sabato 31 marzo 2018

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“La Croce”
I tuoi chiodi hanno la ruggine dei secoli,
per quella croce che ha chiuso lo sguardo
rivolto a un cielo tenebroso e ostile.
Non hai parole per noi derelitti
piegati alle ginocchia per paura,
perduti tra le nebbie del peccato,
ora che il sangue si colora al nero
e stacca inganni a perle della fronte.
Dona per nome ancora l’illusione
della resurrezione e del perdono al mondo
prima che ogni tramonto chiuda le pupille.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 29 marzo 2018

POESIA = CLAUDIA FOFI

I
nel posto dove il mondo si mostra
in cima a un grappolo di vicoli rossi
nella lente dello sciabordio
una lumaca umida di pioggia
riveste lenta la vecchiaia del mare
e ti sorride umile
e tu non l'analizzi
prendi altri pezzi e monti un nuovo nome
fatto di scheggia e legno e giusto un sapore giallo
pira che sovrasta il cielo
*
II
le mani tue
rami di glicini pendenti sul bordo
il profilo tuo
tagliato come una mela
di netto
il sogno che di te ho fatto
messo per traverso
non ti somiglia
eppure è rimasto intatto
*
Claudia Fofi

mercoledì 28 marzo 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUIGI CANNONE

Luigi Cannone – "Le cose come sono" ---
puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2018 – pag. 71 - € 9,50

Luigi Cannone nasce a Milano nel 1965. Ha pubblicato la raccolta di poesie “Larghe chiazze chiare” (2008).
“Le cose come sono”, il libro del Nostro di cui ci occupiamo in questa sede, è una raccolta non scandita, composta da poesie, tutte senza titolo e che riportano la data e il luogo in cui sono state scritte.
La maggior parte dei componimenti sono stati redatti a Milano mentre altri in varie città tra cui Parigi, Gerusalemme, Granada e Otranto.
Dall’appartenenza delle composizioni a vari luoghi si può evincere la forza evocativa e ispiratrice dei paesi che si manifesta nella scrittura delle poesie.
Il libro si può considerare in un certo senso un poemetto per l’unitarietà contenutistica, formale e stilistica che lo connota.
L’insieme delle poesie è preceduto da una breve citazione in corsivo del mistico indiano Krishnamurti e dopo l’ultimo componimento ritroviamo un altro brano dello stesso autore.
Un senso di magica sospensione pare essere la cifra distintiva della poetica di Cannone.
Nella lettura dei componimenti pare al lettore di affondare nella pagina per riemergerne incantato dalla loro pervasiva liricità quasi come dopo essersi specchiato in un fondale marino.
A volte una vena gnomica pare emergere nelle immagini come in questi versi della composizione eponima: - “Le cose come sono/ d’ombra e d’azzurro chiaro/ venendo come nulla e come nulla il mio fluttuare…/”.
La poesia suddetta evoca una vaga bellezza nell’intensità metaforica e sinestesica che la plasma e il riferimento al nulla fa venire in mente Giacomo Leopardi e la sua concezione filosofica.
Talvolta c’è un tu al quale il poeta si rivolge, presumibilmente una figura femminile della quale ogni riferimento resta taciuto.
Tutto il discorso si gioca tra detto e non detto in una sapiente evocazione di sensazioni tra le righe che produce emozioni anche forti.
Anche il tema del tempo si ritrova nei versi di Luigi come, per esempio, nel bellissimo incipit: - “Tutta la notte si è fermata/ e il giorno e il vento freddo…/”. Qui si nota un chiaro riferimento all’attimo inteso nel senso Heideggeriano, a un tempo che si ferma, feritoia tra prima e dopo.
Una natura rarefatta e materica fa da sfondo a molte poesie della raccolta e vengono detti spesso cieli, soli, nuvole, monti, rive e anche animali come cicale e uccelli e varie specie vegetali.
Formalmente tutte le composizioni sono efficacemente risolte nella loro raffinata eleganza e ottima è la tenuta anche dei versi lunghi.
L’io-poetante molto autocentrato genera versi che sembrano essere prodotti da uno scatto e uno scarto memoriale che si riattualizza nel presente di ogni singola parola o immagine espressa sempre con urgenza in quello che tout – court si fa esercizio di conoscenza.

Raffaele Piazza

martedì 27 marzo 2018

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“La mia furia”
Resta solo il velo dell’attesa
in vertigini e disperde il buio
o frantuma il silenzio tra le figure
sbiadite dell’infinto splendore del niente.
La mia furia attraversa il proibito,
che divora me stesso ed abbandona
le offerte ricucite.
Di nuovo le ciglia hanno bruciato
un residuo di cielo , scivolando in preghiera,
vana promessa di un frasario imprudente.
La mia furia ha l’audacia impossibile,
oltre la cieca impazienza,
che tante volte confonde i rimandi,
ed eccomi ancora a credere
palmo a palmo l’incanto inatteso .
*
ANTONIO SPAGNUOLO

lunedì 26 marzo 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANNA LAURA LONGO

Anna Laura Longo – Nuove rapide scosse retiniche
Edizioni Joker – Novi Ligure (Al) – 2018 – pag. 53 - € 9,00

Anna Laura Longo, nata ad Avezzano nel 1973, vive a Roma. Ha una formazione umanistico – musicale. Pianista concertista e performer porta avanti un personale lavoro di esplorazione sulla scrittura in versi, confluito nel volume “Plasma” – Sottomultipli del Tema “Ricordo”, (2004) e proseguito attraverso la stesura di sue “azioni poetiche e strumentali”, che si arricchiscono tipicamente di impianti visivi, inserzioni di gesti e composizioni di oggetti tra cui: “In un singolo punto nodoso (2004), Elementi grafici – con due linee passanti (2005), Color carne per deposizione rossa (2006), Ribattute sillabe neganti (2007), Questo è il mese dei radiosi incarnati del suolo (2008)”. Presente in festival e rassegne nazionali e su riviste e magazine di arte e cultura contemporanea, realizza allestimenti verbo – visivi con incursioni nel mondo del libro – oggetto. È autrice di testi di teatro musicale e partiture di segni. Concepisce la sua arte come forma di “attraversamento” e indagine plurima e composita.
Come scrive Sandro Montalto Anna Laura depura lo sguardo da ogni retaggio falsificante e dice come l’occhio osserva e si muove non in maniera fluida ma a scatti (il titolo del volume allude ai movimenti saccadici).
La scrittura di Anna Laura è caratterizzata da un ritmo intenso e da una visionarietà stabile nelle immagini prodotte.
I versi sono connotati da una forte densità metaforica e sinestesica e si notano venature di neo – orfismo.
Si tratta di una poetica che ha per cifra distintiva il carattere anarchico e che spesso sfiora spesso l’alogico.
Centrale è il tema della corporeità della fisicità che si collega a quello di un’avvertita percezione delle cose e delle situazioni che si fanno parola.
Si ritrova nei componimenti un senso di mistero, di oscurità e il poiein procede esatto e icastico tra illuminazioni e spegnimenti.
Tutte le composizioni sono suddivise in strofe e a volte i versi sono costituiti da una sola parola.
La Longo pratica una forma originale di sperimentazione e il suo lavoro è raffinato e ricco di raffinatezza ed eleganza.
Come scrive Montalto tra rette, vettori, intersecazioni e tangenze la poesia non perde mai le redini, e sfocia in splendidi versi nutriti di sinestesia.
E’ presente spesso un tu al quale l’io – poetante si rivolge, figura della quale ogni riferimento resta taciuto.
Pare che nei componimenti sia suadente una forte musicalità e tale caratteristica risente della pratica della musica da parte di Anna Laura e facendo un riferimento alla musica stessa si potrebbe considerare quella della poetessa come una poesia dodecafonica.
Da notare che il termine “rapide” del titolo fa pensare alla rapidità delle Lezioni americane di Italo Calvino anche se nel saggio l’autore si riferisce alla narrativa e non alla poesia.
Per Calvino la rapidità è una tecnica di distribuzione differenziata perché più tempo risparmiamo più tempo potremo perdere e tale concetto si può in un certo senso riferire alla poetica della Longo nei suoi versi simili a schegge luminose nell’attimo.
*
Raffaele Piazza

