fede credere all’annuncio/ che non saremo distrutti./ Destinati, questo sì / a sparire/ solo trasformati.//…”. A volte l’autore pare avere un atteggiamento nichilista, senza mai tuttavia cadere nella disperazione; il dolore è controllato in un dettato sempre ben risolto e i versi non sono mai debordanti e non manca, talvolta, una vena gnomica e filosofeggiante:-“Voglio vedere le tenebre/ e udire il silenzio/.”, scrive il poeta nell’ultimo segmento di Prognosi riservata, versi molto incisivi, vicini al non detto, e che esprimono il desiderio di una forma di uscita dalla razionalità dell’ordine delle cose.. C’è il tema del male, in queste poesie, inteso come malattia, morte e trasformazione. Anche gli sguardi possono generare il male. In “In un attimo”, tutto il discorso dell’io-poetante si basa su un riflettere interiore, introspettivo e il soggetto è molto autocentrato. Tutto questo fa pensare alle ragioni del titolo della raccolta “Autobiografia involontaria”. Qui il soggetto si rivolge a un voi; quella di Pietro Salmoiraghi è un tipo di poesia intellettuale, che nulla concede al lirico. La cifra di questa poesia è nella ricerca del senso della vita, sottesa ad una concezione molto pessimista. Le delusioni e le fantasticherie non riescono a lenire il dolore, in una vita che è quasi solo in funzione della morte, dico quasi perché a volte, raramente, ci sono delle accensioni verso una gioia che, se non posseduta in pieno, si possa almeno intuire.
Il poeta è alla ricerca del presente nella forma dell’inespresso e tutto è sotteso al pensiero della morte che, ossessivamente, viene nominata. Come si diceva, una forte vena pessimistica connota il discorso dell’autore, che dice che l’esistenza è un inutile spreco di energie, sudore e fiato. Se c’è una via di salvezza (molto precaria e labile) è quella consistente nelle illusioni, in una modalità che ricorda Leopardi:-“Non voglio rinunciare all’illusione/ che la parola/ possa dare origine/ ad altre trame, altri linguaggi/”-; quindi, se anche in forma di illusione, la fede nella parola può causare altri linguaggi, e dunque, altre forme di poesia.
Anche il tema della temporalità è presente in questa raccolta nella quale si cercano nessi tra passato e presente e il poeta afferma che non si può tornare indietro, se non con la memoria, che non è nostalgia. Il male detto dal poeta non consiste solo nella morte, ma anche nella violenza e nell’omicidio, in un mondo non più umano e anche i morti nella memoria tornano in sogno tra le pieghe della mente..
Tutto, in questa raccolta, pare realizzarsi sotto forma di un pessimismo cosmico che, per molti versi, ricorda Leopardi; tuttavia, come il recanatese, Salmairaghi non si geme mai addosso, e utilizza la poesia come antidoto al dolore: per il nostro, la vita per ogni essere umano, non è altro che un invecchiare nel corpo. a partire dal doloroso momento del parto, fino alla fine biologica: solo la poesia può lenire questa tragica dimensione e condizione umana:, scrivendo “un’autobiografia involontaria”, l’autore partendo dal dato personale e privato, giunge, in un procedimento che va dal particolare all’universale, a descrivere e delineare quella che è una condizione comune di ogni essere umano.
Come afferma Gabriela Fantato, nell’acuta nota introduttiva al testo, il libro di Pietro Salmoiraghi può incuriosire o infastidire, coinvolgere o lasciar freddo il lettore, ma di certo non lascia indifferenti, poiché da subito chiede di “prendere posizione” di fronte a ciò che si legge.
Il libro disorienta e stupisce, fa pensare e chiede ascolto, con un tono tenace e ostinato, con modi martellanti e forme acuminate.
Raffaele Piazza




INTERVENTO = UGO PISCOPO

“Allegrie del giovanissimo Leopardi”

