lunedì 30 aprile 2018

NOTE = QUATTRO POETI - di Gino Rago

Gino Rago - Nota su "Quattro poeti verso una moderna Antologia Palatina"

"Quale postura assumono Edith Dzieduszycka in 'Diario di un addio', rivolgendosi al suo amato Michele, Filomena Rago, in 'Volo a metà', verso il mai dimenticato Giacomo, Vito Taverna, in 'Le poesie di novembre', verso la sposa giapponese Midori [che in italiano significa "verde acqua profonda"] e Antonio Spagnuolo in 'Canzoniere dell'assenza', in cui il poeta-medico di Napoli volge l'occhio-sguardo-cuore verso Elena, l'amata compagna d'una vita?

Scrivono sulla scia di Montale[ ma soltanto come progetto di poesia], ma in realtà affrancandosi linguisticamente dal poeta de "Le Occasioni", i loro Xenia verso l'assenza e nell'assenza dell'amato/amata nel viaggio solitario verso l'onniscienza. E ogni poesia, così è anche in questo Canzoniere di Spagnuolo, è correlativo metafisico, oggettivo, di un mazzo di rose, il dono del poeta che lavora con fiori-parole, da depositare sulla lastra di marmo della persona che occupò il centro della vita di chi resta, battuto dalle tempeste della perdita, del vuoto, dell'assenza. "Desideravi un'altra primavera" dice Antonio Spagnuolo in questo verso struggente. Il quale verso, tuttavia, se suona come secco rimprovero al mondo capace di sopprimere il desiderio di Elena di un'altra stagione di rinascita e di erbe nuove e fiori, esso suona anche come secco, deciso gesto estetico, [lo stesso gesto che ho ravvisato nei versi di Edith, di Filomena, di Vito], un gesto estetico più forte della morte. Con questo gesto estetico, il poeta vince la morte, anche se a un certo punto, arreso, ma solo in apparenza, Antonio Spagnuolo bisbiglia, più a sé che ad Elena, "Non ho più doni!" [Attese]

In Prefazione, Silvio Perrella, dotto, padrone della lingua, capace com'è di entrare nella energia interna dei versi del Canzoniere di Antonio Spagnuolo, suggerisce l'idea che in fondo anche questa poesia è nel contempo "arte del linguaggio" e "arte conoscitiva" e se come arte del linguaggio si radica nella lingua, come arte conoscitiva la poesia di Spagnuolo è in grado di radicarsi nella storia, una storia personale ma che il poeta riesce a dilatare a storia universale [la stessa sapiente abilità poetica di Edith Dzieduszycka, di Filomena Rago, di Vito Taverna, nelle rispettive opere di poesia].
Una cifra [tutta di Spagnuolo] tuttavia merita io credo di essere evidenziata di questo libro poetico: i titoli che il poeta adotta per le poesie della raccolta [Tenerezza, Menzogne, Demone, Ricordi, Mani, Smerigli, Naufragi, Perle, Sonni, Luna, per citarne alcuni], tutti sostantivi e, come tali, possono essere accolti come i frammenti d'una vita in cui cercare gesti, atti, voci, suoni, fruscii, odori, colori dell'amata assente per riempirne l'assenza e catturarne il vuoto, come fa il vasaio di Heidegger con la brocca.

Ora, rivolgendomi a un lettore immaginario di poesia, sento di dovergli chiedere di non correre oltre. Di fermarsi un istante non già sulla mia nota ma sui versi che ho estratto dai rispettivi libri poetici di Edith Dzieduszycka , Filomena Rago, Vito Taverna e Antonio Spagnuolo. Perché chiedo al lettore questa prova? Perché in poesia il lettore non è meno «creativo» del poeta che fabbrica i suoi versi. E anche perché un testo poetico che sia tale non è mai materiale di consumo, né potrà mai essere una merce usa-e-getta.

Un testo poetico al contrario è sempre destinato al ri-uso poiché come insieme di parole strutturate, organizzate in forma stabile, un testo poetico se ri-letto non soltanto non si usura, non soltanto le parole del poeta non perdono valore, ma ne acquistano a ogni ri-lettura.

Aggiungerei ora che [ricordo a tale specifico riguardo alcuni scritti critici per me esemplari di Alfonso Berardinelli, di Giorgio Linguaglossa, di Rossana Levati, certe illuminazioni di Mariella Colonna su alcuni poeti contemporanei, di Silvio Perrella come prefatore al Canzoniere di Antonio Spagnuolo] ogni scritto critico, dalla semplice nota alla recensione al saggio e fino alla storia letteraria, dovrebbe avere la valenza di un «invito alla lettura» di un certo poeta; dovrebbe essere cioè «il dito che indica la luna» e nulla di più, anche se sappiamo che quasi tutti i lettori invece tendono a soffermarsi sul dito del critico, senza mai spingere lo sguardo sulla luna-poesia indicata dal suo dito.

In questa mia secca, essenziale nota “la luna” che indico con il dito, per gusto estetico e affinità di stile, è l’antologia di questi versi:

Edith Dzieduszycka, Diario di un addio

« Ora me ne accorgo
tu mi abiti sempre
quando penso che penso
ecco… penso a te »

Filomena Rago, Volo a metà

«[…]Dolce vita della mia vita
Un’alba dannata[…]
Ha spaccato il mio cuore.
E ha fermato il tuo».

Vito Taverna, Poesie di novembre

«[…]Anche a codesti giorni,
io chiedo il mio riposo,
scaduti i passaporti, ormai introvabili,
davanti all’impaziente doganiere».

Antonio Spagnuolo, Canzoniere dell’Assenza

«[…]L’iride improvvisa ha il mandorlo della gioventù
Qualche bisbiglio tra le linee tracciate nei cristalli
Per rilanciare promesse.
La tua assenza scivola…»

Sono versi che pur nelle differenti prosodie ma con in comune l’identico metro elegiaco possono benissimo andare a confluire in quella immensa miniera di epigrammi a noi giunta come Antologia Palatina [come mostra l’epigramma di Meleagro che da essa estraggo]:

Meleagro , Antologia Palatina

«[…] Ma al mattino si sentì un grido.
Il coro mutò in nenia funebre il canto.
La stessa torcia dopo avere rischiarato il letto nuziale
Accompagnò con la sua luce l’ultimo viaggio».

Gino Rago, aprile 2018

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venerdì 27 aprile 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

ANTONIO SPAGNUOLO : "Canzoniere dell'assenza" - Ed. Kairos 2018 - pagg.92 - € 12,00

"Quale postura assumono Edith Dzieduszycka in 'Diario di un addio', rivolgendosi al suo amato Michele, Filomena Rago, in 'Volo a metà', verso il mai dimenticato Giacomo, Vito Taverna, in 'Le poesie di novembre', verso la sposa giapponese Midori [che in italiano significa "verde acqua profonda"] e Antonio Spagnuolo in 'Canzoniere dell'assenza', in cui il poeta-medico di Napoli volge l'occhio-sguardo-cuore verso Elena, l'amata compagna d'una vita?
Scrivono [sulla scia di Montale, sì, ma soltanto come progetto di poesia, ma in realtà affrancandosi linguisticamente dal poeta de "Le Occasioni"] i loro Xenia verso l'assenza e nell'assenza dell'amato/amata nel viaggio solitario verso l'onniscienza. E ogni poesia, così è in questo Canzoniere di Spagnuolo, è correlativo metafisico, oggettivo, di un mazzo di rose, il dono del poeta che lavora con fiori-parole, da depositare sulla lastra di marmo della persona che occupò il centro della vita di chi resta, battuto dalle tempeste della perdita, del vuoto, dell'assenza. "Desideravi un'altra primavera" dice Antonio Spagnuolo in questo verso struggente. Il quale verso, tuttavia, se suona come secco rimprovero al mondo capace di sopprimere il desiderio di Elena di un'altra stagione di rinascita e di erbe nuove e fiori, esso suona anche come secco, deciso gesto estetico, [lo stesso gesto che ho ravvisato nei versi di Edith, di Filomena, di Vito], un gesto estetico più forte della morte. Con questo gesto estetico, il poeta vince la morte, anche se a un certo punto, arreso, ma solo in apparenza, Antonio Spagnuolo bisbiglia, più a sé che ad Elena, "Non ho più doni!" [Attese]

