lunedì 30 gennaio 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = CLAUDIA PICCINNO E ALTRI


Claudia Piccinno, Emel Kosar, Mesut Senol : "Voci del nostro tempo" - ed. Artshop - 2021- pag.192- TL 20,00
Uno dei detti del profeta Maometto era :"Certamente le parole dei poeti che sono chiavi di Dio in terra possiedono dei tesori" , e trentadue poeti presenti in questa elegante antologia mantengono l'impegno culturale ad alto livello per disegnare con i loro testi un panorama policromatico della poesia Turca ed Italiana contemporanea. Il lavoro è accattivante, ben sottolineato nella prefazione di Lorenzo Spurio, e la traduzione perfettamente realizza in inglese/italiano ed italiano/inglese da Claudia Piccinno, in turco/inglese da Mesul Senol.
Un percorso letterario che rispecchia nitidamente l'accostamento di culture diverse e delle dinamiche che fermentano in luoghi dove storia e politica alimentano il focolare artistico. Ci limitiamo a citare gli autori italiani, ciascuno, come i poeti turchi, con la sua foto e la sua breve nota biobibliografica : Alessandro Ramberti, Dante Maffia, CLaudia Piccinno, Elisabetta Bagli, Enzo Bacca, Evaristo Seghetta, Francesca Ribacchi, Antonio Spagnuolo, Gastone Cappelloni, Gianpaolo Mastropasqua, Lorenzo Spurio, Mariapia Quintavalla, Michela Zanarella, Nazario Pardini, Ottavio Rossani, Regina Resta. La copertina è opera di Immacolata Zabatti.
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venerdì 27 gennaio 2023

