SEGNALAZIONE VOLUMI = SILVIA ROSA
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Silvia Rosa: “L’ombra dell’infanzia” Ed. peQuod – 2025 – pag. 88 -- € 15,00
Silloge corposa, vorrei dire pregna di impulsi cromatici, che accendono pagina dopo pagina il tremore della pungente e brusca realtà quotidiana, capace di fomentare improvvisi “imprevisti” durante l’intero arco dell’esistenza umana.
Sin “dall’alba dell’infanzia” si celano tranelli che possono incidere e dare voce, invece di tacere necessariamente ai fantasmi, a momenti di sgomento e di palese paura di una fanciulla, e “di come/ diventano le mani di una bambina quando/ scavano in bocca una fossa di silenzio.” il tragitto che segna indissolubilmente l’evoluzione di un individuo, che involontariamente cade nella rete maligna di un pervertito.
In sette sezioni: “C’era una volta”, “L’ombra dell’infanzia”, “Tutta tenebre”, “Il Dio dei bambini rotti”, “Decalogo di sopravvivenza per bambini sotto scacco”, “Ciò che hanno fatto di noi”, “Il gioco delle nuvole” un vero e proprio tragitto che bisogna “tenere in un diario segreto, di quelli col lucchetto in cui esercitare l’arte antica della iettatura: sei autorizzata a odiare, ad arrabbiarti, a desiderare che un fulmine colpisca chiunque ti abbia fatto del male.”
Scrive Franca Alaimo in postfazione:
“La rivisitazione radicale del proprio sé implica una decostruzione, a monte, di ogni ovvietà e ipocrisia del linguaggio corrente, soprattutto quello del maschio aggressore che lo userà in modo falso e ambiguo a propria discolpa. Bisognerà tenerlo in conto, senza illudersi che qualcuno che non abbia vissuto le stesse esperienze possa comprenderle fino in fondo, come sottolinea l’autrice nella sezione dedicata alle “sorelle” («Sorelle mie, abbiate pazienza, / non possono comprenderci, e per questo non sanno / quel che dicono»). Distrutte per sempre la gioia e la leggerezza, crolla, inevitabilmente, anche il lessico infantile nella nominazione del mondo: la poeta lo carica di lemmi grevi, luttuosi («macerie, cieli duri, lacrime acide, corrosive, chicchi d’uva avvelenati»), inventa metafore dolenti («sono un guscio svuotato / nel becco impietoso d’un corvo») e si avvale di una simbologia trasfigurata da una fantasia compassionevole, trovando la figura dell’infanzia dissacrata nell’uccellino che le viene in sogno «con le ali spezzate, senza / acqua né cibo.»
La folgorazione lacera improvvisamente l’ingenuità e da questa guerra spietata del maligno contro l’innocenza nascono i versi che Silvia Rosa riesce a ricamare in un ritmo a volte musicale e tenero, a volte tenacemente irruente tra il simbolo e l’intaglio, sufficienti a consentire la lettura in senso catartico e relazionata ad un ruolo che scolpisca le metafore in un gesto di ribellione.
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ANTONIO SPAGNUOLO






