In Prefazione, Silvio Perrella, dotto, padrone della lingua, capace com'è di entrare nella energia interna dei versi del Canzoniere di Antonio Spagnuolo, suggerisce l'idea che in fondo anche questa poesia è nel contempo "arte del linguaggio" e "arte conoscitiva" e se come arte del linguaggio si radica nella lingua, come arte conoscitiva la poesia di Spagnuolo è in grado di radicarsi nella storia, una storia personale ma che il poeta riesce a dilatare a storia universale [la stessa sapiente abilità poetica di Edith Dzieduszycka, di Filomena Rago, di Vito Taverna, nelle rispettive opere di poesia].
Una cifra [tutta di Spagnuolo] tuttavia merita io credo di essere evidenziata di questo libro poetico: i titoli che il poeta adotta per le poesie della raccolta [Tenerezza, Menzogne, Demone, Ricordi, Mani, Smerigli, Naufragi, Perle, Sonni, Luna, per citarne alcuni], tutti sostantivi e, come tali, possono essere accolti come i frammenti d'una vita in cui cercare gesti, atti, voci, suoni, fruscii, odori, colori dell'amata assente per riempirne l'assenza e catturarne il vuoto, come fa il vasaio di Heidegger con la brocca.
*
Gino Rago

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


"Alessia si rigenera"

Ossigeno dai pini al Parco
Virgiliano a rigenerare
Alessia e a giungere alla
sua anima di diciotto grammi.
Rinascita di Alessia ragazza
a interanimarsi con le piante
verdi e dei fiori le tinte
sotto l’azzurrità del cielo
di ora nell’intravedere le stelle
semiaccese del pomeriggio
di maggio e la luna ostia
di platino a dare luce indefinibile
e a specchiarsi sul Mediterraneo
delle cose trasparenti come
di Alessia l’ombra
ad allungarsi sul sentiero
di sorgente a berne le acque
per redenzioni ad ogni passo.
*

"Alessia e la disadorna via serale"

Sentiero dopo persiane d’isola
per Alessia schiuse sull’immenso
a respirare con un filo in bocca
di spiga ragazza Alessia al colmo
della grazia e tesse incanti
il mare per resurrezioni ad ogni
passo. Fino al faro nell’intermittenza
cammina Alessia tra le vigne
e gli oliveti nel capire meglio
la sua di sedicenne essenza.
E là volano le idee di Alessia
come azzurre rondini incielate
oltre il sembiante di parole lette
dove era già stata per la mappatura
della gioia.
*

"Alessia e il sogno segreto"

Non ha sognato ragazza Alessia
ruscelli sgorganti o candidi cavalli,
nella pace della domenica
mattina pensa Alessia al sogno
segreto (non l’ha rivelato
nemmeno a Mirta e Giovanni).
Non tocca il telefono Alessia
e fa la preziosa (vuole essere chiamata).
Poi prende il Rosario e prega
Dio che l’ha fatta bella.
*

"Alessia al Parco Virgiliano"

Mano nella mano con Giovanni
Alessia nel respirare l’azzurrità
visibile entra nel Parco Virgiliano
tra i sembianti dei pini a poco
a poco accarezzati dalla luce
del tramonto. Ride Alessia e vanno
sul terrazzo superiore i fidanzati
dal pastore tedesco della gioia
ricomponendosi delle anime
il duale affresco. Il cane fedele
fa le feste per una vittoria
della felicità di Alessia e procede
infinita la storia di ragazza sedicenne
sottesa al senza tempo
e vestita per di stasera la festa
tra polite luminarie che si accendono.
*
Raffaele Piazza

mercoledì 25 aprile 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIO FRESA

Mario Fresa – "Svenimenti a distanza"--il melangolo – Genova – 2017 – pag. 143 - € 12,00

Mario Fresa è nato a Salerno nel 1973. ha compiuto studi classici e musicali e si è laureato in Letteratura italiana. Esordisce in poesia con l’avallo di Cesare Garboli e Maurizio Cucchi. Suoi testi poetici sono apparsi sulle principali riviste culturali italiane, tra le quali “Paragone”, “Caffè Michelangiolo”, “Nuovi Argomenti”, “Almanacco dello Specchio”, “Gradiva” (di cui è redattore). E’ del 2002 la raccolta prefata da Maurizio Cucchi “Liaison” (edizioni Plectica, Premio Giusti Opera Prima, terna Premio Internazionale Gatto, cui fanno seguito, tra le altre pubblicazioni di poesia, la silloge “Costellazione urbana” Mondadori, “Almanacco dello Specchio”, 2008), Uno stupore quieto, introduzione di Maurizio Cucchi (edizioni Srampa2009, “La collana”, 2012, menzione speciale al Premio Internazionale Letteratura Città di Como); “La tortura per mezzo delle rose” (nel volume n. 14 di “Smerilliana”, con un saggio di Valeria De Felice), “Teoria della seduzione” (Accademia di Belle Arti di Urbino con interventi grafici di Mattia Caruso, 2013). È stato incluso in varie antologie, da “Nuovissima poesia italiana”, a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi (Mondadori, 2004) a “Ventido poetas para un nuevo milenio”, a cura di Juan Pérez Andrés (numero monografico della rivista spagnola “Zibaldone, Estudios italianos, 2017). Ha tradotto da Catullo, Marziale, Baudelaire, Musset, Desnos, Apollinaire, Frenaudi, Cendrars, Chat, Duprey, Queneau.
“Svenimenti a distanza” presenta un’esauriente introduzione di Eugenio Lucrezi ricca di acribia e in copertina è illustrato da una suggestiva immagine di Antonia Bufi intitolata “Equilibrio interiore”. figura che bene s’intona al discorso di Fresa e a quello che sottende tutto il senso della pratica della poesia in generale
L’opera è molto corposa, di dimensioni insolite per un libro di poesia composita ed articolata nel suo essere costituita da sezioni di testi poetici e da frammenti di vaga narratività numerati.
Quello che colpisce nella scrittura di Mario, filo rosso che lega tutte le parti della raccolta, è il senso di una forte inquietudine che ha per contraltare la consapevole ricerca della serenità attraverso la scrittura poetica.
Una materia magmatica incandescente, fatta di accensioni e subitanei spegnimenti, è quella che ci offre il Nostro, che muta costantemente registri espressivi, passando da tessuti quasi tout-court narrativi a brani anarchici e ad altri che sfiorano l’alogico e tutto pare provenire da un inconscio controllato filtrato attraverso la fertile e intelligente vena creativa.
Poetica del tutto antilirica e anti elegiaca quella di Fresa che senza autocompiacimenti ha per oggetto la realtà quotidiana e si potrebbe definire quello dell’io poetante un agire da feticista del quotidiano stesso, in bilico tra gioia e dolore, disincanto e meraviglia quando poi sono proprio le immagini prodotte dalle parole nel loro insieme a provocare un ammaliante stupore nel lettore.
Perché Svenimenti a distanza? Se la condizione di chi è svenuto non è né quella di chi dorme e sogna né quella di chi è sveglio, lo stato di svenimento potrebbe divenire una simbolizzazione per definire lo stato di coscienza proprio del poeta (e dell’artista in generale), se non estatico comunque al di fuori se non dalla linearità del tempo, almeno dalla percezione del vissuto della maggioranza delle persone che non sono creative.
E iterativamente nel tempo gli svenimenti si ripetono per il poeta e portano in superficie tutte le sfaccettature multiformi di cui è fatta la vita, dall’amore all’amicizia, dalla salute alla malattia, dall’attività al riposo, dalla leggerezza della linearità dell’incanto al valore fondante della realtà economica.
Un caleidoscopico e riuscitissimo esercizio di conoscenza a dimostrazione che la condizione umana, che è quella traslata dal poeta, nonostante tutto, può essere felice.
*
Raffaele Piazza

domenica 22 aprile 2018

PREMIO POESIA = SALVATORE CERINO 2018

SABATO 5 MAGGIO 2018 - Cerimonia di premiazione del Premio di poesia "Salvatore Cerino 2018" alle ore 19 , presso la Parrocchia Santa Maria del Parto a Mergellina - Napoli - - Introduzione del prof. Francesco D'Episcopo - Letture dell'attrice Liliana Palermo - La Giuria del premio : Presidente Francesco D'Episcopo - membri : Grazie Cerino , Ermanno Corsi , Aldo Gioia , Lydia Tarsitano -

sabato 21 aprile 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = IVANO MUGNAINI