SAGGIO CRITICO : VICO / UNGARETTI = GIOVANNI CARDONE


"La lezione di Vico e la Visione Poetica Ungarettiana"
di Giovanni Cardone
Posso dire che Ungaretti è un autore che non ha mai taciuto i nomi dei suoi autori di riferimento anzi, li ha sempre dichiarati esplicitamente: Leopardi, Petrarca, Mallarmé, Valéry, Platone, Vico, per citarne alcuni. Com’era logico attendersi, queste indicazioni, sparse negli scritti del poeta, si sono trasformate in altrettante piste per i critici che hanno voluto occuparsi della sua opera. Con esiti importanti in tutti i casi, tranne per l’ultimo che abbiamo citato. Vico è infatti, tra i grandi che Ungaretti elesse suoi mentori e ispiratori, l’autore meno indagato: i titoli della bibliografia sulla critica del poeta che rimandano direttamente al filosofo napoletano sono pochissimi e solo uno di questi affronta l’argomento in modo specifico. Ciò non significa, va da sé, che anche in altre sedi non se ne sia fatto cenno, ma sempre di passaggio, non essendo il rapporto tra Ungaretti e Vico il concreto oggetto della disamina. Questa lacuna nella bibliografia critica su Ungaretti ci sembra un fatto singolare. Uno dei motivi di questa scarsa attenzione può essere che, generalmente, la critica su Ungaretti si è concentrata sull’opera poetica mentre le tracce più cospicue del pensiero vichiano sono presenti nelle lezioni universitarie; infatti, nel volume mondadoriano dedicato ai saggi e agli interventi, la presenza di Vico è limitata alla seconda delle conferenze brasiliane a lui dedicate. La quale, pur essendo una testimonianza significativa, è pur sempre un testo dedicato al filosofo, è dunque ovvio che l’oggetto vi sia trattato. Per stabilire quanto profondamente le teorie vichiane siano penetrate a fondo nel metodo di avvicinamento del testo impiegato da Ungaretti, sono più significativi invece quei passi, disseminati nelle lezioni che denunciano implicitamente l’influenza del filosofo napoletano. Per rinvenirli, però, era necessaria la pubblicazione delle lezioni stesse, avvenuta solo nel 2000. Solo da quel momento è stato possibile a tutti i lettori ricomporre la diade delle conferenze vichiane ma, soprattutto, verificare come la lezione del filosofo napoletano si riverberi diffusamente nell’attività di critico e docente, attività che ne conserva le tracce più nascoste e probanti. Prima di entrare nel vivo del nostro discorso converrà però rileggere cosa è già stato scritto dagli studiosi che si sono occupati delle affinità tra il pensiero di Vico e la poetica di Ungaretti. Penso che il pensiero di Vico funziona come un reagente chimico nei composti tematici ungarettiani, specialmente per la comprensione del ruolo che l’uomo ha nella Storia, e nel suggerire ad Ungaretti il tema del corrompersi della ragione umana. Se però il filosofo lascia aperto uno spazio alla speranza, Ungaretti è meno fiducioso, vivendo un periodo storico funestato da due guerre mondiali, che mostra in modo sufficientemente chiaro il potenziale autodistruttivo di quella società che è stata definita ‘civiltà delle macchine’. Soprattutto nelle riflessioni degli anni Cinquanta e Sessanta, la volontà ungarettiana di trovare un antidoto alla crescente consapevolezza della sconfitta dell’uomo sulla scacchiera della Storia, lo fa volgere al mito vichiano delle origini, anche se la fiducia di una evoluzione positiva della condizione dell’uomo è, via via che gli anni passano, sempre più labile. Sostengo che i sintagmi «sentimento del vuoto» e «memoria dell’assenza» segnalano «in modo significativo la presenza di Vico» infatti la concezione ungarettiana dell’atto poetico ha molto in comune con «l’idea vichiana di una scienza nuova in quanto la poesia, definita come libertà e sentimento dell’eterno, è irrealizzabile al di fuori della memoria». La presenza di Vico nell’opera ungarettiana prenderebbe corpo, inizialmente, come un debito estetico, per via dell’appartenenza del poeta ad una corrente estetica che concepisce l’arte sì come un fatto estetico ma anche morale, il cui capostipite sarebbe il filosofo napoletano. Quanto «alla natura della determinazione morale, essa è da ricercarsi nella caratterizzazione della memoria come coscienza del perire», che va interpretata non come Manzoni cioè in senso neoclassico ma come Vico e Leopardi, cioè in senso rettamente così direbbe Ungaretti romantico. Nella seconda prolusione brasiliana, continua Luglio, Ungaretti chiarisce che il perire non è la morte dell’individuo ma il suo vivere «in una temporalità che non abbiamo scelto, di cui non conosciamo la causa» grazie a questa consapevolezza del perire l’uomo scopre Dio ma, per recuperare la sostanza etica della parola, è necessario chiamare in causa la memoria storica. Inoltre se l’evoluzione dell’uomo e dell’umanità sottostanno alle stesse regole, si può pensare un tentativo di risalita alle origini dell’uomo attraverso il linguaggio, Vico docet, la cui teoria evolutiva, e la fondamentale connessione uomo-linguaggio, è ripresa da Ungaretti. Luglio prosegue mostrando che anche negli sforzi di comprensione del barocco romano si ritrova, ma in una luce diversa, la presenza di Vico: infatti le rovine a cui Ungaretti fa spesso cenno non sono altro che il richiamo dei frantumi dell’antichità che Vico pone alla fine del primo libro della Scienza Nuova. Inoltre la rovina, con il suo essere mutilata e con la complicità della memoria, è all’origine del mito (altro punto in comune con il filosofo napoletano), il cui processo generativo è influenzato dalla fantasia e dall’ingegno; tre facoltà memoria-fantasia-ingegno che Vico poneva in stretta relazione. Come si vede, i due studi usano argomenti simili per collegare la concezione della poesia di Ungaretti alle teorie del filosofo napoletano; in particolare ci fanno capire che il pensiero di Vico stimolerebbe la sensibilità ungarettiana sul tema della caducità della vita umana, ma solo Luglio sfiora l’argomento di cui ci stiamo occupando, ossia i possibili spunti che Ungaretti può aver còlto nel pensiero vichiano e riportato nella propria concezione della memoria. I motivi che hanno portato Ungaretti a leggere Vico possono essere molti; certamente negli anni ’20 non era ancora spenta l’eco del volume che Croce aveva dedicato al filosofo napoletano e che diede il via alla riscoperta della sua opera. Non meno importante era l’ammirazione nutrita dai principali responsabili de «La voce», in particolare da Giovanni Papini , che si fecero promotori del pensiero vichiano, una ammirazione che deve aver contagiato Ungaretti. L’opera che più di ogni altra ha avvicinato Ungaretti al filosofo napoletano rimane però, secondo noi, lo Zibaldone di Leopardi, letto fin dalla gioventù. Lo studio dell’opera e del pensiero del poeta di Recanati lo ha sicuramente indirizzato verso uno di quei pensatori che, a vario titolo, aveva influenzato molti autori della fine del Settecento e di inizio Ottocento. Alcune affermazioni contenute nelle pagine zibaldoniane, così come alcuni temi di più ampia portata, possono essere fatte risalire alle speculazioni del filosofo napoletano. Leopardi dimostra di conoscere Vico fin dal 1821 e di annoverarlo tra i grandi pensatori del calibro di Cartesio, Newton, Leibnitz, Locke, Rousseau e Kant anche se non fa mai esplicito riferimento alle sue teorie. Suggestioni potrebbero derivargli dalla conoscenza del pensiero di Madame De Stäel e di Cesare Beccaria. Anche nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica si possono facilmente rivenire echi delle teorie vichiane; si veda, per esempio: Ma che vo io cercando cose o minute o scure o poco note, potendo dirne una più chiara della luce, e notissima a chicchessia, della quale ciascuno, ancorché non apra bocca, mi debba essere testimonio? Quello che furono gli antichi, siamo