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Finalmente”
Finalmente raggiungere i silenzi
in questo esilio di me in mezzo agli uomini.
Fanatica la maschera della malinconia,
nella strada che cade ed annebbia
ed esclude l’idea della nuda tua figura,
mi accarezza ogni sera.
Il segreto a malapena alterna trasparenze,
sorpreso dai colori dell’arcobaleno,
tra l’orizzonte e a il mio letto,
quasi a ghermire l’impazienza
che corre nella bocca improvvisa.

**

“Curva infinita”
Sono frammenti di scritture anche le rughe
nella falce di luci sulle guance,
ove il rosa è sbiadito con il tempo.
Suoni e colori qualcosa che l’assurdo
getta alle dita attraverso quei gesti,
uncinati al fulgore del desiderio,
e tu curva infinita rimani nel nulla
a coniare leggende.
Hai disperso i segreti , le lusinghe , i coltelli
fra le ombre assediate dai ricordi,
fino a sbiancare nelle pupille irrequiete.
Improvvisa farfalla finisci nelle tenebre
ove tace disperato ogni segno.
*
ANTONIO SPAGNUOLO ------------

giovedì 22 marzo 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARISA PAPA RUGGIERO

Marisa Papa Ruggiero – Jochanaan
Giuliano Ladolfi Editore – Borgomanero (No) – 2017 – pag. 53 - € 10,00


Marisa Papa Ruggiero ha attraversato percorsi di scrittura creativa, con particolare riguardo alla ricerca poetica sul linguaggio, affiancati ad attività pittorica e didattica, dapprima a Milano, poi a Napoli dove attualmente vive.
Ha pubblicato otto libri di poesia, tra i più recenti: "Passaggi di confine", 2012 e "Di volo e di lava", 2013. Tra i lavori in prosa: "Le verità bugiarde e alcuni libri d’artista". Suoi testi poetici sono stati rappresentati come eventi scenici in siti archeologici (Napoli, Cura, Bacoli, Siracusa).
Ha pubblicato testi poetici., critici e in prosa in riviste italiane ed estere (“Gradiva”, “Offerta speciale”, “Risvolti”, Lettera internazionale”, “L’area di Broca”, “Caffè Michelangiolo”, “Poesia”), in siti web, in blog letterari, in raccolte antologiche e in rassegne d’arte sia italiane che estere. Suoi testi sono stati tradotti in inglese e in francese.
Ha fondato, con altri, alcune riviste letterarie, la più recente è “Levania”, rivista di poesia edita a Napoli di cui è redattrice.
Jochanaan, il libro della Ruggiero che prendiamo in considerazione in questa sede, è illustrato in copertina da un particolare del dipinto Verso l’ombra, opera che raffigura un intenso e misterioso volto di donna contornato da una cascata di capelli, quadro che bene s’intona per la sua essenza misterica a quello che per la sua natura può essere considerato un poema.
Il testo presenta uno scritto introduttivo di Giulio Greco intitolato Planare su spazi vulcanici e una nota della stessa autrice.
Per entrare nello spirito dell’opera riportiamo l’incipit della suddetta nota: - “Mi sono affidata a piani scenici modellai sulle necessità dell’immaginazione, tutti eccentrici rispetto all’asse narrativo. Ho lasciato tuttavia, in vista alcuni riferimenti riscontrabili alla tristemente famosa reggia giudaica sul mar Rosso, teatro di un evento biblico ben collegato nella casella mnemonica del sapere storico, sul cui fondale si proiettano delle stilizzazioni drammatiche allucinate che ostinatamente cercano di sgrovigliarsi dagli stereotipi di una iconografia fin troppo abusata in sede drammaturgica e filmica” -.
Quindi si tratta di un lavoro molto composito e articolata, frutto di una lucida e acuta coscienza letteraria.
Marisa pratica una poetica che ha per cifra essenziale quella della determinazione del mistero e dell’indeterminato e non a caso il testo è imbevuto di misticismo naturalistico e da venature neo orfiche.
Il poema è costituito da vari segmenti senza titolo molto densi a livello metaforico e sinestesico.
Predomina fortemente il tema della corporeità, della fisicità dell’io-poetante che appunto diviene parola insieme alla tematica della metamorfosi.
Fortissima è la densità semantica, metaforica e sinestesica che si riscontra nei versi che sgorgano l’uno dall’altro in lunga ed ininterrotta sequenza.
L’io-poetante è inserito in una natura numinosa e l’andamento del discorso ha un andamento teatrale.
E’ costante un tu al quale l’io-poetante si rivolge con insistenza, figura che resta nell’indistinto con i pochi riferimenti su di lui che vengono detti in modo velato.
Così la poeta produce un poema che diviene tout-court esercizio di conoscenza proiettato in un cronotopo ancestrale di tipo biblico e, come scrive Giulio Greco, vi sono libri come questo in cui la parola poetica mette in scena un teatro di figure della mente gravide di attesa, di tensione, di pathos che contagiano chi legge.
*
Raffaele Piazza

mercoledì 21 marzo 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = VELIO CARRATONI

“Passive Perlustrazioni” di Velio Carratoni, pp. 162, Fermenti Ed. Roma, 2018, € 14,00

Mi accingo molto volentieri a stendere questa recensione a commento dei nuovi racconti dello scrittore Velio Carratoni che, in quanto contemporaneamente editore, possiede valori speciali.
Infatti può essere definito come propulsore della letteratura italiana creativa e non allineata, fuori da mafie della grande editoria.
Un uomo fuori dal coro.
Tra l'altro si è anche accorto da tempo del poliedrico Marino Piazzolla, le taureau funèbre come lo chiamavamo qui a Parigi, e ne presiede dinamicamente la Fondazione.

Per entrare in argomento, mi sembra opportuno partire dall'ormai lontano 1993, quando del nostro compare il romanzo Seminale, adornato dalla bella e lucida prefazione di Dario Bellezza.
Scriveva Bellezza che “i personaggi sono terrorizzati dal vampirismo: le donne temono il vampirismo di Manio e il protagonista quello delle sue vittime, è l'eterno conflitto tra identità e alterità che si compone non nel sesso ma nel vizio.”
Lo stesso materiale, aggiornato e rinfrescato nei luoghi frequentati dal protagonista Manio Monesi, compare nel 2003 con il titolo Le grazie brune.
Mario Lunetta, con quella lucidità che lo ha sempre contraddistinto (e che tanto ora ci manca) così scriveva dell'autore ed amico Velio Carratoni:
“uomo e scrittore di specie illuminista, (…) vive un tempo scisso e un'umanità di identità frantumate, non costruisce architetture, ma decostruisce ulteriormente manufatti e personaggi già prossimi allo sfacelo psichico (…) Una lingua decentrata, spastica (…) fatta di scarti, di cedimenti, di fratture... .
Ed io personalmente ho sempre condiviso, quali che esse fossero, le opinioni di Mario Lunetta.