----IVANO MUGNAINI E LA CRETA INDOCILE DELL’ESISTERE----.
Prosegue, con la raccolta poetica La creta indocile, pubblicata da Oédipus edizioni nella Collana Intrecci e prefata da Elio Pecora con postfazione di Ivan Fedeli, il work in progress di Ivano Mugnaini. Un autore che ha raggiunto la piena maturità espressiva, la cui parola poetica è dotata dell’arte di plasmare la creta indocile dell’esistere, di plasmare respiri nuovi (come recita la lirica Una linea retta), dando forma e sostanza al pensiero, ricollegandosi al significato primario di poieo quale appunto fare, creare:
“(…) Ciò che fa di me
un uomo è l’avere imparato
l’arte di plasmare
con dita goffe ma tenaci
la creta indocile dell’esistere.”
(dalla lirica eponima La creta indocile)
Plasmare respiri nuovi, (da Una linea retta)
Una lirica, questa di Mugnaini, che si delinea come sorta di proseguo della sua produzione narrativa1 dotata della stessa non comune capacità di coniugare la forza del sentire con la competenza tecnica, in una sapiente mistura di realismo ed immaginazione. Forgiando <> (Ivan Fedeli, nota di lettura al volume) e lasciando il proprio passaggio sul foglio immacolato che abbiamo davanti che rappresenta “un dono o forse una sfida” (da L’età più oscura, sezione II). Nella parola poetica c’è infatti quel sapor di manufatto, quell’amalgama sapiente in grado d’impastare il foglio d’inchiostro e parole. Ed ecco affacciarsi dalle pagine del volume, come da una scatola cinese, riferimenti a colleghi autori, anche scomparsi (Al mio amico professore, Quell’unica lancetta, L’isola di Rodi), a premiazioni ed incontri con albergatori (Folli e strani castori, Un altro giorno), a momenti per lo più vissuti in due.
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“L’ultimo giorno scivoleremmo silenziosi
ancora abbracciati, dal fresco della camera
al profondo del lago. Solo un rapace ci vedrebbe
e capirebbe il senso, il cammino, o forse
ci scambierebbe per folli e strani castori (…)”
(da Folli e stani castori)
Vengono descritti momenti che danno senso e misura di una vita intera, vissuti in presenza / non presenza della donna amata, (“Siamo due dei tanti” leggiamo in E’ già passata), la sola musica, acqua, uva in grado di donare all’io lirico “ sensi nuovi”, il profumo della poesia: si vedano a questo riguardo le liriche Prima che il tuo profumo, La stessa linea del fronte, Chissà quale galassia lontana, Due granelli, Il resto è silenzio:
“C’è silenzio quando ci sei tu.
Il resto è silenzio, percorso misto
su una strada di pietra”
Perché, come scrive Elio Pecora nella prefazione al volume, <>.
Un approdo, una meta raggiunti non senza sofferenze:
“Ed è ironia, miele e limone, dover
ricorrere ai versi per dire alla poesia
che non c’è più. E’ bugia ingenua
ritrovare qui ed ora il coraggio
di mendicare alla porta di legno antico
per dirti che non mi manchi
non ti penso più.”.
(da Miele e limone)
E nonostante il passato, è ancora possibile Scrivere d’amore “pensando a te, alla tua vita lontana/che vive in me (…) alla sola prigione /che mi fa fuggire via”.
Echi montaliani si avvertono nella miopia dell’io lirico “Prima di te avevo solo la vista, la pupilla, vanamente dilatata del miope” (da Sensi nuovi).
Così Montale:
“(…) di noi due le sole vere pupille
(…) erano le tue2.”
E ancora, come recita la lirica Il non amore:
“Perdi il senso dello sguardo, la mano,
il sudore. La voce si insinua nella gabbia
e la frantuma, bocca spalancata, schiuma
di folle che sa bene quanto sia amaro
il non amore.”
Creta indocile s’intitola la silloge di Mugnaini, prendendo il titolo dal quarto componimento della prima sezione, ma altrettanto efficace e suasivo sarebbe stato indicare come testo eponimo Due granelli, i cui versi conclusivi sono infatti riportati in quarta di copertina:
“Siamo così diversi, amore, che nessuno scienziato
potrà mai inventare un congegno per farci dialogare.
Ma quando ti stringo ad occhi chiusi
con la bocca serrata,
(…) Siamo ciò che il nostro corpo ha capito
prima dagli occhi miopi della mente.”
Ritroviamo nelle liriche mature dell’Autore, la costruzione classica rivisitata dell’atque e del sed, dell’attacco ex abrupto properziano, qui usato per scandire una svolta logico sintattica nell’economia del testo: Ma arrivi tu. (da Il resto è silenzio); Ma ancora tenace, avido, feroce (da Il mondo non ha angoli); Ma c’è un raggio più tenace ( da Un raggio più tenace); Qualcosa ancora non si attaglia (da Qualcosa dentro); Potrei ma poco importa (da Miele e limone); Ma l’asfalto si squama, si sgretola (da Il sorpasso); Ma in tanti ridono (da I bambini là fuori);
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Nelle liriche di Mugnaini ritroviamo anche l’eppure, che ricorda il “pur” del Foscolo dei Sepolcri.
A questo riguardo si vedano “Eppure è” della lirica Un’altra siepe ed il già citato verso “Eppure il foglio che abbiamo davanti è ancora bianco” da L’età più oscura, nonché “Eppure non tutto è perfetto” dalla lirica Segni scuri.
Nelle quattro sezioni in cui si suddivide il volume sono dunque confluite varie liriche composte nell’arco di diversi anni quali le già note Quale amnistia e Inadeguato all’eterno, testo quest’ultimo dal titolo felicemente provocatorio ed inquietante che se per un verso esprime tutta la limitatezza e inadeguatezza umana, se sviscerato si muove entro due poli opposti: il contrasto tra l’umano, la creta dell’esistenza, la pietra che freme, il finito e l’universale, l’eterno. Tra l’autore e la sua poesia. A metà strada tra questi due opposti, la lotta contro il vizio comico del vivere che solo la parola e qui, nell’ultimo Mugnaini, soprattutto l’amore perduto e ritrovato, può sanare.
*
Valeria Serofilli
*
1 Come ho avuto modo di scrivere in poesia condivisa n° 16 (marzo 2013) e nella nota critica “La folle ferita del vivere” curata per il volume Inadeguato all’eterno (Felici Editore, Pisa 2008) ed altri inediti di Ivano Mugnaini.-
2 E. Montale, “Ho sceso dandoti il braccio forse un milione di scale” da Xenia II poi all’interno della raccolta Satura.--------

Villa di Corliano di San Giuliano Terme, 15 Giugno 2017

giovedì 19 aprile 2018

POESIA = RICCARDO CAMPION

“Distanze”

Una voce declassata
da amica a conoscente

Una storia che sta in un vassoio
una città come un piano inclinato

Ti chiedi lo sa questa pioggia
che sta cadendo qui e ora in Turingia
mentre tu a Roma spicchi il volo

A volte le voci degli scomparsi
si aggrumano in bolle a mezz’aria
e poi cadono frustandoci il dorso
come grandine antica e pagana

***

“ * ”
L’ultimo incontro
esistevano ancora
il Politburo e le sale d’aspetto nelle stazioni
l’advocaat in vetrina al Bar Fontane
e i sedili di vellutino nelle vetture
di prima declassata

I tetti delle case avevano un tono allegro
di glassa e di cappelli da gnomo
nette le linee di gronda e netto il limite
del cielo

Di te ho solo ricordi non memoria
e per ritrovarla ora ti attendo qui
sulla siepe dei giorni


***


“ * ”
Ho male alla mia casa
è una casa di libri e tranelli
di angoli pulsanti e transiti di voci
di gonfi specchi e nascoste ferite
basta un soffio lì dentro e i dorsi
dei libri sugli scaffali ondeggiano
si avvicinano e si allontanano
come sipari manovrati
da un macchinista accidioso
*
RICCARDO CAMPION

mercoledì 18 aprile 2018

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Freccia”
Rifugio nel timore di una freccia
che scocchi tra le nuvole di aprile,
in un cielo più opaco , ancora incerto
alla primavera impigrita, ed il tuo corpo
segna i ricordi sul muro di quel tempo
che fu dolce segreto o fantasia
che nessuno comprende.
L’incanto dei silenzi segna improvvise
apparenze , nel passo nudo e tenero,
e blocca ogni andare negli spazi
promessi
dall’infinito sospetto dell’illusione.
Ho plasmato la tua figura nella mia memoria
per correggere il fato,
ma il filtro del saccheggio ha le insidie di attese.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 17 aprile 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI =MONIA GAITA