stati noi tutti, e quello che fu il mondo per qualche secolo, siamo stati noi per qualche anno, dico fanciulli e partecipi di quella ignoranza e di quei timori e di quei diletti e di quelle credenze e di quella sterminata operazione della fantasia; quando il tuono e il vento e il sole e gli astri e gli animali e le mura de’ nostri alberghi, ogni cosa ci appariva o amica o nemica nostra, indifferente nessuna, insensata nessuna; quando ciascun oggetto che vedevamo ci pareva che in certo modo accennando, quasi mostrasse di volerci favellare quando in nessun luogo soli, interrogavamo le immagini e le pareti e gli alberi e i fiori e le nuvole, e abbracciavamo sassi e legni, e quasi ingiuriati malmenavamo e quasi beneficiati carezzavamo cose incapaci d’ingiuria e di benefizio; quando la meraviglia tanto grata a noi che spessissimo desideriamo di poter credere per poterci meravigliare, continuamente ci possedeva; quando i colori delle cose quando la luce quando le stelle quando il fuoco quando il volo degl’insetti quando il canto degli uccelli quando la chiarezza dei fonti tutto ci era nuovo e disusato, né trascuravamo nessun accidente come ordinario, né sapevamo il perché di nessuna cosa, e ce lo fingevamo a talento nostro, e a talento nostro l’abbellivamo quando le lacrime erano giornaliere e le passioni indomite e svegliatissime, né si reprimevano forzatamente e prorompevano arditamente. Ma qual era in quel tempo la fantasia nostra, come spesso e facilmente s’infiammava, come libera e senza freno, impetuosa e instancabile spaziava, come ingrandiva le cose piccole, e ornava le disadorne, e illuminava le oscure, che simulacri vivi e spiranti che sogni beati che vaneggiamenti ineffabili che magie che portenti che paesi ameni che trovati romanzeschi, quanta materia di poesia, quanta ricchezza quanto vigore quant’efficacia quanta commozione quanto diletto. Rispondendo alla lettera del Breme, Leopardi vuole sostenere la capacità del primitivo inteso come categoria poetica, riproposto in poesia, di stimolare l’emotività del lettore per farlo ricorre, tra gli altri, ad alcuni argomenti di matrice vichiana, come si vede bene nella citazione: ciò che siamo stati (ossia fanciulli) può essere detto anche degli antichi rispetto all’evoluzione dell’umanità; l’evoluzione del mondo è paragonata all’evoluzione dell’individuo; siamo stati fanciulli in preda all’ignoranza e alla fantasia. Inoltre la descrizione che Leopardi fa della nostra età infantile ricorda da vicino la descrizione di alcuni momenti della vita dei «bestioni» di Vico: ogni manifestazione della natura era per loro, come per noi, dice, motivo di sorpresa o di timore, i primi uomini si rivolgevano alle altre creature o piante con intenzione comunicativa; la meraviglia era un’esperienza quotidiana; da essa e dalla fantasia che ci governavano e dalle emozioni che connotavano la nostra vita sarebbe potuta nascere una quantità di poesia. Tutti i punti che abbiamo qui rapidamente richiamato rimandano alle teorie di Vico, indipendentemente da dove Leopardi li abbia attinti. Ungaretti dimostra di conoscere bene questo brano, tanto che lo riutilizza nella lezione intitolata Rapporto con il Petrarca e introduzione al commento dell’«Angelo Mai». Anche in pagine successive del Discorso leopardiano non mancano altri richiami alle teorie vichiane; eccone un esempio che riguarda la fantasia rapportata alle età dell’individuo: ed il vero conosciuto ed il certo hanno per natura di togliere la libertà d’imaginare. E se il fatto stesse come vogliono i romantici, il confine dell’immaginazione sarebbe ristrettissimo ne’ fanciulli, e s’allargherebbe a proporzione che l’intelletto venisse acquistando; ma per lo contrario avviene ch’egli ne’ putti sia distesissimo, negli adulti mezzano, ne’ vecchi brevissimo. Laonde, come vediamo chiarissimamente in ciascuno di noi che il regno della fantasia da principio è smisurato, poi tanto si va restringendo quanto guadagna quello dell’intelletto, e finalmente si riduce quasi a nulla, così né più né meno è accaduto nel mondo; e la fantasia che ne’ primi uomini andava liberamente vagando per immensi paesi, a poco a poco dilatandosi l’imperio dell’intelletto, vale a dire crescendo la pratica e il sapere, fugata e scacciata dalle sue terre antiche, e sempre incalzata e spinta, alla fine s’è veduta, come ora si vede, stipata e imprigionata e pressoch’immobile . Anche in questo passo sono evidenti alcuni riflessi vichiani: il paragone tra le età dell’individuo e quelle della società; la convinzione espressa che nei fanciulli, come nei primitivi, la fantasia sia una facoltà dominante che va scemando a mano a mano che l’uomo invecchia. Inoltre l’argomento secondo cui lo sviluppo delle capacità logico-razionali e pragmatiche è un ostacolo alla libertà della fantasia, che non può essere considerato strettamente vichiano, è più volte impiegato anche da Vico per sostenere il decadimento delle capacità immaginative umane a favore di quelle logico astrattive, inteso come effetto collaterale dell’evoluzione dell’uomo. Il passaggio di alcuni temi da Vico a Leopardi non avviene direttamente poiché, abbiamo detto, Leopardi non sembra conoscere direttamente l’opera di Vico; il passaggio è certamente mediato da autori diversi; uno di questi è probabilmente Ludovico di Breme, come suggerisce proprio Ungaretti, nel Secondo discorso su Leopardi: L’importanza che ha avuto sulla formazione del Leopardi il Breme è stata da tutti trascurata . Si è molto studiato ed è stato oggetto di molte discussioni il Discorso d’un Italiano intorno alla poesia romantica; ma non sono stati presi in esame i due articoli del Breme, apparsi sullo “Spettatore italiano” nel principio del 1818, articoli che avevano ispirato il discorso leopardiano, un discorso intessuto da echi vichiani, è la chiosa di Ungaretti, e aggiunge: «Leopardi accetta anche quasi tutti i punti positivi degli articoli, e innanzi tutto, quasi negli stessi termini fissati dal Breme, il patetico». Che Ludovico Di Breme rammenti a Leopardi motivi di matrice vichiana, Ungaretti torna a ribadirlo in modo esplicito; infatti, dopo aver citato un passo dagli articoli del Di Breme, così commenta: Di qui presumibilmente deriva quell’immedesimazione dell’Antico nella fanciullezza e nell’adolescenza e nella prima maturità che porterà il Leopardi, come farà dall’Angelo Mai in poi, a immaginare la storia d’una civiltà, e, per analogia, la storia dell’universo e dei singoli, biologicamente condizionata dal perire. Si potrebbe anche fare il nome del Vico; ma non è l’antecedente diretto. Dunque Ungaretti individua, tra le pagine delle prose leopardiane, l’influenza di Vico e, nell’ambito del reiterato studio del pensiero del recanatese, tornerà ad approfondire la conoscenza del filosofo napoletano . Ad ulteriore riscontro della presenza di Vico negli scritti di Leopardi, riportiamo un commento di Lucio Felici il quale, in un saggio che ha per argomento l’ora panica quale tempo propizio ad ascoltare la voce della natura, cita una frase presa dal Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, in essa Leopardi sostiene di aver sperimentato quel tempo propizio, «quando ciascun oggetto che vedevamo ci pareva che in certo modo accennando, quasi mostrasse di volerci favellare»; lo studioso commenta: «Accennare significa qui “parlare per cenni”, con quella “prima lingua” che, secondo Vico, “dovette cominciare con cenni o atti o corpi ch’avessero naturali rapporti all’idee”.L’accennare di Leopardi è riferito agli oggetti, quello di Vico ai soggetti, ma la favella per cenni è la medesima, per gli uni e per gli altri, e costituì lo strumento miracoloso perché gli uni con gli altri si intendessero, si sentissero in armonia".
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GIOVANNI CARDONE