In queste perlustrazioni, che ritengo niente affatto passive, l'Autore, oltre agli inediti, raccoglie molte delle proprie partecipazioni alla Rivista Fermenti, che il Velio Carratoni editore pubblica dal remoto 1971 o anche espunte dai volumi collettanei della Fermenti, in prevalenza dedicati alla narrativa.
Ma Velio è anche autore, oltre ad altro, d'una sintetica e preziosa raccolta di intriganti e sofisticati aforismi (Il sorriso funesto, del 2003) etichettata dal compianto Giorgio Bàrberi-Squarotti come “amorosi ed eretici, arguti ed esemplari”.
Velio fa di tutto sapendo far bene tutto.
Aforista naturale, può, con umiltà ed efficacia, recensire, intervistare, scrivere indifferentemente saggi letterari o sconfinare nella sociologia attraverso un occhio, quello di sinistra, puntato sulla politica e sulle degenerazioni della società contemporanea.
Oppure sa anche essere, per le sue puntuali osservazioni, un iper-realista come fosse un Dennis Hopper o trasformarsi, al contrario, nel dichiarato cantore della carnalità e delle putrefazioni del desiderio.

Velio Carratoni ed io, che operiamo nello stesso campo dello sperdimento nella sessualità - inteso come attrazione irresistibile - rappresentiamo assieme le due facce d'una stessa medaglia, tendendo entrambi ad esaltare, come fosse un latte nutriente, il vizio ed i suoi derivati, assieme alle perversioni ad esso correlate.
Che sono poi queste ultime a rappresentare appieno il trend dell'oggi, sia per quanto riguarda i maschi - tatuati, come una volta i marinai e i galeotti - sia le femmine, abbigliate come lo erano una volta le prostitute dei migliori e più accreditati bordelli.

Per queste considerazioni, mentre apprezzo di molto l'Editore, amo il Velio scrittore, vate d'una spiritualità/ombra, incorruttibile da parte di ogni e qualsiasi virtù sbandata che si dedichi alla ricerca di investimenti produttivi.
Fra le sue tante, anzi tantissime degradate e degradanti eros-novelle, ne posso intanto sceglierne una, un po' presa a caso. L' ho scelta per una specifica chiosa, che risulta di fatto il vessillo di questa ampia raccolta, divenendone a sua volta anche il titolo, “Passive perlustrazioni”.
Un volume centrato dalla slanciata immagine di Gianfranco de Palos che tridimensiona uno spazio, musicalmente, interconnesso.

Ed eccomi infine alla “perlustrazione”.
Ma vorrei partire dal suo ex ergo:
Chi vive di reminiscenze
decresce
con il quale da il via libera a questa favola filosofica.
Per inciso, devo notare l'evoluzione rispetto a “Le grazie brune”!
Le due figure di turno sono, questa volta, Vanni e Gabriella. Ma Gabriella è ripresa in gros-plan, come si dice nel linguaggio cinematografico.
La protagonista è un'insegnante, circondata e asfittizzata dalla famiglia, che ne tenta, incessante, l' accerchiamento definitivo.
Vanni frequenta Gabriella “per curiosità”, più immerso nel loro comune passato che nel presente.
E le si avvicina per il gusto di potersene poi allontanare di colpo, al fine di porre un distanziamento subitaneo e privo di ogni significato apparente.
Ne ricerca i di lei peccati per poter riviverne in sé le conseguenze e incontrarne il corpo per riuscire a disperdere il proprio strologante pensare.
Un loop incessante e ossessivo, maledetto e perverso.
Una piccola storia proiettata nella perversione d'uno sfondo assolutamente filosofico che si colloca, sartrianamente e senza conflitto apparente, tra l'essere e il nulla.
Un Carratoni cultore dello “sfacelo psichico” (Lunetta), lo scrittore maudit dell'oggi che, sguazzando nell'abiezione degradante d'una sessualità non-vivibile in maniera compiuta, si proietta nel tempo. Quel tempo che si indova all'interno di quel punto d'intersezione fra presente e futuro e che probabilmente anticipa ciò che potrebbe divenire la degradata sessualità del poi, che succede vichianamente al libero amore che ha caratterizzato l'intero secolo scorso e i suoi residui, trascinatisi negli ultimi anni del 2000, fino ad oggi.
E tutto ciò avviene mentre al contempo e sempre più agguerrito, Velio Carratoni prosegue e rilancia la sua rigorosa battaglia editoriale.
E non mi pare una cosa da poco -
Antòn Pasterius
(Traduzione dal francese di Antonino Lo Cascio)


lunedì 19 marzo 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

ANTONIO SPAGNUOLO, "CANZONIERE DELL’ASSENZA" - Ed. Kairòs 2018 - pagg. 87 - € 12,00 -