Monia Gaita – Moniaspina---Edizioni L’Arca Felice – Salerno – 2018 – pag. 39

Monia Gaita è nata ad Imola il 7 novembre 1971 ma ha sempre vissuto a Montefredane, paese d’origine in provincia di Avellino.
Tra le sue pubblicazioni menzioniamo Rimandi, commistione di poesia e prosa, cui seguono le raccolte poetiche Ferroluna, Chiave di volta, Puntasecca e Falsomagro.
Redattrice di Sinestesie collabora attualmente a Guidalibri, mensile dell’editore Guida.
La plaquette di Monia Gaita, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta uno scritto introduttivo di Mario Fresa intitolato Se la parola esplode e si rinnova e alcuni interventi visivi inediti di Giovanni Spiniello dedicati alla poesia dell’autrice.
Ai testi seguono delle note esplicative della Gaita sui componimenti stessi e nella parte finale del volumetto s’incontrano una serie di domande di Fresa a Monia con le conseguenti risposte della poetessa nel brano intitolato “Mario Fresa versus Monia Gaita”.
La raccolta è costituita da diciannove poesie tutte fornite di titolo e suddivise in strofe.
Come scrive con notevole acribia lo stesso Mario Fresa l’esemplarità e la forza della scrittura poetica di Monia Gaita si fondano sulla sostanza di un gioco proteso alla fuga continua, all’irrequietezza di una mobilità sinuosa e nervosa che mai conosce il muro di un ostacolo.
È intrigante che in quarta di copertina sia riprodotta una poesia dell’autrice vergata con la sua stessa scrittura chiara e tondeggiante, elemento che dà fascino nell’accedere del lettore all’universo creativo di Monia.
Da notare che questa poesia, che è senza titolo, non presenta nessuna cancellatura, nessuna correzione.
Inoltre si tratta di un componimento che riflette sulla poesia stessa, quasi una dichiarazione di poetica a partire dal suo incipit: - “Quando scrivo/ finisco col consultare/ il programma dei fuoriprogramma/ e spesso mi ritrovo/ nel profusamente sparso/ di ciò che non volevo…” -.
Stilisticamente tale testo per la sua luminosa chiarezza diviene un unicum rispetto a quelli della raccolta che sono molto complessi e quasi criptici, permeati da sapienza e sensualità nelle loro immagini.
La scrittura in Moniaspina raggiunge una certa magia della parola tramite la densità metaforica e sinestesica del dettato.
Si tratta di un linguaggio anarchico che sfiora spesso l’alogico e dalle immagini trasudano luminosi misteri
La poetessa produce anche delle parole da lei coniate per assemblaggio di diversi termini tra loro come lunghebbromagre.
Il testo presenta una bellezza vaga e numinosa e a tratti affascinante grazie ai numerosi effetti di straniamento e sono inserite parole concettuali che danno pregnanza e profondità al libro.
Da notare la presenza del tema della corporeità in commistione con quello della vena intellettualistica: così avviene che la fisicità stessa si fa parola per un consapevole intento dell'autrice-
RAFFAELE PIAZZA

domenica 15 aprile 2018

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


"Alessia verso il 25 aprile 2018"

Aria di stelle ancora assenti
nel pomeriggio nuotando
nella luce per ragazza Alessia
nell’attimo trasfigurato dall’
azzurrina montuosità incanto
di verginità di luce naturale
per Alessia nelle prove dell’esistere
a divenire vita in preparazione
per il feriale giorno quando
posta cartacea non arriva
ma solo i lampi dell’e-mail.
E sta infinitamente Alessia
e studia l’esame e la sua parte
nella vita (Liberazione che
non ha vissuto ma che è sempre
buona cosa).
Quello che è Alessia e vuole
è l’amore
*

"Alessia stellata dagli amuleti"

“Non è vero ma ci credo”
pensa Alessia toccando la
piccola civetta dono di Giovanni
tre mesi fa. (ho superato tre esami
e l’amore va meglio dal giorno
del dono). Gioca Alessia
con il cobalto del cielo
e se ne fa una veste invisibile
come di 18 grammi l’anima.
Poi nuda allo specchio sorride
alla vita vedendosi bella
e squilla il telefonino.
Alessia prima di dire pronto…
*

"Alessia sorride alla vita"

Alessia bocca di rosa
nel canto mattinale
dei volatili a incielarsi
per di natura e immensità
gioco a poco a poco
nel librarsi delle nuvole
in volo. E gioca Alessia
con la rosa senza spine
e le stagioni passate e la
presente e la sua luce
a entrare dagli occhi
all’anima e Alessia ragazza
pervadere d’infinito
sotteso a rigenerazioni
ad ogni passo oltre
la chiave della nebbia
e sorride in limine alla vita
e così ragazza Alessia
esiste.
*

"Mirta nel mio specchio"

Sei nel mio specchio, Mirta,
campiti i nostri volti
nel vetro che pare infinito.
Ti sei uccisa, Mirta, e non
ci credo e invece è lutto
per la bandiera della mia
vita. Abbiamo mangiato
insieme al ristorante
dei vivi e mi parlavi di
Anne Saxton anche lei
suicida. Dicevi la vita
è bruttissima come una
bambina di 44 anni, Mirta,
donna dei boschi e prigioniera
del tuo film.
*

"Mi manchi, Mirta"

La rivista dove hai scritto
la tua e-mail con armonica
grafia il giorno della portineria
che spiava la nostra gioia
è ora nel cosmo di un cassetto.
Mi manchi, Mirta,
dopo il tuo suicidio
e fa un anno il 17 luglio.
Sei nell’oltrecielo volata
dal terzo piano della Reggia
di Caserta e mi hai l’anima
spezzata e poi l’ho ricostruita.
Ora sei cenere e spirito
sotteso a queste parole che
mi detti mentre la nostra
Amicizia si rigenera.
*
Raffaele Piazza

sabato 14 aprile 2018

PREMIO DI POESIA = SANTANASTASIA

PREMIO NAZIONALE DI POESIA “CITTA’ DI SANT’ANASTASIA”
XVI EDIZIONE 2018
Il Comune di Sant'Anastasia (Napoli) indice e promuove la XVI Edizione 2018 del Premio Nazionale di
Poesia "Città di Sant'Anastasia", avvalendosi dell'Organizzazione e Direzione Artistica dell’Associazione
“IncontrArci” di Sant’Anastasia - Circolo Letterario Anastasiano. Il concorso è aperto a tutti
indistintamente dall'età e dal luogo di provenienza, purché i testi siano in lingua italiana.
Il Concorso gode del Patrocinio del Comune di Sant'Anastasia (evento istituzionalizzato).
Regolamento
Sezioni di partecipazione
Sono previste 2 distinte sezioni:
- Sezione A: aperta a tutti.
- Sezione B: riservata ai giovani fino a 23 anni.
Per ambedue le sezioni è possibile partecipare inviando 2 (due) poesie in lingua italiana a tema libero, di
lunghezza non superiore ai 50 versi ciascuna. I componimenti presentati possono essere sia editi che inediti.
Possono inoltre essere già stati premiati in altri concorsi, ad esclusione del presente.
Termine di consegna
Per entrambe le due sezioni, il termine ultimo per la partecipazione è fissato per il 15 ottobre 2018.
Quote di partecipazione
Per la partecipazione alla sezione A si richiede un contributo per spese organizzative di Euro 10 (dieci).
Per la sezione B non è prevista quota di partecipazione, ma i giovani fino ai 23 anni che intendessero
partecipare anche alla sezione A, dovranno necessariamente versare la relativa quota di partecipazione.
I versamenti vanno effettuati su c.c.p. nr. 63401236 (IBAN IT37 B076 0103 4000 0006 3401 236) intestato
all’Associazione “IncontrArci”, con causale: Premio di poesia Città di Sant’Anastasia XVI Edizione.
Per eventuali informazioni, è disponibile la Segreteria: Giuseppe Vetromile (tel. 081.5301386; cell.
348.5131479 ore serali); e-mail: circolo-lett-anastasiano@hotmail.it.