Nell’immaginario moderno, (ma perché non anche nell’immaginario cristiano?), i fanciulli sono portatori di freschezza rinverginante il mondo. Da essi ci si può attendere tutto di possibile e di impossibile, in consonanza e in dissonanza. A casa, a scuola, quando ne fanno una delle loro, i fanciulli, immediatamente gli adulti, che educano alla menzogna e alla mediocrità, corrono ai ripari oscurando, disinformando, mistificando. Che dicono i signori adulti? Dicono (per confermare sé stessi e per trovare ascolto dovunque in alto e in basso) che quelle cose lì non sono farina del loro sacco, cioè dei giovanissimi, ma che certamente dietro ci sono suggerimenti e responsabilità di altri, di quegli altri adulti che maliziosamente, malvagiamente eccitano la fantasia dei ragazzi e se ne servono per creare caos. Secondo il dettato degli adulti, i fanciulli, dunque, sono semplicemente lievitanti di animule bianche, innocenti, del tutto immuni da pulsioni di disordine, perturbazione, scardinamento delle consuetudini.
La realtà è, invece, sorprendentemente, sorgivamente altra. Anche in quelli che da grandi sono diventati sommi poeti, artisti, musicisti, studiosi. E’ il caso di Leopardi, tenuto a crescere nell’umbratilità e nella severità di una famiglia patrizia, che si forma mangiando pane e istruzione sotto vigilanza di tetragoni precettori e nel rispetto assoluto delle norme. Eppure di là dentro, cioè da quella plumbea atmosfera egli riesce ad aprire impertinentemente le finestre sul mondo, ad affacciarsi a questa e a quella finestra e a far tintinnare in allegria e divertimento la sua gioia di vivere e di maneggiare disinvoltamente il pericoloso, magmatico, plastico materiale delle parole, degli accenti musicali, delle sillabe sussurrate maliziosamente.
Il riscontro è in un’aurea plaquette, a cura di un addetto ai lavori e poeta raffinato, Vincenzo Guarracino, “Un imbroglio di versi molto serio. Due inediti puerili di G. Leopardi” (Fondazione Zanetto, Montichiari 2013), con illustrazioni molto interessanti a cominciare dalla prima di copertina, che riporta un bel disegno del 1810 del giovanissimo Leopardi. Il prezioso squadernino è dedicato alla stampa e al commento di due composizioni epistolografiche, sempre di Leopardi ragazzo, indirizzate rispettivamente alla nonna (sì perché Leopardi ha avuto anche una nonna, di cui si scordano pressoché del tutto i biografi) e al precettore che lo ha seguito da quando aveva dieci anni sino ai quattordici anni. Certamente, tra il grandissimo poeta degli “Idilli” e questo poeta bambino c’è di mezzo il mare. Però, però, come prudentemente e saggiamente mette in luce Guarracino, delle connessioni anche se impalpabili, anche se per accenni microstilistici e microlinguistici, ci sono. Ed è una delizia riuscire a intravedere, sotto la guida del fine curatore, in filigrana ombre che transitano, echi in volo, disseminazione di germi che cresceranno in una delle vicende poetiche più persuasive e significative di sempre.
UGO PISCOPO --

PRESENTAZIONE VOLUMI = ANDREA MANZI

- Andrea Manzi : L’orma che scavo – Ed. Oedipus – 2013

La simultaneità è una delle cifre costitutive della modernità, dal futurismo in poi. Ed è attraverso il prisma della simultaneità, che si pone in essere Andrea Manzi, cioè si pone in essere la sua vicenda intellettuale e creativa. Giornalista di robusta e tersa vena, docente universitario, suggeritore di idee ed eventi, drammaturgo, poeta, ha già un netto e accreditato profilo per ciascuno di questi settori. Come poeta, ha raccolto consensi di Michele Sovente, di Maurizio Cucchi e di altri critici e poeti prestigiosi e il 14 febbraio (il giorno degli innamorati) presenta all’Istituto Italiano per gli studi filosofici, con interventi di Aldo Masullo e Silvio Perrella, la sua recente plaquette di versi “l’orma che scavo”, postfazione di Elio Pecora, Oedipus, Salerno-Milano 2013 (collana “Intrecci”, dove sono presenti anche Baino, Caserza, Pietropaoli, Giovenale). Fini suggerimenti di lettura sono dati nella bella nota da Pecora, che ci indica come filo rosso di attraversamento “un ritmo che, per varietà di toni e di accenti, anche per cenni e baluginii, reinventa difficili e mobili verità, conduce a percezioni inquietanti”. La verità, però, qui come anche nelle raccolte precedenti, per Manzi non ha nulla di statico e di definito o definitivo, essa piuttosto si innerva e germina nel flusso magmatico della vita, in un continuum di diurnità e di notturnità, di materico e di spirituale. In filigrana, traspare costante un richiamo al garbuglio molto imbrogliato di soma e di psiche. La precisazione è richiesta dall’insistenza dell’autore, anche in altri lavori, come quelli drammaturgici, sull’interstizialità di pieni e vuoti abbastanza spessa, se non vischiosa, che tiene insieme le due facce opposte dell’esser-ci. Nei fatti, unità, verità, sintagmaticità (in senso metaforico) si collocano sullo sfondo: quello che va in scena è il faticoso viaggio in mezzo a tutta questa inestricabilità. Non resta, per la conferma e la cronaca dell’evento faticosissimo, oneroso, straniante, che il riscontro delle orme sul terreno vulcanico, fumigante, arroventato. Riscontro a posteriori, come di chi si volge indietro e resta attonito e incantato dalle tracce, da questi segni impressi indelebilmente sulla piattaforma dove si avanza a rischio e con dolore. E’ significativo, negli appunti presi a brandelli, per guizzi di amebe, un po’ come nella pittura di Klee o di Mirò, che la verbalità acquisti una forte presenza, in un giuoco di accensioni dall’urto fra presente pervasivo e passato puntuativo, crudelmente ermeticamente chiuso in sé stesso.
UGO PISCOPO --

lunedì 10 febbraio 2014

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

ALESSIA E LA LINEA DELLA VITA---

Vita felice di Alessia
sulla mano sinistra
impressa (letta dall’amica
Veronica al colmo
della grazia). E’ scritto
che sarai felice in amore,
responso di ragazza.
Largo al bianco delle vele
di Alessia nella vita
(adesso sa che non la lascia).
In una gioia che pare vino
corre Alessia per prati
ad accarezzarne il verde
scalza, giocando alla
California. Un raggio
azzurro cade dal cielo
e la stella: vita nova
di Alessia, protesa al
limbo duale di una gioia
che sa di fragola e di
panna nella camera
dove l’amore è già
accaduto.
**

