mercoledì 31 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = SILVIA ELENA DI DONATO

Silvia Elena Di Donato : “La maschera di Euridice” Masciulli edizioni – 2019- pagg.96 - € 10,00- prefazione di Federico Leoni.
In postfazione al primo rigo è scritto: “La poesia non si commenta, si legge e basta” , ma dopo una lettura sapiente e approfondita qualche frase si propone con semplicità, per condividere le emozioni o i pensieri che il ritmo serrato dei versi è riuscito ad imprimere nel nostro sub conscio. Ogni poesia ha una sua storia ed un tessuto che viene ricamato con fatica, quando “l’enigma del tempo/ bacia/ i segni dell’eternità,/ gioca/ con tutte le parole che ho/ e che non mi bastano a dire,/ con tutta l’aria che ho/ e che non mi basta a respirare.” Ed ognuno di noi diventa poeta se lascia libero sfogo alle reminiscenze segretamente incise nelle folgorazioni, perché il sub conscio è il luogo della poesia. Versi brevi, ritmati con energia, quasi a voler suggellare con determinazione figure o colori, fantasmi o lacerti, brividi o sussurri nella musica sospesa del dettato. La poetessa vola con ardite immagini fra le cromie del cielo, “enigma perfetto dei venti”, e il miracolo dei frammenti, tra la “profezia bugiarda delle nubi” e il gioco affollato dell’agorà, con il dono di un particolare nirvana che diventa struttura portante di ottime ascendenze letterarie della parola. L'io ha divisioni metaforiche nella spiccata tendenza all'introspezione, accompagnato com'è dalla tendenza implosiva del segno.
Il volume è preziosamente arricchito dai disegni di Zopito De Fabritiis . Ventiquattro riproduzioni che sono un vero e proprio vivace commento ai vari testi. Si chiude con un dialogo tra Caterina Piccirilli e Francesco Baldassarre, simpaticamente immersi in una realtà parallela che si scopre e decide i confini letterari dell’opera poetica.
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = PATRIZIA RISCICA

Patrizia Riscica : “Andar per versi” – Biblioteca dei leoni- 2018 – pagg. 112 - € 12,00-
L’itinerario multicolore, che la poesia offre al viandante immerso nella meditazione o nella illusione che la meridiana accende di passo in passo, ha tappe ben precise e puntualmente segnate da gesti o da figure che vertiginosamente descrivono traiettorie variegate. Il verso, i versi sono le incisioni che passioni o sentimenti, angosce o illusioni, speranze o incertezze, carezze o inganni, riescono a imprimere nel segmento morbido della nostra vulnerabilità.
Andare oltre il confine, per abbandonarsi alle stelle, alle onde, all’arcobaleno, alle visioni che offre il silenzio, è la traccia che il sogno incide nelle memorie, anche se la realtà ha improvvisi balzi di violenza quotidiana come nell’esemplare duetto dalla pagina 51: “ciao cara, è pronto?/ sono così stanco./ Vorrei ucciderti/ affondare una lama nel tuo cuore,/ infilarci dentro una cannuccia e/ bere tutto il tuo sangue./ Vorrei tagliarti la lingua a pezzetti,/ fare un nodo bello stretto al tuo cazzo e/ con un microtomo tagliarti le palle/ a fettine, si, tutte perfettamente eguali…/ Cosa c’è? Sei così pensierosa./ Non è niente, amore, vieni, è pronto.” Un tocco , questo, che trascina e lascia a bocca aperta, ma il poeta ha molto altro da rivelare : dall’amore che “ rimase/ perché sapeva che/ nonostante i suoi stracci/ i suo buchi, gli strappi e/ i pochi rammendi,/ copriva ancora il corpo/ e scaldava l’anima.” A nel cucire “le ferite più profonde/ che tagliano a pezzi il cuore,/ guarisco ogni scompiglio della mente/ e quell’impulso irrefrenabile a perdersi la vita.”
Scrittura variegata e validamente sostenuta dalla consapevolezza che il vortice delle pulsazioni diviene melodiosamente lo specchio dell’anima , vagabonda nel mondo e peregrina per riflessi attenti a cogliere il segno della propria storia.Forse quello che si chiama atto d'amore è la profonda sofferenza che ogni individuo percepisce scivolando dalla solitudine al dubbio filosofico, dalla paura di perdere il segno del sub conscio all'attesa di una improvvisa rivelazione di frescura.
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Antonio Spagnuolo

martedì 30 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

RAFFAELE PIAZZA: "ALESSIA E MIRTA". IBISKOS-ULIVIERI – Empoli (Fi) – 2019 – pag. 51 - € 12,00

Una staffetta tra sentimenti. Un camminare che diventa passo veloce. E poi corsa.
Un rincorrersi. Cerchio che definisce il cerchio. Il cerchio del fuoco.
Quello dell'intensità più intima e, quindi, universale.
Raffaele Piazza, in "Alessia e Mirta", è ancora, e sempre di più, archetipo del sentire.
Quel sentire che è tutto. E che definisce l'uomo nella sua umana umanità.
Piazza espone la ferita, la geografia, la sua mappa, ogni sua sfumatura, lo spettro cromatico e nominale del suo significato.
E tutto, in questo processo, più che mai creaturale, è femmina.
Il pensiero si muove verso Amore e Psiche. Il gruppo scultoreo di Antonio Canova, Un bianco divino, l'amore da guadagnare, l' intensità.
Non a caso il poeta scrive “...le membra /affilate di ragazza e sorride/ come una donna” per del viaggio la prosecuzione.”
Piazza attraverso la poesia dice di psicologia analitica.
“E l’uomo può nascere soltanto quando nasce il femminile che è in lui”.(James Hillman – Puer Aeternus – Adelphi edizioni, p.27).
Già Piazza abbatte il muro/confine e si addentra nei meandri del dolore/ speranza /cura. Del declinare l'anima al femminile. Per liberare un e il mondo : “Sera consecutiva per ragazza /Alessia sul lago ghiacciato/ con i pattini d’argento a disegnare /la vita in arabeschi./ Prove di danza, freddo/ nelle fibre di Alessia /a rigenerarla nell’attesa /di Giovanni. Trepida,/ ritarda l’amato. Poi sul ciglio/ dell’ansia a stellarla/ arriva sul bordo delle acque/ nerovestito. Lo scorge e ride/nell’attesa fiorevole/ dell’amore all’Albergo /degli Angeli.”
Al centro della raccolta il gesto, quasi un gesto del tempo “Infinita è la distanza” dagli albereti.”. Un gesto che libera e lega, che accumuna e divide. Che ci conosce e disconosce. Il gesto, quel gesto che porta dentro sempre un interrogativo, anche quando è portato con mano ferma e salda. Un gesto/ strada che ci determina in un per sempre che si tenta, ad altissimo prezzo, di cambiare. Una silloge, quella di Piazza, che ha un nome. Anzi due . Due nomi propri Alessia e Mirta. “Anima di ragazza Alessia/ nell’intravedere dei mattini...” “...un’epifania nell’interanimarsi/con dell’amato la voce.” E quel loro incontrarsi che pare ineluttabile “E Alessia campita/ nella luminescenza del/ plenilunio duale per lei e /Giovanni nell’abbeverarsi /a un filo di compassione/ per Mirta suicida. Ripensa/ a Mirta che è stata cremata/ e alle sue ceneri inutili./ Poi squilla il telefonino è lui!!! è lui!!! è lui!!!”.
Sono versi netti quelli di Piazza. Puliti, chirurgici, di armonia alta e essenziale. Un'anatomia della poesia, mezzo per dire l'assoluto. Il poeta si offre, offre la sua anima per trascinarci in un capire. In un capire l'importanza del farsi domande. Le domande ancestrali. “...Sei volata via dal terzo/ piano della Reggia e hai/aperto in me la ferita./ Ora passano i giorni/senza te e non si ricompone/ l’affresco del tempo che nelle/ nostre risate si fermava/ nella gioia./ Grazie per avermi dettato /questa poesia”.
Viene da ripeterlo ad alta voce all'infinito: “Grazie per avermi dettato / questa poesia”. E lo spiega nella sua superba prefazione Valeria Serofilli: “Ci dice che il dialogo è sempre vivo e mai interrotta e se ne ricava che Mirta è la musa dell’autore. È lei che detta quanto scrive ed è lei che compone l’affresco del tempo”.
Sì la misura. E poi Piazza ha il merito di togliere il velo all' amore. Di dirlo in anima e carne. Di dirci la sua forze che contorce e pacifica. Parlare di amore è parlare di morte e di vita. Il poeta lo sa. E ha la forza/capacità di condurci in un immortale. “...Per le/alberate del tragitto parlano /anche i morti con tono leggero/ e cullano le attese pari a /battelli all’ancora. Previdente/ Alessia sotto si è vestita di nero.”
Ed ecco Piazza nel suo essere totalizzante, come la poesia e il suo demone vogliono. Una possessione estrema, dolorosa, vera, sincera, delicata.
Il poeta compie un tragitto per tutti noi.
Il sentiero impervio nella psiche femminile. Chiave di lettura del contemporaneo. Di tutto ciò che è più nostro e di tutto ciò che mai lo sarà.
Una partenza dal millesimo del dettaglio per arrivare alla galassia della ragione imperscrutabile.
A Piazza il grazie per avere aperto una via, fessura, crepa, costa, confine.
Ad ognuno di noi un dono cui dare natura e forma.
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Enrico Marià

SEGNALAZIONE VOLUMI = IVAN FEDELI

Ivan Fedeli – Teatro naturale-- FORMAT puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 103 - € 12,00

Ivan Fedeli (Monza 1964) insegna Lettere e si occupa di didattica della poesia.
Ha pubblicato diversi percorsi poetici, tra cui Abiti comuni (Il Ponte Vecchio), Dialoghi a distanza nel volume Sette poeti del Premio Montale (Crocetti), Vie di fuga (Biblioteca di Ciminiera), Un mondo mancato (Il Foglio, finalista Premio Caput Gauri), Inventario della specie opaca (LietoColle, finalista Premio Sandro Penna.
È redattore della rivista Le voci della luna.
"Teatro naturale", la raccolta del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è composita e articolata a livello architettonico.
Non a caso è scandita nelle seguenti sezioni: Notizie dalla polis, La neve del cinquantasei, Altre notizie senza riscontro e In limine.
Le suddette sezioni sono precedute dalla poesia Figurine.
Cifra essenziale della poetica di Fedeli è quella di una vena del tutto antilirica e anti elegiaca.
Infatti tutti i componimenti della raccolta hanno un andamento narrativo prosastico e affabulante.
I testi, che sono in netta prevalenza molto estesi e costituiti da versi lunghissimi dei quali è ottima la tenuta, presentano, cosa inconsueta, il tema della quotidianità tout-court che s’intreccia e armonizza con quello di una riflessione sulla vita in generale, quella dell’io – poetante e quella di altre figure nominate.
Serpeggia nei versi costantemente una forte dose di ironia e di nonsense che rende intrigante la lettura.
Siamo tutti gettati nella vita, sembra dire il poeta, e leggendolo con attenzione sembra di capire che è difficile abitare poeticamente la terra o vivere poeticamente ogni momento come ha scritto Borges.
Emerge un forte realismo nel poiein del nostro e il tipo di argomenti trattati s’intona bene con la struttura formale e stilistica.
Si potrebbe parlare di una personalissima sperimentazione veramente originale e nella corposa opera tramite una fertilissima creatività di poesia in poesia il poeta non si ripete mai.
Per il lettore pare di affondare in un magma d’immagini costituite da sintagmi che associandosi costituiscono i versi debordanti.
È interessante chiedersi perché Ivan abbia voluto dare al libro il titolo Teatro naturale e la risposta sta nel fatto che il poeta ci vuol fare intendere che per tutti la vita, proprio quella di tutti giorni con le situazioni che si ripetono, con il tran tran nel mare magnum del nostro mondo liquido e virtuale, potrebbe essere vissuta come una recita e lui lo dice in versi.
A proposito di teatro questa raccolta di poesie potrebbe essere vista somigliante ad una sceneggiatura anche se non c’è un filo rosso una trama che si evidenzi di componimento in componimento.
A parte l’io – poetante che è protagonista l’autore mette in scena una galleria di personaggi figure dette con urgenza nei dettagli delle loro vite e con le quali probabilmente s’identifica cosa che può accadere anche al lettore.
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Raffaele Piazza

domenica 28 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARINA AGOSTINACCHIO

Marina Agostinacchio –Azzurro, il melograno --- Passi puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 125 - € 13,00