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Luci” **
Un gioco sottile contorce le mie membra,
quando ritorna primavera inaspettata,
e mi perdo nelle armonie del cielo
per rincorrere il gioco delle luci.
L’orizzonte marino ha il luccichio
di risacche, quasi un graffio allo schermo
che ripete memorie e dispetti .
Il tuo dire erano sillabe d’oro,
appuntamenti con il vortice scatenato
della gioventù .
Ora intreccio stupori inutilmente
nella viscida bolla delle assenze.
*
Antonio Spagnuolo

venerdì 13 aprile 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANNA LAURA LONGO

Anna Laura Longo – Questo è il mese dei radiosi incarnati del suolo------
Oedipus – Salerno/Milano – 2018 – pag. 48 - € 10
Anna Laura Longo, nata ad Avezzano nel 1973, vive a Roma. Ha una formazione umanistico – musicale. Pianista concertista e performer porta avanti un personale lavoro di esplorazione sulla scrittura in versi, confluito nel volume “Plasma – Sottomultipli del Tema “Ricordo”, (2004) e proseguito attraverso la stesura di sue “azioni poetiche e strumentali”, che si arricchiscono tipicamente di impianti visivi, inserzioni di gesti e composizioni di oggetti tra cui: “In un singolo punto nodoso” (2004),” Elementi grafici – con due linee passanti” (2005), “Color carne per deposizione rossa” (2006), “Ribattute sillabe neganti” (2007), “Questo è il mese dei radiosi incarnati del suolo” (2008) (2018), “Nuove rapide scosse retiniche” (2009). Presente in festival e rassegne nazionali e su riviste e magazine di arte e cultura contemporanea, realizza allestimenti verbo – visivi con incursioni nel mondo del libro – oggetto. È autrice di testi di teatro musicale e partiture di segni. Concepisce la sua arte come forma di “attraversamento” e indagine plurima e composita.
Il titolo della raccolta (Questo è il mese dei radiosi incarnati del suolo), sottende una tensione all’incanto e all’ottimismo anche se la dimensione del tempo degli orologi non può venire meno.
Il tempo stesso, comunque, resta vago e imprecisato perché si parla genericamente di un mese (che potrebbe essere tutti i mesi), un mese radioso perché racchiude incarnati del suolo, tinte rosee che sembrerebbero specchiare tramonti.
Non può non venire in mente Eliot e il celebre incipit de “La terra desolata” (aprile è il più crudele dei mesi).
Il dato esistenziale, il tema etico e la gioia e il dolore entrano in entrambi i casi nel contesto dei libri ma, mentre Eliot ha una visione pessimistica, quella di Anna Laura Longo pare tendere alla linearità dell’incanto anche se il tessuto linguistico dei suoi componimenti è complesso nella sua densità metaforica, semantica e sinestesica che crea un senso di sospensione e magia.
Il libro presenta una postfazione di Cesare Milanese esauriente e ricca di acribia. La raccolta potrebbe essere letta e considerata come un poemetto perché tutte le composizioni in essa inserite sono senza titolo e per l’unitarietà contenutistica, formale e stilistica.
Inoltre i testi seguono un duplice filo rosso che si sdipana nell’affrontare il tema della corporeità nel tempo stesso.
La poetessa riesce a produrre un’atmosfera di vaga bellezza connessa al mistero tramite la scrittura magmatica e a tratti anarchica.
Tutti i componimenti sono bene risolti e risultano egregiamente controllati e si produce un alone di luminosità attraverso una parola detta sempre con urgenza e connotata da eleganza e raffinatezza.
La dizione è icastica e leggera con venature neo orfiche che si coniugano ad un afflato classicheggiante nell’essere tutte le poesie ben cesellate.
Spesso è presente un tu del quale sono detti particolari e riferimenti della sua fisicità: - “Brucia sotto il sedile/ senza infingimenti/ la tua bocca esplosa e fiorita…”
La suddetta figura potrebbe essere quella dell’amato per il tono intenso e sentito con il quale ad essa Anna Laura si rivolge.
E quindi una valenza idilliaca pare pervadere l’opera pur nel suo personalissimo e originale sperimentalismo.
*
Raffaele Piazza

mercoledì 11 aprile 2018

PREMIO DI POESIA = LAUDATO SIE , MI SIGNORE

PREMIO DI POESIA 2018 - "LAUDATO SIE, MI SIGNORE"
per poesie in lingua a tema libero , a tema indicato , in vernacolo

ASSOCIAZIONE CULTURALE MAGNIFICAT
Segreteria Premio Poetico Internazionale
‘’ Laudato sie, mi’ Signore ’’ 9° edizione
c/o Fulvia Marconi
via Manzoni n. 93 - 60128 Ancona
fulvia.marconi@libero.it
Per informazioni Tel. 071/2810720 3476081300 (orario feriale 18/20 festivo 9/11 – 18/20)
Presenzierà, in qualità di Presidente Onorario il Maestro Alessandro Quasimodo

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANNA CACCIATORE

Anna Cacciatore – A tratti-- Ismeca – Bologna – 2018 – pag. 47 - € 12,00
Anna Cacciatore è nata nel 1942 a Napoli, dove vive. Laureatasi in Lettere Classiche, ha insegnato nei licei per quasi quarant’anni. Scrivere poesie è per lei un “vizio” antico, avendo collezionato in solitudine i suoi foglietti fin dall’età giovanile, senza mai avere il coraggio di far conoscere agli altri dei versi che riteneva inadeguati alla pubblicazione. Gli anni della vecchiaia l’hanno liberata dalle sue esitazioni e paure e nel 2007 è uscito il suo primo libro dedicato al marito scomparso e intitolato “Il pozzo del cuore”. Continua a credere che la scrittura possa terapeuticamente aiutarci a sostenere la condizione umana: questo convincimento, nato anche dai suoi studi, la spinge ad amare la letteratura, a patto che sappia di vita e di autentico sentire.
“A tratti”, il libro di Anna Cacciatore che prendiamo in considerazione in questa sede, è una raccolta non scandita nella quale domina una notevole linearità dell’incanto sottesa ad una forma tout-court lirica ed idilliaca che si presenta come un caso raro nell’attuale panorama della poesia italiana nella quale dominano attualmente gli orfismi e gli sperimentalismi di vario genere.
Colpisce nel poiein della poetessa una vena di chiarezza e nitore nella sua luminosità che coglie nel segno nel suo tradurre le emozioni che sono perfettamente controllate.
Si constata una grande raffinatezza nei versi avvertiti, icastici e rapidi sempre ben cesellati.
Nell’andamento per accumulo del fluire dei sintagmi si produce una suadente musicalità tramite il ritmo incalzante ed elegante e il lettore vive la grazia della levità di una parola sempre ben cadenzata ed esatta mai debordante ma compatta nella sua leggerezza.
Una natura che sembra riecheggiare i paesaggi degli impressionisti con una verginità di luce naturale fa spesso da sfondo alle descrizioni sempre sapienti e riuscite nella loro eterogeneità.
La cifra essenziale della poetica della poetessa napoletana è soprattutto quella degli affetti parentali, un biografismo creaturale che sembra pervadere il lettore con dolcezza e armonia.
La parola è sempre detta con urgenza e crea immagini che sgorgano le une dalle altre in modo efficace e proprio per la compostezza del dettato pare aleggiare nei componimenti un senso di classicità sotteso al dipanarsi delle frasi in modo affascinante e sinuoso.
Negli incipit delle composizioni la scrittura si libra sulla pagina senza sforzo e ogni poesia decolla per poi planare con notevole stile nella sua chiusa senza il minimo sforzo apparente.
La sospensione pare connotare il tessuto linguistico dei componimenti rendendo il discorso magico e pieno di fascino.
Centrali tra i protagonisti di quello che si potrebbe considerare vagamente un poemetto le figure dei nipotini e delle nipotine di Anna, bambini che ci fanno entrare nel loro mondo di innocenza e di ludica gioia empatica e non a caso Pascoli diceva proprio che il poeta è un fanciullino.
Chiude la raccolta il componimento eponimo che ha come chiave interpretativa il cambiamento sotteso al tempo, agli attimi: perciò la partita delle parole si risolve a tratti perché gli stessi bambini nel giocare a tratti sono solidali e a tratti nemici, immagine esemplare che si può estendere al mondo degli adulti nella sua complessità.
*
Raffaele Piazza