ALESSIA E IL CAMPO ANIMATO -

Sera serena in limine all’acqua
di sorgente fredda e azzurra, a
imprimersi nella mente di Alessia
(quella precedente che non torna).
Si apre una porta per il campo
animato di grano profano per
fare l’amore e rielaborare
le tracce per della felicità la
conquista.. Guarda ragazza Alessia
una rondine azzurra e trasale.
Viene Giovanni nerovestito
per la vita nova oltre la mietitura
e prende Alessia paria a felce.
Gioisce Alessia nel piacere
(tanto non mi lascia).
**

ALESSIA E IL LAGO DI FEBBRAIO

Sera a inazzurrarsi cielo nel
lago del freddo di febbraio.
Alessia vestita d’aria rosa
osserva il sembiante sotto
le cose di un plenilunio nel
suo cominciamento. Si
accorge di Giovanni nel
suo giungere oltre i fioriti
campi di grano intorno alle
acque del secondo mese
a risaltare nella forma
bella di un gelo che giunge
alle cellule e all’anima
di vetro e tutto è magnifico
nella sequela degli aquiloni
dei bambini a tendere
dove gli occhi di ragazza
Alessia e di Giovanni
s’incontrano.
**

ALESSIA E IL GIARDINO SEGRETO

Serie di sere di febbraio
(la precedente che non torna).
Nel campo azzurro del cielo
ritrovato nel delta del diario,
di ragazza Alessia il giardino
segreto. Sogni trascritti con
affilata grafia da non raccontare
a nessuno (il più dolce)
oltre la casa, il tempo e la città.
A poco a poco nell’ora blu
canta un volatile. scrive Alessia
con sicurezza e le muse
inquietanti se ne sono andate.
Prosegue del fiume il platino
in esatto stupore, mette una
foglia come segnalibro Alessia.
Il senso lo coglie nel non dire
A Veronica che sta di nuovo
con Giovanni.
**
Raffaele Piazza

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

"FOTO"
Se guardo la tua foto e sussurro il tuo nome
cosa rimane nel sogno che rinnova
l’angoscia e l’urlo delle mie illusioni ?
Anche il tempo dilata follie:
non più tenerezze, non più con sillabe
masticate ai margini del mistero,
ma con il terrore della tua assenza ormai certa.
Il passato torna e mi avvolge
in una luce diversa,
e propone il profumo della tua gioventù,
per ingannare il momento.
**
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 9 febbraio 2014

PRESENTAZIONE VOLUMI = FABIANA FRASCA'

FABIANA FRASCA' : “Aporia delle scorie” – Giulio Perrone editore – 2014 – pagg. 100 - € 12,00
"Prefazione" –
Dietro la levigata superficie dei versi traspare la vigile coscienza del poeta che cerca la realtà anche dietro lo specchio, per miniaturizzare quei chip che la tecnica contemporanea ha saputo inserire nel proporre la quotidianità insita nel bosco della realizzazione. Anche se nessun versante sembra offrire una soluzione convincente e duratura della crisi della poesia italiana, inceppata da anni in sterili opposizioni fuorvianti, nella illusione che una nuova maniera di poetare potesse ridar credito e vita alla creatività , ecco che ritroviamo con stupore e legittima soddisfazione una costruzione musicale che sfiora con arguzia e rimandi il tessuto della scrittura , per rompere con insistenza l’isolamento della lirica.
Da buona viandante Fabiana viaggia di gran carriera il viaggio della vita, sul ritmo di versi , di rime alternate, di ritmi leggeri, regolarmente battuti e di duplicazioni valevoli da itti e da impulsi. Il senso della ripetizione dona una visione che non riesce a rasserenare, anche se cerca ogni esorcismo per allontanare l’angoscia ed il pericolo di Thanatos. Frammenti , brevi aforismi , concisi e scarni, segnali mutevoli e precisi, si propongono nella ricerca esasperata della fine delle cose, sempre entro la dimensione della vita, quando la vita si renda lodevole di essere vissuta, in piano , con la matura coscienza che ne valga la pena, per un’apertura razionale e relazionale , che mai dovrebbe venir meno.
Urlare per non piangere, urlare per sospendere l’angoscia, cercando di abbandonare ogni scetticismo per ironizzare quando è possibile , nel testo e nel reale, cerando con semplicità la distanza dell’ironico nel colloquio intimo e privato.
Lei scrive :
“Anche le parole si ammalano e muoiono e a me piace curarle come un medico, confessarle come un prete, resuscitarle come un dio. E il processo è biunivoco perché a loro consento di fare lo stesso con me.”
La pagina è arrendevole per una sua salvifica intenzione per la quale ogni porta si socchiude, e provare ad entrare è cosa facile perché la carica emotiva della narrazione ha una forza sua ineliminabile.
*
“Mai il tempo di capire.
Fermare le cose prima
Di percepire. Questo vorrei.
Sentire senza sapere.
Un solo accennato.
Un lasciato a metà.
Lì dove timida e sola
si snuda la verità.”
*
Lo sforzo di sottrarsi in tutti i modi alla nudità del dolore nasce dal bisogno di ritrovare un contesto ed una cultura ed una identità dalla quale riprendere la vita per innesti nuovi e talee rinnovate, proprio per il ritrovamento di un futuro lontano dalla finitudine e nello specchio della consapevolezza che la verità si nasconde, timida e sola.
Così tenta la poesia come inaudita architettura di parole, percorso alternativo, con le sorprese, gli imprevisti, le fermate obbligatorie.
Per diversificare si avventura in una terra incognita, prova le varianti, i transiti interrotti e provvisori, tenta probabili vie di fuga e ci offre occasioni di oltrepassare la
morte, eludere le frecce direzionali del beffardo corso della vita. Ripercorre a ritroso il viaggio per redimere il passato, l’effusione della memoria nei luoghi del tempo, per riflettere e scoprire infine, sospeso, un istinto di sopravvivenza legato al sogno che la stessa vita in qualunque momento potrebbe lasciare.

