lunedì 29 febbraio 2016

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

Considerazioni critiche sui testi poetici di Luciana Riommi inseriti in “Dentro spazi di rarità” - Antologia Nuovi Fermenti Poesia – 9 - Fermenti Editrice – Roma – 2015 – pagg. 169 - € 18,00


Luciana Riommi, nata a Roma, da oltre trent’anni ascolta esistenze altrui, che accompagna per un certo tratto. Da sempre è impegnata ad affermare la dignità della persona, contro la banalizzazione e la volgarità imperanti, contro ogni forma di violenza culturale, psicologica e fisica.
Ha pubblicato con la Fermenti Editrice la raccolta di aforismi, poesie e racconti 3 d’union con Giovanni Baldaccini e Antòn Pasterius.Suoi testi sono usciti sulla Rivista “Fermenti”.
E’ presente con la silloge Incrocio a raso contraddistinta dalla cifra distintiva di un tono leggero, soave e sospeso, da un articolarsi dei sintagmi carico di grazia e bellezza, raffinatezza, senza autocompiacimenti o virtuosismi. Si può mettere in relazione la professione di psicoterapeuta della Riommi con la sua poetica. Infatti nei versi antilirici prevale un sentire fortemente accentuato, che tende alla riflessione, al solipsismo, al mentale.
La raccolta è costituita da venti testi di varie estensioni, i titoli dei quali iniziano tutti con la lettera minuscola. Anche la parola dell’incipit è sempre in minuscolo e questo dà una sensazione di magia alle poesie.
I versi sono scabri ed essenziali e l’io-poetante si svela limpidamente sulla pagina. La forma è particolarmente raffinata e ben levigata e tutte le poesie sono ben risolte e fluiscono in lunga ed ininterrotta sequenza
La vena è affabulante e nello stesso tempo tendente alla complessità. I versi sono scabri ed essenziali, cadenzati e ritmici e le strofe sono molto compatte e dense. Le varie composizioni, nel loro progredire, sembrano decollare sulla pagina.
Lo stile è cantilenante e suadente e la natura detta da Luciana è rarefatta. In Sembrano parole, la prima composizione, si nota un tono programmatico:-“provo/ ad articolare/ il filo/ di una storia…”.
Il traslato introspettivo si nota fortemente in forse:-“/forse pensieri sottintesi/ filosofie nascoste alla rinfusa/ sui tavoli affollati dei caffè/ dove si spende l’ultima moneta. Povertà – di spirito intendevo - / e si consuma il tempo…//”.
Nel suddetto componimento la partita si gioca tra pensieri e filosofie e la materialità dei tavoli affollati dei caffè, dove si spende l’ultima moneta, che potrebbe simboleggiare l’ultima parola pronunciata. Le immagini sono sempre ben misurate e la voce è quasi sempre tendente al colloquiale e al confidenziale.
Nella poesia eponima predomina il tema della riflessione a livello cronologico:-“magari ho perso tempo/ a misurare la durata di un istante/ a calcolare il diametro di spilli…/”. Quindi, anche il tema della temporalità, nel tentativo di misurare un istante, che potrebbe essere un attimo inteso come feritoia tra passato e futuro.
Il tempo perso si potrebbe riferire anche alle occasioni mancate nella vita e che non si sono tradotte in poesia.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIULIANA DONZELLO

Nota di lettura di Valeria Serofilli al volume "Il tre periodico" - Aletti Editore, Guidonia di Roma 2015- di Giuliana Donzello.

La dedica del romanzo di Giuliana Donzello, pubblicato per i tipi di Aletti Editori e presentato qui oggi nell’ambito degli incontri letterari dell’Ussero di Pisa, lungi dall’essere scontata e prevedibile, ci offre una chiave di lettura essenziale: “Dedicato a tutti gli uomini e le donne che hanno scelto d’amare”. Sono queste le parole con cui la Donzello ci fornisce una bussola e un’indicazione per percorrere nella direzione giusta la sua interessante e vivida narrazione.
“Scelto” implica una volontà, un desiderio, un atto deliberato di coraggio strappato al caso, al destino, alla sorte, a qualunque forma di condizionamento esterno. Correlata al concetto di scelta c’è anche la conseguenza diretta e immancabile: le conseguenze dell’amore, per riprendere il titolo del noto film di Paolo Sorrentino, con tutta la gamma di dolore, ostacoli, sofferenza da pagare per l’opzione vitale, essenziale.
L’indagine sull’innamoramento e sull'amore di Giuliana Donzello è condotta ad ampio raggio, includendo le sfaccettature dell’aspetto fisico e mentale, del senso e della fantasia, della trasgressione sognata e reale.
Un’indagine che mette in mostra le fragilità di un rapporto basato su una scommessa, la certezza di essersi riconosciuti. Una scommessa rischiosa, ma in grado di dare senso alla permanenza ai tavoli di questo pianeta.
La forza e la fragilità, due lati della stessa realtà, ma che non hanno senso l’uno senza l’altro e che insieme diventano certezza. E la Donzello ha il coraggio di dimostrare che non tutto è Arcadia e idillio: sussistono contrasti, imperfezioni, fragilità, beffe della sorte e altri ostacoli ardui e massicci: ma è forte e utile, non affatto retorico, il grido dell’essenzialità dell’amore a dispetto oppure in virtù della sua fragile imperfezione, che è anche la sua forza.
Questo libro si pone anche come saggio sul processo emotivo alla base dell’amore. Tutto ciò emerge già nei titoli e nell’adeguata e progressiva disamina delle fasi. Non ci troviamo nel dominio delle creature eteree, bensì reali e soggette anche all’attrazione fisica, al bisogno di carezze concrete e di mani sulla pelle viva: la sensualità come forma di concretizzazione del sentire. Non si tratta però di un sentimento sublimato e inconsistente. È reso affine alla mente, interiorizzato, ed a questo riguardo si veda ad esempio il finale, in cui l’abbraccio di due corpi può essere espresso solo dal silenzio e in quel silenzio c’è, esplicita e imprescindibile, la risposta alla domanda di partenza, alla chiave cifrata della dedica: la scelta dell’amore, con tutto ciò che implica, se è amore vero, ha sempre senso.
In un'epoca in cui la narrativa è spesso arida e minimale, non di rado orientata più sulle azioni e sui gesti che sui sentimenti, questo libro di Giuliana Donzello ci riporta ad una dimensione più umana, nel senso letterale e stretto del termine, in quanto l'amore è la molla, la leva che muove il mondo, sia sul piano delle passioni che delle motivazioni più autentiche e sensate.
Sussisteva anche a dire il vero il rischio opposto, quello di cadere nel baratro sito dall'altro lato, quello scivoloso e mellifluo tipico di una certa narrativa “sentimentalista” tipica di certi romanzi rosa che cercano di rievocare i fasti di Laila e dei suoi epitomi. La Donzello, come potrà constatare con ampia e serena certezza chi leggerà il libro, ha evitato agevolmente e in modo netto e sicuro anche questo rischio, sorvolando l'abisso della retorica mielosa grazie al paracadute costituito da una narrativa solida, ben salda nella rete e nell'intreccio delle trame e degli eventi, credibili e ben circostanziati, e delle motivazioni psicologiche, sempre basate su osservazioni e considerazioni che partono da un ben documentato livello filosofico e psicologico per poi sfociare in modo naturale e coinvolgente sul piano più squisitamente umano, quello delle relazioni e delle dinamiche: incontri, amori, rancori, abbandoni, gelosie, ritorni, che danno senso e direzione all'esperienza emotiva di ciascun uomo e ciascuna donna, in questa epoca attuale, abilmente descritta dall'autrice, e in ogni tempo.
Per concludere, questo volume di Giuliana Donzello attesta le qualità di un’autrice che fa della sincerità espressiva il suo punto di forza, mai disgiunta però da un controllo narrativo abile e attento e dalla capacità d’intrecciare trame coinvolgenti e verosimili in cui il lettore pur con tutte le differenze dovute al cammino individuale, può identificarsi e sublimarsi perché “come una candela ne accende un’altra e si trovano accese migliaia di candele, così un cuore ne accende un altro e si accendono migliaia di cuori”, come recita la frase di Lev Tolstoj posta ad esergo del volume.
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Valeria Serofilli
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"Caffè dell’Ussero di Pisa, 26 Febbraio 2016"