“Non immaginavo che l’amore / avesse il potere di sopravvivere anche dopo, / dopo che il suo profilo abbandona le forme / nella nebbia ormai grigia dell’ignoto” (p. 49). Questi versi, posti poco oltre la metà del libro (per cui il libro stesso si richiude come uno scrigno intorno a queste righe), probabilmente ci danno il senso stesso di questo dolente Canzoniere dell’assenza (Kairós, Napoli 2018, pp. 87, euro 12,00). Un amore che dunque fa assonanza con memoria, e verso la conclusione dello stesso testo quest’altra parola chiave compare con un altro termine topico dell’intera poesia di Spagnuolo, attinente alla dimensione onirica: “Non immaginavo che l’amore / avesse il potere di vertigini nel morso di memorie, / stregato dall’eterno sussurro, / inciso nel cristallo del sogno” (ivi). Amore/memoria/sogno. Dunque, come in un sogno, come nella dimensione atemporale del sogno, la memoria – anch’essa eternatrice – recupera l’amore, l’amore non perduto, ma sempre presente. È questo infatti un canzoniere dell’assenza/presenza, quella presenza che la poesia, freudianamente (e la psicoanalisi come nella premessa l’autore stesso sottolinea è fondamentale per Spagnuolo), recupera come in un sogno a occhi aperti, in un estremo appagamento di desiderio, il desiderio di avere ancora e sempre accanto la persona amata.
Amore, memoria, sogno una triade che si aggiunge all’altra che costantemente ha accompagnato la poesia di Spagnuolo, e cioè: seno/segno/sogno. Termini che ritroviamo anche qui ricorrenti. Il seno è la sensualità, l’erotismo che ricompaiono anche in questo libro in riferimento alla moglie ricordata anche nella sua corporeità: e ciò che manca è – al di là della stessa sensualità – il corpo come segno tangibile della presenza, e portatore accanto a noi dell’essenza stessa della persona Per fare un solo riferimento: “Ricordo le tue mani delicate, / diafane nel tocco della gioventù, / una carezza che sfugge nel sussurro / che mi opprime la mente ogni giorno / e rimbalza segreti inconfessati” (Mani, p. 33). E Spagnuolo, che negli ultimi anni è andato cantando il senso della vecchiaia ritorna qui invece delicatamente alla gioventù, anche se poi in un altro testo la tenerezza rima con la vecchiezza (“Tenerezza dicesti al tremore / degli anni che volgono a vecchiezza”; Tenerezza, p. 70). E il termine rughe che ha solcato recenti raccolte di Spagnuolo compare anche in questa più volte.
Dunque l’assenza, lo stare al di fuori dell’essere. Ma è invece dell’essenza, dello stare nell’essere che la poesia va alla ricerca. Anzi, è questa assenza che si fa presenza nelle parole stesse che la vogliono esorcizzare. Una precedente raccolta di Spagnuolo si intitolava non a caso Rapinando alfabeti (2001): cioè una intenzionale, insistita operazione di scavo nella lingua alla ricerca di ciò che in qualche modo dicesse l’indicibile. Ebbene, in questo Canzoniere compare invece l’espressione “germogliando alfabeti”, come in ascolto della voce della moglie: “Ascolta! Ascolta! Ascolta! / Il rintocco delle campane ha sempre l’eco / delle tue parole, / delle tue parole sussurrate in penombre vespertine, / delle tue parole incise nel mio ricordo / per incendiare convulsioni improvvise” (A sera, p. 72).
Questa assenza, questo silenzio producono dunque spontaneamente, naturalmente, naturalisticamente (germogliare, appunto), il bisogno di produrre un canto, un threnos. E la parola treno compare nel componimento Un treno in ombra (p. 19), sì, come simbolo del viaggio – della vita come “viaggio in sospeso” –; ma questo “treno senza meta” sembra rievocare anche il genere letterario, la trenodia, il canto per la perdita di un caro; in Specchio (p. 75) possiamo leggere, seppure declinato come impossibilità: “Non so piangere! Non so trasformarle lacrime in versi / e versi in lacrime”.
Il riferimento al treno e al viaggio ci permette qui di recuperare il tema del tempo, di cui sempre è tramato ogni riferimento alla vita, alla memoria che tenta di sottrarre all’oblio e all’ombra ciò che si è perduto scivolando dal piano del tempo finito a quello dell’infinità e dell’eternità dell’ombra. E c’è nel libro tutta un’insistenza lessicale, e dunque concettuale e sentimentale, sulle gradazioni – buio, ombra, penombra, luce, bagliore, oltre che un richiamo continuo ai colori che nella luce prendono vita, o anche e soprattutto alla “dissoluzione di colori” (p. 70). Ma non c’è un netto contrasto dialettico tra ombra e luce, nell’incertezza complessiva, nel dubbio che grava su tutto. Il riflesso della luce si fa riverbero, abbaglio, parvenza e quindi illusione (a cui corrisponde anche il “tranello” che è la vita).
Illusione, altro termine fondamentale in questo libro. Altro sentimento che, anche ontologicamente pervade l’esistenza. L’illusione dell’eternità dell’amore, perché la morte ha strappato l’oggetto-soggetto d’amore. Illusione perché l’attesa del ritorno rimane insoddisfatta: Non ritorni è il titolo di un libro precedente del 2016, un altro capitolo di questo perenne canzoniere dell’assenza. E in questo recente libro leggiamo: “La tua assenza scivola, e affogo l’ultima illusione” (p. 80).
Eppure in questo abbandono, in questo gioco tra illusione-disillusione-delusione c’è un momento nel quale sembra di avvertire una fugace composizione, o almeno la traccia di questo bisogno. Emblematico è in questo senso il testo Insieme (pp. 46-47). Leggiamo, anche se il senso delle espressioni andrebbe ulteriormente indagato nella complessità del testo: “alterna fortuna aggrega persone”; “aggrega figure”; “bene comune”; “aggregare lingue”; “legami di sangue”; “la proiezione della comunità”. Tutto ciò “all’incrocio del golfo” – Napoli, la città, la comunità – e “ancorati alla Croce”, in una “convergenza del credo”, e compare anche il termine “vangelo”. In un libro tutto incentrato nell’immanenza di un sentimento terreno, pur fortemente spirituale oltre che fisico, si affaccia, per scorci, un elemento religioso: la Croce è scritta con la maiuscola. Sappiamo che pur nella sua ricerca laica Spagnuolo ha pubblicato ormai molti anni fa «Io ti inseguirò». Venticinque poesie intorno alla Croce. Qui l’inseguita è la donna amata, ma si rivede, in uno scorcio, la Croce, come in una momentanea pausa nel dolore dell’assenza: “dove tutto è sospeso nel luogo che accoglie”.
Ma, nonostante le violenze che ho praticato al testo estrapolandone lacerti che, a partire dal titolo, Insieme appunto, testimoniano pure una via d’uscita, prevale ancora e sempre il sentimento dell’assenza: “Le mie mani ti vorrebbero ancora, / ma stringo inutilmente le mie dita / tra il cuscino e il silenzio, / e rivivo riflessi nei rintocchi / di un orologio indiscreto” (Ironie, p. 77). E proprio in conclusione c’è un velo, seppure un “velo di malizie”, che, scrive il poeta, “avvolge il mio ricordo nel segreto”.
*
Enzo Rega

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


"Alessia e l’odore dell’erba tagliata"

Mattinale incanto per Alessia
sotteso all’odore di erba tagliata
per ragazza Alessia nella stanza
dell’anima a respirare l’incanto
naturale che avviene nel verde
del condominiale prato a ovest
della vita. Ricorda che un mese
fa ha fatto l’amore nello stesso
afrore e nuda allo specchio
a sé stessa formosa e bella
sorride. Squilla il telefonino
ed è lui, lui, lui!!!
Si prepara alla vita Alessia,
il rimmel, il rossetto e i jeans
sdruciti e la maglietta gialla
per piacergli.
*

"Alessia attende"

Attesa di Alessia in limine alla vita
nell’abetaia sotto il cielo d’argento
nell’intensificarsi della luce a entrare
negli occhi e toccare di ragazza Alessia
l’anima di stella. Attende Alessia
felicità da Giovanni e una vita infinita
sottesa a redenzioni ad ogni passo.
Attesa di sogni belli nell’intessersi
alla marea del Mediterraneo
che sale e Alessia accende una candela.
Prima di dire pronto dopo il numero
ride Alessia come una donna.
*

"Alessia si sente fantastica"

Freddo a pervadere di Alessia
l’anima, chiaro orizzonte
che avanza nel mattino
nella speranza da volatili solcato.
Si sente fantastica Alessia
dopo di ieri sera l’amore,
nuda allo specchio si vede bella.
Poi come una donna si veste
e attende di lui la telefonata:
mezz’ora di ritardo e spera,
poi il suono (fatti bella Alessia).
Crede Alessia nella storia infinita
e indossa la maglietta fuxia
per piacergli di più
sottesa alla radiosità del sole.
*

"Alessia e l’acquata"

Battesimo di pioggia
nel grano dei capelli
di Alessia. Benedizione
di sorgente dall’intensità
del tetto azzurro di
un cielo che era freddo
di stelle semispente
e di una luna bianca
pari ad ostia di platino.
Poi entra nella camera
e si prepara all’amore
Alessia, le mutandine
nere che gli piacciono,
il rimmel e il rossetto
e i jeans strappati nei
punti giusti. Specchio
per Alessia dove era
già stata (nella serra
dei fiori animati).
E così ragazza Alessia
esiste.
*