La secchezza con cui viene proposta la dignità di un poeta appare come una formula magica che lo stritola , lo dissolve, perché a volte la sua ironia ha la forma del commento difficilmente decodificabile per la sua ottima struttura simbolica. E qui sovviene Joyce nel flusso di una coscienza per la quale il materiale emotivo ed intimo, monologante nei tempi e nei luoghi, ha richiami e fusioni che si contrappongono tra realtà e sogno, tra desiderio ed illusione.
*
“Non seppi mai trovare
al tuo pronome lo spazio
per poterlo declinare
e dargli smalto nel lume
di candela tra sbadigli
che omisero le ore
da tutte le oneste
ripartenze.
La gente non sa stare
bene insieme. Per questo
la morte è tanto triste.”
*
Lo spazio è tutto intorno all’io che sussurra, intorno ad una clausura che diventa rarefazione per un accumulo pudico e sobrio di parole ed immagini, lenta sedimentazione del vissuto, intenzionalmente povera, un connotato di cronaca che attinge dalla storia , dal quotidiano , dalle esperienze, stipate in uno spazio ben preciso e delimitato, fisico , molto spesso nella cornice della familiarità. E’ questo lo spazio poetico che rivela il profilo della estraniazione per attraversare le carenze affettive. Tra preistoria e post-storia, di un nuovo che si confonde con l’antico, di un patetico che si mescola con l’apatico. Non ammettiamo la confusione, ma come elementi fusi interamente legati alla psiche.
“Se non fossi che pietra, un granito
stabile e fisso io saprei quelle braccia.
Ma non ha carne la pietra, né fiori.
Non conosce la terra, gli odori.
Sa imitare soltanto nel tatto,
simulare in quel freddo contatto
parvenze di mani di bocche di denti.
Inventarsi in un simulacro
un’anima dura. Necrotica e pura.” (Statua)

In queste poesie si sente tutto lo sforzo di affrontare la materia con atteggiamento non tanto distaccato quanto trattenuto , ma la memoria del dolore appare prepotente, attraverso piccoli movimenti, o gesti , o tempi brevi, che possano modificare il gelido marmo in morbide carezze fuori dall’angoscia.
Nella vita per qualsiasi evento lo sguardo si modifica immediatamente per reagire, e la conoscenza diventa un misto di ossessione e di ineluttabilità, quasi allegoria di un discorso sul mito, in una serie di canali semantici, o una rete di senso, che stringe a formare il tessuto delle assenze o delle perdite, per entrare nella struttura del pensiero stesso che punge per dialogare e che soffre per ascoltare-

I chiaroscuri sono presenti come pennellate caleidoscopiche , nel rispecchiare il mondo intimo e segreto dell’autrice, per immagini decisamente innestate tra realtà e sublimazione , tra sentimenti e rappresentazioni, quasi a voler comprendere l’irrazionalità che irrompe nella gigantesca fatica di una esistenza razionale, nella continua affannosa ricerca del riemergere.
ANTONIO SPAGNUOLO -

giovedì 6 febbraio 2014

POESIA = GIOVANNA IORIO

Dalla raccolta inedita "Tasti muti"
**
("Ho sognato che avevo disegnato tasti
Di pianoforte sul tavolo della cucina.
Io ci suonavo sopra, erano muti.
I vicini venivano ad ascoltare.")
(Tomas Tranströmer)
**
1.
è caduto un angelo in mezzo al niente
cielo evaporato dove
saltano i pesci sul fondo di un bicchiere

salati gli occhi di chi inerme guarda
le ali prive di volo

un uomo vestito di nero
raccoglie la pioggia bianca
offre piume ai passanti
scrive sui muri.
**
2.
Solo occhi

il bianco ricorda il nero
il lutto della luce
la voce è seduta
sull'orlo di un precipizio – laggiù
una radice fruga nel buio-

pulire la coscienza con uno straccio sporco
la giovane cameriera strofina
la macchia sul vetro opaco di un tavolo
ma lei è stanca di allargare olio
annega il viso di un cliente
mentre lui frettoloso chiede: il menù.