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

Considerazioni critiche sui testi poetici di Umberto Piersanti inseriti in “Dentro spazi di rarità” Antologia Nuovi Fermenti Poesia – 9 - Fermenti Editrice – Roma – 2015 – pagg. 169 - € 18,00

Segue Umberto Piersanti, nato ad Urbino dove vive e insegna all’Università.
E’ autore di vari romanzi: L’uomo delle Cesane, L’estate dell’altro millennio, Olimpo e Cupo tempo gentile; di diversi libri di poesia: La breve stagione, Il tempo differente, L’urlo della mente, Nascere nel ’40, Passaggio di sequenza, I luoghi persi.
Piersanti è inserito nell’antologia con ls silloge Cadono rami fitti, costituita da tre componimenti di grande estensione, Presso un edificio dei tempi nuovi, Viola d’inverno e quello eponimo.
La poetica di Umberto ha per oggetto una natura interiorizzata, raffigurata come luogo mitico, a livello soggettivo e collettivo.
Tale creato è formato dall’insieme coeso di ogni suo elemento, paesaggistico o genericamente di carattere vegetale.
Le tre composizioni di Piersanti iniziano con la lettera minuscola e ciò crea il senso di una vaga provenienza, di uno stupore quasi surreale, di un’ origine misteriosa.
Le poesie, sempre tendenti alla verticalità, sono suddivise in strofe e fluiscono in lunga ed ininterrotta sequenza, anche se si nota la presenza di molte virgole nel tessuto linguistico.
I sembianti delle Marche, che fanno da sfondo alla poetica espressa dall’autore, sono sempre pervasi da un’aura di antica meraviglia, da uno stupore che si rinnova sempre nei luoghi, anche se già erano stati visti e visitati.
Cifra distintiva del discorso poetico dell’autore pare essere una forma controllatissima, raffinata e ben cesellata,
In tale contesto ogni parola non è detta a caso ma s’inserisce in un tessuto linguistico affascinante, senza sbavature, icastica, veloce e leggera, nello stesso tempo.
E’ una poesia descrittiva, quella del Nostro, i cui occhi filtrano le immagini naturali per tramutarle in versi, fino ad un addentrarsi in ogni minuzia.
Le liriche sgorgano quasi magicamente, senza nessuno sforzo, l’una dall’altra, con sicurezza, ed elevatissime sono le densità metaforiche e semantiche.
Senza dubbio si può considerare neolirica ed elegiaca questa vena quasi inesauribile che ci presenta Umberto, modernissima e originalissima e che si ricollega con la sua produzione precedente.
Pare erroneamente che l’autore scriva sempre lo stesso libro ma, invece, ad una lettura attenta, si constata sempre la sua inesauribile capacità di rinnovarsi nei contenuti, sicuramente, ma ancora di più nelle forme.
Particolarmente suggestivo e originale il primo componimento, nell’inizio del quale, viene detto un avveniristico edificio immenso e metallico che pare trapassare nubi e cielo.
La costruzione è inserita in un luogo vago, dove l’aria si arresta e la luce ha fine (immagini che evocano un certo misticismo naturalistico).
A volte emergono personaggi umani come la ragazza chiara come l’aria e le donne che lavano i panni bianchi e, in queste circostanze, la fabula si fa favola, pur calata nella realtà contingente.
Altre volte compare un tu al quale il poeta si rivolge, figura che vaga nel mezzo, in un posto non definito, personaggio di cui sappiamo ben poco, che potrebbe essere considerato come il terzo che ci cammina accanto.
Con mano sicura Piersanti ancora una volta ci conduce in una natura idilliaca ma anche numinosa.
In essa, per citare Ponge, sarebbe bello se anche gli alberi potessero parlare e, magari, scrivere poesie.
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Raffaele Piazza

sabato 27 febbraio 2016

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

Considerazioni critiche sui testi poetici di Panos Ikonòmu inseriti in “Dentro spazi di rarità” Antologia Nuovi Fermenti - Poesia – 9 - Fermenti Editrice – Roma – 2015 – pagg. 169 - € 18,00

Il settimo poeta è Panos Ikonòmu, nato ad Atene e scomparso prematuramente nel 2014.
Ha pubblicato la raccolta di poesie La Copertina Pelle del Tempo (2013).
Ikonòmu è inserito con la silloge L’io cagnolo, che si può considerare una sequenza unitaria, composta da molteplici parti di svariate lunghezze, tradotta da Crescenzo Sangiglio.
L’io – poetante viene detto come un cavallo con i piedi ruotati all’indietro, secondo il significato del termine stesso cagnolo.
Interessante e originale la struttura del testo, con i sintagmi sparsi sulla pagina, secondo un procedimento che può essere accomunato vagamente a quello della poesia visuale.
L’autore segue i canoni di una personalissima forma di sperimentazione.
Cifra essenziale in L’io cagnolo pare essere quella di un magistrale controllo della forma, di un’armonia intrinseca nei versi, a volte costituiti da un unico termine.
Serpeggia nella silloge una forte inquietudine attraverso le immagini che Panos ci propone, nelle quali spesso domina un raffinato e sensuale erotismo.
Interessante l’incipit del primo frammento: “In principio/ nasce la cecità/” che potrebbe essere accostato all’inizio del prologo del vangelo giovanneo o alle prime parole del romanzo di Hermann Hesse Peter Camenzind.
Tuttavia, mentre San Giovanni apostolo mette al principio il Verbo e lo scrittore tedesco inserisce il mito, che sono due categorie positive. luminose e vitali, il poeta greco, concependo come origine, genesi, la cecità, esprime un forte pessimismo, una visione del mondo al negativo.
Sono presenti un ritmo sostenuto che si libra in una forte forma di musicalità, che rende intrigante la lettura nell’immersione profonda nella pagina.
E’ detto l’io- cagnolo, simile a un cavallo, che si fa una cosa sola con l’io poetante e diviene simbolo della lotta per stare, lo stesso esserci nel mondo, nella battaglia quotidiana per la vita che coinvolge tutta l’umanità.
Da notare la natura del cavallo stesso che diviene metafora di un rapporto selvaggio con l’esistere, una guida, un animale forte da cavalcare come un eroe nella quotidianità. .
Un tono fiabesco e arcano domina i versi dell’autore nelle sue descrizioni precise e leggere.
Un alone mitico imbeve il testo e sono dette molte figure come le Ninfe, Dioniso e altri personaggi.
L’io – cagnolo, alter ego del poeta, afferma di essere diventato un fremito, una fessura, un abisso e, in questo, si nota la presenza di una fusione con la realtà, attraverso una parola detta con urgenza.
Sono presenti misticismo ed erotismo che si coniugano insieme: “…credo/ alla vostra religione/ al vostro vivificante sesso…”
Domina il senso del corporeo e della fisicità in molti passaggi del poemetto: “…raccoglievano la mia pellaccia…”.
Il poeta tratteggia con molta bravura un caos che si fa cosmo attraverso parole ben inserite sulla pagina.
La forma definita da Panos è in perfetta sintonia con i suoi contenuti che s’inverano come arabeschi di stringhe di parole.
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Raffaele Piazza