martedì 10 aprile 2018

RIVISTA = NUOVO CONTRAPPUNTO

NUOVO CONTRAPPUNTO - anno XXVII - gennaio-marzo 2018
Sommario
Elio Andriuoli : Orfeo ; Kavafis
Silvano Demarchi : In questo perpetuo strazio ; Fu vero amore
Guido Zavanone : Una sconosciuta ; Una giornata
Carmelo Consoli : Cammino per Santiago ; Linea Ferrara-Codigoro
Francesco Filia : Le parole dei vivi dicono un lento morire ; Ritorna un sottosuolo di chiostri e caverne ; La terra feconda e inaridisce in una
Bruno Bertoletti : Dicono che il più grande dolore sia la morte ; Non amo i libri che inquarta di copertina; Mi vede assorto, altrove, tutto preso
Nazario Pardini : La piena del Serchio ; La solitudine del mare ; E venne sera
Davide Puccini : Riccardo ; Giuliano
Rodolfo Di Biasio : La ballata di Giuseppe
Giovanna Giordano : Questa gioia nuova
Recensioni a firma di Elio Andriuoli e Tommaso di Brango
Opera grafica di Paola Giordano
*

lunedì 9 aprile 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE URRARO

Raffaele Urraro : “Bereshìt” – Ed. Marcus – 2017 – pagg. 104 - € 10,00 –
Un viaggio policromatico e accattivante questo che Raffaele Urraro propone con le sue liriche , tutte immerse nel luminoso “pensiero” di Dio , immaginandolo in una rilettura del tutto personale e magicamente alta di quella parte delicatissima che è la Genesi .
Dal “prologo” all’ “epilogo” i passi avanzano cautamente nelle evanescenze del filosofico sospendere il sacro , e si intessono , una dopo l’altra , nel gioco accorto della misura culturale.
La fantasia racconta , e nelle “riflessioni” del Pensiero divino distende l’inquietante angoscia della misura umana , tutta tesa all’ascolto e all’illusione di un Paradiso difficilmente conquistabile .
“E’ in questa macerazione della mente / che il segreto del mondo si nasconde…”
I collage si avvicendano con una simpaticissima sapienza scritturale, rielaborando sin dalla creazione del mondo e della terra , quando il “Pensiero” divino non aveva ancora un progetto a cui “pensare” , sprofondato nel buio tenebroso e nero, e ricucendo i numerosi passi della Bibbia tra l’energia cosmica e la luce , tra il giorno e la notte , tra il cielo e l’acqua , tra il mare ed il suono , tra la parola e le ombre della mente .
“Come è difficile opporre resistenza / alla voglia istintiva del sapere!”
E la conoscenza ha il potere indiscutibile della potenza umana , una misura che distingue il creato nella sua indagine, ansiosa di scoprire il segreto.
Poesia dal tocco misurato e accorto che trova una sua luminosa tessitura nel ritmo incessante del verso , elegante e ricco di un corredo plasmabile e aderente ad una realtà religiosa che si affaccia timidamente tra le pagine, quasi contesto metafisico e spiritualmente complesso .
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 8 aprile 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

Raffaele Piazza – Alessia----Ilmiolibro.it – Roma – 2014 – pag. 117 - € 12,00
È vivo e incessante il dispiegamento del flusso temporale che anima la raccolta poetica “Alessia” ( Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano) di Raffaele Piazza, irrobustita da un andamento per lo più sequenziale e sottilmente cadenzato.
Il protagonismo del personaggio femminile evocato prende corpo attraverso connotati geografici-urbani ( Napoli, Ischia, Assisi, Salisburgo, Ginevra ) tra mescolanze di “ amniotica pioggia “ di cui può facilmente intridersi il passo caldo e immersivo del lettore.
Le parole emergono – proliferanti - disegnando accadimenti molteplici, che immettono a loro volta nei meandri della quotidiana esistenza, un’ esistenza “ significativamente trasportata dalla luce “ , che tende a far maturare e far fiorire lo spazio e le sue tremule adiacenze. E nella luce “ tutto si ferma “ e “ tutto accade”.
La prevalenza di moduli iterativi finisce per creare sedimentazioni di suggestioni, lasciando trascolorare immagini e situazioni in una sorta di andirivieni, producendo inoltre accensioni energiche mediante tracce specifiche di colore, un colore evidenziato, in primis, nel vestiario – paesaggio ( Alessia azzurrovestita o rosavestita; Giovanni nerovestito ) e su tutto viene a stagliarsi caparbiamente “ la densità del cobalto di un cielo freddo di stelle “.
Tra un trasalire ardito e un tenue riversarsi nel roboante o limpido flusso esistenziale si muove il poetico ingranaggio di Raffaele Piazza, la cui parola – come afferma Antonio Spagnuolo – è consapevole di spasmodiche sfaccettature.

Anna Laura Longo
( aprile 2018 )

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Tormento” **
La fascia del tormento ha il passo lento
che ritorna più freddo , al gocciolio
delle palpebre , anch’ esse accese
per non rispondere alle vampate di un richiamo.
Ogni parola d’ombra chiude il cemento
in un lamento che veglia al tuo profondo
abbandono.
T’ha rapito il tradimento delle ore
ai confini di un giorno maledetto,
senza un sussurro , senza il tuo sorriso,
sparita più volte nelle veglie, bruciate
nell’increscioso torpore del sogno.
Nel blocco del silenzio ritorna il tuo profilo.
*

Antonio Spagnuolo

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia vola sulle nuvole"

Nel jet azzurrità per Alessia
nel volare sulle nuvole
acquoree a pervaderla d’immenso.
Nelle vesti rosa ragazza Alessia
vede dell’aria la resistenza
simile all’amore e così esiste
Alessia nell’interanimarsi
con di aprile il verde arboreo
seduta al posto 18 nell’aereo
che poi atterra a Stoccolma
e all’aeroporto Giovanni
leggero occhi negli occhi
a sorriderle e a farla entrare
nell’auto per portarla
a fare l’amore.
*
Raffaele Piazza

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Urlo”
In frantumi ogni istante sul quadrante
in cerca della giusta incisione
che sospenda anche il volo dell’allodola,
nei mattini , prima che dissolva brina.
Ruota il raggio a strappi
quasi tortura della solitudine che ingloba
in quella sola parola , palpebra a palpebra ,
e piega al grigio ogni mio sospiro .
Tu speranza che gioca a rimpiattino
dietro una tenda sdrucita del balcone
avvolgi nel silenzio il mio petto
che vorrebbe tuffarsi nel tuo urlo.
*
Antonio Spagnuolo

giovedì 5 aprile 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA BENEDETTA CERRO

Maria Benedetta Cerro : “Lo sguardo inverso” – Ed. Lietocolle – 2018 – pagg. 108 - € 14,00 –
Impegno rigoroso e severamente concepito l’atto di scorrere nella poesia ed immergersi negli ambigui spazi del momento filosofico , al quale appartiene tutto un mondo di interrogativi , di illusioni , di ripensamenti , di incredulità , e nel quale difficilmente la melodia del ritmo e del verso riescono ad equilibrarsi per mostrare immagini e colori variegati. Maria Benedetta Cerro offre , con lo strumento delicato del dire sottovoce , e del dire con immersioni profonde , una variegata vertigine tra la poesia ed il lacerante sospetto del vuoto che si manifesta tra le ipotesi dell’assoluto e dell’eterno . La parola è qui incisa nel pensiero, animata dalla meraviglia , o sospesa nella ricerca della verità . Un inseguirsi di metafore negli incontri che germogliano tra la musica e l’incanto del tramonto , tra gli sguardi furtivi e il divenire del credo , tra i silenzi che incombono e alcuni splendori che sciolgono .
“Un luogo/ dove i nomi abitano l’assenza / si è incrinato al mio passo./ In fondo a tutto il buio compresso/ tentava di sorgere una luce./ Vengo – le dissi - / abiterò quel grembo./ E a volo discesi una rampa infinita di scale./ Guardami come sono leggera se mi chiami./ Ma sono morta e non ti posso udire./ Eppure ti ho vista – luce-“
Il tempo del mondo conosce l’immaginario e non coincide mai con il se stesso , offerto all’angoscia fondamentale della conoscenza.
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 4 aprile 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANNA CACCIATORE

Anna Cacciatore – Il pozzo del cuore----Il filo – Roma – 2018 – pag. 61 - € 12,00

