venerdì 4 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = PAOLO PARRINI


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“Un lunghissimo addio” di Paolo Parrini (peQuod, 2024 pp. 66 € 14.00) abbraccia il doloroso congedo e la prolungata accoglienza dell'esistenza, circonda, con uno stile maturo e consapevole, la profonda riflessione personale intorno al tema originario del distacco, alla ricorrenza crudele delle separazioni. Paolo Parrini innalza l'invocazione struggente che risuona lungo l'intensità discreta e raffinata dei suoi versi e diffonde la coscienza dell'addio, nella forma più rappresentativa, consolidata nella natura umana, oltrepassando la paura della perdita. Richiama alla memoria la ritualità inevitabile e imprevedibile dell'abbandono, la narrazione sfumata e indistinta dell'orizzonte dell'epilogo, raccomanda la vocazione affettiva a congiungere e conservare le relazioni emotive, come un'eredità spirituale e realistica orientata alla necessità di ricevere il dono della vicinanza, la protezione e il conforto dagli affetti più cari, amplifica il patrimonio struggente dell'autobiografia per analizzare la responsabilità immanente delle esperienze. Riveste la corrispondenza essenziale di ogni accompagnamento temporale di solitudine e di cambiamento, nella possibilità preziosa e ispiratrice, di raccogliere l'inclinazione unica e meravigliosa di ogni omaggio sentimentale salvifico e inestinguibile. L'autore definisce un tempo intimo e simbolico, utile per rafforzare la traiettoria evocativa di luoghi, ricordi e persone, contempla la capacità inattesa e miracolosa della transizione, nella realizzazione e nella conservazione dell'identità personale, l'attenzione commovente alla gratitudine delle radici. Comprende la necessità di assimilare la solidarietà sicura e rassicurante dell'equilibrio sensibile, nello sguardo infinito sulla dimensione pacifica e silenziosa della salvezza, nella presenza segreta e familiare, solida e positiva, in un contesto, sempre incantevolmente poetico, dove la fortezza dei legami stabilizza il confronto con il mondo e lascia alle spalle la vulnerabilità degli impulsi. La poesia di Paolo Parrini immerge il senso del vuoto e della fugacità nel coraggio di un persistente e immutabile insegnamento morale, lascia parlare la speranza e interrompe l'inquietudine delle aspettative con la beatitudine dell'anima, affronta l'ineluttabile e imprecisa oscurità delle incertezze, lo stupore brumoso del turbamento, l'inganno infranto della dimenticanza. “Un lunghissimo addio” arriva al lettore come una destinazione restituita al di là di ogni circostanza terrena, oltrepassa l'interminabile rinvio di ogni distanza fisica, rintraccia la scelta del cuore in ogni percorso della vita, adotta il vincolo del destino per accogliere la desolazione e gestire la malinconia della separazione. Paolo Parrini educa alla significativa e rispettosa bellezza della fine, all'accettazione estatica della sospensione, all'incolumità inattaccabile della consolazione, all'alleanza per una crescita umana e per la continuità. Accetta di cambiare sguardo sulla vita e sulla morte, di affrontare le avversità e non temere la dissolvenza, estende, con la delicatezza dei suoi versi, la ragionevolezza e la saggezza, promuove l'umanizzazione della cura e la dimensione spirituale di un linguaggio che accorda la debolezza e la sofferenza dei nostri affetti verso la rinascita, attraverso l'esempio di vita di chi, accanto a noi, restaura il bene, l'amore incondizionato che è misura di tutte le cose, il percorso interiore di rinnovamento di chi resta ad aspettare.
RITA BOMPADRE
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TESTI SCELTI
°
Ti ho visto scendere le scale
il marmo rosa scivoloso e freddo.
Alla vetrina la tua ombra
era bambina, lo sguardo
acceso dei giorni belli
poi d'improvviso ecco la sera
la tua poltrona vuota,
il passo non risuona.
Allora capire quanto tutto
si dilegui,
come sia bello stringerci forte
prima del niente,
prima della morte.
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°
In questo nero
che soffoca il celeste
mi basta un sorso d'acqua
un prato tagliato
da annusare.