venerdì 26 febbraio 2016

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

Considerazioni critiche sui testi poetici di Gemma Forti inseriti in “Dentro spazi di rarità” - Antologia Nuovi Fermenti Poesia – 9 - Fermenti Editrice – Roma – 2015 – pagg. 169 - € 18,00
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Gemma Forti, poetessa e scrittrice, vive a Roma dove è nata; ha pubblicato numerose raccolte di poesia: Zeffiro cortese (1996, prefazione di Dario Bellezza), Finestra in alto (1997), Gli occhi della genziana (2000, introduzione di Stanislao Nievo), Candidi Asfodeli Vezzose Ortiche (2004, prefazione di Donato Di Stasi); Zeero (2007, prefazione di Marco Palladini); Il pollice smaltato (2013, prefato da Gualtiero De Santi, con tavole di Bruno Conte).
Per la narrativa: La casta pelle della luna (2002), Ruvido lago (2010).
E’ autrice di numerosi racconti pubblicati su riviste e antologie ed è inserita in varie antologie poetiche, oltre che su quotidiani.
La Forti propone la silloge Ars scribendi, costituita da cinque componimenti, tutti centrati sulla pagina.
In alcuni dei testi si riscontrano parole in grassetto, che danno un’immagine accattivante e originale alle poesie.
A livello stilistico si notano icasticità e, nello stesso tempo, leggerezza e velocità.
La forma è sempre sorvegliatissima e in essa si evidenziano chiarezza, nitore, luminosità del dettato e una velata ironia, sottesa ad un tono affabulante, caratteristiche che già erano evidenti in Il pollice smaltato.
Nei versi di Gemma c’è musicalità e ritmicità e vengono dette sensazioni atmosferiche e materiche
Ombre inquiete riporta inizialmente due citazioni, una di Goethe, tratta dal Faust: Quanto tumulto è la luce e un’altra presa dalle Rime di Michelangelo Buonarroti: O notte, o dolce tempo benché nero,/(…)/ o ombra del morir, per cui si ferma ogni miseria, a l’alma, al cor nemica.
Nel suddetto componimento viene detto l’alternarsi dell’inizio del giorno e della venuta della notte, che qui simboleggiano il ciclo vitale dell’essere umano dalla nascita alla morte.
Per delineare tale concezione Gemma parte dall’immagine di un pargolo neonato, che inizialmente è nutrito dalla luce fievole dell’alba, creatura e persona, protetto dalla culla che vezzeggia.
Il bambino, secondo l’evolversi dell’arco della luce stessa, arriva alla giovinezza, alla maturità e alla vecchiaia, fino a giungere all’inevitabile fine, che è evocata dalla metafora della notte stessa.
Attraverso il divenire della vita si svolge la formazione, la storia personale dell’individuo.
In questo c’è qualcosa che si rifà al mito, all’eterno ritorno, che la persona vive inevitabilmente, al tran tran giornaliero dell’esistere, fatto di difficoltà e prove, che aumentano sempre con l’andare avanti nel tempo.
Nel titolo Ars scribendi si nota una patina di antico per l’uso che la poeta fa del latino.
Del resto, nella composizione della silloge, si evidenzia un andamento dei sintagmi che risente di un classicismo filtrato dalla modernità.
Esso si delinea attraverso un ritmo cadenzato, quando vengono dette apparenze polite ed essenziali, scabre.
Si nota una poliedricità di argomenti in questa silloge della Forti, che, in Ignoranti ignorati, tocca anche il tema politico.
Il suddetto si rivela con il riferimento alla figura di Bill Clinton e al Sex gate e viene narrato l’episodio di quando il Presidente davanti alla Nazione dichiarò di non conoscere biblicamente la stagista Monica Lewinsky.
In Come una santa l’autrice descrive la fine di una donna molto anziana in un ospizio, alla quale l’io-poetante si rivolge in modo sentito.
La Forti sa gestire la sua materia con sicurezza e i suoi componimenti sono eleganti ed alti, antilirici e nello stesso tempo fantasiosi. e seducenti.
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Raffaele Piazza

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

Considerazioni critiche sui testi poetici di Giovanni Fontana inseriti in “Dentro spazi di rarità” Antologia Nuovi Fermenti Poesia – 9 - "Fermenti Editrice" – Roma – 2015 – pagg. 169 - € 18,00
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Il quinto autore incluso è Giovanni Fontana, nato a Frosinone, poliartista, performer, autore di “romanzi sonori”, che è intervenuto in centinaia di festival in Europa, in America, in Oriente.
Ha dato alle stampe numerose pubblicazioni in forma tradizionale e multimediale.
E’inserito nell’antologia con la silloge Osservazioni e adattamenti, comprensiva delle sequenze Les tableaux noirs, sottotitolata fonodramma, e Fioccobaroco.
Nella prima delle due parti si alternano due voci, una maschile e un’altra femminile, secondo una modalità abbastanza diffusa nel nostro panorama, quella della poesia a quattro mani.
L’opera si potrebbe per certi aspetti avvicinare al genere visuale per la disposizione dei versi sulla pagina, tutti preceduti da una freccetta e franti e intervallati dal segno /.
Spesso il dettato procede per singole parole divise tra loro secondo la modalità suddetta.
La definizione fonodramma fa pensare ad un dramma sonoro e nel suo significato potrebbe contenere una valenza teatrale.
La poetica di Fontana ha, per cifra distintiva, una certa forma di sperimentalismo personalissimo, anche perché alcuni versi sono scritti non in italiano ma in francese.
La scrittura è decisamente anarchica e alogica, oscura e pervasa da una vena criptica anche perché è difficile distinguere l’essenza peculiare dei brani nel loro alternarsi.
Nel suo articolarsi nel modo suddetto, il tessuto linguistico ha una parvenza che potrebbe farlo avvicinare allo stile dei novissimi.
Anzi si potrebbe pensare ad un recupero di quelle stesse regole, se di norme si può parlare.
Nell’incipit de Les tableaux noirs vengono nominate le stesse parole dramma e tragedia, quindi si crea una ridondanza dei significati, nei sintagmi pronunciati con urgenza dall’autore.
Già il colore nero detto nel titolo fa pensare al senso difficile e composito del versificare di Giovanni.
Tra le parole presenti nella lunga sequenza poesia e poeti: c’è quindi un riflettere dello stesso fare poesia su se stesso, nel suo ripensarsi.
E’evidente nell’autore la consapevolezza che i suoi versi hanno qualcosa di ludico, quando alla voce maschile fa pronunciare i sintagmi: stiamo giocando ai poeti.
Quello che si nota è il fatto che tutti i versi, che costituiscono quello che potrebbe essere definito un poemetto, sono lunghi ed hanno un’ottima tenuta.
Nel componimento il ritmo pare avere una funzione dominante, nel suo svelarsi in un sistema globale, sotteso a quella che potrebbe essere definita una formula incantatoria.
Suadente la musicalità nel dettato in questa sequela di sezioni, che seguono una melodia assimilabile alla disco music o, forse meglio, ad un rock non particolarmente pesante.
Il poeta qui crea anche neologismi come trichi, che si riferisce ai pensieri, divertendosi a giocare con le parole stesse.
In Fioccobarocco, espressione che è un altro nuovo costrutto, si ripropone la vena avanguardistica di Giovanni Fontana.
Essa si estrinseca anche tramite parole scritte con caratteri di formato maggiore della norma standard e con un alternarsi di strofe sfalsate sulla pagina.
Una modalità di fare poesia originalissima, quella del Nostro, che risente di una vis inventiva notevole e di una versatile intelligenza creatrice.
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Raffaele Piazza