La voce - un’eco lontana
anni luce - risponde: arrivo signore.
**
3.
Dorme una volpe
nel buio di fragili ossa
il silenzio è ispido
ha il pelo rosso
di un animale selvatico.
**
GIOVANNA IORIO ---






SEGNALAZIONE VOLUMI = RENATO FASCETTI

Renato Fascetti – “Mosaico Villiano” (con un testo poetico di Mario Lunetta
e un inedito di Emilio Villa)-- Fermenti Editrice – Roma – 2012 – pagg. 95 - € 12,00

Renato Fascetti, autore di “Mosaico Villiano”, è nato a Roma nel 1936. Consegue il diploma di maturità scientifica ed anche se contemporaneamente frequenta alcune lezioni dei corsi serali all’Istituto d’Arte di via di S. Giacomo a Roma si considera autodidatta.
E’ proprio questa autonomia che gli consente una più personale ricerca che esprime attraverso un originale spazio pittorico, concreto, reale, visivamente percorribile, necessitato dal bisogno emotivo e psicologico di varcare la superficie del quadro.
Il testo è preceduto da “Sobillazioni sibilline” (per Emilio Villa, in memoriam) di Mario Lunetta, poemetto in cui l’autore si rivolge all’amico con una scrittura visionaria e ironica, attualizzando degli immaginari incontri con il poeta, che è, ormai, una figura in un’altra dimensione; nell’opera è iterativo il rivolgersi a Villa in modo confidenziale.
In chiusura leggiamo il testo inedito di Emilio Villa intitolato “Ancienne Geometrie Sabine”, scritto in un linguaggio ideato dallo stesso poeta, idioma oscuro ed evocativo, vago e affascinante.
“Mosaico Villiano” è costituito da undici capitoli; le pagine quasi familiari dell’opera hanno per argomento alcuni momenti che Fascetti ha avuto modo di passare con e attraverso la personalità dell’artista, eccezionale figura della poesia e della critica italiana, un temperamento scomodo, da sempre spina nel fianco di ogni retorica, accademismi e convenzionalismi letterari.
Scrive Fascetti di avere avuto per Emilio l’ammirazione e la soggezione per chi ti fa varcare la soglia più immediata della realtà e con osservazioni e commenti esuberanti ma concreti, ironici e dissacranti, apre ad ottiche intense e sorprendenti, senza mai apparire come un intellettuale o un professore in cattedra.
La prosa del nostro è chiara e leggera, caratterizzata da un profonda analisi psicologica e presenta una grande eleganza formale; nella copertina del libro è raffigurato un Ritratto policromo, una tecnica mista dell’artista, che ritrae Emilio Villa e che risale al 1990; le descrizioni sono precise e ricche di particolari.
Nella prima parte, intitolata “Piazza Farnese e dintorni”, viene narrato il senso di disagio di Fascetti, vissuto nel momento in cui scorgeva l’amico per le strade romane ed era colto dal dubbio se avvicinarlo o meno, preoccupato dal fatto che la sua presenza non gli fosse gradita, consapevole delle sue limitate esperienze intellettuali e di vita vissuta.
In realtà Villa, nonostante la differenza di età e il diverso spessore culturale, che lo distingueva dal pittore, era sempre con lui affettuoso cordiale e amichevole e lo stesso Fascetti riconosce che la sua esitazione era del tutto ingiustificata e causata dalla timidezza.
I due si conobbero in un pomeriggio estivo del 1959 e il loro primo incontro avvenne nel piccolo studio-mansarda di Mario Schifano.
Quando Emilio lasciò lo studio, Schifano raccontò a Fascetti che il personaggio era uno straordinario poeta-critico-scrittore sempre defilato e ribelle rispetto all’ufficialità del mondo culturale, ma che aveva il credito straordinario degli artisti di rottura.
Nel capitolo “Intermezzi sabini” l’autore si sofferma sulla sofferenza fisica e morale del poeta causata dalla paresi che l’aveva offeso; non poteva esprimersi più con le parole e comunicava solo con il braccio sinistro, articolando con difficoltà qualche suono vocale, lui che con le parole aveva scritto delle altissime poesie e di critica d’arte; il poeta era stato colpito da un ictus e, nel lungo calvario che lo portò alla morte, gli fu vicina Nelda, ultima compagna della sua vita, che gli rimase accanto con il suo affetto insieme a qualche vero amico, come lo stesso Fascetti.
E’ toccante la scena di vita vissuta da Villa, durante il suo ricovero ospedaliero, quando è narrata la visita di due critici accademici, che andarono a trovarlo compiaciuti dal suo stato e falsamente addolorati.
L’autore riesce a descrivere, attraverso la diegesi, un vero e proprio mosaico, composto da fatti relativi alla vita artistica romana degli anni ’60, ’70 e ’80, situazioni che ruotano intorno alla figura dello stesso Villa, contornato da poeti, pittori e galleristi.
A proposito dell’approccio critico di Emilio, va sottolineato che, quando osservava un lavoro, che sollecitava la sua attenzione, si creava una partecipazione autonoma del poeta che, prendendo spunto dalle forme e dal colore del quadro, accompagnava parallelamente il suo narrare, liberando emozioni, sensazioni, immagini inedite e facendo percepire la potenzialità dell’arte simile al fenomeno del sasso, che gettato nell’acqua cheta e sonnolenta, genera scompiglio e onde che, come l’eco, si perdono nello spazio e nel tempo.
Figura altissima quella di Emilio Villa che Fascetti sa restituirci molto bene nel suo spessore di artista e uomo.
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Raffaele Piazza