"Alessia e il tempo del 2018"

Attimi bianchi pari a di gennaio
neve ad ammantare Napoli
che ancora esiste verso febbraio
del nevaio il mese e il Mediterraneo
resiste dove Alessia ha acceso
sul bordo una candela. Pioggia
a giocare e ridere con l’acqua scesa sui
sempreverdi della vita sottesi
a di stellante ansia il sentimento
nell’agglutinarsi Alessia con il cielo
ragazza ai lieti colli dell’anima protesa
come di una fotografia a colori
l’essenza. Esatta primavera verde
all’orizzonte che si fa fantastico
fino al melograno nel guardarlo
ancora.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = VELIO CARRATONI

PASSIVE PERLUSTRAZIONI, racconti 2008-2017, di Velio Carratoni, Fermenti Editrice

Questo testo dimostra che oggi, per raffrontare fatti, situazioni, occorre aprirsi alle vicende della vita, ai rapporti, dai più semplici ai più complessi. Aprirsi per confrontare una realtà che resta indefinibile. Anche se illusoriamente sondabile: “...sia lui che io non ci sbilanciamo, giocando ad imitare chi fa o non fa, contando sulla frequenza...” (Un tipo così).
“...Sono. Ma cosa? Niente...A me piace essere l'uno e l'altra, senza volerti dire di che sesso sono Scoprilo tu...” (Le voci delle ombre).
“...Per castrare il maschio, corte spietata....Gli si toglie tutto. Non c'era bisogno del femminismo per dimostrarlo...” (Per questo mi ribello).
“...Tienilo in mente. Più invento e più mi credono...”. (Il di più del niente).
“...Abbattere regole significa dare risalto agli appetiti più sbilanciati...” (La protezione del male).

Carratoni, con la sua asciutta analisi del logoramento di ogni condizione umana, dimostra che non c'è chiarezza se non è equivoca o sdegnosa. A causa di una società contro, che invoglia ad essere contro, apparendo come la sfinge che accoglie e risolve. Mentre certi zimbelli del caos sono convinti di ciò, anche se sprigionando dalla coscienza ogni riserva e diniego: “ emetteva sussurri goffi che si tramutavano in rantoli” (La sonnambula in gelido calore). Niente di più o di diverso?
Risposta possibile “da allora i miei silenzi sono divenuti i miei taciti assensi”(La figlia del vicino di letto).
“La carne umana anche la più squallida è considerata sacra...”. (Crisi).
“...Tutto si confonde tra il sudore che mi fa ribollire, il silenzio mischiato alle voci dei clienti che si propagano dal telefono, rimesso in azione. Le parole sempre le stesse...”. (Famiglia focolare chiuso).
“...Meglio non capirci nulla. Così detto si sviluppa da sé. E chi sta in mezzo al guado, se resiste è frantumato...” (Le assenti).
“...Tutto si confonde nel caos di contatti astrusi. Per una forza d'inerzia che ci accomuna...” (Le pratiche in testa).
“...Quante vite vissute a scomporre gli animi. Per non sentire: Per non approfondire...” (Pensa a crescere).
“...Non ci capivo nulla. Eppure, era riuscita a rendermi una specie di robot senza coscienza e senza
sentore. Per assecondare inspiegabili fobie...” (Un genitore multiuso).
“...Per questo si sentiva nei suoi confronti come un correo di possibili eventi. Anche di quelli imprevisti. O inconfessabili...”. (Gelo).
“...Anche se aveva precisato di non tenerci a far conoscere le sue ragioni del cuore. Quali? Le ragioni di un dentro che ho sempre rigettato...C'erano rimaste le ragioni, immaginate dal nonno...) (Le ultime parole).

E ancora:
(Spirito e materia) “...Eseguendo le partiture ero solita scrutare gli occhi degli ascoltatori delle prime file che mi fissavano con insistenza, con una curiosità con cui mi avrebbero voluta percepire in qualsiasi mio connotato... Gianni di rimando:...Ma sai di cosa son fatto...di carne, di polpa, ossa, nervature che ti vorrebbero schiacciare, come per invitarti ai ritmi che da troppo tempo sembri rinnegare o scartare...”.
(Passive perlustrazioni) “...Chi vive di riminiscenze decresce...Gli appariva statica, pur immaginandola un'acqua cheta, da fissità subìte, certo non da lei condivise...”.
(La fissa estate) “...Siamo larve in giro. Mostri inappagati e offesi, dipendenti e contaminati da stagioni che non sono più tali, ma agglomerato di fenomeni a sorpresa...”.
(Le volte di Sara) “...La ragazza non risponde alle domande, all'infuori di fissare sul monitor chissà quale messaggio accattivante o a sorpresa, accostandosi alla coetanea, i capelli di un biondo paglierino, la tagliata da forbiciata ribelle o da dispettosa piega che non parte o non arriva a seguire alcuna direzione o linea...”.
(Il fidanzato) “...Lo considerava il fidanzato. Ma quando lo vedeva , per ragioni di lavoro, era sempre triste. O irritata. E scontrandosi con gli sguardi questi non si irradiavano...prevaleva un'aria di tenebra rimasta nella fase di un blocco inceppato che le rendeva l'umore come se stesse in un ambiente da borsa, che si abbassava e saliva, ripercuotendosi nello stato d'animo...”.

Ed altro.

“...Brani pieni di estri e di ossessioni: una sorta di sbalestrato diario in frammenti di un Personaggio/voyer che si muove dentro una lingua sua, molto abitudinaria e molto gergale, che finisce per costituire alla fine la sua unica friabile e periclitante certezza in un mondo popolato di esseri per lo più orrendi, ammalati di squallore...”.
Mario Lunetta, 2009, a proposito di un precedente libro di Carratoni.

Leggendo la raccolta in questione, in cui risaltano altri giudizi di Lunetta, quali le possibili differenze di opinione da parte del lettore in corso?

Gemma Forti



giovedì 15 marzo 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = CARLANGELO MAURO


"Liberi di dire". Saggi su poeti contemporanei, seconda serie
Ed. Sinestesie – Avellino – 2017 – pag. 289 - € 15,00