mercoledì 24 febbraio 2016

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

Considerazioni critiche sui testi poetici di Sergio D’Amaro inseriti in “Dentro spazi di rarità” Antologia Nuovi Fermenti Poesia – 9 - FERMENTI Editrice – Roma – 2015 – pagg. 169 - € 18,00
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Il quarto autore è Sergio D’Amaro, nato a Rodi Garganico.
Ha pubblicato testi di poesia, narrativa e saggistica ed è uno studioso dell’opera di Carlo Levi.
L’autore è inserito con la miscellanea Vortici, impeti, traversie, composta dal poemetto La Scala di Beaufort, suddiviso in tredici sezioni e dai componimenti Oltre ogni senso della sera e Le lumache.
Nella sequenza cifra essenziale pare essere un tono affabulante e protagonista è una natura marina descritta dettagliatamente, un paesaggio che sembrerebbe nordico, disegnato in modo sognante e suadente.
Il lettore, immergendosi nella pagina, è portato a condividere le sensazioni dell’io-poetante, incluso e indifferenziato in un sembiante materico, che trasmette sensazioni fisiche e interiori.
Tra silenzi e quiete incommensurabili, detti nel segmento zero, composto da quattro strofe, inizia la suggestiva e affascinante vicenda di una navigazione nella quale lo sfondo è un ambiente magico e fantastico.
Caratteristica saliente in quest’opera sembra essere il nitore del dettato leggero e icastico.
Si respira in Vortici, impeti e traversie anche un afflato mistico che raggiunge raffigurazioni memorabili ad esempio nei passaggi:-“ …/Non respira più/ il quadrante dell’anima/…” e: -“…/Anche la mia anima sparisce/ nel tremolio delle carte/…”.
Viene detta la categoria affettiva della Vanità, scritta con la lettera maiuscola, e il poeta non può neanche indovinare il futuro perché l’aria si è dissolta e gli pare di stare in una bolla di vetro.
La poetica di D’Amaro potrebbe essere definita come quella di una storia di un viaggio in La scala di Beaufort, di una navigazione surreale tra il numinoso e lo stupefatto, nell’immensità tra mare e cielo.
Potremmo definire la poesia di Sergio come neolirica e neoromantica, un canto modernissimo sotteso a stupore e meraviglia per un universo primevo, il sembiante interiorizzato che s’imprime e si riattualizza nella memoria involontaria.
Molto evocativa e alta è la descrizione di una tempesta tra le nubi sottili che si alzano in turbini.
Un afflato mitico pervade i versi, quello di un’epica del quotidiano che ha qualcosa di vagamente rimandante all’inconscio, al sommerso.
Nuovo Ulisse alla ricerca di una virtuale Itaca vaga e lontana l’io-poetante è pervaso da un’ansia che costella la sua identità in tutto il testo, che potrebbe essere avvicinato, per i suoi argomenti, alle tematiche di Conrad e al Baricco di Oceano mare.
In Oltre ogni senso della sera predomina la quotidianità e molto alto è qui l’incipit nel quale l’autore afferma di cercare un senso dell’intero passato.
Anche in questa poesia si nota una forte tensione evocativa nel poiein, che nei versi fa emergere una sensazione più di incanto che di pittura.
Una polifonia, un caleidoscopio d’immagini che si susseguono connesse tra loro, procedendo per accumulo in una ricerca di conoscenza, attraverso una parola detta con urgenza.

Raffaele Piazza

POESIA = RENATO CASOLARO

"Il poeta e il fanciullino"

Non so raccontare dolori ma strillo all’aria
le mie stridule note e stonate.
E dicono che non ho capito.

Non so guardare le cose bene, una per una
ma vado fissando a bocca aperta
la luna, e dicono che non ho capito.

Non so parlare di politica senza litigare
ma poi da buon cittadino do il mio voto
e dicono che non ho capito.

Oggi quattro banche sono state salvate,
ieri non si sa quanti
sono affogati a mare.

Ed io non ho capito
*
RENATO CASOLARO

martedì 23 febbraio 2016

SEGNALAZIONE VOLUMI = KETTI MARTINO

Ketti Martino : “Del distacco e altre impermanenze” – Ed. La vita felice – 2014 – pagg. 72 - € 10,00 –
Nella prefazione Rita Pacilio scrive : “ Senza consapevolezza non c’è scampo, non c’è bellezza , né verità materica può aderire al contesto cui appartiene più della propria orma vitale, del proprio passaggio concreto. Il rimpianto di non aver vissuto appieno il proprio tempo , gli errori commessi, il rammarico dei paradossi per le vie scelte intraprese possono farci deprezzare i convincimenti maturi , gli stili acquisiti, ciò che siamo diventati: la guerriglia avviene a favore della vita, il cedimento è metafisico, l’amputazione misteriosa.” Così le pagine scorrono tra le frasi più calde che possiamo incontrare , nella rivelazione che diventa sommamente metafisica , incontro all’incredibile disfacimento dell’ora, nell’ansia di rinnovare se stessi oltre le assenze e i ripensamenti. “Ti bacio ad occhi chiusi un’altra volta / nel vicolo che sa di fetido piacere./ Sotto la luce ferma dei lampioni,/ sulle mie disperate mani spalmo riso / e sangue colati dalla bocca. / Nell’impasto di viuzze,/ sul selciato liso, fatico / a tenere il peso dei miei assiomi.” Che cos’è il tempo che partecipa alle nostre vertigini ? Adesioni misteriche di accensioni che virtualmente entrano nel campo delle intuizioni sublimate e ammutoliscono nelle attese. Anche la memoria cerca di sopravvivere in luoghi altri, in quella solitudine che ricicla i ricordi e ne sbrindella i profili, anche quando il ritmo si adagia alla frase per coinvolgere il lettore nelle molte sfumature e dimensioni. Si alternano momenti modellati al quotidiano tra le ombre illusorie della città , e momenti rivissuti nella tensione delle esperienze , ricche di sensazioni , di immagini riflesse , di turbamenti che diventano musica e poesia. Il ritrovamento , la separazione , vanno verso un arcano approdo quando l’amarezza scioglie i frantumi : “Lasciamoci come gocce / e per la strada , all’imbrunire / c’erano solo vecchi. / Lasciamoci come cenci /zuppi d’acqua e vino /in un’alba atroce di settembre / che nell’assenza andrà di sbieco / con le fratture dei ricordi…” Tutto ciò che è transito adesso vuole ascolto attraverso la meditazione e l’approfondimento di quel che abbiamo vissuto, toccato , amato , voluto , consumato , fatto nostro, per riaffiorare e riuscire ad interrompere il silenzio.
ANTONIO SPAGNUOLO