mercoledì 25 gennaio 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = AMEDEO ANELLI


*Amedeo Anelli: “Invernale e altre temperature” – Ed. Libreria Ticinum- 2022 – pag. 78- € 13,00-
“La poesia è esplorazione della vita e del mondo, nelle mani di Amedeo Anelli diventa strumento d’indagine, un bastone magico per il rabdomante che cerca la vita”. Così scrive Guido Conti nel risvolto di copertina. Ed il vortice delle figurazioni, dei pensieri, degli ardire, si alliga nei versi intrecciando visioni dall’entità complessa e cromaticamente abbagliante.
Da oltre trent’anni Anelli dirige, da par suo, la rivista di poesia e filosofia “Kamen” dimostrando di possedere un bagaglio culturale di tutto rispetto e fedele al fermento che caratterizza la ricerca contemporanea. In questo volume si rispecchia la ricchezza illuminante delle variazioni e delle intensità che sono proprie della poesia alta, la quale privilegia lo scandire delle emozioni in una totalità preziosa di colori e di profondità filosofiche.
Il poeta gioca con fulminee rivelazioni che corrono da un luogo all’altro, da una temperatura all’altra, da un’occasione all’altra, da visioni a sensazioni, da sguardi fluttuanti a lucide memorie. Tessendo richiami del tempo ogni testo propone una impeccabile variazione di intensità con un scelta preziosa del vocabolo, del segno, della metafora.
Dalla filastrocca scherzosa ed augurale alla riflessione che siamo costretti a ponderare, dalla luce gialla dei lampioni alla brezza della primavera, dai raggi cangianti del sole al “pensiero che muove l’umor nero”, le alternanze scorrono rapide avvolgendo la delcatezza del dettato.
Accortamente precisa e oculatamente attenta al ritmo, la traduzione in francese, curata dalla poetessa Irene Duboeuf, conserva per ogni testo quella musicalità che accompagna il ricamo rigoroso dell’originale.
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ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 24 gennaio 2023

RIVISTA DI POESIA= IL SARTO DI ULM


***E' in distribuzione il numero 16 (dicembre 2022) della rivista "Il sarto di Ulm" edita da Macabor e diretta con acume da Bonifacio Vincenzi.
Dedicata alla poesia contemporanea la rivista si distingue per l'attenta scelta degli interventi e dei testi, offrendo di volta in volta uno sguardo particolareggiato intorno agli impegni culturali del momento. Firmano questo numero : Marta Celio, Pino Corbo, Bonifacio Vincenzi,Silvano Trevisani, Gerardo Trisolino, Ernesto Livorni, Camilla Ziglia, Paola Bonadies.
Per contatti : ilsartodiulm@libero.it =

venerdì 20 gennaio 2023

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


** “Fusioni di guerra”
Non torneranno più ai loro campanili
inchiodati dai missili maligni in un grido.
Per un gesto segreto il tempo avanza rapido
sventrato dall’angoscia in polveri dorate.
E la guerra ripete la sua nebbia visibile,
l’eco che insegue affondando unghie
nel mezzo delle notti.
Piena di fiamme la fusione scandita
di madreperle, come l’inquietudine
che il crollo ha segnato tra le mura.
Chiedo sgomento per chi suona
la sirena in un flusso di odio
tra caviglie fasciate dal gelo
e sguardi allucinati di bambini.
Come una fetta di luna
si traccia il segno di una seta bianca
tra le ore che scorrono dondolandosi.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

lunedì 16 gennaio 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = GABRIELLA CINTI


Gabriella Cinti: "Prima" - Ed. Puntoacapo 2022 - pag.120 - € 15,00
Come farsi tramite di una visione apicale abitata dall’immenso slargarsi del mondo vivente, acqueo e terrestre…prima posto a veglia di ignoto tempo, a sé soggiacente, abisso inondante la creazione, fiat generativo … come entrare nella potenza “evocazionale” di Gabriella Cinti…
Si procede, non per passi: non si intende il cammino se non attraverso una serie di potenze visibili e invisibili che inducono a riflettere su ogni singolo sintagma, operando, attraverso il riverbero continuo del linguaggio, in sconfinante rimando. È in lei che opera il prima, l’aspetto epifanico ma, non attraverso una derivazione, bensì in manifestazione dell’origine stessa. È il suo status.
Non è dato entrare in uno spazio sacro se non attraverso una ritualità che preveda l’invadenza, lieve, dei suoi confini. Tutti i mondi si completano a vicenda: il reale lascia spazio all’esperire umano in matrice uni-versale, dissolversi in rappresentazione archetipica attraverso la proiezione di immagini allusive che popolano la profondità della coscienza.
Euglena, creatura dei fondali senza pupilla, incarna la cecità trasmutata in visione, come sibilla, oracolo. Mondi ancestrali diluiscono in continuo divenire. E non giova alcun clamore o definizione, se non leggere i suoi versi, entrare attraverso la parola in quel labirinto che lei comunque sempre abita, anche quale riverbero di altre scritture (e mi sorprendo in mutazioni/di moto e di stato). Chi, più di lei, immersa nei Labirinti di Emilio Villa, ne ha attraversato i meandri, dando corpo a un testo straordinario: All’origine del divenire: il labirinto dei labirinti di Emilio Villa, generando e approfondendo lo studio sul pensiero primordiale, interpretando a vaticinio lingue babeliche, semi di conoscenza e smemori semantiche, sino a riconnettersi all’archè attraverso i segni oltre tempo villiani. La pupilla di poeta trasmuta quindi in veggenza, simile a Euglena, disadorna di quello che potremmo simbolicamente considerare sacro fervore volto all’esterno.
Le immagini dilatano spazi visivi: implosione di energie atomiche, scontro vibrazionale, altorilievo inscalfibile di mondi cellulari e unicellulari, protozoi, fulgori in immagini astrali…l’io, in sua iperbole, passa dalla creaturina o dalle creaturine che incontra e delle quali si innamora, traspone e sente il sentimento, alle immagini rarefatte spaziali, di un mondo che si intravede come altro possibile. Si intersecano i piani in multiverso, scala di Giacobbe posta verso l’alto per cui l’incipit iniziale, l’Aleph, si fa motrice di misterioso linguaggio. Sono mondi fecondi quelli che Gabriella Cinti attraversa, giunti a maturità, come frutti eterni concessi in paradigma di bellezza per gemmazione infinita; origine di altre specie interconnesse, umane- vegetali ibridate, sposalizio tra sopra e sotto, abisso e cielo.
Si svela la ridondante immagine di uno scroscio sapienziale continuo che irrora ogni parola della poesia, trasmuta ogni singolo lemma. E non regna quasi gravità, se non per quel lieve soffrire intrinseco all’assenza di un amore sublimato, Uno riflesso in Uno, diafania che svela la ricerca profondissima dell’essenza prima, di ciò che ci rende umani e divini nel contempo. Deità praticata, visibile ma effimera, posta in ampolla di sublimazione per il passaggio alchemico. Solve et coagula continuo. L’Opera generata, potente e visionaria, estenua ogni elemento in pantheon terrestre e celeste,"daimon e orizzonte del vissuto e del vivibile".
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MARINA PETRILLO