Marina Agostinacchio è nata nel 1957 a Padova dove vive. "Azzurro, il melograno", la sua corposa raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede, è un testo composito e articolato architettonicamente, scandito in otto sezioni che hanno, una rispetto all’altra, una certa autonomia.
Le scansioni del libro sono: "Praga, Budapest, Divagazioni sul tema, Black and back, L’ora piena, Penombra, Nel cuore il melograno, La ballata del lavoratore".
Pur essendo molto diversificata, di scansione in scansione, la raccolta, a livello stilistico e formale, presenta una forte unitarietà: infatti la cifra distintiva costante, che caratterizza questo testo, è quella di un linguaggio armonico e sorvegliato, scattante, icastico e leggero.
Emerge un’indiscutibile eleganza, nel versificare di questa poetessa che scrive testi costituiti da segmenti brevi, con una forte frequenza di punteggiatura.
Si ritrovano, nelle poesie, una forte densità metaforica e semantica e, nello stesso tempo, una notevole chiarezza e un grande nitore.
Le prime due sezioni hanno per temi i viaggi dell’io – poetante, rispettivamente a Praga e Budapest. e, in questo contesto, è chiaramente presunta una valenza autobiografica.
Il ritmo dei versi è sincopato e incalzante, come nella poesia iniziale della raccolta intitolata Il viaggio-:” Oltre la linea di luce, il confine, / la lunga fila di auto è per l’Italia, / si consola del giusto andare verso…/”.
In questo componimento riscontriamo una scrittura non molto compatta dal punto di vista espressivo, caratterizzata da frammentarietà; il tema è quello del viaggio verso Praga e, dalla descrizione, trapela una certa inquietudine a livello materico nella rappresentazione del confine e dell’autostrada.
Ma non c’è in questi versi solo l’asettica autostrada: infatti non mancano descrizioni naturalistiche, quella degli alberi rossi e delle terre di girasoli.
È il seme stesso che di nuvola in nuvola si fa parola e diviene poesia.
Si riscontra limpidezza nei dettati e nel componimento Ponte Carlo, che incontriamo nella prima sezione, il senso del cronotopo, dello spazio nel tempo, è molto marcato e slitta nel passato, nell’evocazione del ponte stesso che è stato attraversato da tante generazioni oltre che da quella dell’autrice stessa.
Ancora più felicemente riuscite e risolte sembrano le composizioni della sezione Penombra, nelle quali emerge il fattore della quotidianità immersa in un tempo vago e indefinito nel quale si stagliano elementi naturalistici.
Il libro presenta una postfazione di Giacomo Trinci esauriente e ricchissima di acribia.
Marina parte da un lavoro di osservazione della realtà fenomenica per poi scavare in essa per tradurla in poesia nella stabile tensione di un riuscitissimo esercizio di conoscenza.
Costantemente i tessuti linguistici sono connotati da stupore e malia nel relazionarsi dell’io – poetante con la realtà.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCO DE NAPOLI

Francesco De Napoli: “Ventilabro. Scotellariana”. Poemetto. Prefazione di Emerico Giachery. Collana All’insegna dell’occhiale. Ed. Graphisoft, Roma, 2019, pagg. 48, s.i.p.

Edizione numerata non venale, in elegante veste tipografica, delicatamente offerta nel canto che la memoria riesce a sussurrare, tra immersioni nel passato e percezioni di strappati bagliori. “Scotellariana” è inciso nel sottotitolo, chiaramente indicando il tormento culturale che la lettura del Poeta lucano riesce a sostenere, secondo le buone e mansuete regole che gestiscono l’inquietudine della ricerca, nella sua sperimentazione linguistica – nella Prefazione, Emerico Giachery parla di “linguaggio rinnovato” -, nei barlumi d’una musicalità assopita. Il poemetto si divide in quattro Canti in una oscillazione chiara e forbita della scrittura, dove ogni verso, disteso e colloquiale, si propone come un mottetto nella speranza di riuscire ad incidere schietto nello svelare figure, panorami, congedi, meraviglie, ritorni, secondo un disegno che travalica il mito. Nell’attraversare la vallata del Basento il poeta si arrovella per i tanti piani che alimentano affari e business, si rammarica per lo sprangato portone dell’ex-convento francescano divenuto sede del Centro studi intitolato a Scotellaro, si attarda nel sottobosco tra “icone pitagoriche ritagliate a mo’ di bombe carta / odorose di muschio focoso…”, si abbandona all’incanto delle Muse lucane, denuncia l’affondare collettivo, di uomini e cose, tra “cascami di petroli e acque minerali, / abiti griffati, unghie curate, bracciali”. Il tutto nelle armoniose sospensioni del ritmo. La poesia in queste pagine è un continuo cercare, invocare, snodarsi, inoltrarsi lungo misterici sentieri ormai quasi cancellati, nel gioco limpido delle correlazioni.
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ANTONIO SPAGNUOLO

sabato 27 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

Antonio Spagnuolo – "Polveri nell’ombra"-- Edizioni Oedipus – Nocera inferiore (SA) – 2019 – pag. 96 - € 12,50

Antonio Spagnuolo è nato nel 1931 a Napoli dove vive. Poeta e saggista, è specialista in chirurgia vascolare presso l’Università Federico II di Napoli. Redattore negli anni 1957 – 1959 della rivista “Realtà”, diretta da Lionello Fiumi e Aldo Capasso, ha fondato e diretto negli anni 1959 – 1961 il mensile di lettere e arti “Prospettive letterarie”. Condirettore della rivista “Iride”, fondatore e condirettore della rassegna “Prospettive culturali”, ha fatto parte della redazione del periodico “Oltranza” Ha pubblicato numerosissime raccolte di poesia, per le quali ha riportato molti prestigiosi premi, e varie opere in prosa. Ha curato diverse antologie ed è presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali. Collabora a periodici e riviste di varia cultura. Attualmente dirige la collana “Le parole della Sybilla” per Kairòs editore e la rassegna “poetrydream” in internet. Tradotto in francese, inglese, greco moderno, iugoslavo, spagnolo. Della sua poesia hanno scritto numerosi autori tra i quali A. Asor Rosa nel suo “Dizionario della letteratura italiana del novecento” e nella “Letteratura italiana” (Einaudi).
Di raccolta in raccolta Antonio Spagnuolo ha la capacità di rinnovare il suo repertorio d’immagini a dimostrazione di una fertilissima e poliedrica vena creativa che è veramente inesauribile.
Nell’ultima produzione del Nostro, che ha per tematica fondamentale la presenza – assenza della moglie carissima Elena scomparsa, lo stile dei componimenti è diventato più disteso ed emerge una certa chiarezza nelle immagini che nella prima fase sfioravano l’alogico.
I versi di Spagnuolo sono sempre magistrali nella loro densità semantica e in "Polveri nell’ombra", nel relazionarsi l’autore con la moglie defunta, con un’intensità pari a quella di Montale nel rivolgersi a Drusilla, la moglie anch’essa scomparsa, o con un pathos che ricorda quello dell’Ungaretti nel rivolgersi al figlio morto, sembra emergere una luce, un barlume di ottimismo e di pacificazione con sé stesso da parte del poeta che era assente nelle precedenti superlative raccolte per Elena.
Permane in questo importante libro l’intento sublime di sanare la ferita della perdita tramite la poesia e anche qui i componimenti risultano a livello formale riuscitissimi.
Ma in "Polveri nell’ombra" si evidenzia la presenza nuova di un fattore x un seme nuovo che germoglia nel poiein che diviene addirittura magico nel suo fascino nell’inverarsi di una tastiera analogica unica con accostamenti di figurazioni che sgorgano le une dalle altre sottese spesso ad un soave erotismo nella riattualizzazione dell’amore che diviene propedeutica ad una nuova gioia nel riviverlo.
Anche qui il tema del tempo è presente spesso ad esempio quando il poeta scrive mirabilmente: "e l’infinito si aggira contro il tempo" nella tensione della ricerca dell’attimo feritoia salvifica tra prima e dopo quando il tempo stesso virtualmente si ferma.
Ed è importante in questo libro il tema del sogno connesso a quello del sonno, sogno che si realizza anche ad occhi aperti in una sorta di onirismo purgatoriale.
Fortissima la densità metaforica e sinestesica tra accensioni e spegnimenti continui che a volte hanno una venatura vagamente neolirica inserita nei sapienti tessuti linguistici.
*
Raffaele Piazza

venerdì 26 luglio 2019

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia verso agosto 2019"

Aria mitigata di fine luglio
nell’intessersi con foglie
nel cammino sul sentiero
di Alessia la vita prima
che l’acquata passi in arcobaleno
a disegnare l’iridato sembiante.
Verrà un altro agosto e avrà
di Giovanni il nero degli occhi
nei suoi quando faranno l’amore
nel campo profano di grano
che sarà pane nel sentire
del fieno afrodisiaco l’odore
e sarà gioia in un lembo
d’albereto.
*

"Alessia e l’acqua della sorgente"

Fresca acqua come battesimale
per Alessia nella campagna
del beneventano tra le alberate
parallele di pini in forma umana
a delineare la strada per Alessia
ragazza in motorino azzurrocielo
e sta infinitamente nello scendere
dal mezzo nel tappeto
di foglie e alla sorgente a giungere
per bere la freschezza di metallo
platino di liquida rigenerazione.
Querce centenarie a fare da sfondo
il cielo è una mano sulla testa
e poi arriverà Giovanni e farà
l’amore Alessia.
*

"Alessia tocca la gioia"

Poi nel pratense luogo
di albereto tocca la gioia
nel verde di una foglia
ragazza Alessia con la mano
affilata e trasale (pianta
della quale non sa il nome)
e le dà il nome Giovanni
e spera che lui non la lasci
nel gettare al cielo dell’azzurrità
di luglio gli occhi
per chiedere al cielo protezione
sottesa alla felicità di donna.
*
Raffaele Piazza

POESIA = SIMONA CHIESI

Boccheggio

Accade al tocco del vento talvolta,
quando la sera sfila nella notte,
che mi ostini l'innocenza a dichiarare,
quando oscuri fardelli premono alla porta.
Arduo è il proseguire nel sonno che ristora,
e veglio cogliendo del vento il perdurare.
Sempre cerco varchi per un approdo,
eppure non smetto mai di salpare.
Tento intrecci un po' più semplici,
ma in breve si aggrovigliano
e tornano congiunti a dannare.
Contemplo i pesci in una boccia angusta,
condannati alla perenne giostra,
all'eterna scorribanda.
Compiono i loro tracciati in bilico,
nella penuria di viaggi senza traccia.
Vorrei solo distrarmi mentre
annego di riflesso in questa boccia.
Forse poi si scoprirà che son pesci volanti,
e con un improvviso trasalimento,
un fremito d'energia,
spalancheranno le pinne come ali
e con imperfetto volo,
salteranno fuori dalla gabbia
senza declinare.
*
Simona Chiesi

giovedì 25 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = SERGIO CAMELLINI

Sergio Camellini : “Il canto delle muse” – Guido Miano Editore – 2019 – pagg. 88 -€14,00 –
“Permane una plurima connotazione ispirativa : una plurale effusione – scrive Nazario Pardini nella prefazione – di richiami affettivi ed erotici che lo fanno moderno e distaccato dalle contaminazioni scritturali della prima metà del novecento. Come non è di sicuro improbabile leggere nei suoi versi l’euritmica sonorità di un pentagramma di note fluenti e musicali, che il poeta stesso definisce asse portante del suo iter…”
E’ il tempo la nostra sostanza irreversibile, nella evidenza unica ed incancellabile dei travagli emotivi, che contraddistinguono momenti di vertigine, momenti di abbaglio che lungo i luoghi della memoria ricamano il verso nella sua armonia.
L’emozione che attanaglia riesce a cesellare le meraviglie che si offrono allo sguardo del pellegrino, tra l’acciottolato della piazza e le sculture conservate nel museo, o riesce a incidere germogli per le carezze della madre o indicibili valori sul diario dell’anima, o si tuffa nelle armonie per riuscire a captare spazi del vissuto.
“I valori scorrono/ su lancette/ d’ore,/ proiettano ombre e luci/ nei silenzi e nei/ fragori,/ lambiscono animi/ culture e idiomi/ a volte incomprensibili/ in certe umanità…”
Così le emozioni diventano palpabili in un linguaggio particolarmente tessuto, dal simbolo, che svela il senso del sopravvivere, al passaggio della metafora, che segna il tocco della vulnerabilità.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

mercoledì 24 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = MELANIA MILIONE

Melania Milione – Cuore poeta---Oedipus Edizioni – Nocera inferiore (SA) – 2019 – pag.39 - € 10,00