Qui perdersi
scivolare.
Sono i segnali d'un amore
spento,
quello che resta graffia
come una spina di rosa.
E lascia ferite arrossate
e un battito malato
del cuore.
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°
Senti?
Suonano campane a festa
i fiori alzano la testa
e tacciono i grilli d'improvviso.
Quante sere come questa hai già vissuto
dentro coni di luce
e dolci melodie.
Ma oggi splende un sole nuovo,
il verde del campo è più verde.
Le nostre mani si intrecciano,
raccontano la vita passata,
sono splendide le dita
a indicare il tempo che verrà.
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°
Si muore rendendo il respiro
gravitando nell'aria
pieni di terra
e tra gli occhi
un solco fatto lieve.
Si muore per rinascere
diversi
persi tra un sospiro
stanco
e un cielo grigio
là dove migrano le rondini
e i rami degli alberi
si aggrappano alle nuvole.
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°
Chiudere gli occhi vorrei
tra il giallo dei fiori
e questo vento leggero
che porta gli odori del mare
e mi consola il cuore.
Giacere su questa panchina
odorosa di umanità
tra questi archi fatati
forse avrà pace il mio cammino.
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giovedì 3 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = MANUELA MORI


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Manuela Mori: “Chiaroscuro” – Ed. ETS – 2024 – pag. 64 - € 10,00
Nella delicatezza dell’improvvisazione, che rapisce per la sua scansione armoniosa, ecco che la poesia si offre come semplice accadimento dell’esistenza, e parlando in prima persona diviene spesso sospensione del pensiero alla ricerca di alcuni momenti che incidono per il diario in modulazioni: “Mi indicavi il sole mentre tramontava,/ lo raccontavi sempre alla tua maniera,/ come un’arancia che rotola/ per una strada in discesa./ “Perché ciò che davvero è alto”/ dicevi “sta dappertutto”-
Indaga tra le sfumature di un mondo rappresentato di nuovo in bianco e nero per rifugiarsi nei sussurri dell’amore che fa capolino tra le ali del cielo e le pinne del mare per avvolgere la pelle con un velo di malinconia. E la nostalgia ripete spesso: “Non siamo stati in guerra, da bambini/ non abbiamo avuto fame./ Le nostre sono state penurie non carnali/ che proteggiamo ancora/ fra i meandri tortuosi del cervello./ Si dimentica il coltello./ Si protegge la ferita, senza alcun senso.”
L’anello che congiunge l’afflato alla parola declamata con fervore è in queste pagine il vigoroso incedere del verso, libero da ogni metrica e pur armoniosamente ritmato nella musica delle sillabe, così come anela ogni componimento che perduri nella scrittura. Stesura che palesa il ricchissimo controllo del simbolo, ricamato com’è tra le figure, i fotogrammi colorati, le note della speranza, gli accenni delle visioni, il prezioso tessuto dei sentimenti.
Qualche pennellata riesce a tratteggiare accostamenti policromatici: “Aprile, nome limpido e brumale,/ lino disteso al sole ad asciugare./ Cresce l’ulivo nell’azzurro,/ nelle pinete svetta l’asparago./ All’improvviso eccolo l’inciampo!/ Il cielo sbatte fra le nuvole, si rompe/ roboando come la cupola di un tempio./ Tu non temere mai, terrà la rosa./ Anche la mala spina sarà salva,/ perché così dev’essere.”
Anche la solitudine dell’abbandono si affronta con squarci tracciati nel velo della preghiera: “Dite ai miei morti che non sono sola./ Mi fanno compagnia i loro oggetti,/ muti custodi delle presenze perse,/ degli istanti, di ruggine e diamanti,/ che vivemmo insieme./ Lo sappia il vento,/ che dalle terre del pensiero incalza/ decretando: avviene e non si ripete/ l’attimo, l’istante che viveste insieme.” Ed è purtroppo una realtà tangibile l’impossibilità di ripetere, di rivivere quei momenti, quelle azioni, quegli accadimenti che abbiamo rapidamente vissuto forse senza comprendere che l’oa fugge ( fugit hora! )-
Manuela Mori traccia con garbo, con disciplina, con saggezza una scrittura equilibrata e accattivante tra la storia personale e le vicende di personaggi consistenti così che il discorso, evocando lampeggi, mette in luce immaginazioni morali ed intellettuali, di certo sempre attuali nel presente.