PREMIO POESIA

PREMIO "CITTA' DI ACQUI TERME"--
Poesia in lingua per autori di età corrispondente alla scuola primaria
Poesia in lingua per autori di età corrispondente alla scuola secondaria inferiore
Poesia in lingua per autori di età corrispondente alla scuola secondaria superiore
Poesia in lingua per autori adulti
Poesia in lingua a tema
Libro edito di poesie.
E' richiesta tassa di lettura.
Scadenza 15 aprile 2016 - Casella postale 78 - 15011 - Acqui Terme
Richiedere il Bando completo a : archicultura@gmail.com

sabato 20 febbraio 2016

SEGNALAZIONE VOLUMI = FELICE SERINO

Felice Serino – “Palpiti di cielo” - e-book – www.poesie.inversi.it 2015

Felice Serino, nato a Pozzuoli e residente a Torino, è un poeta che ha ottenuto numerosi consensi critici e che ha vinto molti premi letterari. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia.
Gestisce svariati siti su Internet di ottimo livello e qualità, che ospitano poeti anche prestigiosi.
“Palpiti di cielo”, il libro che prendiamo in considerazione in questa sede, è connotato da un linguaggio pervaso da un forte misticismo nello sperdersi e indifferenziarsi dell’io poetante in spazi cosmici, interspazi, galassie o anche in squarci naturalistici.
La scrittura è composta e composita, elegante e armonica e quasi tutte le composizioni sono suddivise in strofe. Spesso c’è un tu, al quale il poeta si rivolge, del quale ogni riferimento resta taciuto.
La raccolta è costituita da due sezioni, quella eponime e quella intitolata “La composizione della luce”.
La prima composizione, “L’indefinito”, che nel suo nome riecheggia vagamente “L’infinito” leopardiano, ha un tono programmatico, in quanto, in essa il poeta riflette nell’incipit sulla stesso poiein, sulla poesia medesima e sulla ricerca dell’ispirazione, cosa che avviene anche in altre composizioni: “E’ nello spazio delle attese/ nel bianco del foglio”.
I suddetti versi spiegano e descrivono efficacemente il caos calmo dal quale emergono i testi poetici dopo una misurata pausa, quasi un raccoglimento preliminare del poeta stesso.
Ottima la tenuta dei versi lunghi che Serino sa ben controllare. Ogni componimento fluisce in lunga ed ininterrotta sequenza e tutte le poesie iniziano con la lettera minuscola, elemento che produce sospensione e fascino, creando il senso di un’arcana provenienza, di un ipersegno possibile e affascinante.
Temi fondamentali sono quelli della vita e della morte, il cui timore è superato tramite la raffigurazione di paesaggi iridati come quello dove il verde grida in folti ciuffi e gli alberi si cambiano d’abito.
Nell’ambito del tema della poesia che riflette sulla poesia stessa, anche il libro di poesia fresco di stampa può divenire oggetto di riflessione, per il vertice di emozioni che il poeta prova avendolo tra le mani.
Non mancano composizioni di stampo religioso, che si rifanno ai testi evangelici.
Tutte le poesie sono dense concentrate e ben risolte. E’ spesso presente anche la vena di fisicità mistica, quando vengono detti abbracci senza mani e corpi immateriali.
Una natura intrisa di mistero e stupore s’insinua nelle pagine che sembrano sottese ad un segreto antico.
Poetica che ha il pregio di essere complessa e chiara nello stesso tempo, nel suo strutturarsi. Un tema trattato con suggestione è quello dei figli partiti per un eldorado e ai quali si fa l’invito di reinventarsi una vita nella fugacità del tempo.
Poetica che di libro in libro brilla per originalità e compiutezza quella di Felice.
*
Raffaele Piazza

domenica 14 febbraio 2016

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

Considerazioni sui testi poetici di Domenico Cara e Donato Di Stasi in “Fermenti” 241 (2015)

“Anche se sconosciuti i versi di Milton” (epigrammi, lapidi, tracce d’impresa) di Domenico Cara è una silloge composta da trentasei testi brevi e compatti, quasi tutti ben risolti in un unico respiro.
E’ molto raro leggere su rivista un numero di componimenti così considerevole di un singolo autore.
Le poesie che il poeta ci presenta, dal tono vagamente epigrammatico, possono essere considerate singolarmente come tasselli di un mosaico più vasto, frammenti di un poemetto il cui filo rosso si può identificare in una scrittura visionaria e anarchica.
Nelle composizioni il ritmo è incalzante e produce una suadente musicalità nei versi armonici, ben cesellati e controllati.
E’ da mettere in evidenza che, nel complesso delle immagini, si realizza una felice fantasmagoria di quadri, spesso irrelati tra loro, al punto da sfiorare l’alogico.
Alcuni dei componimenti hanno per protagonista l’io-poetante, mentre altri possono considerarsi descrittivi.
Il poiein di Cara è icastico, armonioso e leggero e i sintagmi, interagendo tra loro, spesso si dilatano, provocando accensioni e spegnimenti.
Le figurazioni affascinanti procedono per accumulo e scaturiscono le une dalle altre.
Il tono delle poesie (tutte provviste di titolo) ha un afflato gnomico e il complesso dell’opera, nella sua scrittura, si può considerare tout-court un consapevole esercizio di conoscenza.

“Un lettore della domenica” (la complessità prima della catastrofe) di Donato di Stasi, può essere letto come una plaquette, composta da diciannove parti, disomogenee tra loro per estensione e contenuti, tutte sotto il comune denominatore di una forma sorvegliata e articolata.
Il titolo dell’opera pare contenere una certa dose di ironia e la dizione è connotata da una notevole originalità.
Significativo l’incipit dell’intera sequenza (frammento 1):-“La poesia facile è un inganno…/-”.
La suddetta frase è molto densa e può dare luogo a varie considerazioni.
Nel secondo verso il poeta riprende il discorso sulla poesia, che riflette su se stessa, affermando che non è di breve uso la poesia.
Le due affermazioni ci fanno intendere che, quando la scrittura poetica è “facile”, come attualmente spesso avviene, non raggiunge la dignità di vera arte, anche se, eticamente, anche poesie semplici possono avere un senso come mero mezzo per superare la solitudine.
La poesia riuscita esteticamente, contrariamente a quella facile, è un valore profondo degno di stima e di considerazione e dura nel tempo nell’immaginario di chi la produce e dei suoi lettori.
Nei primi due frammenti il poeta s’interroga sull’essenza della pratica creativa, il suo etimo, il suo scopo e i suoi destinatari.
Ottima la tenuta dei versi lunghi che sono molto frequenti.
Poetica del tutto antilirica e antielegiaca, quella dell’autore, caratterizzata da una forte componente intellettualistica e da un grande spessore culturale.
In essa vengono toccati, infatti, temi sociali, storici, di politica e di costume, oltre a quello della poesia che si ripensa, al quale si accennava.
Anche un certo sarcasmo si ritrova nei testi, raggiunto spesso in alcuni passaggi carichi di nonsense.
Il poeta afferma di essere conscio di scrivere per un numero ristrettissimo di lettori, come affermava Alessandro Manzoni.
Linguaggio spesso oscuro quello di Di Stasi che pare avere una forte componente anarchica.
La sua poetica ha per cifra essenziale una notevolissima originalità, che ne fa un modello unico nel panorama odierno e la scrittura è connotata a tratti da un forte scarto dalla lingua standard e, in altri passaggi, da un andamento narrativo e lineare.
*
Raffaele Piazza

mercoledì 10 febbraio 2016

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

Considerazioni su Parole/cose di Luciana Riommi in “Fermenti” n.242 (2015).