Anna Cacciatore è nata nel 1942 a Napoli, dove vive. Laureatasi nel 1967 in Lettere Classiche, ha svolto per trentotto anni l’attività d’insegnante prima al liceo scientifico e poi al classico.
“Il pozzo del cuore”, che presenta un’acuta e sensibile prefazione di Sabrina Pisu, è una raccolta di poesia non scandita che, per la sua unitarietà contenutistica e strutturale, potrebbe essere considerata un poemetto.
Come dal titolo si evince è un libro che ha la sua genesi nei sentimenti provati dall’autrice: non a caso l’occasione che è al suo fondamento è stata la prematura fine dell’amatissimo marito e compagno di vita della poetessa.
Nel mondo dei poeti e delle poetesse è tipico dopo la morte dell’amato o dell’amata scrivere libri di versi dedicati alla loro memoria.
Paradigmatico per quanto suddetto il caso di Montale che ha dedicato poesie sublimi alla moglie scomparsa.
Nel panorama italiano contemporaneo, per citare due casi significativi, Milo De Angelis e lo stesso Antonio Spagnuolo hanno scritto libri memorabili generati dal dolore per la morte delle proprie donne.
Poetica della presenza – assenza, dunque, quella di questa raccolta, che vede la sua causa scatenante nell’inevitabile memoria involontaria della Cacciatore nel suo rivivere i momenti della sua storia amorosa.
Ma non è nostalgia o vano rimpianto quello di Anna ma la lucida e consapevole intenzione di riattualizzare il passato tramite quello che solo la poesia può consentire per giungere ad una vera catarsi, ad una redenzione nella sublimazione del lacerante dolore per la perdita tramite la parola pronunciata con urgenza e raffinatezza sempre icastica e calibrata.
Il tu diviene quindi il marito Luigi che rinasce nella rimembranza e a volte si trova inserito in contesti naturalistici bellissimi come in “La terra degli dei” nella quale è detta una radura d’acqua chiara che l’accoglie in una calma distesa, dove lo Ionio mitico mare si placa per mostrare i suoi antichi incanti.
È anche quella di Anna una poetica sulla capacità d’amare quando la dualità si fa una cosa sola come è scritto in “Essere in due” dove è detto che la scommessa dell’amare è l’uscita da sé nel prendere l’altro in cura, dimenticando i segreti tarli e affidandosi alla concretezza di gesti tangibili in un avvertito scambio d’amore, elemento che diviene il motore della felicità anche se la figura di riferimento è venuta a mancare.
Ed è anche tempo di bilanci, d’inventari dell’esistere quando la Cacciatore si chiede come si sarebbero dispiegate la vita sua e quella del marito se questi non fosse venuto a mancare.
Centrale il senso della natura di Anna, si diceva, che diviene salvifica anche attraverso la tematica della metamorfosi quando la poeta in un sogno ad occhi aperti immagina di essere lei le radici del mitico ibisco e che il marito ne sia il fiore.
Cifra distintiva di questa poesia è quella di un’intensa liricità effusione dell’anima dell’autrice che domina la sua materia e tutti i componimenti sono felicemente risolti.
È la condizione umana, l’essere sotto specie umana, per dirla con Mario Luzi, il filo rosso che lega i componimenti e li attraversa:” All’appello delle generazioni/ Tu risposto non hai. Mi duole/ la tua assenza e il trascorrere del/ tempo, fatto di bilanci/ crudele m’appare” -.
Solo l’esercizio di conoscenza della poesia può fermare il tempo, l’attimo tra il detto e il non detto in ogni singolo componimento e questo Anna lo sa bene.
*
Raffaele Piazza

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Lamento”
Appare vana ogni cosa ora che il sole
cerca riflessi di colori nuovi,
cerca nei raggi ancora non cocenti
un riverbero antico , un riflesso indeciso
per il tuo abbandono.
Hai sfiorato le dita nell’ultimo sorriso,
con labbra esangui, e con sussurro mite
hai lasciato il mio sguardo nel dubbio
per non averti fermata nell’addio .
Si spezza il pane secco per sfidare
le tenebre ,
una nenia indiscreta che ripete
la vecchiezza di sillabe, che a volte
sfiorano maledetta lamentela.
Fuori è il mio nome , snodato,
scomponibile , che accenna troppo forte
all’angoscia.
*

ANTONIO SPAGNUOLO

RIVISITAZIONI = EUGENIO MONTALE

Eugenio Montale : “Ossi di seppia” –
“Forse un mattino andando in un’aria di vetro,/arida,/ rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:/ il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro/ di me, con un terrore da ubriaco./ Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto/ alberi case colli per l’inganno consueto./ Ma sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto/ tra gi uomini che non si voltano, col mio segreto.” Un momento di tensione che si dipana come un disegno transazionale del taccuino, che designa la proiezione di uno stato introiettato, quasi a permettere di vivere tra sogno e realtà , per la giusta distanza dell’immaginario fantastico e la violenza della sospensione. Ossi di seppia comprende 60 liriche, raccolte in otto sezioni: Movimenti, Poesie per Camillo Sbarbaro, Sarcofaghi, Altri versi, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi ed ombre; a questi fanno da cornice una introduzione (In limine) e una conclusione (Riviere). Potremmo azzardare l’ipotesi, a posteriori, che questo volume del Montale sia come la risposta negativa e parodistica all’Alcione dannunziano, un rovesciamento che l’autore intesse tra le luminosità delle figure e dei ritmi, in un alternarsi di liriche brevi e di testi più diffusi, un alternarsi musicale di movimenti più distesi e meditativi (come l'"adagio" di una sonata) e di sprazzi fulminei di immagini simboliche (come il "presto" o lo "scherzo").Per una ambientazione nelle atmosfere luminose della riviera ligure di levante, nel tempo della stagione estiva, quando “il sole cuoce/ e annuvolano l’aria le zanzare”, nello scenario in cui si evidenzia la negatività del mondo, per contrapporsi alla dannunziana identificazione tra uomo e natura. Un exursus all’interno stesso della poesia , che trova una erosione nel linguaggio ed in esso ravviva quanto si riesca a dire e a parlare dell’uomo, dei suoi sentimenti, dei suoi strani furori e ripensamenti. Il titolo Ossi di seppia allude chiaramente allo scheletro dell'animale marino, che dopo la morte galleggia sulle onde ed è trascinato a riva tra gli scarti, come "inutile maceria".- “Noi non sappiamo quale sortiremo/ domani, oscuro o lieto;/ forse il nostro cammino/ a non tocche radure di addurrà/ dove mormori eterna l’acqua di giovinezza;/ o forse sarà un discendere/ fino al vallo estremo,/ nel buio, perso il ricordo del mattino./ Ancora terre straniere/ forse ci accoglieranno: smarriremo/ la memoria del sole, della mente/ ci cadrà il tintinnare delle rime./ Oh la favola onde s’esprime/ la nostra vita, repente/ ci cangerà nella cupa storia che non si racconta!/ Pur di una cosa ci affidi,/ padre, e questa è: che un poco del tuo dono/ sia passato per sempre nelle sillabe/ che rechiamo con noi, api ronzanti./Lontani andremo e serberemo un’eco/ della tua voce, come si ricorda/ del sole l’erba grigia/ nelle corti scurite, tra le case./ E un giorno queste parole senza rumore/ che teco educammo nutrite/ di stanchezze e di silenzi,/ parranno a un fraterno cuore/ sapide di sale greco.” - Il controcanto ossessivo , quasi leopardiano, ha una sua fascinazione nella necessità di stringere l’apparizione sfocata del domani, in un gesto panico che ferma il tempo a simbolo della alienazione, unica alternativa all’angoscia pre-esistenziale.-Ma l'impressione di chi legge non è mai l'angoscia e la negatività emotiva: ciò che si percepisce è soprattutto la ricchezza – ancora una volta "musicale" – di cose e di termini. Come scrive Pier Vincenzo Mengaldo: «… l'individuo che non riesce a vivere, a rigore neppure ad essere, proprio per ciò è massimamente capace di vedere e registrare; e la vita che non dà senso globale proprio per ciò è aggredita, non solo catalogata nei suoi aspetti fenomenici con una straordinaria aderenza al pullulare dei dati concreti e una vera e propria furia di nominazione. Ecco allora che contenuti dominati dal senso della negatività e della disgregazione vengono detti in uno stile niente affatto disgregato e smozzicato, anzi quanto mai compatto, assertivo, deciso, insomma eloquente: la compresenza di uno spirito che nega e di un pronuncia fortemente asseverativa e rotonda, che già si era data in altri modi nei padri fondatori quali Leopardi e Baudelaire, torna negli Ossi ed è uno dei motivi primi della loro importanza, permanente.» (P.V. Mengaldo, L'opera in versi di Eugenio Montale, in: Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana, vol. 9, Le opere, Einaudi). Qui la poesia non è descrittiva, ma accenna a presenze che irrompono improvvise, risvegliate dal ricordo, incise da volti ed immagini: tra le allucinanti apparizioni di un universo in crisi che è sempre sul punto di dissolversi, Montale attua una costruzione filosofica di profondo significato fenomenologico ed esistenziale.
*
“Il viaggio finisce qui:/ nelle cure meschine che dividono/ l’anima che non sa più dare un grido./ Ora i minuti sono eguali e fissi/ come i giri di ruota della pompa./ Un giro: un salir d’acqua che rimbomba./ Un altro, altr’acqua , a tratti un cigolio./ Il viaggio finisce a questa spiaggia/ che tentano gli assidui e lenti flussi./ Nulla disvela se non i pigri fumi/ la marina che tramano di conche/ i soffi leni: ed è raro che appaia/ nella bonaccia muta/ tra l’isole dell’aria migrabonde / la Corsica dorsuta e la Capraia …” - L'apparente distacco di Montale dagli eventi esterni - apparente in quanto egli seppe fare i conti con essi, trasformandoli alla luce delle proprie esigenze - si traduce in questa raccolta in una consapevole e misurata ricostruzione del verso nella sua forma "classica". Montale sembra dirci che una poetica che abbia come oggetto la disgregazione del senso e della vita può servirsi con più utilità, per raggiungere i suoi scopi, di una forma chiara e semplice nella sua rigorosità costruttiva. Attraverso determinate e concrete letture l’opzione stilistica e tematica racconta come in una serie di fotogrammi episodi e modulazioni di persone, affetti, luoghi, nell’eterno fluire di tutte le cose alle quali spesso non prestiamo attenzione.Uno strumento linguistico-formale, un contenitore trasparente (una "scatola di vetro") che permette ai contenuti di esistere con più evidenza. Tutto il contrario dello sperimentalismo delle avanguardie, i cui "effetti speciali" di rottura e di provocazione superano il valore stesso dei contenuti. Ricca per raffinatezza la semplicità si mostra per un malcelato virtuosismo della musicalità e del ritmo incalzante.
Montale può essere considerato il primo poeta italiano contemporaneo che si è fatto portavoce di un pensiero negativo e la caratteristica della sua poetica è proprio la negatività. In un mondo disumano e arido il poeta può solo dire “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. I suoi versi, asciutti e concisi, non idillici e poco musicali, corrispondono alla negatività della sua visione della vita. Nel rinnovarsi Montale guarda ad una ritrovata interiorizzazione, penetra nel fluire eterno per tessere agglutinazioni stilistiche degne di agilità e significazioni.-
Antonio Spagnuolo