Dopo la felice prova di Come edelweiss che si configurava come un canzoniere amoroso, Melania Milione con la nuova raccolta continua a scandagliare i sentimenti non solo di sé stessa.
Già a partire dal titolo dall’autrice è detto con urgenza il cuore, che è quello sensibilissimo dei poeti e delle poetesse che, se gioiscono in modo indicibile, cadono anche nel baratro della sofferenza più atroce.
Cuore poeta è una raccolta composita e articolata architettonicamente scandita nelle sezioni Cuore d’inchiostro, Invocazioni, I sassi nello stagno e Quel che resta del suicidio.
E qui lo stesso cuore si fa inchiostro, elemento che è il mezzo per antonomasia con il quale sono scritte le stesse poesie, sintesi ed espressione dell’incredibile sensibilità del Cuore poeta stesso.
E il titolo fa riflettere sul fenomeno poesia in generale a livello della sua genesi tramite l’ispirazione.
Si riscontra nei versi un fortissimo senso del dolore che si realizza attraverso le immagini delle composizioni che sono spesso gridate ma sempre ben risolte stilisticamente nella loro forma controllatissima.
Si ritrovano nel libro fantasmagorie di figurazioni che sgorgano le une dalle altre con leggerezza e icasticità.
Anche nella nuova opera, come nella precedente raccolta, è ricorrente un tu al quale l’io – poetante si rivolge con sensualità, amore ed erotismo.
Ma c’è anche una venatura d’ottimismo nella poetica della Milione: per esempio in Lago di poesia risorto nella chiusa l’autrice scrive che il suo cuore sconvolto, nato mille volte, torturato e morto, resta folle d’amore nel risorgere nella pace.
Così la poesia salva ancora e in un altro componimento l’io – poetante scomparendo tra le braccia dell’amato diviene genesi di verso senza pena.
E cuore è il canto dei poeti folli che ringhiano alla luna e cercano per le strade il mare, immagini surreali.
Emergono da questa scrittura visionarietà e magia che si coniugano a sospensione nei tessuti linguistici precisi che divengono straordinari arazzi di parole tra detto e non detto.
Una positiva fluidità connota la scrittura dell’autrice in bilico tra gioia e dolore, bene e male e i dualismi sono mediati proprio dalla parola che apre un varco salvifico e di questo Melania ha piena coscienza.
Nella sezione Invocazioni la poeta compone un breve poemetto amoroso compatto anche perché tutti i suoi componimenti sono privi di titolo.
Anche il senso della corporeità è emblematico nella sua forte presenza e si evidenzia nel bel verso memoria della carne che mi fai venire al mondo, verso nel quale è ripreso il tema della genesi attraverso la poesia come verbo.
Densità semantica, metaforica e sinestesica connotano il contenuto del libro costantemente, opera nella quale emerge il tema della poesia nella poesia.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = NAZARIO PARDINI

Nazario Pardini : “I dintorni dell’amore ricordando Catullo” – Ed. Guido Miano – 2019 – pagg. 120 - € 10,00
“Lettera ad un’amica mai conosciuta” apre quest’opera ultima di Pardini , introducendo immediatamente l’amore quale faro luminoso di sentimenti variegati e palpitanti. Chi non ha tentato più volte di ripetere , magari anche soltanto sussurrando , i famosi versi “Vivamus mea Lesbia, atque amemus” donando mille , e cento , e ancora mille baci alla propria amata? Con questo invito scorrono le poesie per un tragitto che all’amore volge ogni intendimento, tra le esperienze traforate di ricami esistenziali e l’immagine della donna che coinvolge ed appassiona “quando si oscura il bosco/ e morde l’aria il cielo senza sole”. Il mondo intero aleggia tra memorie, per un trascorso che riesce a confondere leggenda, mito, realtà, storia, e che riemergono nel ritmo del verso tra “ rosse luci, profumi acuti/ in mezzo ai nostri luoghi;/ tu sorridevi,/ mi avevi sempre avuto,/ anche se ormai lo sguardo,/ segnava un volto muto”. Il poeta inebriato si attarda “tra i pini di salmastro”, tra “il rossastro velluto dell’olivastro alloro” ed accarezza la speranza di nuove carezze, rivivendo i tratti del corpo femminile al “tepore delle mani”.
Un’armonia delicatamente sottesa riunisce i testi delle tre sezioni in cui si divide il volume: “I dintorni dell’amore ricordando Catullo”, “Di vita, di mare, di amore”, “Canzoniere pagano”, ricalcando in quest’ultima parte figure e immagini di trascorsi vissuti, dal vecchio mulino che alla sera riflette i colori del fuoco al tempo tardo delle cene familiari, dalle ombre che affollano la fiaba al sogno di ninfe e antichi dei.
Rigorosa la tessitura che distingue il bagaglio culturale del poeta, raffinata e profonda sensibilità che realizza un canto di armonica complessità.
Chiude questo libro un’antologia essenziale della critica.
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 23 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = GENNARO PESSINI

Gennaro Pessini – Tutte le poesie edite---- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 143 - € 15,00

Gennaro Pessini (1941 – 1989) è originario di Castelnuovo Scrivia (AL), paese natale del novellista Matteo Bandello. Dopo la laurea in Lingue e letterature straniere presso l’Università Bocconi ha ricoperto diverse cariche di consulenza nel settore delle pubbliche relazioni, prima di diventare direttore di un’agenzia di informazione giornalistica con sede a Milano.
Le sue poesie hanno ricevuto numerosi premi, suscitando l’attenzione dei critici, intellettuali e scrittori italiani. Ha pubblicato due raccolte, Sugli argini solenni (1980) e Opera su carta (1987), per la prima volta riunite in un unico volume.
Il libro di Pessini, che racchiude tutta la sua opera omnia edita, presenta una corposa prefazione di Angelo Lumelli esauriente e ricca di acribia intitolata Appunti per una lettura di Gennaro Pessini.
Il testo comprende la raccolta del Nostro Sugli argini solenni con una Nota introduttiva di Franco Scataglini, testo suddiviso nelle seguenti sezioni: Congetture, Altrove, Nascita presunta, Notizie del paese del padre, Memoria del principe centurione e l’altra raccolta Opera su carta scandita in Boltraffio, Zona e Visibile.
Al termine ritroviamo lo scritto Il compito della poesia. Appunti manoscritti del 1981 per una pubblicazione non individuata.
Componimenti dalla forma impeccabile, rarefatta, raffinata e ben cesellata, quelli che ci presenta Pessini in entrambe le raccolte che prendiamo in considerazione in questa sede.
Una parola nello stesso tempo icastica e leggera che procede per accensioni e spegnimenti detta sempre con urgenza rende affascinante la lettura dei componimenti che può sembrare un inoltrarsi in luoghi di senso magici nell’essere pieni di una suggestione che sfiora l’indicibile.
Una vena intellettualistica e anche criptica si rivela nei testi e ne diviene la cifra essenziale della poetica.
Una scrittura tout-court antilirica e anti elegiaca è quella che ritroviamo e il ritmo sincopato è sempre incalzante e crea una suadente musicalità.
Una straordinaria densità semantica è il filo rosso che accomuna tutte le composizioni con metafore e sinestesie fulminanti.
Le strutture linguistiche hanno una forte connotazione anarchica che a volte sfiora addirittura l’alogico e i testi in tutti i casi si aprono magistralmente a correlativi numerosissimi con una grande dose d’ipersegno.
È presente una tensione vibrante nelle poesie che si rivelano sempre ottimamente risolte nella loro grandissima densità e concentrazione.
Ed è frequente la presenza di un tu al quale l’io-poetante autocentrato al massimo si rivolge con un’urgenza notevole, un tu che resta nel vago e del quale ogni riferimento resta taciuto ma non in tutti i casi questo tu è una persona.
Infatti in Nascita presunta il tu diviene l’ombra che non lascia il poeta e alla quale egli stesso chiede d’iscriverlo nel suo aldilà.
Un fascino sembra essere connaturato a queste scritture nel loro raggiungere il massimo scarto dalla lingua standard e sono dette le cose appartenente ai settori più disparati della vita: da dati naturalistici alla storia, dalla quotidianità al mistico, in bilico tra gioia e dolore nello scaturirne un fantasmagorico esercizio di conoscenza a tutto tondo intelligente e cosciente.
*
Raffaele Piazza

lunedì 22 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = CARLA MUSSI

Carla Mussi – Il cattivo dono--- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 81 -. € 14,00

Il cattivo dono è una raccolta di poesia non scandita che per la sua unitarietà strutturale e contenutistica potrebbe essere considerata un poemetto.
Illuminante la postfazione di Valeria Serofilli che scrive che è quasi un ossimoro il titolo del libro già vincitore del secondo premio sezione silloge inedita all’edizione del Premio Astrolabio 2013.
Chiarezza e nitore e una vena quasi prosastica connotano la scrittura della Mussi imbevuta di narratività e intrigante anche per l’uso della rima, fatto raro nel nostro panorama letterario e che movimenta l’andamento.
Serpeggia nel testo costantemente il tema del male quando, per esempio, l’io – poetante afferma di essere inseguito dagli assassini o quando dice di essere il burattino benché di legno appeso al suo cappio omicida.
Sono chiari qui i riferimenti al Pinocchio di Collodi ma qui Pinocchio non diventa bambino.
Oltre a quanto suddetto il tema dell’eroe collodiano emerge nel componimento Il premio quando la poetessa afferma che quando potrà scavare nel campo dei miracoli non troverà le sue monete d’oro ma nella terra ci sarà un coltello simbolo della cattiveria e della morte.
Una vena di morbosità sembra prevalere e lo stesso cattivo dono si fa dono del turbamento.
Il filo rosso delle composizioni iniziali è proprio quello dell’identificazione dell’io – poetante con lo stesso Pinocchio.
Ma la maggior parte delle poesie sono delle riflessioni in versi sul senso della vita e allora il filo di montaliana memoria si dipana tra i pensieri del buio come un arcolaio.
Anche Dio diventa dono cattivo quando la poetessa scrive rivolta a Dio di stringerla forte prima di ucciderla.
La poeta chiama il Signore Dio di violenza e Dio d’inesistenza e gli dice d’inchiodarla al letto come un’amante.
Anche un’ironia mordace emerge dalle poesie che si coniuga alle situazioni della vita tra detto e non detto.
E il male riemerge in un contesto religioso quando l’io – poetante dice che sarà il ladrone che non si pente durante la crocifissione.
Poetica di antitesi anche nell’affrontare il tema della vita e della morte quando la poetessa afferma che i vivi ci lasciano soli e che i morti stanno con noi continuamente nell’affrontare il lato del misticismo.
Viene detto dalla Mussi suo padre inserito nel contesto tragico della guerra e del coprifuoco e raramente emerge un tu che potrebbe essere quello dell’amato e del quale ogni riferimento resta taciuto.
Il tema del male si specchia in quello del pessimismo quando Carla nomina la serpe che morsica a tradimento e rivolta al tu dice che la vita è solo il ricordo che hai mentre cadi.
E viene detto il peggio in Terrestre: se l’inferno è terrestre/ qui si piantano le croci/ qui piantano coltelli.
Ma è il contrario di un gemersi addosso; è invece la consapevole sublimazione del dolore e la poesia stessa ancora salva.
*
Raffaele Piazza

sabato 20 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = DARIO TALARICO

Dario Talarico – Il coraggio di non lasciare il segno---puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 95 - € 16,00

La raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede presente un’acuta e sensibile postfazione di Mauro Ferrari.
Scrive lo stesso Ferrari che sistole e diastole, chiusura e apertura al mondo, filosofia e poesia sono le coordinate della nuova raccolta del giovane Dario Talarico che muove da una serie di antinomie insite nell’essere umano.
Le poesie seguono uno scritto di prosa vagamente filosofica e poetica intitolato Il cacciatore.
Una vena surreale connota il suddetto brano e nell’incipit parlando dell’esserci sotto specie umana il Nostro afferma che fummo solo chi mai siamo stati, usando un paradosso che ha qualcosa di pirandelliano.
Poi aggiunge che arrivò un giorno che fratturò la nostra storia con la comparsa di un cacciatore di cui è detta la vicenda; egli si preparò per sparare il primo cervo della Terra ma dopo aver preso la mira non sparò e il cervo fuggì.
Poi l’uomo mori di fame e la bellezza era nata.
Un apologo sul senso della vita e dell’arte e il cacciatore stesso diviene il simbolo della finitezza umana.
Il libro è composito architettonicamente, scandito nelle sezioni Sistole (Parte prima) e Diastole (Parte seconda).
Ognuna delle due sezioni è divisa a sua volta in due parti: la prima in Il vuoto che riempie il nulla e Autopsia (reiterata), la seconda in Un profilattico bucato e Non svegliarmi.
Sembra nei componimenti delinearsi una ricerca dell’identità che realizza in versi una fiaba filosofica con tessuti linguistici affabulanti carichi di mistero sospensione e magia nei quali nelle poesie iniziali emerge iterativamente la parola siamo.
Un senso di nichilismo serpeggia nei componimenti del tutto antilirici e anti elegiaci e carichi di intellettualismo e proprio il riflettere in profondità sul senso, partendo dalla corporeità dell’io – poetante si evince nelle pagine: ne c’è sforzo che valga se un giorno/ il mondo per cui mi faccio acqua e sale/ smetterà di resistere al tempo// che sia il vuoto che riempie il nulla/ tra i corpi celesti:/ - infine – deve essere questa la solitudine di Dio/.
Di poesia in poesia con sfaccettature sempre differenti il poeta fa una lucida analisi della condizione umana proiettandosi leopardianamente nell’universo e anche nella natura.
Scrive Talarico: la vita di me il portare testimonianza di una pagina bianca e questa è un’antinomia per un poeta che invece riempie di parole il bianco del foglio.
Talvolta Dario si apre alla speranza: sogni di prima/ sogni di poi/ e nel mezzo/ da che mondo è mondo.
E i sogni potrebbero essere fatti ad occhi aperti espressioni di desideri consci e del resto le atmosfere dette sono sognanti oltre ad essere intrise di onirismo purgatoriale sempre al limite del cronotopo.
In Gli amanti tratta da Diastole è detta una scena di sesso e l’io – poetante nel rivolgersi all’amata innamorata, nell’azzeramento dell’esistere nel piacere, le dice che bestemmia era rimasto il loro unico modo di chiedere aiuto.
Quindi in una scrittura magistrale e coltissima la cifra dominante è il senso di perdita in una sintesi cosmica e terrena che non esclude la felicità.
*
Raffaele Piazza

venerdì 19 luglio 2019

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


"Alessia e il silenzio dell’abetaia"