Nella seconda serie di saggi sui contemporanei di Carlangelo Mauro ‒ che riprende alcuni autori presenti già nella prima serie, del 2013, come Cucchi, Piersanti, Fontanella, cui seguivano De Angelis e Neri ‒ sono trattati diversi autori come Aglieco, Pagliarani, Giancarlo Pontiggia, Rafanelli. Sette poeti su tredici risultano di origine campana, come Luigi Fontanella, salernitano, la cui poesia è densa di riferimenti ai luoghi d'origine o al padre: «Sono ancora io quel ragazzino / ritto davanti a te in lambretta / sulla discesa da Vietri a Salerno?»; come Antonio Spagnuolo ‒ nel volume si pubblica una interessante lettera inedita di Saba diretta a lui ‒ di cui si esplorano i rapporti nella sua opera tra linguaggio poetico e linguaggio medico-scientifico, come in Candida, in cui pure sono presenti versi al padre: «In ultimo mio padre / mezza fiala di Noan / ed entra in coma», tema questo del padre che ritorna specificamente nell'ampio saggio di Mauro sul recente oscar mondadoriano di Cucchi. Il discorso sugli autori campani è inserito nel quadro nazionale della poesia contemporanea a partire dal rapporto che ogni poeta ha con il luogo come motore dell'esperienza e della scrittura. Ciò riguarda sia autori di lungo corso, come Ugo Piscopo, di cui viene trattata la produzione teatrale accostata a quella poetica, con riferimenti al suo Presenze preesistenti, ispirato a Pratola Serra, alle sue antiche costruzioni: «La pietra è radice / perduta trovata»; sia autori più giovani trattati nella seconda sezione, come Domenico Cipriano e il suo poemetto Novembre sul sisma dell'80: «trema la terra, le vene hanno sangue che geme e ti riempie»; ancora Stelvio di Spigno, autore di Formazione dal bianco, in cui appare la dialettica tra evocazione e cancellazione del luogo di origine: «Il profilo di Napoli / scompare nella sua distruzione». Il tema della dissoluzione, stavolta sul versante dell'identità, della disgregazione dell'io, riaffiora nel volume Uno stupore quieto del salernitano Mario Fresa raffigurato concretamente dalla perdita del corpo: «Questo corpo disossato, quasi irreale, / che un tempo chiamavamo meraviglia». In Olimpia di Luigia Sorrentino si coglie un attraversamento della classicità, in cui si avverte il fascino della presenza implicita dei luoghi campani della magna Grecia; dell'autrice vengono discussi anche altri testi liberamente ispirati al sisma dell'80, come Le onde delle terra: «l’esplosione ci raggiungerà forse dalla montagna». Diversi i rimandi interni che si possono cogliere nel volume, che si apre con il saggio sul poemetto La ragazza Carla di Pagliarani, come modello di riferimento del poema epico-narrativo del napoletano Vincenzo Frungillo, Ogni cinque bracciate, cui è dedicato il saggio conclusivo. Poema della dissoluzione del corpo, concretamente e in senso allegorico, delle campionesse della DDR, vincitrici alle Olimpiadi del 1980, ma imbottite, con l'inganno, di steroidi per «la luce dei trionfi» del regime sovietico.
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Raffaele Piazza

martedì 13 marzo 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

Antonio Spagnuolo – “Canzoniere dell’assenza” --
Kairòs Edizioni – Napoli – 2018 – pag. 89 - € 14,00

Antonio Spagnuolo, autore del libro di poesia che prendiamo in considerazione in questa sede, è nato nel 1931 a Napoli, dove vive. Poeta e saggista, è specialista in chirurgia vascolare presso l’Università Federico II di Napoli. Redattore negli anni 1957 – 1959 della rivista “Realtà”, diretta da Lionello Fiumi e Aldo Capasso, ha fondato e diretto negli anni 1959 – 1961 il mensile di lettere e arti “Prospettive letterarie”. Condirettore della rivista “Iride”, fondatore e condirettore della rassegna “Prospettive culturali”, ha fatto parte della redazione del periodico “Oltranza” Ha pubblicato numerosissime raccolte di poesia, per le quali ha riportato molti prestigiosi premi, e varie opere in prosa. Ha curato diverse antologie ed è presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali. Collabora a periodici e riviste di varia cultura. Attualmente dirige la collana “le parole della Sybilla” per Kairòs editore e la rassegna “poetrydream” in internet. Tradotto in francese, inglese, greco moderno, iugoslavo, spagnolo. Della sua poesia hanno scritto numerosi autori tra i quali A. Asor Rosa nel suo “Dizionario della letteratura italiana del novecento” e nella “Letteratura italiana” (Einaudi).
“Canzoniere dell’assenza” presenta una prefazione di Silvio Perrella ricca di acribia e un interessante “Incipit” dello stesso Spagnuolo che potrebbe essere letto e considerato come una dichiarazione di poetica.
Una considerazione preliminare riguarda lo stile di Spagnuolo relativo a quest’opera e a tutta la produzione più recente: infatti, nella sua lunga militanza di poeta, per lunghi anni il Nostro ha privilegiato un discorso criptico tendente all’anarchico e all’alogico, mentre da qualche tempo sua cifra essenziale è una scrittura sempre altissima e densissima a livello semantico, metaforico e sinestesico, ma che ha in sé stessa la novità della chiarezza pur nella sua complessità.
Se, come affermato da Goethe, la poesia è sempre d’occasione, questa e le recenti raccolte di Antonio confermano “tout-court” questo assunto.
Infatti il poeta ha subito il fortissimo dolore della scomparsa dell’amatissima moglie Elena compagna per decenni nella vita.
Tutti i volumi più in limine di Spagnuolo hanno per tematica quella della presenza – assenza di Elena.
Non è sentimentale nostalgia quella dell’autore ma piuttosto il desiderio di stabilire la provenienza della sua esistenza attuale, un cammino percorso spesso nella gioia con la persona amata.
Il discorso si fa altissimo per la sapienza degli strumenti linguistici del Nostro e le poesie su Elena possono essere paragonate, nel loro essere dette con controllata urgenza, a quelle dedicate alla moglie defunta da Montale.
La raccolta non è scandita e per la sua unitarietà contenutistica e formale potrebbe essere considerata un poemetto.
Il termine “Canzoniere” rievoca quello petrarchesco che pure è dedicato ad una donna che è finita, Laura.
Una riattualizzazione, dunque, della figura dell’amata, finalizzata ad un rivivere i felici attimi passati insieme nella vita.
Quindi il dolore che sottende l’occasione può portare ad accensione di stupore se non di gioia a dimostrazione che la poesia stessa salva la vita.
È il poeta tratta anche il tema dell’erotismo nel rievocare i momenti della giovinezza ora che Elena è fuori dal tempo degli orologi.
Si nota, e questo è un punto saliente, una stabile sospensione in ogni singolo verso nel suo connettersi con gli altri, elemento che crea un forte senso di magia attraverso l’icasticità del dettato.
…” /La realtà è un’immagine dalle sbavature imperfette/ e muove chiarori inaspettati/” scrive il poeta in “Luna”, a conferma della convinzione della possibilità di una luce di redenzione che è quella della stessa poesia.
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Raffaele Piazza

giovedì 8 marzo 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

Francesca Lo Bue, Itinerari/Itinerarios, Società Editrice Dante Alighieri Roma 2017