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ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 2 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONELLA CAGGIANO


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Antonella Caggiano: “Le vena delle viole” – Carta canta Ed. -2024 – pag. 92 - € 12,00
Policromatico viaggio nella quotidianità, mentre la vita intreccia parabole che hanno il filo ininterrotto dell’imprevisto, o quelle improvvise vertigini che coinvolgono nelle illusioni, nelle speranze, nelle lampeggianti rappresentazioni, nelle rincorse affannose del tempo che fugge.
L’io, che sussurra frasi scandite nei momenti in cui partecipa ai segreti del sub conscio, sembra esaltare le incertezze quali intense rappresentazioni del dicibile, sottese quasi sempre ad una elegiaca partecipazione lirico-sentimentale, ove vibra un frequente amor vitae.
Fortunatamente il linguaggio poetico di Antonella si scosta risolutamente dai vari tentativi di smembramento del verso, tra patafisica e sperimentalismi vari oggi imperanti in molti avanguardisti sprovveduti, e si presenta candidamente pulito, apprezzato come espressione del dicibile, alla scoperta di quel mondo che si vela tra la memoria e la ricerca del sogno. Il tempo e meglio la temporalità delle descrizioni, dei paesaggi, dei personaggi è in queste liriche contemporaneamente il tempo anteriore e quello interiore che va scoprendo di volta in volta la relazione del vissuto e del ricordo, tra idillio e sbandamento, tra urgenze di luce e cornici di dipinti, tra inciampi nel giorno e singhiozzo di assenza.
Diventa dominante la dimensione tra il passato ed un tempo senza attesa, tra il definitivo e la creazione momentanea, verso la figurazione dell’indeterminato con frequenti incisioni della memoria. Un tocco che plasma la materia avverte “tutta rossa la notte/ nel silenzio santo/ delle cose/ Tremulo blu, la bocca tua/ nella mia” così che un bacio si trasforma in eterea trepidazione, nel mentre la sosta indugia “Tutto grigio il mare stamattina/ solitario quel sorriso scaduto/ come quest’alba vecchia, vorrei avere/ l’audacia elegante di foglia di ottobre/ Lasciare poi che mi trascorra il vento/ cadere, nella calma della terra/ che mi faccia neve, che sia coperta/ pace dell’attesa, il sonno sazio.”
Più metafore completano la scrittura, che gioca tra le luci degli accadimenti personali e la tensione del pensiero poetante, capaci di ricamare un rilievo alle esperienze del remoto. Un abbraccio è il rapido passaggio di urgenze nelle pieghe che bruciano le assenze.