Aria ferma, poi la resistenza al vento
per ragazza Alessia nel luogo
da rinominare nel dell’abetaia il silenzio.
Poi trafitta Alessia da un raggio
di sole e parlano i morti, gli angeli
e gli alberi. Si siede Alessia nell’afa
sulla panchina verde per l’anima
e c’è Mirta sorridente e Alessia
pensa che è buon augurio sottesa
alla prima stella e a un rumore
d’ancora sul mare.
*

"Alessia e i fiori"

Domestica pianta nel salotto
di Alessia a non conoscerne
il nome. Fiori bianchi ad emergere
dal verde tra la larghezza
delle foglie a entrare in di ragazza
Alessia gli occhi fino all’invisibilità
dell’anima, il candore dove
erano già stati nella precedente
fioritura. Esame superato per
Alessia in quella tinta densa
di giglio nella luminosità
vaga del maggio consecutivo
ad attendere al varco Alessia
con buone nuove.
*

"Alessia in barca a vela"

Candida vela per Alessia
sul farsi della sera
nel tendere gli occhi
a Venere – stella prima
Alessia in una serena
contemplazione dell’iridato
sembiante d’arcobaleno
nel sole dopo un’acquata
e onde ad agitare di Alessia
la barca e sta infinitamente
tra mare e cielo Alessia
senza paura della natura
prima dell’approdo al molo
di Giovanni nerovestito
a spedirgli le labbra Alessia.
*

"Pervasivo giardino" (prologo)

La rosa, ovviamente,
entra in scena nell’attimo di tegole,
una goccia di adolescenza
cade in pioggia
o in acqua sul balcone:
dov’è il tempo?
O forse consumano i giorni
nei gualciti quaderni fanciulle
che non conosci,
traggono gioia da quanto avviene
in campus di paesaggi
ragazzine di rosa, sbocciate di linfe
insegnano a tessere trame
mosaici, arabeschi, il senso del tempo
della vita e il fiume si ferma: riproviamo
messaggio su internet interrotto
lei portava un jeans
si chiama Alessia, ama il mare, studiava
medicina, aveva avuto ventuno ragazzi
non mi ha donato amuleti
voleva avere un bambino.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROCCO SALERNO

ROCCO SALERNO : "Nonostante questo" -- Ed. Macabor - 2019 - pagg.62 - € 12,00

IL POEMA DI ROCCO SALERNO : Dov'è finito Majakovskij? (Prefazione)

Nel 1930, quando Vladimir Majakovskij si sparò un colpo di pistola - o fu suicidato dai servizi - sapeva bene che sarebbe tornato in mille forme. Una delle sue resurrezioni è avvenuta a Fondi, nell'opera di un altro poeta, discreto quanto lui era sfrontato, esile quanto lui era un gigante, ma capace delle sue stesse telluriche passioni: Rocco Salerno. Il suo poema d'amore è poesia reincarnata. Prende l'avvio dal grande futurista per cantare un amore ardente, disperato e violento come quello di Volodja per Lili Brik, la fatua dama sovietica, alla fine complice (forse) del suo (forse) assassinio.

Eppure cola sangue
dal letto, dalla radio, dall’amaca.
Cola sangue dalla mia mano
aperta ai fremiti della tua carne,
alle furie invernali.

La poesia come incarnazione. Majakovskij va e viene nei suoi versi, fantasma inappagato che rifiuta la sepoltura, ma è un Majakovskij- Salerno, che disperatamente spera, senza negare il rifiuto.

Cerco una ragione
che vinca la povertà del mio cuore,
attendo un fulmine a dirmi che la vita
non è ancora finita.

Volodja-Rocco , che alla fine non è russo ma della bella campagna mediterranea fra Roma e Napoli, sente l’eco anche di Ovidio

Questo il mio regno?
Orfeo risusciterà Euridice?

Euridice!!!
Un momento.
Eterea.
Sempre.

Solo come Orfeo cerco.
L'amore volge in metamorfosi nel cantare di Rocco.
M’inerpico come daino


sulla foresta della tua carne,

m’ avviluppo come il vento

fra gli asfodeli delle tue vesti,

fra i girasoli dei tuoi occhi...



Ho chiuso la porta dei sogni, la porta del tuo corpo.

Si aggira nel labirinto fra la vita e la morte, e tutte ingannevoli sono le

Porte.

Me ne vado.

Sono stato.

Sono un cane bastonato

sotto la pioggia

che cerca riparo.



Majakovksij va e viene nei suoi versi, fantasma inappagato che non vuol esser sepolto.

Sei un cane bastonato
per ogni dove t’inoltri
e non c’è scampo
se non di morte.

Majakovsgkij va e viene nei suoi versi, fantasma inappagato che non vuole sepoltura. E a volte i versi suoi e di Rocco si intrecciano, in un abbraccio disperato

Morire in questo deserto
nessuno accanto al letto
ma morire di vita, mio Dio.
Mamma.
Mamma, tuo figlio è stato folgorato.
Non ha più dove posare il capo.
Non ha dove arrestare questa morte.



Anche le strade sono mare
in cui annego ogni notte,
inesorabile.

Sempre più verso il finale si svela il matrimonio mistico fra i due poeti,
unione ingiudiziosa e inesorabile

Ma uno
come me
dove potrà ficcarsi?
Dove mi si è apprestata una tana?
Dove trovare un’amata
uguale a me?

E’ un’opera temeraria, quella di Rocco Salerno, temeraria come Majakovskij, come l’esser poeta. E verso la fine, i due amici lontani si incontrano di persona, senza più infingimenti, nella famosa invocazione di Vladimir

Risuscitami,
non foss’altro perché
da poeta
t'ho atteso,
ripudiando le assurdità d’ogni giorno!

Fra loro, io non c'entro niente. Non c'entra nessuno, salvo il lettore. Ho scritto questa prefazione perché Rocco Salerno con tanto garbo me lo ha chiesto, ma penso che presentare un poeta sia una cosa empia. Versi come questi si presentano da soli. E credo che l’unico modo degno per
annunciare un poeta, sia dire

Eccolo.
*
BARBARA ALBERTI

giovedì 18 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = EMILIO COCO


"Il fiore della poesia boliviana d’oggi" , a cura di Emilio Coco, Roma, Fermenti, 2019, pp. 126, € 15.00

Traduttore e studioso della poesia, tra le altre, sudamericana, Emilio Coco ci ha permesso di conoscere ormai da qualche decennio un versante lirico-geografico di tutto interesse, non facilmente reperibile, se non per autori d’età come Eduardo Mitre (1943), di cui, pur da editori non di grido, sono uscite in Italia alcune raccolte.
Ispanista, dunque, Emilio Coco ha curato antologie di poeti messicani, colombiani, di paesi vari dell’ America Latina. I quali da un lato confermano alcune caratteristiche della poesia in lingua spagnola del Novecento, dall’altro rilevano particolarità e scartamenti sia nella adesione per così dire alle coordinate esistenziali (una per tutte: l’endiadi vita-morte estesa ai sentimenti, il risarcimento o lo scacco della memoria), o nell’accostarsi al paesaggio o alla polis in metafora, sia nell’apertura a tratti maggiormente sperimentali sottolineati peraltro da scelte linguistiche tendenti all’ironia.
Così mi sembra si verifichi nei testi dei poeti antologizzati in Il fiore della poesia boliviana d’oggi edita recentemente da Fermenti: Norah Zapata Prill (1946), Gary Dahler (1956), María Soledad Quiroga (1957), Vilma Tapia Anaya (1960), Benjamin Chávez (1971, Oscar Gutiérrez Peña(1971), Gabriel Chávez Casazola (1972), Monica Velásquez Guzmán (1972), Paura Rodríguez Leytón (1973), Eduardo Mitre. Le mie parole vanno intese “a largo raggio”, ché da ciascuno di questi autori, ognuno per sé, esce una poesia singolare e non riducibile in schemi, una poesia che si tende interrogativa e si estende tale anche nella dimensione quotidiana. Qualche esempio.
Rodríguez Leytón: «Privilegio / di ammirare / le stelle / e sfogliarle / come dalie secche / in un ballo diffuso.»
Zapata Prill: «Non emergere / Non galleggiare / Non ti riscattino / Non ti identifichino / Non ti nominino uno in più fra tanti altri uni / Lascia all’umana farsa decifrare le sue maschere / Non ti nominino.»
Tapia Anaya: «Bevevamo / era la notte / avevano lucentezza le parole le nostre labbra / I ragazzi ci chiedevano / di chi eravamo innamorate / Con il sorriso diafano / inumidito dal vino del rubino / e della rosa / la mia amica disse: / di Dio».
Chávez: «Il mondo è così grande - ti dico / e oggi / / tutte le nostre strade passano da qui. / Sai che sono venuto a cercarti / - abbi pietà - / la mia nave non è più quella di prima / salvati!».
Gutiérrez Peña: «In qualche angolo della mia anima continua a piangere / inconsolabile / il bambino che sono stato. // Quello a cui mentirono / che al suo terzo compleanno / sarebbe tornata la madre. // Giuro che ci sono notti / in cui ancora ascolto il suo pianto.»
Gary Dahler: «Per questo ti scrivo (in Lettera al Padre, ndr) / per rivelarti che a poco a poco / sto pulendo dall’immondizia / la nostra casa / vediamo se così un giorno / - penso anche al giardino / e ai semi che hai seminato - / dovrà essere pronta / agghindata e splendida / col suo tappeto persiano / e la sua camera da letto limpida / dove l’incenso arda bello / e le rose si aprano rosse / aspettando il tuo ritorno / illuminato - lo so bene - / dalla bella disposizione / che prenderanno tutte le nostre cose.»
Quiroga: «Si affaccia / alle intemperie / al profilo di felci / al torrente del bosco / e alle squame / timido / si avventura / nel vento / che tutto mischia e confonde / ed è felice argonauta».
Velásquez Guzmán: «La mano che scriveva / che a volte distribuiva foglietti / voleva un figlio perché non le restava tempo, / graffiò il nulla tra le domande / spinse la spalla amata dicendo corri, / fu ignorata dagli amici / nei corridoi dell’orrore, / quella che ammanettata cura l’altra, le dà affetto / quella che sfogliava le dita per contare i mesi / è ingabbiata. / Rotta di me / aspettando il suo corpo / in fondo al mare.»
Chávez Casazola: «È meraviglioso essere arrivato al punto / in cui non è più necessario cercare la ragione della tua vita / l’amore della tua vita / Il nord (e il sud) della tua vita / perché hai trovato già tutte quelle cose / o essere ti hanno trovato / e adesso puoi chiamarle, quasi familiarmente, / con un sostantivo, / sia questo il nome di qualcuno / - qui puoi mettere quello che desideri - / o di qualcosa di misterioso, come la poesia. // E, tuttavia, la cosa più meravigliosa di tutto questo / è che devi continuare a cercare, / cercare / percé tutte le cose e gli esseri / che s’incontrano / così come arrivano si allontanano. // Persino la poesia, a volte. / Questa sconosciuta.»
Sconosciuta, in traslazione, nel nostro Paese e in Europa – i meccanismi, le esclusioni, le preferenze editoriali sono tanto noti quanto inamovibili –, ché in Bolivia la realtà poetica appare non isolata, anzi diffusa e di livello. Scrive Coco: «Com’è vista la poesia boliviana da fuori, dalla nostra Europa, dall’Italia in particolare? Diciamo che quasi non è vista o che non la si vede proprio, nonostante abbia una ricca e feconda tradizione poetica.» (Introduzione: La poesia boliviana, la grande sconosciuta).
Che l’autore e un editore indipendente (Fermenti), entrambi attenti a far emergere il sommerso, ci consegnino, ma in assaggio, una realtà viva, non statica, in itinere quanto a presenze e a risultati, è operazione culturale da rimarcare, un silenzio negato che porta oltre: «Offriva il suo silenzio / come un bicchiere d’acqua. / E bevendolo / si rinfrescavano le parole.» (Eduardo Mitre).
*
MARIA LENTI

martedì 16 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = RICCARDO MAZZAMUTO