In “Parole/cose” Luciana Riommi, nata a Roma, realizza sette brevi componimenti, tutti senza titolo, nei quali indaga la natura stessa del praticare la poesia, riflettendo su di essa a livello ontologico - filosofico.
I testi sono preceduti da un’introduzione di Giovanni Baldaccini ricca di acribia, nella quale lo psicologo e psicoterapeuta, poeta e narratore, che vive e lavora a Roma, ci fornisce esaustivamente le ragioni della produzione della poeta.
Scrive il critico:-“Intensamente nitida, Luciana Riommi penetra i corpuscoli dell’infinito con una lingua asciutta. Nella sua scrittura, il difforme disperso, che l’infinito cela, si raddensa in una sintesi assoluta dove il superfluo cede al senso e la condizione di semplice possibile diventa significato. Polvere, la sua materia prima e nebulose al passo col suo tempo…”-.
Modalità dello scrivere prosciugata, scabra ed essenziale, quella di Luciana, caratterizzata da una vena che s’invera nel frammento in testi che iniziano tutti con la lettera minuscola, elemento che ne accentua il senso di mistero e di arcana provenienza.
Qualcosa di vagamente iniziatico si evince dal poiein dell’autrice, come nei versi iniziali:-“scrivo pensieri/ in prova di poesia:// immaginavo di dover guardare/ il rovescio delle cose/ dal mio punto di svista/”.…
Dai suddetti sintagmi si evince un senso di ricerca nell’addentrarsi, attraverso la stessa versificazione, nei meandri del processo della creatività.
Da essi trapela il tentativo di osservare gli oggetti da tutti i lati contemporaneamente, per giungere ad una visione globale delle cose, delle parole e di quello che ad esse si riferisce, secondo il punto di vista dell’anamorfosi.
Prevale un quasi totale azzeramento della punteggiatura e tutte le poesie procedono in ininterrotta sequenza.
Luminosità, leggerezza, nitore e velocità, nei versi scattanti, connotano il poiein dell’autrice.
La poetica della Riommi ha per cifra essenziale un vago senso di sospensione e di magia, con giochi di parole che possiedono la caratteristica di esplorare proprio la tematica del dire con urgenza, del farsi della parola come discorso, senza dover affrontare nessun argomento, nessuna tematica, se non quella del verbo, che si fa immagine, come uno specchio che riflette un altro specchio.
A volte si ha una forte impressione che l’autrice descriva le stesure dei suoi testi come percorsi, per giungere a strade abitate, per compiere viaggi nei meandri della fantasia.
La stessa inventiva qui non è altro che il tentativo mimetico di annullare la distanza tra la cosa e quello che la precede.
Questo avviene con una parola intellettuale che non esclude la bellezza e il suo fascino come nella descrizione dell’acqua che scorre dal condotto lacrimale come se fosse pianto; controllatissima la forma.
*
Raffaele Piazza

domenica 7 febbraio 2016

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

“Considerazioni sulle poesie di Italo Scotti” - in “Fermenti” 242 (2015) -

“Poesie” di Italo Scotti, nato a L’Aquila, racchiude quattro componimenti di varie estensioni, caratterizzati da una struttura che tende fortemente alla verticalità.
Le composizioni dell’autore per conformazione e contenuti sono molto diversificate tra loro.
Infatti si passa dalla poesia iniziale “La settimana bianca”, caratterizzata da una struttura anarchica, oscura e, a tratti, quasi alogica e sperimentale, a “Venere”, brevissima poesia finale, costituita da quattro versi, che ha un afflato vagamente lirico.
Una caratteristica di questi testi consiste nel fatto che tutti i versi che li costituiscono iniziano con la lettera maiuscola, elemento che genera una vaga pesantezza nel tessuto linguistico e una compattezza formale nelle molteplici strofe dai quali sono formati.
“La settimana bianca” è suddivisa in due parti, che potrebbero essere lette quasi come due poesie autonome.
Nel primo segmento della suddetta, nella strofa iniziale, vengono dette le immagini inquietanti di carrucole, croci d’acciaio, gabbie e gogne, che, sospese nel cielo, lentamente ascendono.
Il senso del male e del dolore si accentua ulteriormente nella seconda stanza con l’unico verso tra parentesi formato dai due sintagmi Kreuzige! Kreuzege! che significano in tedesco Crocifiggi! Crocifiggi!
Qualcosa di indeterminato si evince dai versi di Scotti, di indefinibile e sfuggente in questa composizione.
Anche nella seconda parte il tono è vago e composito con una descrizione numinosa di una distesa di neve e di tessere nevose che nella chiusa rigenerano nervi, cervello e vene.
Pare che sia evocata qui dal poeta una linea immaginaria tra la vita e la morte, un’atmosfera che evoca sensazioni di guerre atroci.
Completamente differente la sostanza in “Variazioni in BLU”, poesia lunga suddivisa in undici strofe, dove il poeta adopera il procedimento anaforico, iniziando tutti i segmenti, ad esclusione del decimo, con la parola “Blu”.
Lo stesso colore blu diviene simbolo di qualcosa quasi di sacro e inafferrabile:-“Blu è l’assoluto, il bene e il male uniti…” .
La stessa tinta, scrive il poeta, è quella del cielo d’Africa, del trionfo del giorno, del cielo del deserto, della notte prima degli addii, dell’invocazione al dio, della ricerca dell’uomo.
Poetica, quella dell’autore, che, nella sua frammentarietà e nelle sue variazioni sintattiche e semantiche, di testo in testo, ci fa entrare in un universo linguistico, il cui pregio essenziale è l’originalità, per la quale la scrittura si fa a tutto tondo esercizio di conoscenza.
*
Raffaele Piazza

sabato 6 febbraio 2016

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

– “Silenzi”
A bruciapelo hai staccato il controllo
per divenire informe nel furore della mia stanchezza.
Ad una ad una continuano a sbiadire le foto
per lasciarmi interdetto, s’imbuia il silenzio, e nella tavolozza
trionfa il colore a misura di rughe.
L’assenza succhia l’orrore della solitudine,
anche la mano ha il tormento della memoria
e in segreto carezza il tuo silenzio.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Fresco febbraio di Alessia"

Chiarità di fresco all’anima
di ragazza Alessia fragolavestita
nell’interanimarsi ai fiori
d’erba del condominiale giardino.
Rondini a ovest della vita
il percorso a indicare per giungere
alla casa dei gerani rosa pastello
di Giovanni. Pelle di luna e luce
di Alessia dove era già venuta,
una puntata al Parco Virgiliano
della gioia fiorevole, il cane
da accarezzare ricomponendosi
l’affresco.
*

"Alessia e il geranio rosa"

Sera al Bar Celestiale
a sorseggiare Coca Cola
con Giovanni a scendere
la freschezza all’anima
di ragazza Alessia cielovestita
nel pensiero rosa del geranio
sul muro frontale della vita.
Incantesimo di favola nell’
interanimarsi alla gioia
stupita di una vittoria
tra le braccia di Giovanni
dove era già venuta
per il letto dell’amore
duale. Fa l’amore Alessia
felice, nella mente il geranio
per qualcosa che s’illumina.
*

"Alessia e la stella marina rosa"

Rosatramonto stella marina per
Alessia fuori dalle stagioni,
il Mediterraneo, la sua riva dove
una candela ha acceso Alessia,
il suo bordo nell’incielarsi di un
pensiero dove era già venuta a
ovest della vita. Passano i chiari
mattini, le ripetizioni dei giorni
e dell’amore ad ogni passo il
presagio e il piacere. Stella marina
rosa nell’acquario ad accendersi
della tinta nell’interanimarsi
con Alessia.
*

"Alessia verso la primavera 2016"

Sera di ossigeno dall’albereto
di pini a entrare nell’anima di
Alessia nel rigenerare il fisico
e la mente di ragazza. Poi
la zona della primavera, dove
era il campo di grano sotteso
a amplessi estivi con Giovanni
(tanto non mi lascia, pensa Alessia,
appoggiata alla linea di orizzonte)
di favola sentiero per arrivare
al bar Celestiale e vincere
in amore dopo un te freddo
a dissetare tonificante bevanda
dopo il sentiero della notte.
*