mercoledì 5 febbraio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = AMBRA SIMEONI

AMBRA SIMEONE : “Come John Fante…prima di addormentarmi” –Ed. De-comporre- € 8,50 -
I racconti di Ambra Simeone, nel libro "Come John Fante… prima di addormentarmi”, nascono da pensieri e frasi che le sono state regalate da altri e che lei trasforma in storie, mutuando dal film “Lo stato delle cose” di Wim Wenders la riflessione per la quale: “Le storie esistono solo nelle storie perché la vita scorre nel corso del tempo senza bisogno di storie.” Un aspetto molto interessante della sua scrittura è che riesce a fare due cose apparentemente in antitesi: contestualizzare, temporizzando sequenzialmente attraverso la catena, che lei fa diventare lieve, del filo conduttore e, nello stesso tempo, decontestualizzare, dilatando e restringendo la narrazione attraverso un sapiente missaggio fra balzi in avanti, repentini ritorni indietro e un presente che oscilla fra questi due momenti, ma è anche in grado di dilatarsi a dismisura. In pratica, si può leggere appassionandosi al racconto ed è possibile fruire dei singoli momenti della narrazione stessa, astraendoli dal contesto e ridisegnarli nella nostra vita quotidiana. Ci sono momenti, nei suoi racconti, che le parole diventano piccoli e brevi aforismi, sono il segnalibro che si espande attraverso immagini che il lettore può immaginare e non si limitano a illustrare le parole, ma ci offrono nuovi e creativi orizzonti che riflettono sul cammino quotidiano. Nei racconti di Ambra, il filo conduttore è costituito da una scrittura giovane, per certi versi acerba (nel senso di essenziale), che abbraccia tutte le storie raccontate e, nello stesso tempo, traspare la volontà di ribellarsi a una società che, impedendo l’esplosione dei sentimenti, spegne la vita quotidiana e si trasforma in un cinico vecchio, senza speranze, che non può negarsi alla dittatura della festa dei consumi. Questo libro potrebbe esser paragonato a un grande arlecchino, che cresce, pagina dopo pagina, costruito progressivamente perché ciascuno porta un pezzo di stoffa colorata per confezionare un vestito nuovo. Uomini e donne, afferrano coriandoli variopinti e li trasformano in un semaforo che regola un traffico di emozioni, relazioni, sensazioni, apprendimenti e comunicazioni. Con Ambra si viaggia e si scopre il mondo che anima i vari personaggi, ma si è anche costretti a fermarsi e comprendere che l’incontro con l’altro è una scoperta che provoca il rimescolamento delle carte quando ci si imbatte in una voce, uno sguardo, una presenza che ti invitano a fare una sosta. E qui si può trovare un’altra apparente contraddizione perché, da un lato, si sussurra, con il fluire della scrittura, che racconta, soprattutto, di esseri curvi che osservano lo scorrere del tempo senza speranza, dall’altro, si grida la necessità di cercare e, soprattutto, riuscire a vedere, quei piccoli semi, nascosti fra le pieghe della quotidianità, in attesa del soffio della vita che si genera con l’incontro. Attraverso la ribellione, Ambra, riesce a farli diventare complementari. Infatti, di fronte all’impotente disfacimento che le sta di fronte, scrive per scuotere i dormienti e indica quell’universo nascosto che non trova mai spazio in prima pagina e che può essere scoperto solo fra le pieghe di trafiletti, accuratamente mimetizzati da titoli roboanti. Ecco, “John Fante…prima di addormentarmi” e un insieme di trafiletti che raccontano una storia delle storie.