Riccardo Mazzamuto : “dal ritorno al viaggio senza mediazione” – Ed. Eretica 2019 – pagg. 112 - € 13,00 –
La brillante e scorrevole prefazione di Mariella Bettarini apre il volume, che cuce ammiccamenti multipli e riflessi luminosi, in pagine entro le quali metafore ed allegorie si rincorrono elegantemente, nel ritmo del verso breve, semplicemente imprevedibile per ricami e rimandi.
Un verginale chiacchiereccio distilla accenti che tritano immagini, tra un vago dubbio che il destino propone ed un sogno che illude con timori, tra una improvvisa e strana notte ed un ricordo ancestrale ai lati della tomba di famiglia, quasi un dialogo con se stesso che dilata il pensiero, accettando le improvvise lacerazioni del sub conscio.
Le incertezze che la poesia suggerisce all’autore non sono deleterie, bensì sono una specie di incitamento a rendere vive le ansie dell’animo e della mente, per il personaggio che “resta senza parola,/ pinocchio del grande/ fratello, marionetta,/ senza palco di scampo/ né chiavi né leader/ e compagni ciechi/ anche muti o sordi/….”-
Qualche sosta erotica si attarda nelle pagine centrali , nel frenetico infrangersi di baci, calorosamente svelati perché “ né pudore né virtù/ compromesso da donna,/ identico piacere/ sessuale dell’uomo/ di spassarsela senza/ pregiudizi sessuali” . E qui “replico tenerezze/ ai lati del corpo,/ per timore…” anche se la lingua insiste nelle piegature dell’intimo femminile.
Si alterna il paesaggio nelle sue variopinte associazioni ed ha figure stritolate dal quotidiano, alterate dall’inquinamento atmosferico, per strane esistenze che vorrebbero mutare la realtà ed invece scoloriscono in un tremito. “La testa giro nel dubbio,/ per tentativi cerco,/ quando di liberarmi..” in fulminei lampi e piccole fosforescenze.
Il mistero della scrittura è consegnato ad un altro da se, nella irresistibile ansia del rinnovamento e nella ricca interazione di preziosi spunti che fanno della parola l’identificazione della melodica molteplicità.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIACOMO LERONNI

Giacomo Leronni – "Scrittura come ciglio"--- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 193 - € 18,00

Già il titolo della raccolta di Giacomo Leronni che prendiamo in considerazione in questa sede fa intendere l’intenzionalità di praticare una riflessione sulla scrittura stessa e il ciglio nominato può essere inteso come un limite tra detto e non detto come in un battere di ciglia.
Le sezioni sono precedute dalla poesia in corsivo Avvertenza che ha un carattere programmatico e quasi iniziatico.
Ci sono in questo componimento spaesamento che si coniuga a dissolvenza nella sua verticalità.
In esso è tutto vago e nell’incipit si parla di una prova che rimane indefinita nella quale nulla raggiunge l’equilibrio.
Si tratta di una poesia ontologica e in essa vengono detti nomi scompigliati e i fatti che sgusciano in ogni direzione.
Viene detta anche la parola che è più dell’opera e cruda in un senso di vertigine e nella poesia nella chiusa la parola stessa si ritrae nell’eterno.
Una riflessione sull’essere che sottende la poesia che è parola e quasi una dichiarazione di poetica in versi.
Il testo è introdotto dallo scritto di Daniele Maria Pegorati Il brusio dell’abisso la poesia di Giacomo Leronni.
Seguono dopo la suddetta Avvertenza la sezione Chiavi improbabili alla quale segue la scansione Le cose invisibili che comprende le parti La meraviglia sospesa, Nel cuore dell’ortica, Carezze dal fuoco, L’invisibile, Poi la scansione Interregno che comprende le parti Il ciglio, Recortres dédicaces, Dittico (per Mapi), L’amore degli altri, Scabrosa santità, Farine di colpa, Dell’eterno in minuzie. Poi la sezione Una verità impensabile suddivisa in Cipria di vittime, Forni d’amore, Il pane sfuocato delle forme, Due e Quando la notte.
Si tratta quindi di un’opera corposa e bene articolata architettonicamente nella sua scrittura vagamente anarchica dalla fortissima densità metaforica e sinestesica che si esplicita in subitanei accensioni e spegnimenti nel sapiente controllo formale quando niente viene lasciato al caso.
C’è una vaghezza delle immagini che rimandano ad altro per una forte dose d’ipersegno come in La ruga estrema il distico iniziale che sembra un enigma da sciogliere: In giorni incauti il patto siglato/ da colombe d’erba/.
Un senso di fascinosa magia emerge dalle immagini e nella lettura sembra d’inoltrarsi in un bosco misterioso nella sua bellezza.
Anche una valenza epigrammatica e assertiva si ritrova nelle composizioni che decollano magistralmente nel planare dolcemente sulla pagina.
Qualcosa di montaliano caratterizza i versi quando nella quarta e ultima strofa in Coraggio e oscurità leggiamo:/al primo albeggiare darà risposte/ il pane, risposte scabre/ cresciute crepitando come il mare/. La risposta del pane è intrigante perché da lui possono venire verità che gli uomini non possono dire e ogni poesia essendo metafisica dà risposte che dalla vita non si possono ottenere.
E c’è un tu femminile immerso in un’aura indistinta che ha già destato l’orma il sigillo del canto rappreso, strutture in cui non mancano venature neo orfiche.
Poetica sulla poesia che si specchia in sé stessa come esercizio di conoscenza nei suoi contenuti intellettualistici ben calibrati.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROCCO SALERNO

ROCCO SALERNO - "Nonostante questo" - Ed. Macabor - 2019 - pagg.62 - € 12,00 -
Ogni valido tentativo ha sempre il suo prezzo. Per essere valido il tentativo deve possedere nel suo carico un bagaglio culturale di tutto rispetto, incuneato qua e là nei passi lenti della ricerca o nel messaggio che la scrittura cerca di offrire, ed il prezzo varia a seconda dei luoghi e delle aperture nei quali tenta di spaziare, nei passi attenti della mente che si incontrano e si scontrano nell’imponderabile mistero della finitudine. Anche l’equilibrio della mente oscilla tra la capacità di chiedere il perché del dubbio e la imprevista scansione delle parole scelte per una scrittura che abbia il pregio di coniugare il desiderio e la realizzazione del dettato.
Rocco Salerno indaga con acuta illuminazione nelle vicissitudini umane della coppia, ricca di improvvise vicissitudini nell’atto stesso della vita quotidiana e contemporaneamente aggrovigliata nelle immagini fulminanti del tradimento. Nelle pagine che scorrono rapide, per un dettato musicalmente realizzato in ogni composizione, il suono aggraziato della voce si propone come un grido “appeso agli infissi” , quasi una visione stereotipata del suono che riesce diventando corporeo a sostenere un atto materialmente tangibile. Gli occhi si sperdono nella speranza di riaccendere un sentimento assopito , e tutto si stempera in “questa notte in cui si confondono idilli e disperazione” e per il poeta rimane soltanto “il sudario della carne” o “gli occhi appesi alla fonte dei sogni”.
Il poemetto è un delicato dialogo intorno all’amore e nell’amore si incatenano le tre figure protagoniste di questo allettante intreccio sentimentale, esploso tra le mura indiscrete del rifugio e le tentacolari ramificazioni del tradimento. Il gioco si fa duro : due uomini e una donna si abbandonano alle vertigini di passione , ammiccamenti , tradimenti , ripensamenti , affondando tra le ombre del tempo che corrode . “Io che ho cercato in ogni dove il tuo amore/ io che interi ho vissuto i tuoi giorni solo in sogni,/ io che il colore dei tuoi occhi ho bevuto goccia a goccia,/ io che solo mi trovo in questo funesto paradiso/ di ricordi, convulsioni,/ io che non ho respirato sino in fondo la mia morte/ sul tuo corpo,/ io che non ho incendiato i desideri sul golfo dei tuoi seni.” Urla da un lato colui che aspira all’amore sincero, privilegiando il tocco della voce per invocare una vera sospensione dell’attesa.
La poesia , si sottolinea , è racconto per figure e percezioni, di pensieri alti , colti, nell’esigenza di distogliere lo sguardo dalla pochezza quotidiana per rivolgerlo verso l’infinito, per configurarsi nelle metamorfosi dell’accadimento e ripetere i riflessi multicolore della meraviglia. Qui un’architettura bella, solida, protettiva e abitabile, perché drammaticamente esile nei suoi confini interni , si traduce nella penna di Rocco Salerno nel copro , nella carne palpitante, affogata nella pulsazione irrefrenabile del desiderio. La labilità del divenire materia è fantasma originario che si scioglie attraverso l’incombere del divieto , o dell’oscura conoscenza dello sconfinamento . Ma è proprio in questa labilità che si esprime la forza, la durata, la permanenza di ogni atto quotidiano che divide la propria compattezza e sconfina nel trauma della lacerazione.
Le relazioni umane nella poesia potrebbero non avere “limite” o distanza se non dovessero passare attraverso elementi esterni, robusti, insindacabili, assoluti. Elementi che al cospetto di una struttura così complessa come il sub conscio, non possono essere che miseramente umani. Un cassetto antico se aperto può svelare segreti che destrutturano ogni forma di autorevolezza umana. Ma gli oggetti no, non rischiano allo stesso modo. La struttura del verso, robusta scandita da metriche precise come vuoti e pieni in un’architettura neoclassica mantiene consolidate le distanze protettive dentro-fuori ma si sviluppa al suo interno secondo rituali che si predispongono all’incontro, alla visita sporadica, ai ritorni.
L’immagine della donna con i suoi misteri, con le segrete profondità del suo essere, si staglia in questi versi per divenire spinta di una libidine sopita nella propria compattezza interiore e nella morbida apparenza esteriore. “Ma mi sei la statua da modellare./ Mi sei cancro nonostante,/ il sogno che mi scoppiava negli occhi rossi./ Ma i tuoi occhi sciabordano/come golfo sul mio cuore.” E ancora nel sussurro : “Sulle mie mani si sono aperte tutte le albe/ coniugandomi sulla tua carne;/ tutte le margherite sono state smaltite/ attraverso le mie iridi;/ ho incendiato il mondo/ carezzando solo il tuo corpo.”
L’Io nella gratificazione della scrittura non è sospeso nell’illusione dell’incontro ma prepotentemente si manifesta nel polo catalizzatore del ridefinito, del possibile a tutti i costi, e trasforma la rappresentazione del canto quale nucleo principale di contenimento della libido.
In apertura del testo l’autore inserisce una poesia di Majakovkij quasi a voler sottolineare il coinvolgimento sentimentale di un grande poeta nella stesura di uno sceneggiato che intesse, con eleganza ed ottima interpretazione, il racconto di una infuocata relazione amorosa, intrappolata nella aspra realtà di un rapporto che dovremmo dichiarare pericoloso, tali le occasioni di contrasto fra la delicatezza della figura femminile e il vorticoso avvicendarsi delle figure maschili. Il corpo, con le sue curve anatomiche modellate dalla gioventù si manifesta come entità che volge senza tregua verso lo sfiorire , qualcosa che si palesa come entità passeggera, destinata a sparire, anche se la favola dei simboli tenta di esorcizzare la morte, con il fuoco della passione. Allora il possesso dell’anima rimane l’unico scoglio al quale riparare , nella ricerca dell’ignoto e nella rielaborazione del demone orfico. Inconsapevole ritorno alle origini la rielaborazione interiore avviene nella mente del poeta quale involontario sconfinamento nel sentimento panico, nel segno di un bisogno fisico che sappia coinvolgere anche il subconscio e divenga menestrello innamorato nella dimensione del metafisico. Alla fine di nuovo Majakovskij compare quale nume lirico tra le labbra infocate: “Ascolta il mio silenzio,/ scruta il mio sguardo incavato./ Troverai la tua stessa pace,/il tuo Siddharta./ Devo andare./ Ma tu ricordami come un sogno/ che ti scoppia negli occhi./ Anzitempo abbiamo sepolto/ ogni cosa di noi/ per troppo amore?/ Ma tu ricordami come un sogno/ che ti scoppia negli occhi./ Majakovskij pende ancora/ dalle labbra di Maria./ Nonostante.”
Costantemente in bilico tra lo straniante e l’incantato le epifanie delle persone si illuminano di quelle fascinazioni che rendono le figure tenere e nello stesso tempo accorate, testimonianza vivente dello scorrere del tempo sempre inseguendo illusioni, entro l’urgenza degli affetti che sembrano evaporare nella ossessione di un anarchico sogno. Il tu martellante in questi versi non ha nulla di misterioso , ripetuto ad ogni piè sospinto ad invocare la presenza di questa donna amata e imprendibile, agognata e sorprendente. L’alternarsi delle invocazioni la rende un idolo da venerare, anche se nella spirale dell’agguato, palesemente irragiungibile. “-Mi porterai in ogni angolo,/ ti sarò viatico?/ Io pietrificherò ovunque il tuo sguardo,/ involerò i tuoi occhi oltre gli orizzonti,/non troverai scampo se non nel mio corpo/ troppo presto profanato,/ troppo presto dimenticato./ Le mie labbra lontane saranno il tuo lago,/ le tue coppe di latte;/ non conoscerai altra alba.”
Una crescente capacità alta di scrittura avvolge questo volume di poesia, in cui il verso si armonizza con le pulsioni degli amanti, con gli slanci improvvisamente emotivi che fanno della passione un vincolo indissolubile per la necessità di vivere senza sfumature. La pienezza dell’atto amoroso ha qui il tratto dell’infinito, dell’infinito che non ha limiti e sfiora l’eternità, mentre le metafore immergono a tratti nel ritmo della meditazione e dell’inquietudine, anche se l’illusione di un’attesa lascia momenti di angosciosa solitudine: “Nacque./Nacque una velleità,/ nacquero lacrime/ da portare come viatico/ ristoro alle mie desolate giornate./ E tu non hai voluto essere ventaglio/ in giorni arsi,/ non hai voluto essere fontana.”
Il poeta conduce, solitario, la rappresentazione di un passaggio cruciale, quale può essere un rapporto amoroso, teso e conteso fra due forze puntellate alla passione, e tra parole e cose, trascrittura e immagini incarna anche la dinamica del discorso poetico, un sentiero che si apre quando la lettura diviene, come in questo caso, coinvolgente. Strutturalmente il poemetto presenta la strategia dello sdoppiamento, anzi della frantumazione delle figure, che per la crudeltà erotica sottesa si avvicendano nei dispositivi temporali che l’autore ricama, si alternano nel sussurro o nell’invocazione, si abbandonano nell’impensato che sfugge inesorabilmente. Questi brividi da cui la nostra mente è attraversata, una volta posta di fronte alle vicende narrate, mettono in moto gli opposti tremiti del preludio di un’estasi, che appare e scompare, tra verso e verso, per divenire una ininterrotta melodia di essenze, in forma di immagini rivelatrici, individuando l’essenza di segreti nascosti, capaci di un suono che coglie esemplarmente la cifra della meraviglia.
In questo suo operare Rocco Salerno scioglie la musica del verso tra l’illuminazione silente della parola scritta e la feconda mistica dell’indeterminabile.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 14 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = MICHELE NIGRO