Immaginate questa raccolta poetica come fosse una mappa cittadina. Si diramano corsi, strade, angiporti: ognuno di essi imbocca un percorso diverso e tende alla ricostruzione della biografia intellettuale dell’autrice. E una mappa, infatti, si staglia sulla copertina: vi troviamo rappresentato un Frammento della Forma Urbis, inciso a Roma ai tempi dell’imperatore Caracalla, tra 203 e 211 d. C., una delle prime ricostruzioni topografiche della città eterna.
Volendo, potremmo dire che il viaggio, e con esso il movimento, il tendere verso, sia il vero unico protagonista, il filo rosso che lega i componimenti della silloge. Non è un caso che uno di essi sia intitolato al Minotauro. Come è noto il mito greco ci consegna l’orribile storia di un mostro, semiumano e semitaurino, avvezzo a cibarsi di carne umana e rinchiuso in un labirinto cretese. Altrettanto ci consegna l’avvincente epos dell’eroe Teseo, la cui grandezza non risiede solo nella sconfitta del nemico, ma anche nell’astuzia di saper trovare la strada. Sentiamo le parole dell’autrice. Ella si chiede: “come fecero a costruire mura labirintiche…?... camminavano dietro stelle schive che illuminavano passi deformi e sentieri enigmatici…” (p. 128). Sembra quasi che il labirinto sia l’effetto, e non la causa, dell’enigma e della deformità circostante.
E l’enigma si dipana attraverso più filoni culturali: la spiritualità cristiana (Lontananza), il pensiero greco (Artemidoro, Antigone-Maria Stuarda) e orientale (Enkidu e Gilgamesh).
Ma qual è l’enigma che la poetessa cerca di sciogliere, affrontando “itinerari” – appunto – diversi? Nella molteplicità dei temi, uno mi sembra riornare tenacemente, ed è quello del tentativo di riscatto, di rivalsa dell’umile, dell’emarginato, dello straniero, dello sconfitto nei confronti di una realtà ostile e competitiva. Scorriamo i titoli: La bugia, Silenzio, La superbia, In solitudine, La prigione, Diseredati, Gli uomini residui, Lo straniero, Avidità.
Ne Lo straniero si dice che “mancano le parole all’enigma del domani…arriva l’estraneità e scivola tenue fra i capelli col grumo di una colpa antica” (p. 104). Sembra quasi che il mistero sia messo in relazione con una colpa ancestrale e che essa provochi “estraneità” e straniamento. Ne Gli uomini residui i protagonisti sono i minatori delle miniere, equiparati ad “angeli interrati” e ad “araldi rauchi”, ovvero messaggeri senza voce che dalle viscere della terra scavano “giacimenti, gallerie di labirinti” e le cui grida rimangono come “ghiaccio e vetri infranti”. Il finale della poesia poi apre a uno scenario titanico (si ricordi come il mito greco-latino sia un importante debito culturale del libro) in cui i minatori, novelle prede di Urano, “vogliono arrivare al cielo, scavando nell’argento della Luna” (p. 62).
In altri casi il conflitto tra l’io poetico e la realtà prende forme meno evidenti ma non meno pregnanti. In Gulliver si dice che “parole amare, vecchie untuose congiure, scavano sentieri nella carne” (p. 32). È come se fosse messo in scena un contrasto tra il singolo, portatore di una purezza primigenia e gli altri, massa informe animata da bieco interesse. In Burocrazia, poesia dal sapore kafkiano, l’interlocutore poetico, perso tra mucchi di carta stampata, è così apostrofato: “nella terra della prigione sei tramite, muovi le pedine dei sogni altrui, fra labirinti di amori confusi e sottili ostilità” (p. 54).
Ciò potrebbe farci pensare che la poesia della Lo Bue sia tragica, votata alla catastrofe. Non per nulla eroine indiscusse della raccolta sono Antigone e Maria Stuarda: le separa la realtà, le separano i secoli e i luoghi, ma esse sono emblematico caso di un destino umano di sconfitta privato e collettivo, vittime come sono di conflitti familiari cagionati e ingranditi da periodi storici ostili, principesse uccise dalla ragion di stato (p. 126).
Tuttavia se c’è dramma c’è anche concreto riscatto, fiducia nella rivincita morale dell’individuo offeso. E così arriviamo allo scioglimento dell’enigma. Il viaggio giunge a compimento. Il riscatto è nell’io, nella sua capacità di ricreare una realtà fausta nell’atto stesso di nominarla. È Poesia il testo culmine della raccolta: in esso non è la Lo Bue che parla, è l’essere umano, siamo tutti noi. Ecco cosa rimane all’afflitto, allo sconfitto: “una speranza di parole” poiché “la poesia ricostruisce, trasmuta” in quanto – dice – “sono aride le fonti della terra ma pronuncio il nome di Dio e tutto arriva” (p. 130). Qui Dio non è il Dio cristiano, è la forza creatrice interna al soggetto, la stessa che permette di affrontare l’horror vacui, la distruzione operata dall’aridità dei cuori umani.
Non a caso ricordiamoci l’etimologia della parola poeta, della parola poesia, ovvero il verbo greco ποιέω, “io faccio”. Qui Dio è il poeta che è in noi.
Roma, 7 marzo 2018 ---- Giovanni Rempiccia

mercoledì 7 marzo 2018

RIVISTA = IL SEGNALE

IL SEGNALE - N° 109 - febbraio 2018
Sommario :
-Letteratura e realtà:
Massimo Rizza : La comune coscienza
Pancrazio LUisi : Elegie romane
-Scritture parallele :
Gianluca Bocchinfuso : Di guerra in guerra
Massimo Rizza : La sfida di un'analfabeta
-Differenze e alterità:
Adriano Rizzo : La diseducazione. La disubbidienza
-Soggettività e scritture
La noia modena - di Pancrazio Luisi , Fabio Scotto , Adriano Rizzo , Sionetta Longo, Loredana Magazzeni , Chicca Morone, Luigi Cannillo
-Testi:
di Radu Ulmeanu - Antonio Spagnuolo - Laura Cantelmo - Valentino Ronchi
-Narrazioni :
Luciano Monti : Una piazza perfetta
Marina Massenz : Sentieri africani
- Letture critiche :
Marco Tabellione : Composita solvantur di Franco Fortini
- Recensioni:
Aurelia Delfino , Federico Pietrobelli , Caterina Pardi
- Schede rtiche
- Rassegna delle tiviste
- Poesia Libri-novità
Riferimento : Lelio Scanavini : segnale@fastwebnet.it

NOTIZIA =SETTANTESIMO DI ELENA SCHWARZ

Domenica 11 marzo dalle ore 18:30
presso Salotto letterario "Fontanka 46. Accento straniero"
S. Pietroburgo, Lungofiume Fontanka n.46, 2o piano, Sala conferenze.

Per il settantesimo di Elena Schwarz

Presentazione di "Nel cristallo della stella Mizar"
(2017, a cura e con traduzione di Paolo Galvagni, edito da Fermenti in collaborazione con la Fondazione Marino Piazzolla)

Incontro con il traduttore

Elena Schwartz (1948-2010) ha esordito come poetessa nel 1972. Ha frequentato gli ambienti letterari underground, dove i poeti si esibivano in letture fondamentalmente domestiche. Negli anni Ottanta ha pubblicato versi in Occidente, dal 1989, con la perestrojka, anche in patria. Agli ultimi anni risalgono
volumi antologici. Ha composto poesie per quasi cinque decenni. È autrice anche di p...rose. Ha vinto
numerosi premi letterari.