Giuseppe Callegari

martedì 4 febbraio 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = IVAN POZZONI

Ivan Pozzoni – “Lame di rasoi” - Edizioni Joker – Novi Ligure (Al) – 2013 – pagg. 61 - € 10,00

Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Ha già pubblicato alcune raccolte di poesia. Tutte le poesie del libro, che prendiamo in considerazione in questa sede, sono centrate nella pagina e, spesso, essendo costituite di versi brevi, sono verticali. La raccolta ha una forte compattezza espressiva e non è suddivisa in scansioni; il poeta utilizza un linguaggio duro e crudo, del tutto antilirico, come se i versi fossero lame di rasoi, come dal titolo, e tutto il contesto è giocato nel dialogo serrato dell’io-poetante, con un “tu”, presumibilmente la figura dell’amata. La poesia che apre la raccolta ha un carattere vagamente programmatico e c’introduce nel mondo della poetica di Pozzoni. Questa poesia è intitolata Mani vuote:-“/Non hanno nessuna/ intenzione di capire,/ bimba mia,/ neanche da lontano,/ che non riusciranno/ mai, a rubare l’anima/ ai poeti, finché/ vive chiusa in/ casseforti dalle/ pareti di zinco,/ con borchie/ d’ottone,/ rubare/ anime/ di fanciulli,/ non conviene, perché si rimane,/ sempre a mani vuote/-“: questo componimento esprime una riflessione, non priva di ironia, sull’essenza della poesia e sull’anima dei poeti, potremmo dire sulla maledizione di essere poeti: il componimento può dirsi risolto in un apologo ben riuscito a favore dei poeti e della poesia, poesia tanto bistrattata e fraintesa, soprattutto ai giorni nostri, da quello che Erich Fromm, già negli anni ottanta stigmatizzava come il modello vincente, quello dell’avere rispetto a quello dell’essere, modello che è anche quello dell’arte e della poesia. In questi versi il poeta viene visto come un eterno fanciullo, come nella poetica del fanciullino pascoliano e, si potrebbe presumere il poeta stesso, come eterno adolescente, secondo la concezione leopardiana, schema che riecheggia alla lontana la forma dell’elogio dell’immaturità,, tema trattato da pedagogisti, filosofi e psicologi. In definitiva in questa poesia viene esaltata la dignità dell’essere poeta che si realizza nel possedere una natura inafferrabile, pur senza essere necessariamente vate.

Una poesia differente dalle altre di “Lame di rasoi”, nelle quali è stabile la presenza di un “tu” è “Animali braccati”, che ha per tema il mondo del lavoro, spesso spietato, sul quale il poeta riflette. Si tratta di una poesia dal taglio sociopolitico, nella quale il tipo di linguaggio dell’autore bene si adatta alla materia trattata: c’è da notare, in questa poesia, tratto costante di tutte le poesie di Pozzoni, che il linguaggio è scabro ed essenziale nella sua icasticità e, nello stesso tempo, nitido e chiaro, dall’andamento narrativo.:-“/Cosa ci resta/ da fare, sbranati/ da immortali/ mondi del lavoro,/ con offerte inesistenti,/ rasentando sfruttamento,/ non retribuito da atti/ adatti alla vendetta,/ con l’umiliazione divorante/ di chi non sia filiusfamiliae,/ chiusi nel carcere d’oro/ della frustrazione, smarriti dentro a tunnel/ d’ansia demoralizzati,/ amoralizati, immoralizzati?//… Attraverso i versi taglienti e acuminati del poeta, tali per le scelte lessicali e per il ritmo sostenuto, l’autore riesce a dipingere a dire, situazioni che tanti lavoratori, soprattutto del settore operaio e impiegatizio, sono costretti a vivere sulla propria pelle: si tratta di un mondo del lavoro che sottende un bassissimo trattamento stipendiale, che crea scoraggiamento e disagio nel lavoratore, tra l’altro costretto ad azioni ripetitive, meccaniche e disumanizzanti. A tutto questo contesto si può affiancare il disagio creato dal mobbing, termine tipico del postmoderno, per farci intendere tutte le forme di screzi e cattiverie, che si verificano nel mondo degli uffici, da parte di colleghi più forti e maliziosi, ai danni dei colleghi più deboli.
In questa raccolta l’amore e l’eros vengono scritti e vissuti a tinte forti, con parole gridate e, a volte sofferte, come l’amore fa soffrire, anche se può dare rassicuranti gioie: così, a questo proposito è paradigmatica la poesia Fiotti d’avena, che è antitetica alle poesie amorose di Neruda, come pure è molto lontana dalla tradizione amorosa latina e greca. In questa poesia ci sono espressioni che sconfinano nell’oscenità e l’amore non viene vissuto con delicatezza, anzi, si potrebbe affermare che l’io-poetante, più o meno autobiografico che sia, abbia paura della tenerezza. C’è da notare, in questi versi, l’ansia divorante di una sensualità aggressiva nel fare della donna un oggetto di piacere, put provando amore e attenzione per la stessa figura femminile. Qui si nota un procedimento anaforico con la ripetizione di “Prendimi forte” all’inizio di ognuna delle tre strofe del componimento:-“/Pendimi forte/ tra le braccia/ e tira la catena/ maschera oscena/ grido d’arena/ sulle nottate vorticose/ d’anima in cancrena/ sulle giornate stese/ steso ad asciugare/ all’ombra dei rancori,/ sulle tue scommesse/ messe in mano a scaltri allibratori-/”. Notiamo in questi versi una densità metaforica e sinestesica veramente notevole e un procedimento per accumulo nel versi leggeri eppure icastici che si avvicendano con n ritmo sincopato. A volte si arriva, in questo componimento, ad un’esaltazione della sensualità:-“Prendimi forte/ spiazzami / tra le tue braccia/ e i tuoi seni,/ tira la catena,/ dopo esserti abbuffata/ bulimica, abulica…/” Se il corpo è importante come strumento di conoscenza, come elemento fondante nell’essere nel mondo, qui il corpo si riduce a sola carne, tesa in una ricerca spasmodica del piacere sessuale, congiunto, senza pudore, con quello del cibo: attraverso i versi di questa poesia il poeta ci fa anche sorridere con una velata ironia e, c’è da notare che, e questo è un pregio, nel suo eros esibito e disinibito, Pozzoni non cade mai in descrizioni violente: descrizioni, invece, quelle di Pozzoni, che illuminano il lettore sul senso del fare l’amore, come avviene in tante pagine della letteratura, utili per capire il senso dell’eros.