Michele Nigro : “Pomeriggi perduti” – Ed. Kolibris 2019 – pagg. 118 - € 12,00-
Oltre ogni sipario lo sguardo attento e discreto del poeta cerca di scoprire i colori di una quotidianità che ricama inaspettate sequenze, tra “confini di antiche terre” e “dorso di libro da pagine cadute”. Un itinerario che incrocia ricordi ammaliati ed illusioni che appaiono indiscrete. Dalla semplice sosta ad un tavolo del caffè “in un angolo cieco e sicuro di Roma” alla dimenticanza “nell’aria tempestosa che smuove le fronde degli alberi”. La scrittura si apre ad un sedimento di tradizione classica per svilupparsi in rigorose incisioni moderne, così che il piglio inoltrato nel meriggio si pone nella realtà e la insegue con riferimenti testuali di notevole impegno. La parola ha riscontri in segmenti che si avvolgono nel tempo, in una discreta pretesa di disimpegno legato alla esperienza dei rapidi intagli, giocati prevalentemente sul verso breve e fulminante, anche perché “questo fuoco finirà,/ la sua luce avvolta/ dalle tenebre del tempo,/ non per umana volontà./ Finirà la storia/ questa terra abusata/ la gloriosa specie,/ finiranno/ i nostri anni insieme/ e finiremo noi/ che agguantiamo il presente/ di vita avidi.”
ANTONIO SPAGNUOLO

sabato 13 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ENRICO MARIA'

Enrico Marià – I figli dei cani---- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 127 - € 16,00

"I figli dei cani" è una raccolta di poesie scandita in due sezioni: quella eponima e quella intitolata "Le rovine del mare".
Il testo presenta una prefazione di Marco Ercolani acuta e sensibile.
Già il titolo del libro riesce a farci individuare la visione del mondo dell’autore connotata da una lacerata identità perché è intesa la sua vita come quella di altri simili a lui generata dai cani e non dagli esseri umani e in questo vi è dichiaratamente un intento provocatorio nella sua ironia.
Interessante e necessaria la nota dell’autore stesso in chiusura nella quale Marià scrive che il suo libro non è un’automatica corrispondenza biografica, aggiungendo che la doverosa precisazione nasce dal rispetto, dall’onestà e dall’affetto verso la sua famiglia per evitare ogni fraintendimento.
Non si tratta quindi di poesie d’occasione e l’io – poetante non è Enrico ma una sua proiezione nella tenace fantasia di dire il peggio possibile nello specchiarsi sul fondo per poi risalire in superficie nella vita.
È ovvio che l’io-poetante potrà per certi versi somigliare all’autore ma in ogni caso non deve essere visto come un suo alter ego.
I componimenti sono fatti di immagini crude e gridate pur nel loro essere felicemente controllate nel loro debordare.
Tutte le composizioni sono senza titolo elemento che ne accresce la carica di vaghezza e di mistero.
C’è un tu al quale l’io – poetante si rivolge che è presumibilmente l’amata, ma in alcune poesie il poeta si relaziona anche alla madre e al padre.
Scrittura lapidaria e icastica nella sua leggerezza nella quale i versi procedono per accensioni e spegnimenti imbevuti di quotidianità nel loro essere dal tutto antilirici e anti elegiaci.
Molto fortemente presente è il tema del male da individuare nella violenza fisica e verbale frequentemente presente nei componimenti.
Ma lo stesso male si attenua tendendo all’innocenza perduta quando l’io – poetante vorrebbe farsi bambino.
Si legge di un erotismo estremo detto con urgenza in modo molto realistico ma senza mai cadere nella volgarità della pornografia.
Non si parla solo di eterosessualità ma anche di omosessualità e l’io – poetante arriva addirittura a prostituirsi.
L’io – poetante, come dal titolo, si autodefinisce bestia e cane nel suo approccio all’amore e al sesso e in contropartita alla tematica dell’amore c’è quella della morte vista come liberazione.
Quindi una forte carica trasgressiva connota le poesie della raccolta e si avverte la presenza di una forma di maledettismo in chiave postmoderna.
Il tema dell’abbrutimento connesso a quello dell’uso di sostanze stupefacenti si coniuga a quello della corporeità nei versi: "essere promosso a carne/ da battere, violentare/ sono le umiliazioni/ che mi fanno ammazzare/ di calci i randagi".
È la carne martoriata dell’io – poetante a farsi parola in uno scatto e scarto memoriale di momenti non nel riviverli ma piuttosto nel ricrearli immaginandoli.
*
Raffaele Piazza

venerdì 12 luglio 2019

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia si riveste di cielo"

Azzurrità mattinale per Alessia
nel rivestirla di cielo
in una duale preghiera all’immensità
che oggi su Napoli si ripropone
e sta infinitamente e il mare
c’è ancora, Mediterraneo
sul cui bordo ha acceso Alessia
ragazza una candela. E il tempo
a scandirsi nelle feste di Natale
e Pasqua stupita Alessia dagli
oleandri in fiore e dal canto
dei volatili di platino.
*

"Alessia nel delta delle cose"

Sentiero di Alessia nel biforcarsi
a delta a sinistra il dolore a destra
la gioia. Sembiante di arcobaleno
iridato a pervaderla e ci sono i morti
e gli angeli a darle sicurezza.
Pini e abetaie la strada a costeggiare
il bene e il male e poi di Napoli
che ancora esiste il mare e a sud
il campo di grano per l’amore
profano. Sceglie la gioia Alessia
e gira a destra e ora anche gli alberi
parlano.
*

"Alessia attende"

Chiarità d’orizzonte
che avanza nel mattino
dalle rondini di platino
solcato, goccia di acciaio
vivo nelle mani di Alessia
nell’attesa di lui.
Trepida ragazza Alessia
attende tra i coi
delle vergini e ci sarà
raccolto (primavera nell’anima
della sedicenne Alessia
e sta infinitamente).
E se mi lascia? Pensa
Alessia mentre il mare
a bagnare Napoli esiste.
*

"Alessia e l’infinito"

Legge Alessia “L’infinito”
sul prato del Parco Virgiliano
nell’interanimarsi al verde
nel pensare a immensi silenzi
e la quiete azzurra dentro
a scenderle come bevanda.
Solo cielo scorge ragazza
Alessia e dell’arcobaleno
la bellezza dopo l’acquata
nel mirare le alberate
dei pini che parleranno.
*
Raffaele Piazza

giovedì 11 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = MATTEO CASALE

Matteo Casale – "Studi op. 6 - 2016 – 2017"--- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 115 - € 16,00

La raccolta di poesie non scandita che prendiamo in considerazione in questa sede è preceduta da un prologo intitolato "De consolatione poesiae" ovvero "Tentativo di prosa in versi" e presenta una prefazione di Andrea Spano esauriente e ricca di notevole acribia.
Il suddetto prologo può considerarsi un’originale e breve dichiarazione di poetica e i versi da cui è composto come quelli delle poesie sono tutti centrati sulla pagina, elemento che pare accrescerne il fascino e il mistero delle strutture dei tessuti linguistici.
In "De Consolatione Poesiae" Casale scrive che il poeta scende a profondità inimmaginabili per i non poeti e giunge dove termina la speranza.
Riguardo a tale baratro è interessante notare che da quello solo una mano di donna può arrivare a recuperarlo e si può presumere che tale donna sia la sua musa, l’ispiratrice degli stessi versi.
Oppure il poeta potrebbe essere salvato dalla poesia stessa nel suo scriverla e farla leggere.
Alla risalita il poeta stesso cessa di essere poeta o lo diventa irrimediabilmente.
Veramente interessante il suddetto prologo con la sua patina arcaica che gli conferisce il suo titolo in latino.
Le poesie che seguono per la loro unitarietà stilistica e formale potrebbero essere considerate un poemetto.
Un senso di mistero vago e criptico connota questi componimenti nei quali l’io-poetante è molto autocentrato.
Una fluida musicalità raggiunta attraverso il ritmo sincopato caratterizza i vari componimenti.
Anche un’avvertita vena epigrammatica caratterizza i versi che procedono per accumulo sgorgando con naturalezza e velocità gli uni dagli altri in dettati densi e icastici.
Un pessimismo pare prevalere quando il poeta afferma che di vuoto siamo scavati dall’eterno.
Anche le stesse parole talvolta sono dette come per esempio in Lontananza in versi vaghi e magici: Saper come potrei le parole/ d’un destino che sappia più di vita/ a distanza di lacrime dal cuore/…
Un andamento cantilenante connota queste composizioni nelle quali emerge un tu che è presumibilmente l’amata ed è contenuta la possibilità che l’amore stesso possa essere felice.
Una vena di stile classicistico in chiave postmoderna aleggia nei componimenti che divengono esercizi di conoscenza.
Il senso della femminilità che si fa amore è detto bene nei versi: tu che sei rivale d’ogni rosa/ che l’invisibile vento circonda.
Si tratta di poesie eleganti e originali da non potersi considerare neoliriche tout-court.
*
Raffaele Piazza

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Caronte”
Il suo destino è giù nell’Ade,
minacciando irose vendette tra cani e uccelli maledetti,
fra le gesta impazzite di giornali,
fra le teorie del vecchio Lutero
e le braccia corrotte dai detriti.
Il suo destino annulla la salvezza,
svelle piastroni legati alla promessa
nell’asfissiante vacuità dell’inferno.
Il martello , il liuto, caccheggiano impazziti
rincorrendo ginocchia,
e la brace d’argento alita fumo
per minuti ormai eterni a dispiegarsi.
Nell’alcova crudele frusta l’onda del ricordo
per un accordo probabilmente impaurito.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