martedì 3 aprile 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = VELIO CARRATONI

“Ah, quelle viscere dolenti”

Recensione al volume “Passive Perlustrazioni”
di Velio Carratoni. Fermenti, 2018, pp,160, € 14,00.


L'Autore, drammatico affabulatore di drammi intrisi da pesanti sentori d'un intero mondo stantio e inesorabilmente maleodorante, spazia in un mondo maledetto che, in sottofondo, sembra respingerlo, senza ricorrere a moralismi o a discolpe, prospettando anche catene abbattute ma non per espungere.
E' il mondo che, ad esempio, farebbe di Gioe (il protagonista del primo racconto, “Nulla creativo”) un caso clinico, mentre Gioe si limita a viversi la propria obliqua esistenza di individuo, impegolato nel suo personalissimo modo d'esistere.
Lo psicopatologo ne è affascinato mentre il sociologo lo classificherebbe come esponente medio d'una massa sbandata.
La grande finzione di Velio Carratoni è quella di far credere di appartenervi; la sua metafora è quella di avvalorare la merce avariata come natura ultima e inespugnabile di quel rovesciamento di sé stesso, limitato alla propria declinazione di letterato-scrittore. Per lui sarebbe utile sapere, scoprire, ma preferisce coinvolgersi anche se in inutili sbirciate o approcci.

Ricordo il 2009, quando Carratoni pubblica ”Hai usato il suo corpo” ed alla preziosa introduzione di Domenico Cara che in tredici punti definisce i trentadue racconti.
Gli argomenti principe sono i “torbidi sensi limacciosi, le contingenze libidiche” (Cara) che occupano a tutto tondo lo spazio delle narrazioni.

In quest'ultima raccolta, al contrario, le situazioni sono meno intensamente torbide, i discorsi - al pari dei pensati - meno autocolpevolizzanti, nel senso che il “cupio dissolvi” frequentato da Carratoni è oggi integrato ed organizzato, noto a primo intuito, ma misterioso nella sostanza.
I personaggi meno carnali sembrano forse più pensanti di presupposti in dissolvimento a priori. Oltre al sesso c'è anche un significato che non c'è. Questo il rebus che allontana o confonde, inducendo al tentativo dispersivo, che avvicina ai letamai, senza poterli a volte sfiorare a pieno, Risentono di un vortice di materialità che è anche più riflessione e collegamenti con emisferi più distaccati e prefissati. Gli enigmi vengono a galla ma turbano e immiseriscono. Le menti sono vacillanti ma sentono esigenze indefinibili. “In quei frangenti mi rifugio nel modulare della voce che non sa di timbri di maschio o femmina”.

Carratoni non ha rinunciato alla carne. Sembra volerla sezionare, dopo le fredde lucide profanazioni di “Mara” e di “Bolgia e cinguettio”, di “Vendette d'amore”, de “Le grazie brune” de “Hai usato il suo corpo”. Se i corpi patiscono le ombre longevano, provando a porre quesiti incalzanti: “La bellezza è un punto illusorio che più sboccia nelle sue fattezze appariscenti, più genera amori mai nati e il corpo sembra dissolversi proprio sul punto di essere percepito. Per essere decantato è sempre provvisorio”.
L'autore si sdoppia e trasfigura quando fa parlare personaggi femminili, come Priscilla, la non-nominata (Noemi?) del terzo racconto, o anche la successiva Pia, trentottenne ragioniera, specialista in godemichés.
Tra le tante figure femminili, oltre a Elide, emerge una ulteriore Priscilla, diversa dalla prima ed evidente rappresentante di un Puritanesimo al contrario.
Oppure delle donne ne parla, come parla di Rosa, la bevitrice coatta de “Il più del niente” (il cui exergo è “Il futuro / non esiste”) e via andando.
Poi ci sarà Oscar e tanti altri o altre a costituire questo grande pantheon di infelici,(o ombre fugaci), razionalizzanti la desiderata incapacità di vivere se non al prezzo di essere “dimezzati”, nell'accezione di Italo Calvino.
Come si sarà compreso, una omogenea raccolta delle storture e delle inani sofferenze d'una dolente o vacua umanità, delle quale lo scrittore si fa testimone non partecipe assertore.

In buona sostanza un livre de chevet, da leggere utilizzando una scansione di fruizione diluita. Una lettura “ a rate”, che permetterà di certo l'effetto di assimilazione e dunque di avvicinamento a questa filosofia del Nostro campione di filosofemi e di un intriso di illusione e gioco. Anche se ogni probabilità diventa il suo contrario, divenendo il sesso un substrato di realtà “apparentemente vive e possibili, ma nel substrato illogiche e frammentate”.

Da Mara (finalista al Premio Viareggio 1972), Carratoni è passato all'etichettismo di genere, restando però a un campionarismo di conferma, in chiave apparentemente evolutiva, anche se i prototipi da manichini son rimasti ancorati a regole consumistico-dilapidatorie.
I corpi da oggetti son divenuti pensanti solo nell'attimo di chiaroveggenze dissolte.
Bel progresso in epoca in cui o per il globalismo o per una falsa liberazione in tutti i campi è prevalsa un'ipocrisia di genere o di condotta. Sempre più appagata da un potere falso e corrotto.
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Antonino Lo Cascio