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ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 1 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANNI MARCANTONI


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“Sedime” di Gianni Marcantoni (Fara Editore, 2024 pp. 104 € 12.00) occupa la superficie dell'espressione emotiva su cui posa la fondazione poetica. L'autore deposita la traiettoria del tempo lungo i richiami della memoria, proietta le pieghe del sentire, impasta l'esistenza intorno all'archetipo dell'esperienza umana, affidata sul fondo della sospesa e irrequieta sensibilità. Lascia sedimentare, attraverso l'ineluttabile resilienza dei versi, l'elaborazione esistenziale, decanta lo scampolo delle occasioni, osserva la custodia delle esitazioni e delle incertezze, trattiene la consapevolezza di tutto ciò che non è afferrabile e accessibile lasciando registrare la profondità della trasformazione interiore nella direzione della conoscenza. La poesia di Gianni Marcantoni abbraccia l'autenticità della relazione con il mondo, rivela la percezione soggettiva e ne diffonde l'essenza universale, sperimenta i cambiamenti e le dinamiche di responsabilità morale, interagisce con la complessa corrispondenza dei sentimenti, spiega l'approccio lucido e realista verso l'atteggiamento sfuggente ed effimero, inclinato nell'obliqua interpretazione di ogni approssimazione della coscienza. Sprigiona il cammino evolutivo verso la difesa introspettiva dell'inconscio, esplora il vissuto e l'aspetto analitico del sé attraverso le sfide del quotidiano, la natura degli eventi, sottolineando l'unicità della forza trainante delle parole, utilizzate per derivare l'influenza dei ricordi e della struggente familiarità. Gianni Marcantoni affonda le proprie radici elegiache nella nobile capacità di far convivere la poesia con il profilo delle proprie vicissitudini, dipinge il ritratto delle assenze donando l'intensità descrittiva e interpretativa alle immagini evocative, attraversa l'inquietudine e gli interrogativi della disperazione modulando l'ampio respiro di un'anima in conflitto con l'inconsistenza e la vacuità e in affinità con la spontanea validità dei pensieri e della trasmissione di un messaggio eloquente e dialogante con l'altro. “Sedime” condensa l'impronta della fatalità del destino, consuma l'ispirazione del desiderio vago e inespresso, addensa il grumo del vertiginoso vincolo dell'imprevisto alla necessità di oltrepassare la paura e lo sconforto, assicurare la volontà di indagare l'imponderabile, intrecciare il nostro destino al modo di percepire l'intuizione delle possibilità. Il libro arricchisce il significato sincero e incisivo delle metafore che percorrono la simbologia intensa e incontaminata dell'incontro spirituale con la forza suggestiva della natura, con la celebrazione dei luoghi, con la lusinga malinconica del passato e la dura incognita del presente, coinvolge la sintonia delicata tra il poeta e il lettore, offre numerosi spunti di riflessione intorno alla commovente e preziosa ricerca di noi stessi, alla fragilità delle stagioni, all'accorata frammentazione del silenzio, all'imperturbabile condanna della mancanza. Gianni Marcantoni riesce a comunicare la compassione e l'ostilità del divenire, aggiunge alla cognizione della propria identità la sensazione di una prospettiva infranta tra l'accettazione della perdizione e della salvezza, in cui le illusioni scardinano l'equilibrio, attirano l'estraneità, rivelano le incrinature e le ferite, deformando l'inevitabilità del dolore, alterando la provvisorietà. Accetta il cambiamento con la maturità coraggiosa della scrittura e della sua confessione.
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RITA BOMPADRE
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TESTI SCELTI
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"PONTEGGI"
All'ultimo tanta amarezza rimane,
disillusione per cui tutto
sembra disgregarsi fra le numerose
evocazioni del passato,
sempre più vivide e pesanti.
Nello scolare del tempo
ognuno diventa residuo di sé stesso
sopra uno strato prosciugato.
-
Mi mancate, avrei dovuto
fare molto di più per voi,
ho provato con tutto me stesso,
ma crescono i tagli:
sono terreni acidi e lapidi,
sempre più fraterni ponteggi.
*
"MATTINO"
C'era il mattino chiaro,
il mattino in noi,
-
simile a una lama rinforzata
legata a uno straccio
fluiva scombinato un sudore dai fianchi.
-
Animata è la goccia
e libero il tuo braccio, il campo-contatto
che infrangi
-
tu subito sommergi.
*
"SEI"
Nel sesto cuore,
della sesta grinza,
sei note sono state trovate,
-
affinché in un'altra soglia,
e per noi,
rilucesse
l'altrui corpo.
*
"SOSTA"
Dunque avresti trovato un'altra vita,
la possibilità ulteriore che non ho avuto io.
L'uomo viene sempre trascinato
fin dove dovrà sostare – in definitiva.
-
Le sabbie e le acque sono mutate in oro
custodito in una teca;
ultimo lascito di saliva,
ultima conformazione sancita.
-
Sei solo un cuore di vaga interezza
che si
fa strada e ronza
paziente, sottacendo la pozza,
nell'insistente afrore.
*
"INTERVENTO"
Da un intervento
a mani e bocca
partirono
due occhiate di rossore
in un pacato mese luminoso
senza fioriere.
-
In avviata successione
di saluti
cominciammo l'incisione
da quel
che ogni cosa riduce,
un tacere, uno
spartire in dispersione.