FRANCESCA LO BUE : "I canti del pilota" Ed. Dante Alighieri - 2018 - pagg. 136 - € 9,50
Se con "Itinerari" (2017) Francesca Lo Bue tracciava le vie della propria esperienza artistica, con "I canti del Pilota" (2018) prosegue questo percorso ma ribaltando il punto di vista; ora non è più individuo poetico in cammino ma ella stessa agente del movimento: è il pilota, il timoniere, il gubernator che segna la strada e a cui l’opera è dedicata. Così in prima di copertina troviamo raffigurato un affresco di nave egizia. In un incrocio di sguardi il timoniere è voltato verso l’equipaggio, stende una mano a indicare la rotta; intorno, accanto alle vele spiegate, geroglifici dipinti ci raccontano forse l’arte della navigazione, forse antichi miti marinari.
Ma qual è l’arte di Francesca Lo Bue? In epigrafe sono riportati versi di G. Ungaretti, reminiscenza forse richiamata anche dalla copertina, se consideriamo le origini egiziane del Poeta. Quando trovo/ in questo mio silenzio/ una parola/ scavata, è nella mia vita come un abisso. È l’ultima strofa di Commiato che, scritta a Locvizza nel 1916, è dedicata ad Ettore Serra. Ungaretti e Lo Bue sono poeti molto vicini; entrambi hanno vissuto parte della vita fuori d’Italia e si sono riappropriati dell’italianità anche tramite un acuto e amoroso lavoro sulla lingua, sulla parola, la stessa che richiama l’abisso.
Per orientarci in quello di Francesca Lo Bue possiamo iniziare riferendoci al testo Il re longevo. Costui, immagine arcana di un essere creatore, è accostato a Venere, il pianeta a lungo creduto una stella, la stella del mattino che anticipa il sorgere del sole ed è per questo chiamato anche Lucifero. L’astro come una bussola, una stella polare, avvicina gli uomini diffidenti…Tu sei Venere, testimonianza precaria…quando appari fra i gigli di luce…tu sei Venere, e mi porti alle terre al di là del mare.
In tal modo ci addentriamo nell’atmosfera del viaggio e del movimento già allusa dagli stessi titoli. Abbiamo esempi come Esodo, L’Astronauta, Ulisse, L’orizzonte, Bivio… in altri invece il riferimento al viaggio è più sottile e sfumato, ma non per questo meno presente. È il caso di Ifigenia. La tua vita fantasma chiama nell’ostinazione dimenticata dell’abisso. Un’ignobile illusione [di Ifigenia]…ti chiama al riso per odiare e ferire. Oppure è il caso di Andromeda; di lei e del suo costone di roccia Lo Bue dice che sognava. Sognava un promontorio lontano. Sognava l’orizzonte della sua patria sanguigna.
In tale testo, come in Ifigenia, e in altri accostati a personaggi mitici o storici del passato, ritroviamo un tratto molto caratteristico della poetica dell’autrice. L’abitudine di intitolare a soggetti del mito o della storia e poi sorprendere il lettore. Nei titoli ci sono Andromeda, Ifigenia, Ulisse, Antigone, Maria Stuarda (si veda Itinerari)… e poi spariscono. Di loro, nel testo, rimangono figurine alluse ed evanescenti che solo il lettore più colto ed accorto sa scorgere. Questi personaggi, con il loro nodo di dolore e complessità, sono solo un pretesto per riferirsi ad altro, per ricucire un itinerario interiore e spirituale. Ogni strumento è usato a questo scopo, ogni solleticazione intellettuale. Si veda L’Astronauta. Nel testo troviamo: Sospeso…fra le sfere dell’etere amico, nel sapore del silenzio…sei albero di fortuna e percorso di solitudine.
Talvolta invece il movimento è tutto interno e mentale. Si legga Nella stanza, poesia suggerita dai quadri del pittore Vincent Van Gogh. Sgocciola il lavabo scrostato nel delirio giallo della tua stanza…nella lontananza del miraggio…quando geme il corvo di sabbia. O anima reclusa…tendi alla terra radiante delle altezze…spazia nel cielo senza province.
C’è in queste poesie il filo rosso di una colpa che aleggia, il catalogo indistinto della colpa dice in Ifigenia. Un complesso che, indistinto, seppur rimanendo indecifrato e indecifrabile, si dipana in un’architettura di sentieri e percorsi.
*
Rosa Rempiccia

martedì 9 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALESSANDRA CORBETTA

Alessandra Corbetta – Corpo della gioventù----puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 67 - € 12,00

Corpo della gioventù è una raccolta di poesie accuratamente strutturata architettonicamente ed è scandita nelle seguenti sezioni: Fessure, Attraverso, Rintocchi, Battenti, Esplosioni.
Presenta due scritti introduttivi: L’enigma della gioventù di Tomaso Kemeny e In bilico tra sasso e poesia di Lamberto Garzia e una postfazione di Ivan Fedeli, esauriente e ricca di acribia.
Plotino, il filosofo greco antico neoplatonico definiva il corpo come un vano simulacro e sottolineava che l’anima non solo è distinta dal corpo ma che essa viene prima del corpo.
Il parallelismo psicofisico è centrale in tutte le culture e nella tradizione cristiana il corpo stesso è definito tempio dello Spirito Santo.
Mens sana in corpore sano affermavano gli antichi e, entrando nel discorso sulla poesia in generale, è incontrovertibile che scrivere poesia produca ottimi effetti sulla fusione mente – corpo come su quella conscio – inconscio e questo Alessandra Corbetta lo sa molto bene.
Nel postmoderno occidentale avere un bel corpo curato e giovanile diviene uno status symbol e questo emerge soprattutto nel mondo dello spettacolo dove attrici, attori e soubrette ricorrono alla chirurgia estetica e alle diete per essere desiderabili al massimo.
Fatta la suddetta premessa entriamo nel merito del libro di Alessandra Corbetta nata ad Erba (CO) nel 1988.
Tratto che sorprende e cosa che avviene raramente leggendo un libro di poesia, nell’immergersi nei componimenti poetici della raccolta, è quello della constatazione di un equilibrio formale notevolissimo nell’eleganza dello stile.
I versi sapientemente raffinati e ben cesellati procedono per accensioni e spegnimenti sottesi alla fortissima densità metaforica e sinestesica.
La complessità del discorso si apre alla chiarezza e ricorrente è il relazionarsi ad un tu che è presumibilmente l’amato.
La vena intellettualistica si coniuga a climax di neo liricità nello stabile esercizio di conoscenza che ha una matrice ottimistica.
Non manca un senso di magia generata dalla sospensione tra detto e non detto e le composizioni hanno spesso una connotazione avvertita ed epigrammatica.
In In –fine, tratta dalla seconda sezione, è espresso il tema del vuoto (nel quale ovviamente sussiste l’io-poetante che si fa corpo): resterà vuoto molto presto/ il letto come vagone/ ogni spazio che tiene dentro qualcosa// in questo vuoto – io – ho dimora/ non tu né una somiglianza/ perché è delle case l’attesa/.... In un’aurea di vaga bellezza la giovane poetessa con i suoi versi esce dal suo film privato per restituircelo proiettato sulla pagina scritta.
In bilico tra gioia e dolore con strumenti scaltriti soprattutto in relazione alla giovane età immergendosi in un quotidiano dove il tempo talvolta pare fermarsi come nella contemplazione di un’alba, si arriva alla linearità dell’incanto.
*
Raffaele Piazza

lunedì 8 luglio 2019

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Venerdì”
Il tuo chiaro riprendere tenaglie
ed il rorido scrigno della pelle,
fra piede e piede, fra dita e dita,
ha svagate passioni di archi tesi.
Tutto è silenzio intorno e nel terrazzo
il mugolio delle schegge sempre eguale.
All’orizzonte scruto
lo stupore della tua gioia galleggiante,
rosa gazzella nel discreto segno,
nel regno ormai lontano degli affreschi
del tuo fianco tiranno aperto alle delizie.
Clausura di fobie la censura corrosa di persiane.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

domenica 7 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = PIERANGELA ROSSI

Pierangela Rossi – La ragazza di giada--- puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 81 - € 12,00

Pierangela Rossi (Gallarate 1956) vive a Milano, dove svolge attività di critica poetica per il quotidiano Avvenire. Ha pubblicato numerose raccolte e plaquette di poesia tra le quali Le avventure di un corpoanima (puntoacapo 2017).
La ragazza di giada è un poemetto suddiviso in due parti che presenta una prefazione di Gina Cafaro esauriente e ricca di acribia.
Da notare che la giada è una pietra dura, untuosa e calda al tatto di colore verde, presente in aggregati compatti.
Il riferimento della ragazza del titolo alla suddetta pietra ci fa preliminarmente intendere che il discorso qui è fondato sulla corporeità che è ovviamente alla base dell’esperienza e del pensiero.
Infatti come scrive la prefatrice il tema del libro è quello del tai chi, antica arte marziale cinese non offensiva nella quale molti trovano un’alternativa alla medicina occidentale.
Dice la Cafaro che Pierangela Rossi sceglie di modulare la voce sulle frequenze dell’incanto per raccontare il suo incontro con il tai chi.
Tutti i componimenti di eterogenea estensione iniziano con la lettera minuscola elemento che conferisce loro il senso di un’arcana provenienza.
Centrale il senso della fisicità e il tai chi stesso diviene una ragione di vita e una notevole fonte di salute, equilibrio e felicità come la poetessa esprime nei versi armonici, rarefatti e didascalici con i quali vuole fare conoscere ai lettori la magia del tai chi che per lei è davvero essenziale nella sua esistenza.
Alcune poesie sono composte da parti senza a capo e questa caratteristica le rende sottese ad una cosciente forma di sperimentazione nelle variazioni del ritmo e della musicalità.
Vengono detti i precetti della medicina cinese collegati al tai chi e il libro pare divenire un manuale teorico in versi.
La pratica di tale disciplina è collegata alle mistiche corporee quando si parla di alcuni esercizi fisici da fare a letto per poi pregare per fare sogni d’oro e d’argento, discorso ricco di fascino.
Il tono dei componimenti è del tutto narrativo e prosastico del tutto antilirico e anti elegiaco nella sua chiarezza e linearità e gli esercizi citati sono simili a quelli dello yoga.
Si tratta di una finalizzazione al benessere psicofisico per accedere all’incanto della poesia come già la Rossi aveva cercato per altre vie nella sua raccolta precedente Le avventure di un corpoanima.
Si avverte la presenza della dimensione ontologica quando il punto di partenza è dichiaratamente il corpo.
Scrive l’autrice che il tai chi contrasta la senescenza pari a una buona notte di sonno, un’alba gustata, un bicchiere d’acqua d’estate, un’amica rivista dopo lungo tempo, l’amore ben riposto, vedere i figli sereni, i nipotini se ci sono.
Il tai chi sembra avere poteri sorprendenti e il discorso su di esso si armonizza e fonde con quello sulla poesia come se i due ambiti fossero tout-court in continuum.
Poesia e tai chi sono due sfere entrambe portatrici di grandi benefici per la salvezza nella vita per un migliore contatto con le cose, la natura e sé stessi.
*
Raffaele Piazza

venerdì 5 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = CLAUDIA MANUELA TURCO / BRINA MAURER

CLAUDIA MANUELA TURCO / BRINA MAURER, Il Centauro malato – Poesie 1998-2010, Robin Edizioni, 2018, pp. 264, euro 15,00

