*Marina Petrillo, Indice di Immortalità, (con un saggio introduttivo di Francesco Solitario), Prometheus, 2023 - pag. 128 - €18,00
Compito arduo, quello di Marina Petrillo, adatto solo ai “prischi sapienti” o ad una rara tipologia di poeti come quelli che Károly Kerényi chiamava i Dichter, ammantati di qualità divinanti, immersi nella grazia simultanea di vedere e creare ‘Figure’ o ‘Immagini’, poeti vocati ad una sofferta contemplazione ed inclini a uno stato mistico, in un utopico e sofferto “esser fusi” con il mondo. Di certo una categoria inattuale, quasi del tutto estinta nella contemporaneità razionalista e desacralizzata, in un ambiente-mondo artefatto e violento quale il nostro.
Vates, originariamente era il poeta interprete della ‘lingua sacra’, l’arcaica ‘lingua degli uccelli’, o ‘lingua angelica’ che attraverso il canto ritmato consentiva l’accesso ai piani superiori dell’Essere. In seguito, sia il Poema che il Poeta, profanati nelle loro peculiarità spirituali degenerarono in significazione profana: il Vates diventò volgare indovino e il carmen (identico al sanscrito Karma), da verso taumaturgico dell’azione rituale, si risolse in “incantesimo”, operazione di bassa magia popolare.
Eppure la Petrillo persiste e rivendica quasi un diritto all’ispirazione, alla vocatio, alla tensione verso la parola pura dei sommi lirici, quella dei suoi poeti d’elezione che ‘de-cantano’ in queste pagine-crogiuolo, e con i quali si rivela necessario intrattenere un lungo e inesauribile colloquio.
E qui i suoi padri-poeti, apostoli di una contemplazione solitaria (Hölderlin, Leopardi, il Pessoa esoterico, Blake, poeti ma anche mistici, filosofi, cabalisti, da Martin Buber a Isaac il Cieco) si intrattengono ad illuminare la via notturna dell’afasia, di un cammino verso il linguaggio che estrapoli da un oltreumano Silenzio che precede il suono, uno spartito simbolico. E come ricorda René Guénon: «Il simbolismo è il mezzzo più adeguato per l'insegnamento delle verità d'ordine superiore, religiose e metafisiche, cioè per tutto quel che lospirito moderno rspinge o trascura, esso è esattamente il contrario di ciò che conviene al razionalismo...», auspicando in tal senso una riforma della mentalità moderna che reintegri i simboli tradizionali della loro portata intellettuale.
Dunque un libro stratificato, densamente simbolico, carico di riferimenti dottrinali e misterici dal titolo ineludibile e rilevante, ‘Indice d’Immortalità’, una sorta di diario spirituale tramato nella molteplicità del senso, dove la parola poetica tende all’astrazione e alla risalita verso un Verbo atemporale, eterno che prefigura dimensioni altre. Dimensioni irraggiungibili e inesprimibili che solo la lingua della poesia, della follia o della mistica possono prefigurare. In questo i mistici sono imparentati ai poeti, proprio perché l’esperienza di riferimento attinge ad un piano dove la parola e il linguaggio stesso sono negati.
Ne ha profondamente meditato un filosofo quale Wittgenstein che da logico positivista approda ad un’idea di mistica. Mistico è ciò che balugina agli estremi confini della “dicibilità” del mondo: «Ma v’è dell’ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico». Eppure a tale proposito, Pierre Hadot chiarifica che questa identità di “mistico” e “indicibile” è qualcosa che si situa in un ordine affettivo, emozionale, etico o estetico. Dunque interiore e spirituale. Allora, comprendiamo che il cuore pulsante di questa poesia è in prima istanza una qualità spirituale, modo eminente del ‘dire’ che sia cenno di un ‘rivelare indicante’. E la parola poetica vuole essere ricalibrata nella sua originaria integrità di “Tempio”, luogo fecondo di una rinnovata interrogazione metafisica.
Sentiero interrotto di erranza mistica, come nella lezione di Blake, la Poesia è figlia non della memoria ma dell’ispirazione. La Poesia è visione, profezia, tensione al sublime, intuizione simbolica. Da qui un discorso dalla forte propensione all’astrazione là dove spesso la poetessa trova un aggancio “espressivo” nella solidità della natura naturans, nella geometria della materia creata, nelle concordanze delle forme o dei frattali: «La delicata maestria della Natura plasma sentinelle fulgide di clorofilla a dimora di un frattale unico» ...«Si imprime l’idioma in cellula votiva».
Tutto il libro è calibrato su una tonalità ieratica del discoro poetico e sul fascino ancestrale di un mistero o enigma. La parola poetica definisce la sua genesi in un corpo a corpo con l’assoluto, nella consapevolezza di quanto sia chimerico voler definire una significazione certa, così come l’espressione chiarificatrice e definitiva. Latente l’ombra del fallimento espressivo.
Ogni verso impone i suoi enigmi, mentre va tramando una mappa degli Assoluti, oltre l’apparenza e il contingente. Conseguentemente ogni testo di questo libro meriterebbe una meditazione o una lunga seduta immaginale sulle tracce di un’intelligenza intuitiva che liberi il condensato di simboli, riferimenti, miti.
Sebbene l’autrice coadiuvi il lettore, incastonando di tanto in tanto, come punti luminosi, alcune dichiarazioni su una vertigine platonica del fare poesia:
"Improvviso, un fiore rammenta del Creato la meraviglia. Non appare, emerge dalla materia trasmutando in etere. Nell’ invisibile corolla rammenta i suoi petali e dona a Platone l’emblema della forma. Non fu ma torna ad essere, sostanziato dalla sua stessa linea di confine. Seme indescritto nel molteplice, flebile caule gemmato in solitudine".
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Come fiamma divampa scintilla
del Primo Essere, tacito patto
in spirito difforme cui l’Alto Consesso
memore traccia candida impronta.
La terra brama l’indefinita tela
Al compagno impavido arreca offesa il primo
universo infranto a peritura visione.
Anime incarnate in primavere vizze
da impietoso, primigenio conclave
Apocalisse scomparsa al giudizio
e in sua meraviglia, la celeste caduta.
Si recano tracce oltre le sabbie
Le acque coprono le scolorate impronte
Ultimo atto reso alla materia
essere prima dell’in-canto.
In fondo si tratta di uno smarrimento che ci riporta all’ordine cosmico delle cose e del tempo.
Tempo destinale, immobile giacimento delle profondità dell’Eterno. Il tempo dell’immortalità non asseconda il tempo lineare e cronologico dell’esistenza ma lo spia da lontananze siderali. Dalle vastità di una memoria mistica. Da quell’ora vasta e solenne, immensa come lo spazio” che Baudelaire scorgeva talvolta negli occhi dei gatti.
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LETIZIA LEONE