Raffaele Piazza
_______________

"Doccia scozzese"

Mi trovi qui
stasera a ripetere
il tuo nome, ridondante,
dente dondolante
caldo di notte boreale
freddo di tuoi occhi
di liquore al metanolo
caldo sotto le coperte
di rovi della vita
freddo d’intenso incenso
spruzzato a spruzzi
d’inferno denso.
**
Tu
-sai chi sei –
di stanchi istanti
colti a maggese
mi trovi a ripetere
il tuo nome schiavo
del pronome “mia”
(so che non è un pronome
Lettore ma arrivaci i da solo
o telefonami
senza sapere
dove e come
mi hai barattato alla follia


________-
"Sono nudo"

Poeta d’istanti
addormentato nell’anima
torbida del novecento
artista distante
instradato di notte, tra
i risvolti del nuovo millennio
continuo a vedermi nudo
eroe nascente, aurora
d’ombre senza armatura
smarrita nei cubicoli
del non so dove, chiuso
fiori tra armadi ricchi
di nuove vesti, sbatto
il muso contro ante e anta
in avvicinamento, e
chiave sullo stomaco
in attesa di trovare una
dolorosa via d’uscita
non riesco a aprirmi


lunedì 3 febbraio 2014

POESIA = ETTORE BONESSIO DI TERZET

CINECLUB----
*
Andata e ritorno vanno
gli uccelli migratori,
forse lo sanno forse no
come gli elefanti che ripercorrono
le note piste e le gazzelle che
dalla brughiera vanno verso
le colline dì erbetta fresca.
Forse lo sanno forse no,
noi crediamo di andare avanti
retrocedendo verso l’Origine
svolgendo storia e cronaca
come se fosse l’autentico reale,
non un filmdoc che un regista amico
girò per la comprensione dell’uomo.
*
Ettore Bonessio di Terzet

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

ALESSIA e il 3 febbraio 2014
*
Stelle consecutive la sera
precedente che non torna
si sono aperti i negozi
e le stazioni attendono
Alessia rosa vestita per
la vita senza luna la fabula,
il sembiante attento
al farsi delle cose
sereno il giorno.
Chiaro mattino da volatili
solcato, la materia del
freddo si fa nella pelle
e nelle fibre di Alessia
per rigenerarsi. Ha
acceso un cero sul bordo
del Mediterraneo ragazza
Alessia: preghiera
duale con Giovanni che vada
bene.
*


ALESSIA E LA FOTOGRAFIA---

Campita Alessia nella densità
del cobalto di un cielo
freddo di stelle semispente
nel suo rivelarsi di azzurrità
intermedia a porgere parole
sul filo di lana dell’arrivo
a un traguardo di duale gioia:
la fotografa Giovanni ragazza
Alessia nuda nel letto
in attesa dell’amore.
Per giocare le fa fare clic
l’amato con la fotografica
macchina che ne sveli l’anima.
Discinta ride Alessia
sul farsi dell’aria amica,
attesa della tinta delle
sue mani a toccarla.
Nell’incanto meridiano
ride Alessia e trasale.
**

ALESSIA E IL LAGO DELLA GIOIA---

Nello specchiarsi gioia
senza peso, ragazza Alessia
al colmo della grazia:
acque di lago, toccata
Alessia da due sogni belli.
Si avvicina il viso alla
freddezza del liquido
stupore: vede se stessa
nel sembiante pari a specchio,
tesse una musica del vento
lo stormire, oltre le cose
delle ore. mattino
precedente che non torna
levigato dalla danza
di margherite negli occhi
ad emergere nel verde:
pratense estensione…
I confini del lago a poco
a poco in esatta terrena
meraviglia, Telese,
per Alessia ancora
esiste.
**

LINEA DELLA GIOIA DI ALESSIA -

Sottile linea della gioia di Alessia
nel guadare l’azzurro freddo
del fiume della vita, delta
nell’inalvearsi nel mare
dei ricordi e il sogno più bello
trascritto con incerta grafia:
attimi disadorni e poi nuova
luce ad accadere nelle pareti
della casa (tanto Giovanni non
mi lascia). Sospesa Alessia
tra le cose del mondo, la lama
dell’anima resiste pari a platino
nella selva profana della camera
dove prepara il prossimo letto.
Si stempera la durata elementare
di un’attesa fino al trillare
del cellulare nella tasca.
**
Raffaele Piazza