Paolo Galvagni - traduttore italiano, russista e ucrainista. E' nato nel 1967 a Bologna.

martedì 6 marzo 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = VINCENZO BARBA

Vincenzo Barba – Antiche dimore--(1969-2009)
Bibliopolis – Napoli – 2017 – pag. 63 - € 12,00

Vincenzo Barba (Salerno, 1932 – 2012) ha insegnato Storia della filosofia all’Università di Salerno. Si è occupato soprattutto delle correnti radicali dell’Illuminismo francese. Ha pubblicato numerosi saggi e ha tradotto e curato molti scritti di vari autori. Ha collaborato a riviste di filosofia e di cultura e all’ “Enciclopedia del pensiero politico”, 2000.
Queste poesie vengono pubblicate a cura dei nipoti Elsa e Matteo D’Ambrosio, che ringraziamo le Edizioni Bibliopolis.
“Antiche dimore” è una raccolta di poesie che non presenta scansioni. I componimenti, tutti provvisti di titolo, risentano del fatto che Vincenzo Barba sia stato un filosofo per la loro vena speculativa e profonda.
Tutte le composizioni presentano le date delle loro stesure e questo elemento ci fa riflettere sull’evoluzione del poiein di Barba.
Si avverte un pessimismo in queste poesie, come per esempio nella brevissima lirica “Ricordi”, nella quale il poeta afferma di ricordarsi dei sogni e delle speranze ma che nulla delle sue rimembranze è cosa viva o vera
Tuttavia non c’è un assoluto nichilismo in questo autore come si può notare nel componimento Segreti: - “Nei luoghi inaccessibili del cuore/ c’incontriamo a sopportare la vita/ con sicuri appuntamenti. // Sognando un canto alto del sole/ restano mute sorelle/ la tua tristezza e la mia”., Anche se la vita è da sopportare ci sono sicuri appuntamenti che possono essere illuminati da un canto alto del sole, una luce che si fa musica in una sinestesia veramente bella e alta.
Una vita in bilico tra gioia e dolore: in Gioiosa tristezza leggiamo: - “Hai ridato per me al cielo le stelle/, i sapori della terra/, al mare la cangiante luce. // A chi ignora il segreto/ è motivo di stupore/ la mia gioiosa tristezza/” -.
Nella suddetta lirica è affrontato il tema della felicità quando, rivolgendosi ad un tu, del quale ogni riferimento resta taciuto, il poeta dice che questa indistinta presenza gli ha ridato per lui al cielo le stelle e che c’è, custodito in lui un segreto relativo al suo approccio all’esistere, alla gioia e al dolore.
In un panorama letterario della poesia, come quello odierno, nel quale si realizzano soprattutto discorsi criptici, dove domina una parola spesso oscura, frutto degli sperimentalismi di ciascun autore, il lavoro del nostro si colloca in una zona appartata per la sua chiarezza che ne emerge al fondamento.
Ad una prima lettura questi versi potrebbero apparire elementari; invece Barba sa padroneggiare la sua materia raggiungendo spesso effetti sorprendenti.
Lo stile e la forma sono nitidi e cristallini e la parola, detta con urgenza, è permeata da una vaga magia nella sua icasticità.
In “La terra felice” il poeta rivela il suo desiderio di condurre senza ritorno il suo interlocutore alla Terra felice dove i sogni belli sono cose e la speranza è vita.
Una misura che ha qualcosa di classicistico nella sua aurea connota i versi di questo autore per il quale esistono i veri valori e per il quale la madre è un punto di riferimento.
Il titolo del volume Antiche dimore, fa intendere la genesi delle poesie come sottesa ad un passato, appunto a qualcosa di antico e dimora per elezione potrebbe essere proprio il grembo materno in cui ritornare.
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Raffaele Piazza


venerdì 2 marzo 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANFRANCO ISETTA

Gianfranco Isetta – "Indizi…forse" ---(Poesie 2001-2010)
puntoacapo Editrice – Novi Ligure (Al) – 2011 - pag. 173 - € 16,00

Questo volume raccoglie la produzione poetica di Gianfranco Isetta dell’arco temporale che va dal 2001 2010 e include inediti e vari interventi critici. A questa raccolta ne sono seguite altre tra le quali Passaggi curvi, poesie non euclidee, 2014 e Gigli a colazione, 2017.
L’autore, che ha riportato numerosi premi, è nato a Castelnuovo Scrivia (AL) nel 1949. Le sue prime opere sono Sono versi sparsi, 2004 e Star rosa, 2008 entrambe arricchite di interventi critici di Giorgio Bàrberi Squarotti.
Il testo si sdipana attraverso la cronologia dei componimenti inclusi tramite le seguenti scansioni: ANNO 2001, ANNO 2002, ANNO 2003, ANNO 2004, ANNO 2005, ANNO 2006, ANNO, 2007, ANNO 2008, ANNO 2009, ANNO 2010, ANNO 2011.
Tutti i componimenti presentano le date in cui sono stati scritti e questo elemento ci fa intendere anche l’influsso atmosferico che ne ha influenzato le stesure secondo l’alternanza dei mesi e delle stagioni.
Un senso di sospensione e mistero connota le composizioni di Isetta e cifra essenziale della sua poetica pare essere una forte introspezione che sfocia spesso nel rivolgersi ad un “tu” che presumibilmente è quello dell’amata e del quale vengono detti pochi riferimenti.
Quello di una natura rarefatta e intellettualizzata pare essere uno dei temi più diffusi e fondanti di questi versi che, come dal titolo, si rivelano, in ogni circoscritto componimento, come indizi e il tema investigato è proprio quello della vita.
C’è un ottimismo in Isetta che sottende l’idea della possibilità della felicità attraverso lo stupore davanti all’amore e alla natura stessa.
Quindi Gianfranco non è assolutamente un nichilista nel suo essere vagamente lirico ed elegiaco attraverso dettati che procedono attraverso illuminazioni e spegnimenti.
Non a caso in Senza gravità (di pensiero), poesia alta e bella il poeta scrive, secondo un discorso cosmico, di curvatura dell’universo, d’immortalità futura e di spazio e tempo, fattori dai quali non si può prescindere.
Una densità semantica, metaforica e sinestesica caratterizza le composizioni scabre ed essenziali, sempre misurate e ben risolte nella loro eleganza.
Attraverso le datazioni di cui si diceva il poeta sembra scrivere un diario di bordo della vita che naviga nel mare magnum del nostro mondo liquido; allora per noi sommersi dai mass – media nel villaggio globale può aprirsi il varco salvifico di una vita ricca di senso solo attraverso la parola poetica detta con urgenza nel rivolgersi sia ai lettori che agli interlocutori letterari.
L’universo naturalistico del mondo vegetale sembra centrale per l’autore che spesso nomina foglie e piante e frutti come, per esempio l’uva, in Si pigiava l’uva nella quale il poeta rievoca l’atto compiuto di quando era ragazzino di pigiare il frutto con una memoria involontaria che non è vana nostalgia ma ricerca di senso e di riattualizzazione. E il poeta nel finale scrive in questa poesia intellettualmente, non a caso, che l’atto che si compiva non cercava per lui ragazzino un di più o un di meno di senso.
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Raffaele Piazza


giovedì 1 marzo 2018

RIVISTA = NUOVO CONTRAPPUNTO

NUOVO CONTRAPPUNTO - anno XXVI - N° 4 - ottobre - dicembre 2017
Sommario :
Corrado Calabrò : La scala di Jacob
Lucio Zinna : Strade
Giuseppe Rosato : Per i 18 anni di Camilla
Manrico Murzi : Quando mi cerco ; Il gerundio
Carlo Ciparrone : Sperando che l'aldilà non sia una favola ; Mi resta solo la soddisfazione ; Scatola nera ; L'inesorabile certezza ; Il prezzo della vita.
Franca Alaimo : Hermes ; Cose .
Leone d'Ambrosio :Anche la più piccola distanza; Se tu fossi ancora in vita ; Fino alla fine.
Roberto Beccaria : Nei giardini del arco ; Il dilemma ; Il vuoto
Remigio Bertolino :Canson a la luna ; Che mor; Meditassion ; Mosche ent l'appress-mesdi.
Recensioni : a cura di Elio Andriuoli
Opera grafica di Luciano Luisi .