***

SEGNALAZIONE VOLUMI = LAURA PIERDICCHI


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Laura Pierdicchi, "Mater", Poesie,- Ed. la Valle del Tempo, Napoli 2024
La raccolta "Mater" ripropone alcune delle tematiche caratterizzanti il percorso poetico di Laura Pierdicchi, dall’importanza attribuita ai ricordi dell’infanzia alla presa di coscienza dell’inesorabile fluire del tempo, al desiderio di ricongiungersi con quel Tutto che incarna il mistero che ci sovrasta, in precario equilibrio tra la rassegnata accettazione per la perdita di una persona amata e il dolore provocato da quella devastante assenza senza chiudere la porta alla speranza di ritrovarsi in un’altra dimensione. Anche in Mater il richiamo del passato è potente sin dall’incipit: “Tenera la neve si posava/ sull’altana dei rigidi inverni/ delle mia povera casa d’infanzia.” (Tenera la neve si posava). Il ricorso ai versi di Emily Dickinson (“Soltanto nella perdita/ cogliamo l’importanza di chi stava/ poco prima tra noi -/ un sole estinto”) suona come una dichiarazione di poetica: quella di Mater è lirica dell’assenza, canto doloroso di un vuoto (la perdita della madre), senso di solitudine simboleggiato dalla casa ove aleggia “tra le stanze/ un costante fruscio di ombre/ in successione.” (Il tempo ormai è un fremito).
La poetessa rievoca i primi mesi di vita con la scoperta degli occhi e delle mani materne, quando si instaura quel legame unico e meraviglioso tra una madre e la propria creatura: “Non ho mai detto di te/ perché il battito all’unisono/ fondeva il mio corpo/ con il tuo - un tutt’uno/ mai disgregato”(Non ho mai detto di te).
Ora che la natura ha fatto il suo corso separando l’inseparabile, Laura Pierdicchi può scrivere della figura materna e rievoca, nella poesia Quella sera, i tragici istanti quando: “Avrei voluto darti luce/ ma eri già oltre il velo/ io respinta/ il ghiaccio nelle vene -/ tornai con passo estraneo/ nella casa nuda.”. I ricordi si susseguono e in Ora torno indietro … la stufa accesa “mentre la nebbia saliva/ dal canale e la calle/ era fumo bianco/ a confondere i contorni” accompagna il ricordo della voce materna. “Chissà se l’altana esiste ancora” si domanda la poetessa nella lirica omonima ripensando alla casa dell’infanzia e ai capelli della madre “sempre scompigliati fino all’ora del desco/ quando per magia tornavi/ fata turchina e tutto/ riluceva del tuo amore.”. La lacerazione è assoluta, la poetessa si sente sradicata (“tu mia radice madre” scrive in Tu non sei più) e in Era l’ansia di crescere le pare ancora di respirarne il profumo: “dentro di me/ il puro frutto dell’immenso./ Era gioia inesprimibile/ un lampo nel cielo chiaro.”
La presa di coscienza di quanto tale vuoto sia incolmabile non è mitigata dalla consapevolezza che il mondo va comunque avanti, come attesta Non più risate: “Gira la giostra senza fine/ anche nello spegnersi della sera.” e ciò che rimane è “Solo il riflesso di un sogno/ che si perde nel rimpianto.” (Di tutta la magia). Se un barlume di luce si percepisce nel buio, consiste nella speranza di riuscire un giorno a ristabilire il contatto in una dimensione altra, ove sia possibile “oltrepassare la mia forma/ per un abbraccio incorporeo.” (Voglio pensare che lassù sia quiete) trovando la forza per proseguire come si evince dagli ultimi versi di Abbandonarsi al risveglio: “Ora mi vesto e mi sdoppio - / sposo la tua essenza … e continuo.”
In perfetta sintonia ci appaiono i versi della Dickinson inseriti in chiusura, riferiti all’anima che lascia il corpo al momento del trapasso “e si avvia col suo dolce passo etereo/ dove non è speranza di toccarla.”
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Roberto Tassinari