domenica 15 gennaio 2023

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


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“Parole”
Chi potrà dire al cielo,
con le sue pieghe azzurre,
quelle parole che rimangono
sospese
nelle vertigini del vento?
La voce rotonda che mi attende,
spogliata dalle pieghe del pensiero,
cede al ricatto del silenzio,
metallico nell’oscurità della storia,
chiuso nella sua essenza come rosa
pesante.
Lasciala navigare nella corolla notturna,
scivolando, a riempire coppe
che accolgono il mio accento,
tracciato appena a ricamo
di una conchiglia.
Preda dell'inganno ho dato tutto
dove si cela la tua sembianza.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 12 gennaio 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIO FRESA


** Mario Fresa: “Eliodoro” – Ed. Fallone editore -2023 – pag. 160 - € 22,00
Vorrei trovare un vocabolo nuovo, un aggettivo inesistente, per poter descrivere le vertiginose scintille di questa lettura, schioppettante, punzecchaiante, coinvolgente, che pagina dopo pagina trascina in una vorticosa girandola di tratteggio. Una scrittura che caratterizza un cammino attraverso i meandri intimi di un personaggio che è pura figura assegnata alla continua oscillazione tra le trasparenze ed un livello stranamente trascendente.
“Eliodoro con la forza del suo solo pensiero crea l’angelo custode del suo terapeuta. Si tratta di un ambiguo angelo misto: un po' buono e un po’ dottore.” E tutto scatta da un giorno all’altro, anche da un’ora all’altra, in un’orchestrazione che richiede attenzione e sospensioni per poter inseguire gli strani risvegliamenti trasformarsi in invincibili furori, o l’ansia di un legittimo sospetto frutto di imprese “capitombolate giù dalla palanca”.
Il magico effetto dei ricordi si alterna con semplicità a descrizioni dettagliate di brevissimi e scintillanti eventi quotidiani, ripetuti con ritmo incalzante e rimessi in ordine da fuggenti illuminazioni.
L’imaginario del lettore, anche il più superficiale, viene immerso in sequenze uncinate a dialoghi veloci o ai sussurri dei personaggi che compaiono con vocaboli incisivi all’interno di autentiche ed improvvise folgorazioni.
Bisogna fare i conti con un cammino lungo e complesso, breve e improvvisamente sciolto in cantica, vibrante e partecipe di alcune rivelazioni disseminate con sapiente quanto elettrizzante astuzia di dettagli.
La composizione che Fresa ricama ha una struttura sua propria, possiede quelle sospensioni di scrittura che hanno la certezza di una serena chiarezza ed una luce traumatica tutta librata nelle scene particolareggiate dal pensiero ritmato.
Interazione osmotica fra parola e testimonianza, fra l’apparenza e la rappresentazione, tra l’invisibile, che l’autore chiaramente fa comprendere che non lo ritroverebbe mai, e la continua acuta complessità del quotidiano. Anche il rapporto fra una storia privata e diverse storie collettive qui appare determinante, per un progressivo assestamento delle idee sviscerate nella narrazione, sino all’esplosione senza difese della gravosa vicenda di Eliodoro, scarna e luminoso nello stesso tempo, in un incredibile scambio di destini incrociati, dove tutto avviene senza nessun compiacimento pirandelliano o intellettualistico, ma piuttosto con la certezza di esternare trasfigurazioni, degne di riprodurre recitazioni teatrali.
Tutta la scrittura è orchestrata mediante rivoli e sfumature in un’atmosfera dall’ampio registro, dove primeggia la funzione verbale, di per se fascinante, tra figure policromatiche, invenzioni lessicali, testimonianze di sopravvivenza, realtà classicheggianti che straripano in un universo da scoprire, tra primi piani nei quali si articolano riflessioni per pensieri brevi e percezioni tangibili.
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ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 10 gennaio 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE


**Francesca Lo Bue: "Corona di rose" ---
Nel libro Albero di alfabeti, che presenta poesie alternativamente ispirate alle lettere dell’alfabeto spagnolo e italiano, si cita per la lettera R, la rosa, in associazione con il Nome, parola chiave dell’immaginario poetico di Lo Bue. Il nome è paragonato a un talismano, a una rosa enigmatica di spine. L’essenza dunque sta nel nome, nella veste esteriore che si dà alle cose, senza la quale esse sarebbero non conoscibili. Significativo che lo si dica ricordando la rosa. Già Shakespeare, in Romeo e Giulietta, pensando al significato filosofico del nome richiama le rose: Cosa vi è in un nome? Quella che chiamiamo rosa non cesserebbe d'avere il suo profumo dolce se la chiamassimo con altro nome. Ciò non stupisce, se pensiamo che la rosa è da sempre considerata portatrice di un forte simbolismo mistico, il cuore e l’essenza di ciò che solo pochi possono avvicinarsi a conoscere, gli scrittori illuminati, gli scardinatori di senso, i decifratori.
In tal modo questa nostra Corona poetica di rose ci rimanda a una ricca galleria di immagini poetiche che, nei tempi, hanno come filo rosso la rosa e la sua simbologia.
Nella più antica poesia siciliana, il misterioso Cielo d’Alcamo compone un Contrasto tra un giullare e una donna riottosa, comicamente chiamata Rosa fresca aulentissima. In termini più sublimi, Dante renderà la rosa mistica sede plastica dei beati del Paradiso descrivendo la Candida Rosa dell’Empireo.
La rosa è forse la prima parola che si impara del latino. Ce lo ricordano Marino Moretti con: "Rosa della grammatica latina/che forse odori ancor nel mio pensiero/tu sei come l’immagine del vero/alterata dal vetro che s’incrina./Fosti la prima tu che al mio furtivo/tempo insegnasti la tua lingua morta/e mi fioristi gracile e contorta/per un dativo od un accusativo."
E Jacques Brel, che dedica una canzone a una Rosa, declinandola in tutti i casi. Nella letteratura latina, da Floro ai poeti dell’Anthologia latina, la rosa è una presenza costante, spesso associata a Venere e ricordata nella sua dimensione di caducità, nella dimensione del cogli l’attimo. Nelle Metamorfosi di Apuleio il protagonista Lucio riprende la forma umana, dopo essere sprofondato nella natura asinina per le sue colpe, mangiando dei petali di rose dalle mani di un sacerdote di Iside. Qui è condensato il valore mistico di questo fiore: dall'abbrutimento all’elevazione, la raffinazione spirituale come espiazione e iniziazione. Tra tenuità, sensualità e misticismo il fiore arriva agli ingegni concettosi di Marino che nell’Adone inserisce un elogio della rosa, pronunciato proprio da Venere. L’episodio è eziologico, rievoca la nascita delle rose rosse: le rose, solo bianche, pungono Venere e si macchiano per sempre del suo sangue, prima che lei veda il giovane Adone addormentato e se ne innamori.
Rosa, riso d'Amor, del Ciel fattura,/rosa del sangue mio fatta vermiglia,/pregio del mondo e fregio di natura,/della Terra e del Sol vergine figlia,/d'ogni ninfa e pastor delizia e cura,/onor dell'odorifera famiglia;/tu tien d'ogni beltà le palme prime,/sopra il vulgo de' fior/donna sublime./[...]/Porpora de' giardin, pompa de' prati,/gemma di primavera, occhio d'aprile,/di te le grazie e gli amoretti alati/son ghirlanda a la chioma, al sen monile./Tu qualor torna agli alimenti usati/ape leggiadra, o zeffiro gentile,/dài lor da bere in tazza di rubini/rugiadosi licori e cristallini./[...]/..tu sarai sol tra quanti fiori ha Flora/la favorita mia,/la mia diletta./[...]
Alcuni anni prima, continuando la tradizione dell’invito oraziano a cogliere la giovinezza, associato alla rosa, Pierre de Ronsard scrive A Cassandra…: definisce la natura matrigna perché concede a questo splendido fiore di durare solo un giorno, da cui l’invito a non far appassire la beltà. Si ricordi, poi, che proprio al poeta francese della Pléiade è dedicata una tipologia di rose, le rampicanti Pierre de Ronsard. Terminiamo con Fernando Pessoa, che scrive di voler finire tra le rose, amore della sua infanzia; lascia da parte i crisantemi, sfogliati a freddo. Chiude dunque un cerchio, di morte e rinascita, segnando l’esplosione vitale del magico e divino fiore, che ha acquistato i propri colori pungendo Venere, l’istinto stesso alla vita.
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Rosa Rempiccia
**
La rosa scarlatta
Il sangue s’inginocchia alla forza della carne,
al perdono dei costumi della vita,
al mistero di una croce celeste
nella rosa del libro aureo.
Nella pace punitiva del deserto
il Libro s’avvicina compassionevole
In un sogno di analogie e parabole.
Vidi la fanciulla in una torre fra i canneti,
bussando rispose lo spirito delle foglie.
Ruminava i canti dei boschi,
alimento di acque abbandonate nel cammino.
Il suono ammantato delle rose
custodiva, soave, gli antichi scongiuri.
Il riparo è l’infinito di una città senza limiti,
negli strascichi aurei delle foglie cadute.
Dove sarà il raduno delle acque traboccanti?
Per te non si torna nell’indeterminatezza,
nel cerchio fatto di pane e stracci di cielo oscuro.
Nei giorni della passione inestinguibile la rosa sostiene il mio cuore,
nel vivere delle nebbie oppressive.
Rosa scarlatta, forza di Dio.
*
Poesia di Francesca Lo Bue