"Alessia verso la primavera"

Rondine azzurra fa di Alessia
la primavera dal balcone
contemplata come l’amore.
Prealbare vicenda di ragazza
Alessia al colmo della grazia,
(vola a destra, porterà fortuna,
voi ascoltate). Fresca gioia
di Alessia nell’entrare nella
consecutiva primavera ad
accadere nel futura anteriore
poeterà il fresco in dell’amore
la camera, traslata di speranza
la vicenda nell’anima di Alessia
ad imprimersi nel cielo visore.
*
"Alessia legge il cielo"

Polita azzurrità per ragazza
Alessia al colmo della grazia,
nuvole nuove del mattino
per grazia ricevuta nel togliersi
dal sole ad abbronzare Alessia
di febbraio come una donna
nel verde dell’erba al Parco
Virgiliano nel respirare tutta
l’aria che c’è. A poco a poco
s’illumina la forma del sorriso
in Alessia come una vergine
nel leggere il cielo in un jet
dalla scia bianca (lì ci sono
i figli). Attende la sera con
pazienza per cogliere i segnali
lunari e delle stelle.
*
"Alessia scrive la luna"

Tessuto di polita luce
luna ostia di platino
splendore a irradiare
sulle mani di Alessia
allo specchio vetrovisore
della camera a imprimere
traccia per l’anima
a di freschezza pervaderla.
A poco a poco presagi
buoni per Alessia
(non mi lascia e supero
di greco l’esame).
Pensa Alessia a Ulisse,
tolto dalla tenda e dal
mare nell’attraversare
la vita. E tesse la tela
Alessia come Penelope
(tela poesia).
*

Raffaele Piazza.

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANCARLO BARONI

GIANCARLO BARONI : “LE ANIME DI MARCO POLO” –Book editore – 2015 – pagg. 144 - € 14,00 –
Nella luce e nella chiarezza di un interminabile racconto di avventure , il viaggio , o meglio gli approdi che ci propone il poeta è un caleidoscopico commento, che da' la possibilità di entrare nel vivo dei mondi e delle leggende, dove non solo musica ed immagini propongono il ritmo serrato della poesia. Senza mai ricorrere a teoremi filosofici o ad artifici letterari la tessitura del dettato è aperta nella semplicità dei passaggi vividi e lievitanti , scolpiti con l’arguta condivisione del vissuto , nella misura dei percorsi brevi e nelle percezioni dell’immediato. Da Ulisse , nel suo ritorno tempestoso , a Marco Polo , con le proiezioni della sua energia fisica e morale , da Amerigo nel tocco delle sponde , a Vittorio Bottego a caccia di volatili, alle numerose città dalle immagini preziose.
Niente toni drammatici , niente paroloni , semplicemente la carezza delle memorie tra approdi e meraviglie : i monti della luna , l’uomo delle nevi , gli scenari di conquiste , i paesaggi , i luoghi immaginari delle favole. Nella nitidezza dell’ascolto la grazia degli eventi , con il sussurro a volte dell’atmosfera magica e misteriosa , a volte della improvvisazione e della rievocazione, nel mentre le parole non ricercano alchimie, ma sono partecipi delle numerose esperienze del “viaggio”. La voce narrante prepara alla distillazione delle figure, proposte in situazioni umane chiaramente comprensibili , intrecciando quei versi che riescono a conservare candore.
ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 5 febbraio 2016

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUCIA STEFANELLI CERVELLI

LUCIA STEFANELLI CERVELLI: “ DEFINITIVA” - Ed. Istituto culturale del mezzogiorno – Napoli 2015 – pagg. 68 - € 12,00 .
Non è facile incontrare, in questi anni di continuo decadimento, un volume di poesia che possa essere riconosciuto come sostegno storico di una rinnovata luminosità , sia per la scrittura tutta tesa a ben organizzata tessitura , sia per il sottofondo della parola che accosta momenti di accensione filosofica e momenti di sospensione psicologica. Scrive Antonio Filippetti nella prefazione : “In questo smarrimento epocale il ricorso al valore della parola diventa un’esigenza indispensabile , quasi un’arma di difesa naturale, un argine contro un degrado che non è soltanto stilistico ma coinvolge la sfera stessa della passione sentimentale. Nessuna comunicazione è possibile senza la chiarezza della parola, la sola ancora in grado di dare voce all’unicità e diversità degli uomini, perché dietro ogni verbo c’è appunto una persona…”
“A chi importa ascoltare/ l’implorazione muta / conosce la profonda indifferenza/ Sorride il sottofondo del pensiero/ improprio sciabordio / di cave risonanze. / Occorre però quel mormorio/ certezza d’esistere alla resa/ Vagola il giorno nel sopore sospeso/ e attende l’ora non segnata dal nulla / Assorbe / lo stemperare pallido d’azzurro/ un cielo sfatto / Incredulo di tanta consistenza.”
Con passo felpato Lucia Stefanelli Cervelli slega le meraviglie della sospensione per immergere il verso nel sogno , nelle variopinte vicissitudini di un quotidiano che prosegue a sbalzi , nel coinvolgimento delle soste che combattono contro il tempo . Il ritmo è proteso molto spesso alle attese , tra gli spazi che la storia riesce a ricucire per lasciare il segno di vari ricordi. Il vortice della “parola” ingloba ogni confine nell’ansia di manifestare un variegato affanno , un mal celato sospetto , un tempestoso abbraccio , un assurdo pensiero. Il testo intreccia con arguta sapienza una specifica tradizione culturale con la pregevole orditura delle pagine.
ANTONIO SPAGNUOLO

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

--Considerazioni sulle poesie di Bruno Conte in “Fermenti”,N° 242 -2015.

“Ricovero A 4” di Bruno Conte, nato a Roma, comprende quattro poesie senza titolo e due figure di carattere astratto metafisico, elaborate nel 2014.
Attualmente l’attività letteraria dell’autore e la sua operatività in campo pittorico si svolgono in modo separato, mentre, tra il 1959 e il 1962, ha elaborato icone comprendenti testi poetici.
I componimenti sono connotati dalla forma in lunga ed ininterrotta sequenza, con un azzeramento totale della punteggiatura, mentre le rappresentazioni grafiche sono da interpretare come dei concetti spaziali in bianco e nero, che potrebbero essere vagamente accostati, per le loro atmosfere e immagini, ai dipinti di De Chirico rappresentanti le piazze, e, per il loro stile, alle tele monocrome di Lucio Fontana,
Un senso di mistero, malattia, disfacimento fisico, trapela da queste poesie, come se fossero delle descrizioni dall’interno di un ospedale, viste attraverso gli occhi di un degente, senza autocompiacimenti ma con un senso di resa, di passività e di freddezza, per l’ambiente asettico che circonda lo stesso ammalato.
Il versificare avviene in modo impersonale, in una maniera del tutto descrittiva.
Poetica antilirica tout-court, quella affrontata dal Nostro in questi quadri, molto originali per la loro tematiche, avvicinabili, tenendo conto delle dovute differenze, alla Serie ospedaliera di Amelia Rosselli.
Un’aurea di sospensione, di onirismo purgatoriale, trapela dalle composizioni surreali e inquietanti.
Molto efficaci, nell’ultima poesia, le immagini di una parete che tende ad inghiottire le memorie di panorami a singhiozzo e del viale alberato, sembianti che potrebbero essere intesi più come reminescenze involontarie di una vita sana all’aria aperta, che come nostalgia dolorosa.
Cifra essenziale in “Ricovero A 4” è quella di una scrittura leggera, icastica, veloce e luminosa, che si potrebbe definire intellettualistica e riflessiva.
*
Raffaele Piazza

lunedì 1 febbraio 2016

INTERVENTO CRITICO = RAFFAELE PIAZZA

Fermenti 243, anno XLIV –2015-
Umberto Piersanti – "Perdersi. Nel folto dei sentieri" – 2015

