“Passive Perlustrazioni” di Velio Carratoni, pp. 162, Fermenti Ed. Roma, 2018, € 14,00
Mi accingo molto volentieri a stendere questa recensione a commento dei nuovi racconti dello scrittore Velio Carratoni che, in quanto contemporaneamente editore, possiede valori speciali.
Infatti può essere definito come propulsore della letteratura italiana creativa e non allineata, fuori da mafie della grande editoria.
Un uomo fuori dal coro.
Tra l'altro si è anche accorto da tempo del poliedrico Marino Piazzolla, le taureau funèbre come lo chiamavamo qui a Parigi, e ne presiede dinamicamente la Fondazione.
Per entrare in argomento, mi sembra opportuno partire dall'ormai lontano 1993, quando del nostro compare il romanzo Seminale, adornato dalla bella e lucida prefazione di Dario Bellezza.
Scriveva Bellezza che “i personaggi sono terrorizzati dal vampirismo: le donne temono il vampirismo di Manio e il protagonista quello delle sue vittime, è l'eterno conflitto tra identità e alterità che si compone non nel sesso ma nel vizio.”
Lo stesso materiale, aggiornato e rinfrescato nei luoghi frequentati dal protagonista Manio Monesi, compare nel 2003 con il titolo Le grazie brune.
Mario Lunetta, con quella lucidità che lo ha sempre contraddistinto (e che tanto ora ci manca) così scriveva dell'autore ed amico Velio Carratoni:
“uomo e scrittore di specie illuminista, (…) vive un tempo scisso e un'umanità di identità frantumate, non costruisce architetture, ma decostruisce ulteriormente manufatti e personaggi già prossimi allo sfacelo psichico (…) Una lingua decentrata, spastica (…) fatta di scarti, di cedimenti, di fratture... .
Ed io personalmente ho sempre condiviso, quali che esse fossero, le opinioni di Mario Lunetta.
In queste perlustrazioni, che ritengo niente affatto passive, l'Autore, oltre agli inediti, raccoglie molte delle proprie partecipazioni alla Rivista Fermenti, che il Velio Carratoni editore pubblica dal remoto 1971 o anche espunte dai volumi collettanei della Fermenti, in prevalenza dedicati alla narrativa.
Ma Velio è anche autore, oltre ad altro, d'una sintetica e preziosa raccolta di intriganti e sofisticati aforismi (Il sorriso funesto, del 2003) etichettata dal compianto Giorgio Bàrberi-Squarotti come “amorosi ed eretici, arguti ed esemplari”.
Velio fa di tutto sapendo far bene tutto.
Aforista naturale, può, con umiltà ed efficacia, recensire, intervistare, scrivere indifferentemente saggi letterari o sconfinare nella sociologia attraverso un occhio, quello di sinistra, puntato sulla politica e sulle degenerazioni della società contemporanea.
Oppure sa anche essere, per le sue puntuali osservazioni, un iper-realista come fosse un Dennis Hopper o trasformarsi, al contrario, nel dichiarato cantore della carnalità e delle putrefazioni del desiderio.
Velio Carratoni ed io, che operiamo nello stesso campo dello sperdimento nella sessualità - inteso come attrazione irresistibile - rappresentiamo assieme le due facce d'una stessa medaglia, tendendo entrambi ad esaltare, come fosse un latte nutriente, il vizio ed i suoi derivati, assieme alle perversioni ad esso correlate.
Che sono poi queste ultime a rappresentare appieno il trend dell'oggi, sia per quanto riguarda i maschi - tatuati, come una volta i marinai e i galeotti - sia le femmine, abbigliate come lo erano una volta le prostitute dei migliori e più accreditati bordelli.
Per queste considerazioni, mentre apprezzo di molto l'Editore, amo il Velio scrittore, vate d'una spiritualità/ombra, incorruttibile da parte di ogni e qualsiasi virtù sbandata che si dedichi alla ricerca di investimenti produttivi.
Fra le sue tante, anzi tantissime degradate e degradanti eros-novelle, ne posso intanto sceglierne una, un po' presa a caso. L' ho scelta per una specifica chiosa, che risulta di fatto il vessillo di questa ampia raccolta, divenendone a sua volta anche il titolo, “Passive perlustrazioni”.
Un volume centrato dalla slanciata immagine di Gianfranco de Palos che tridimensiona uno spazio, musicalmente, interconnesso.
Ed eccomi infine alla “perlustrazione”.
Ma vorrei partire dal suo ex ergo:
Chi vive di reminiscenze
decresce
con il quale da il via libera a questa favola filosofica.
Per inciso, devo notare l'evoluzione rispetto a “Le grazie brune”!
Le due figure di turno sono, questa volta, Vanni e Gabriella. Ma Gabriella è ripresa in gros-plan, come si dice nel linguaggio cinematografico.
La protagonista è un'insegnante, circondata e asfittizzata dalla famiglia, che ne tenta, incessante, l' accerchiamento definitivo.
Vanni frequenta Gabriella “per curiosità”, più immerso nel loro comune passato che nel presente.
E le si avvicina per il gusto di potersene poi allontanare di colpo, al fine di porre un distanziamento subitaneo e privo di ogni significato apparente.
Ne ricerca i di lei peccati per poter riviverne in sé le conseguenze e incontrarne il corpo per riuscire a disperdere il proprio strologante pensare.
Un loop incessante e ossessivo, maledetto e perverso.
Una piccola storia proiettata nella perversione d'uno sfondo assolutamente filosofico che si colloca, sartrianamente e senza conflitto apparente, tra l'essere e il nulla.
Un Carratoni cultore dello “sfacelo psichico” (Lunetta), lo scrittore maudit dell'oggi che, sguazzando nell'abiezione degradante d'una sessualità non-vivibile in maniera compiuta, si proietta nel tempo. Quel tempo che si indova all'interno di quel punto d'intersezione fra presente e futuro e che probabilmente anticipa ciò che potrebbe divenire la degradata sessualità del poi, che succede vichianamente al libero amore che ha caratterizzato l'intero secolo scorso e i suoi residui, trascinatisi negli ultimi anni del 2000, fino ad oggi.
E tutto ciò avviene mentre al contempo e sempre più agguerrito, Velio Carratoni prosegue e rilancia la sua rigorosa battaglia editoriale.
E non mi pare una cosa da poco -
Antòn Pasterius
(Traduzione dal francese di Antonino Lo Cascio)