giovedì 5 gennaio 2023

UNA TESTIMONIANZA = PER ANTONIO SPAGNUOLO


**La poesia di Antonio Spagnuolo: -Deflagrazioni e versi scintillanti -
di Giuseppe Iuliano
In tempi, in cui le humanae litterae stentano a sopravvivere, svilite da uno smaccato pragmatismo, Antonio Spagnuolo, poeta finissimo, noto al grande pubblico, viene omaggiato di una Lettera in versi. Una newsletter di poesia a carattere monografico. Anzi di più, una Bomba-Carta (n. 72, 2019) esplosiva e luminosa, capace di penetrare il buio e di aggraziarlo nel gioco pirico della fantasia, della parola e delle sue meraviglie. Tanti colpi, tante poesie caratterizzano la figura virtuosa di un “fuochista”, artificiere di versi e libri.
Una “diavoleria” elettronica, specchio dei nostri tempi, permette di veicolare la bellezza e la gratuità della sua scrittura a beneficio degli amici. Del resto in una profezia laica, prossima all’aforisma, Carlo Muscetta, uno dei patriarchi della grande esegesi del Novecento, così indirizzava il suo manifesto letterario ed esistenziale agli “amici poeti: “Si leggono versi per poter vivere. / Si scrivono versi per tentare di vivere./ Solo i poeti vivono/ per scrivere versi” (Versi e versioni, 1986).
L’editoriale di Liliana Porro Andriuoli, che ha confezionato la Lettera, indica le tappe dell’affollato circuito di Spagnuolo che attraversa tanta poesia lirica da Saffo a Catullo, a Properzio; da Petrarca a Shakespeare a Goethe a Emily Bronte. E con essi e nel tempo – ritiene Andriuoli – la poesia è diventata la “più efficace e compiuta forma per parlare dell’amore”, modello ed espressione dei sentimenti degli uomini.
Su questa linea spaziano vita e poetica di Antonio Spagnuolo, le cui due personalità - medico e scrittore - “sono maturate alla pari”. Un percorso, iniziato 69 anni fa con Ore del tempo perduto, e che si e arricchito negli anni di altri 40 titoli e più – ispirati, geniali, innovativi che transitano nella nostra storia letteraria e nei suoi manuali - e che ancora dura, si innerva e trova altra linfa. A tanto vanno aggiunte - altra valenza – le opere di narrativa e teatro. Una vetrina di copertine - la Lettera in versi - collage appagante la vista, e un’antologia selezionata ed empatica, modello di arte/vita, entrambe ammiccano il sorriso fino a sostanziarne il lemma, ovvero istinto, grazia, suggestione, introspezione, virtuosismi, collanti esistenziali di varia natura.
Ecco una chiave di lettura. Sorriso, una seduzione che invoglia l’eros ma anche un antidoto salvifico al mistero di thanatos. La vita vi aderisce o si stempera tra attese e complicità, sfondi e abissi, desideri ed incantamenti: “il tuo sguardo / dove cercammo il volto dei cipressi, / il suono delle foglie, /ove credemmo /nel perpetuo gorgoglio delle fonti, / nei prati incolti: / oggi con te, umido frutto il tuo sorriso” (Per Elena, 1974).
Bastano due soli versi a racchiudere il paradigma della gioventù e dell’innamoramento: “il tuo sorriso / semplice nascosto” (Poesia da “Poesie”, 1974) perché “tra i libri dei miei vent’anni / già c’era il tuo sorriso”. Che dire della felice combinazione e sintesi, auspici del “nuovo” - che vale “sguardo” e “respiro” - “che richiama sogni / sempre taciuti, / e chiede vita, intime sensazioni, / incredibili note, / e deliqui, /e multiformi gorghi, / e silenziosi fremiti”! Incursioni, amplificazioni, sovrapposizioni ma sempre leggerezze. C’e un climax di consistenze, altro mastice, altri riflessi, altre vertigini, altre scoperte: “Sara il tuo sorriso…. a rimandare i sogni”. Sono essi che rivelano mutevolezze intriganti ed esclusive fino al “Sorriso-menzogna… per me vagabondo”; fino all’“invito clandestino”. E, quando accende le gote, vale ardore, pegno d’amore e i suoi rimpianti “Hai sfiorato le dita nell’ultimo sorriso, / con labbra esangui, e con sussurro mi te / hai lasciato il mio sguardo nel dubbio / per non averti fermata nell’addio”. E, per altra necessita, sorriso raccolto e rigenerante nel “silenzio… quando il tempo disseta il vuoto”.
Un messaggio promozionale invita a regalarsi un sorriso per assicurarsi comprensione, complicità, indulgenza. Una risposta alla timidezza. Un tema e un’incursione cari ai grandi poeti.
Per Montale – ripensarlo – è acqua limpida “scorta per avventura tra le pietraie di un greto”; per Neruda è astinenza e letizia: “Toglimi il pane, se vuoi, toglimi l’aria, ma non togliermi il tuo sorriso”. Che, per Achmatova, va conservato come “un dono dell’amore”. In questa straordinaria avventura rammemoriamo parte di una long list che certifica la valenza del Nostro: Rea, Pomilio, Manacorda, Asor Rosa, Perilli, Maffia, Piscopo, Lunetta, Panella, G.B. Nazzaro, Pardini, Di Lieto. Una nomenklatura di esegeti di vaglia che è desiderio e viatico per chi aspira al Parnaso e alla gloria della lingua.
Insomma Antonio Spagnuolo è un homme de lettres, un maître à penser che, tra gli altri meriti, ha il dono di dirigere la rassegna Poetrydream http://antonio-spagnuolopoetry.blogspot. com. Voce sua e di tutti. Ecumenismo della parola in un pellegrinaggio laico. Piccola lieta novella di un apostolo che ci invita e ci ospita nel suo accorsato inclusivo cenacolo di poesia.
Da "Nuovo Meridionalismo", a. XXXVII, n. 236, nov, – dic. 2022, pp. 47 – 53

martedì 3 gennaio 2023

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


**“Euforia”**
L’ultimo angolo della nostalgia
è la bugia
che dal pozzo dei bagliori affila stordita
l’assenza e scompone tutte le verità.
Ho cinto la tua nudità lanciando stelle
nel vuoto degli angoli, nel muro,
o nell’infinito accoglimento di una torsione.
E tu distribuivi dolcezza,
tessendo il tintinnio delle dita e dei fiati.
Ristagna l’euforia, poi rimbalza e scivola
nelle consolazioni del presente,
anche per una realtà destinata
a bisbigliare indecisa
fra le disarmonie e le dimenticanze.
*
ANTONIO SPAGNUOLO ***
Euforia
El último rincón de la nostalgia
es la mentira
que desde el pozo de los reflejos afila confusa
la ausencia y descompone todas las verdades.
He abrazado tu desnudez lanzando estrellas
en el vacío de los rincones, en la muralla,
o en el infinito recibimiento de una torsión.
Y tú distribuías dulzura,
tejiendo el tintinar de los dedos y de la respiración.
Se estanca la euforia , después salta y resbala
en las consolaciones del presente,
aún por una realidad destinada
a musitar indecisa
entre desarmonías y olvidos
*
traduzione Francesca Lo Bue