Nel pezzo su “Nel folto dei sentieri”, di Umberto Piersanti, Roberto Marconi scrive “che fedele a se stesso e al suo canto nella nuova opera Umberto Piersanti ci guida tra immemorabili cammini, nel folto dei propri sentieri vitali, come indica la scelta del titolo, peraltro piersantiano più che mai; egli prende per mano chi vuole genuinamente avventurarsi, lo lascia quasi subito, tra i passi preferiti, d’altronde “chi non sa dove andare/ meglio cammina” e da lontano dice “godi l’aria/ dimentichi la strada del ritorno”, se ci pensi un poco “quant’è dolce/ perdere la strada”.
Fatte le dovute differenze, il libro ricorda alcune prose di Robert Walser, dove egli stesso, teneramente, si abbandona a puntuali e sterminate passeggiate salutari, come ribadiva Walter Benjamin: dopo poche frasi chi leggeva era perso; poiché tali storie sono “di una delicatezza quasi inconsueta” e in esse c’è sempre “l’aria pura e forte della vita che guarisce”.
Fare esperienza della natura (con attenti bestiari, diversità botaniche, soffi universali), della storia (non c’è discorso con Umberto che non sia cronaca), dei cari (tra tutti il figlio: “perfetto e disegnato/ che il” male offende/ ma non piega”), questa è la circostanza amata e trasmessa dal poeta, da sempre indagatore d’aree topiche e cruciali figure ormai distinte da lettori attenti”.
La poetica di Umberto Piersanti ha per oggetto i luoghi, che il poeta di Urbino ama e vive, percorrendoli e contemplandoli, nel suo interiorizzarli e farne immagini del suo poiein.
Si tratta di parti del paesaggio, che si collocano in una natura nuda, tra filari di alberi, greppie, corridoi di prati.
Piersanti s’immerge tout-court nell’ambiente vegetale e collinare delle Marche, ripercorrendo sentieri che conosce in ogni minimo dettaglio, ma che, di volta in volta, si riattualizzano nello stupore della gioia, come se fossero visti per la prima volta, illuminati da una luce vergine.
Attraverso la scrittura i luoghi s’innestano nel tempo, secondo la nozione del cronotopo e l’attimo diviene quella feritoia per la quale la parola s’innesta sulla pagina.
Tra tutti i luoghi detti dal poeta si ricorda Le Cesane. mitizzato nei ricordi degli amori
Sembrerebbe una poesia descrittiva, quella del Nostro, invece è frutto di una cosciente adesione dell’io-poetante a tutto quello che lo circonda nel paesaggio idilliaco, dove quasi naufragare leopardianamente.
Il figlio Jacopo accompagna il poeta nel suo perdersi volontariamente nella natura incontaminata, a indifferenziarsi in una fusione ontologica con la natura stessa, per ritrovare una quintessenza, un senso e un sapore della vita che, nel clima urbano sembra ormai irrimediabilmente perduto.
E allora si comprende il significato del gesto dell’addentrarsi nel folto dei propri sentieri vitali, quando è sufficiente camminare, anche se non si conosce la meta del proprio percorso.
Proprio così s’invera lo spaesamento, che diviene quasi ludico ritorno all’adolescenza, ad una salutare immaturità, che, del resto, è tipica dei poeti.
Con un tessuto linguistico, connotato da una dimensione espressiva unica, originalissima, l’andamento dei versi procede perfettamente controllato, simultaneo, potremmo immaginare, al camminare del poeta tra radure e boschi, oasi fantastiche e mitiche che, di volta in volta, si fanno realtà necessaria.
La natura, detta dal poeta neolirico, è definibile di tipo classico, nella sua essenza, idilliaca, avvolgente, protettiva e luminosa,
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

FRANCESCA LO BUE : MOIRAS -- Edizioni Scienze &Lettere - 2012 pp.143 Euro 12.-----

“ Essi son quelli che vengono dalla gran tribolazione, e
hanno lavato…” Ap.7, 14

Si direbbero che sono due le fonti da cui trae ispirazione Francesca: la classica spagnola e la latina. Ma poi, ripensandoci, si riconosce la grande polla da cui scaturiscono tutti i rivoli che sono le lingue e le letterature romanze, intrecciatesi a loro volta a figure letterarie e poetiche di altra origine altrettanto nobili e antiche.
Così il titolo della raccolta poetica Moiras –coloro che garantiscono l’ordine dell’universo- prefigura lievemente il tema che accomuna le liriche. Un motivo predomina: Roma.
Non la Roma delle passeggiate primaverili sul Lungo Tevere e a Villa Borghese, ma la Roma civitas, la città idea e modello, la città che contiene tutte le città e ancora le sue precedenti perché per esse e con esse si conforma, disegna e plasma, e così appare agli occhi del poeta.
Roma in rovina e Roma ricostruita, e ancora in rovina e ancora ricostruita. E l’umanità tutta che per queste strade ha transitato, e piazze e palazzi che ha aggiunto e tolto, che ha modellato per il mio, nostro, diletto odierno.
Se nel sonetto Quevedo evoca
“Buscas en Roma a Roma ¡oh peregrino!,
y en Roma misma a Roma no la hallas; “
Francisco de Quevedo y Villegas A Roma, sepultada en sus ruinas,

chiara risponde la poetica di Francesca
“Ognuno possiede tutti gli altri,
ci sfuse nella fiumana petrea del respiro degli altri,”
Francesca Lo Bue Romasola

Urgente fu per Quevedo il tema del ubi sunt, la fugacità della vita; Francesca Lo Bue osserva il problema sotto il versante uomo-catena dell’umanità: noi che portiamo con noi e dentro di noi l’afflato di chi ci ha preceduto.
Allora, rimembrando la tela di Penelope, si vede il testo-tessuto-tessitura che la parola come navetta di telaio, nel tempo completa la trama. A coloro che prima dissero –Virgilio Egloga X, Quevedo A Roma, sepultada en sus ruinas- la parola di oggi risponde al richiamo; fare e rifare la stessa città come mandala paziente perché cosi si comprende la catena dell’umanità.
Nella sua raccolta poetica anteriore, Francesca Lo Bue aveva suscitato l’immagine di Libro errante, libro-scrittura che va scrivendosi col passar di mano in mano, consegna di generazione in generazione, da maestri a studenti, e sarà completato alla fine dei tempi.
Altra problematica dell’autrice è la traduzione; e trattasi di traduzione poetico-letteraria, quella che concede attenzione al suono, all’evocazione e ai sensi, allo stato d’animo. A questo mira la traduzione del sonetto di Quevedo.
-“E’ come se qualcun altro avesse gia scritto qualcosa che mi appartiene, qualcosa che spiega me stessa, che già era in me”, mi confida Francesca.
Così è anche con i testi degli stornelli romaneschi. Il gioco di traduzione –o di interpretazione piuttosto- qui si intreccia mirabilmente: due quartine in italiano parafrasano il testo dello stornello Carcinacci; poi di stornello e parafrasi si dà la traduzione in spagnolo. La citazione della barcarola Il fiume de Roma è molto emozionante e significativa: Francesca ode il canto ammaliante di questa umanità passata e fisicamente morta, viva nei vivi che di loro serbano i segni, le parole e la memoria.
*
AURELIA ROSA IURILLI