Il Centauro malato di Claudia Manuela Turco, alias Brina Maurer (pseudonimo che fa riferimento al nome della protagonista dell’omonimo romanzo pubblicato nel 2005 dalla Bastogi) rappresenta quasi la sua “opera omnia”. Nel volume, infatti, sono state accorpate opere sia edite che inedite, una produzione che va da 1998 al 2010 con una ricorrente e sistematica indicazione delle date. L’autrice ha apportato solo piccole modifiche all’interno dei testi, invece ha purtroppo distrutto molto del materiale da lei scritto nell’arco degli anni, ma la sua produzione resta sempre vasta e corposa e spazia dalla poetica alla narrativa, dal genere biografico alla critica ecc. Il proposito di mettere insieme le varie raccolte poetiche (eccetto le ultime pubblicazioni: Architectures Three-dimensional Poems – 2013 e Neraneve e i sette cani – 2018) dando una collocazione definitiva alle liriche, assemblate poi in un unico volume, ha preso corpo nel 2016. Quello contenuto nelle pagine de Il Centauro malato risulta un messaggio forte che, fin dal titolo, comunica tutta la profonda essenza di un travaglio interiore non indifferente. Il Centauro, nella condizione sfavorevole di una qualsivoglia “malattia”, lancia “frecce di luce”, proiettando ogni sua angoscia, disagio, rabbia verso un obiettivo di conquista e fiducia. La traiettoria della versificazione si libra con uno slancio di fervore pronto a superare gli ostacoli fino al raggiungimento della felicità, cioè al trionfo finale che sarà così pieno di letizia, tanto “da poter considerare / addirittura una nostra amica / la malattia” da “In ritardo ma non troppo tardi” (p. 247). In questo testo viene evocata la parabola del dolore, dell’incomprensione e della rinascita attraverso la forza di un sincero legame che nulla chiede, anzi la stessa disabilità che accomuna la bambina al vecchio cane Glenn, riesce a farli vivere in simbiosi e renderli veramente felici. I versi ricalcano la storia di Glenn amatissimo scritta dalla Turco in un più ampio contesto culturale riguardante gli animali.
Risalta, comunque, in tutti gli scritti di Brina Maurer, l’amore verso i cani descritto come un sentimento puro e genuino, che riesce a compensare la cattiveria dei propri simili, così come la benevolenza e la disponibilità verso i meno fortunati. Infatti, sono “Costanti della sua poetica: il voler dar Voce a chi la cui Vita non gli appartiene, l’umanità degli animali, l’animalità dell’uomo, la dimensione di solitudine e malattia cui è condannato il diverso” e, in senso lato, esse diventano la molla che le consente di esprimere a pieno la sua sensibilità d’animo.
Una scrittura originale e creativa, quella di Claudia Manuela Turco, che spazia dalle “riflessioni” della prima silloge del 1999 – quasi delle massime – alle “geometriche” composizioni di grande bellezza descrittiva di “Citazioni” sottolineate dalle frasi di autori e artisti celebri, fino allo sfogo presente in “Dardi avvelenati” (poesie, come le precedenti, scritte nel 1999) e continua con lo stesso multiforme ritmo nelle successive stesure, con l’avvicendamento di liriche di pregevole fattura nelle quali l’espressività si fonde con il forte pathos che le determina.
Ella afferma: “La poesia è schegge di vetro impazzito nelle mie mani” (p. 9) confermando l’impulso vitale che emana dalla spontaneità folgorante dei suoi versi, ma soprattutto la proiezione di uno stato d’animo che mira a riscattare chi è più debole e indifeso. Come si legge in quarta di copertina: “Il percorso delineato dalla poetessa suggella il trionfo della bellezza sul dolore, a fronte di un’intera vita dedicata con passione allo studio e ai cani, i quali, più di ogni altro e sin dai suoi primi passi, hanno saputo instillarle l’amore profondo per la poesia, poiché “Nel cuore dei cani / alberga l’anima di poeti estinti”.
Un excursus letterario che diventa quasi un diario dove si fondono immagini negative e positive fino alla riscoperta dei valori più alti, quali l’amicizia, la solidarietà e la condivisione proiettati verso la realizzazione di un’umanità consapevole.

Carmela Tuccari

in “Il Convivio”, n. 76, Gennaio-Marzo 2019, pp. 78-7

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


"Alessia e l’anello di platino"

Affilata mano di Alessia
con al dito di platino l’anello
pegno d’amore di Giovanni
per la vita. Lo guarda Alessia
nella metallica prealbare
luce e s’illumina al risveglio
nel sorridere alla vita come
una donna (16 anni contati
come semi). E con la domestica
pianta love continua l’incanto
e Alessia non ha paura.
*

"Alessia sorpresa dall’estiva acquata"

Mercoledì di Alessia d’intensa
meraviglia nell’interanimarsi
nella profondità della casa con
la pianta love dono di Giovanni
e Alessia ragazza si chiede se è felice.
Poi esce Alessia sorpresa dall’acquata
e non paura del nulla a circondarla.
Per il bambino del futuro una culla
sorgiva ha preparato con infinità
d’amore ricambiato.
*

"Attesa dell’incontro di Alessia"

Sottesa a verdi infiniti
spazi di alberate al Parco
Virgiliano nella polita mente
come la lastra evanescente
dell’azzurrità del cielo su Napoli
che sale e sta infinitamente
attende Alessia di stasera
con Veronica l’incontro
alla Pizzeria Celestiale
per parlargli di lui nel mettere
nei cassetti le parole Alessia
prima di dirle inventario
nel pensiero e smania
che il tempo passi
tra i sassi sgretolati dall’attesa
dal sale del Mediterraneo mare..
*

"Alessia sente il fresco"

Poi nel bosco di Capodimonte
nei pressi dell’Osservatorio
dove Alessia è andata
un anno fa con lui
entrano in scena della sera
le stelle e se ne fa serra l’anima
di ragazza Alessia nel
cominciamento del fresco
propizio all’amore tra le
centenarie piante un sollievo
dal solleone mentre si spoglia
Alessia tra delle foglie
il leggero stormire.
*

"Luglio di Alessia"

Poi tolta dal limbo del sonno
vede l’azzurrità ragazza Alessia
e ne è pervasa nel giungerne
all’anima la tinta e sorride
Alessia dell’enigma del sogno.
E il telefonino squilla nel torrido
caldo (è lui è lui è lui) a dirle
di farsi bella per l’amore a casa
di Alessia (in viaggio i genitori).
Trasale Alessia e sotto di nero
si veste nell’aurorale
forza dell’attesa.
Poi innaffia la vita delle piante.
*
Raffaele Piazza

giovedì 4 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = LORENZO PICCIRILLO -

Lorenzo Piccirillo – L’erpice e la zolla--- Ibiskos – Ulivieri – Empoli (FI) – 2009 – pag. 39 - € 12,00

L’erpice e la zolla, la raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede, opera vincitrice del Premio Astrolabio, presenta una prefazione di Enzo Di Rienzo puntuale e di rara acutezza.
Si tratta di un libro non scandito.
Cifra essenziale della poetica espressa da Lorenzo in questo testo è quella di una forte e magistrale icasticità dei dettati.
Il versificare procede per accensioni e spegnimenti fulminei e come scrive il prefatore il Nostro con questi versi ci chiede di planare, senza presumere un atterraggio di fortuna, ad ali spiegate di sorvolare con la spinta dell’apprendimento veloce e immediato.
Poesia dunque come esercizio di conoscenza connotata da una matrice del tutto antilirica e anti elegiaca.
Il poiein è intellettualistico nella sua visionarietà che dipanandosi in strutture vagamente anarchiche raggiunge esiti alti ed effetti efficacemente spiazzanti veloci e di una metallica luminosità.
Nel componimento eponimo il poeta si rivolge ad un tu nell’incipit, figura della quale ogni riferimento resta taciuto.
Si tratta di un tu presumibilmente femminile al quale, con sintagmi criptici, dice di non voler sapere se con il suo funesto augurio ha centrato il bersaglio.
I versi hanno il dono de turbamento e il poeta con una parola detta con urgenza produce una materia carica di vaghezza e magia quando afferma di ritrovarsi con le redini nella mano ma che i buoi sono davanti al carro crudeli e granitici.
Senza dubbio le immagini prodotte da Piccirillo sono nel loro innegabile fascino connotate da una vena surreale e simbolica ragione per la quale le cose divengono correlativi oggettivi con una forte dose d’ipersegno.
Il poeta con questa poesia ambientata in un contesto agreste con una grande forza metaforica si riferisce all’erpice che è una macchina agricola per la frantumazione delle zolle e lo spianamento del terreno, erpice stesso che potrebbe diventare la penna con la quale il poeta stesso scrive.
Rispetto a quanto suddetto viene in mente il poeta Nobel Seamus Heaney con la sua penna con la quale scrive scavando nel terreno.
Una vena d’inquietudine connota il versificare di Lorenzo che presenta luci e ombre kafkiane come quando, ad esempio, dice alla sua lei che si dovrà servire del mastice rancido incastrato sotto le unghie residuo di un ultimo graffio tatuato con un addio silente.
Serpeggia ovunque nella raccolta una drammaticità controllata innestata in una struttura originalissima.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUCIANO NERI

Luciano Neri : “Discorso a due” – Ed. L’arcolaio – 2019 – pagg. 118 . € 10,00
Qualche volta il poeta entra in punta di piedi per non destare interesse fra gli astanti e sussurra tra le labbra qualche suo verso , nel timore che la poesia non vada in armonia con i riflessi del silenzio e dell’illusione. Ed è così che Luciano Neri , tra le virgolette , ci dice che “ prima di entrare subito non ho parlato/ non ho parlato neanche dopo/ e neppure alla fine e dopo ancora/ si intravedeva un paesaggio spianato…” in un chiarore di ombre che riportano alla memoria colori e figure, per le quali anche l’amore diviene un sogno che “non è di questa terra”. I ricordi si avvicendano numerosi tra pagine scaturite dall’impegno culturale di notevole spessore, tra un dettato armonioso e un serpeggiare di versi che cercano costantemente la storia capace di rendere il linguaggio fresco e discorsivo, per realizzare il vitalismo che contraddistingue l’abbandono alla musica. I capitoli scorrono : “Fino al respiro dell’altro affamato”, “Chi parla”, “Fantasmi”, “Gli amanti sono forme” , “Fuori copione”, ben distinti nelle loro tessiture, ma coesi nelle pregevoli cuciture che il discorso poetico impone, nella fusione della semplicità e del vigore di un riscatto morale e concettuale.
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Il capriccio”
Da morto a morto scambiate le armature
bestemmiammo alla guerra,
futilità di minuzie in attesa di speranze.
Delitti immaginati per scoprire
quali fossero i veri nemici della poesia
in questa rovente prepotenza di anarchia.
Ai margini della solitudine si sfianca l’oro del cielo
e affogo senza pietà nella tua vigna
umida e attaccaticcia di secreti.
Nel suggere la chiocciola
ho ancora sulla lingua l’acre selezione
della tua scheggia, e negli orecchi
il capriccio verbale che ti piacque scandire.
Un rullio di ricordi comprime le incertezze
del buio.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

L’evento poesia-
L’evento poesia difficilmente viene recepito come istante filosofico, emergenza della intenzionalità di provocazione, il cui linguaggio vale come forza dirompente tra relazioni ed imprevisto della quotidianità. Molti giovani credono di aver conquistato la scrittura nel momento in cui ingenuamente, troppo spesso, si adagiano nel soffice continuum del vuoto, lontani da quel bagaglio di conoscenze che arricchisce le esperienze delle precedenti ricerche. Nel mentre l’evento poesia è proprio il farsi parola dell’esperienza della realtà, nella autenticità della percezione, quando l’alchimia del segno si palesa in tutta la sua veridicità, evitando l’oppio che annebbia l’immagine. L’ideale etico diviene allora espressione della genuina visibilità, come sintesi di quella espressione che rende autentico ogni assalto del sub conscio.
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 2 luglio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIORGIO MOIO

GIORGIO MOIO : "Da Documento sud a oltranza" - Ed. Oedipus - 2019 - pagg.198 - € 16,50 .
" Che Napoli sia stato il centro di un lungo dibattito di cultura sperimentale, già a partire dagli anni '60 è argomento sin troppo noto". - scrive Giorgio in prima pagina- e con una certosina capacità di selezione e di meticolosa ricerca avvia uno studio preciso e culturalmente elevato intorno a quelle riviste che nate negli ormai lontani decenni dello scorso secolo hanno segnato un momento indelebile , preciso , fondamentale nella storia della letteratura. Il primo numero di "Documento-sud" esce nell'ottobre del 1959 e tenta di superare quei vuoti che si manifestavano nel territorio artistico e letterario, particolarmente nel Sud. Immediatamente dopo il "racconto" dell'avventura di questa prima rivista la rassegna si sviluppa nelle pagine andando incontro alle pubblicazioni di "Uomini e idee" di Corrado Piancastelli, "Continuum" con Luciano Caruso , Stelio M. Martini, Mario Persico,"Altri termini" dell'indimenticabile Franco Cavallo, "Colibrì" come quaderni bimestrali supplementi di "Altri termini, "ES" fondata da Sergio Lambiase e Gian Battista Nazzaro, che propongono il ripescaggio di poeti e scrittori delle avanguardie storiche del primo Novecento italiano, "Terra del fuoco", diretta da Carmine Lubrano, "Prospetti culturali" fondata e diretta da Antonio Spagnuolo , che accoglie scritti di Mario Pomilio , Domenco Rea, Ugo Piscopo , "Incognita" con Gian Carlo Maiorino, sino ad alcune riviste che nate negli anni novanta non riescono a sopravvivere vuoi per le difficoltà economiche incombenti vuoi per la strana immaturità di alcune "primedonne" che si aggiudicano qualche vacuità - La rassegna si chiude con una sguardo per "La parola abitata" di Enrico Fagnano, Franco Ceravolo e Marco Longo , "Pragma" diretta da Nando Vitali, "Il rosso e il nero" diretta da Edoardo Sant'Elia , "Oltranza", diretta da Ciro Vitiello. Il volume che Giorgio Moio offre è senza alcun dubbio un prezioso viatico per una messa a punto di alcuni momenti determinanti della poesia contemporanea , ed un agile panorama di quella realtà che vide in campo scrittori come Mariano Baino, Franco Capasso, Luciano Caruso,Carlo Felice Colucci, Franco Cavallo , Luigi Incoronato, Raffaele Perrotta, Anna Santoro, Michele Sovente e molti altri.
ANTONIO SPAGNUOLO -