SEGNALAZIONI VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


**"Proiezioni Al Crepuscolo" di Antonio Spagnuolo (Macabor,giugno 2022) pag.88. € 12,00
Non è stato facile,per me scrivere della poesia di Antonio Spagnuolo,autore di numerosissime raccolte poetiche,tra le più significative del nostro tempo. Non è stato facile,soprattutto se si considerano gli innumerevoli e autorevoli giudizi critici sulla sua scrittura da parte dei maggiori esponenti della poesia e letteratura italiana contemporanea,da Alberto Asor Rosa a Dante Maffia,ad Alberto Cappi,solo per citarne alcuni. Mi sono chiesta se ne fossi all'altezza,e cosa potessi aggiungere io a quanto già espresso da voci ben più qualificate e prestigiose.Tuttavia,e poiché anche in un certo senso mi piacciono le sfide,ecco che ho provato ad esprimere anche io le mie impressioni in merito all'ultima fatica poetica di questo grande autore,il quale,peraltro,in passato,con garbo,eleganza e semplicità, ha scritto dei miei versi,in una lettera,(vecchie,care missive di un tempo che fu),senza assolutamente farmi pesare il gap,e di generazione,e di superiorità non già culturale,ma propria del maestro.
Tra "memorie","visioni " e "carteggi",(le sezioni che compongono il libro,) la lettura prende l'avvio e si snoda attraverso un crescendo di ricordi espressi con un linguaggio a volte lucido,a volte visionario,che esplora il mondo del passato,costellato da volti amati,stagioni dell'anima,illusioni e silenzi di fronte al pianto dell' uomo,che nulla ha imparato dal secolo passato e "ricade nelle spire dell'ignoto". Versi splendidi,a tratti musicali (" giocava il tuo corpo d'adolescente al soffio del vento"..."si ripete illusione di comete di qualche aurora incendiata"), a tratti dal tono più deciso e disincantato,specie nella poesia "Kabul 2021",in cui il poeta esprime tutta la sua amarezza per gli orrori della guerra e per "lo strazio delle madri che allontanano i bimbi".
La seconda sezione," Visioni",è dedicata a Maria Pia Daidone,poliedrica artista partenopea,di cui l'autore tratteggia,in versi,le linee essenziali della sua visione multiforme tra "fotogrammi,asimmetrie,sagome ambrate e incastri che ripetono illusioni". Un omaggio sincero e lusinghiero,che in queste "proiezioni" si colloca a metà strada tra le "memorie" e i versi che compongono l'ultima e più corposa sezione della raccolta, i "carteggi". Qui,ritornano i temi del ricordo,del tempo,del dolore e si intrecciano a sogni,speranze,profumi,malinconie e "dimensioni inesplorate". Dove "le mani reinventavano certezze sotto i cieli dell'apocalisse aspettando abbagli", o " eri la lunga presenza a riempire stagioni oltre le somiglianze di lontani misteri". E dove la donna è "un gingillo fragile,sottopelle,riflesso". Il poeta avverte l'inevitabile scorrere delle ore,sente "il piombo della morte sulla pelle"e vorrebbe "seppellire quel che non si comprende",ma parla anche "di nubi leggere" e "ricuce respiri".Con un registro poetico che affascina,che intriga,che non lascia indifferenti e porta a scavare nel profondo di ognuno di noi,in cerca di risposte e,forse,certezze,in questo universo ormai dominato dalla tecnologia,e in cui la parola poetica diventa proprio per questo sempre più urgente,forse ultimo baluardo e salvezza contro il "battito del nulla," e " mura diventate fobia". E Antonio Spagnuolo,più di chiunque altro,è ben consapevole di questa urgenza,e del vuoto dominante che tutto ormai ghermisce coi suoi feroci artigli. Contro l'impoverimento delle coscienze,dunque,contro ogni logica di pensiero rarefatto e sterile,ecco che la poesia di Antonio Spagnuolo arriva ad offrire spunti di ricerca del sé e di ritorno all'uomo,inteso come essere completo e pulsante di emozioni primordiali e sincere,lo stesso uomo che,con animo candido malgrado gli inganni e i disinganni delle proprie primavere terrene,ancora "cerca la via della memoria incrociando sentieri di scadenze che bruciano nel vuoto".
*
Raffaella Plutino

domenica 1 gennaio 2023

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


**“Inganno”
Troppo lento il sole, inquieto ai pomi azzurri,
sgranando giorni nelle sfasate ore,
segna il mio letargo nell’esile circolo dei sogni.
La tua storia è una perla leggermente scalpita
nell’ardore di un convolvolo scarnito
ed impigliata tra segni di purezza,
tra squarci luminosi e impasti del destino.
Punta strema la stanza immensa
che s’ingrana e stagna con ostinazione
nelle intermittenze musicali
che ripetono ancora e ancora inviti.
Tutto travalica nella semplice luce
delle armonie assassine.
Credo che sia stato un bellissimo inganno
centellinare illusioni per una vita intera.
*
ANTONIO SPAGNUOLO *
"Amăgire"
Prea-încet soarele, neliniștit la fructele-albastre,
decojind zilele în orele tulburi,
relevă torpoarea în plăpândul cerc de vise,
Povestea ta e o perlă ușor zgâriată
în ardoarea unei volburi uscate
și prinsă între semne de neprihănire,
între pasaje luminoase și nedumeriri ale sorții.
Țintește pân la capăt camera imensă
ce se înlănțuie și se oprește obstinată
în muzicalele intermitențe
ce tot repetă încă și-ncă invitații.
Totul trece dincolo în lumina nudă
a armoniilor asasine,
Cred că a fost să fie o foarte frumoasă amăgire
Să savurez iluzii de-alungul unei vieți.
*
traduzione di Geo Vasile