lunedì 30 settembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = VITALIANO ANGELINI

VITALIANO ANGELINI, “IL FILO PERDUTO DI ARIANNA” - Edizioni Helicon, Arezzo -
2019 – pp. 92 – euro 10.
Vitaliano Angelini, classe 1942 (data che trascriviamo senza ambasce dato l’aspetto
giovanilmente dandy della sua figura), è artista notevolmente affermato nell’ambito
delle arti figurative – pittura, incisione - da numerosi decenni, ed è comunque da
sempre attivo, sin dagli anni delle sue prime esperienze, in quanto intellettuale.
Come dunque è capitato a tanti che da un ambito particolare e mirato hanno
ampliato il loro sguardo verso altri territori e linguaggi, l’arco dei suoi interessi si è
esteso alla letteratura e in un modo che l’ha direttamente coinvolto alla poesia.
D’altra parte la letteratura è stata il correlativo oggettivo di un processo formativo
realizzatosi in un istituto prestigioso, la Scuola del Libro di Urbino, ai tempi del suo
massimo fulgore quando tra gli insegnanti si annoveravano Leonardo Castellani,
Dante Panni, Renato Bruscaglia, Giorgio Bompadre, Carlo Ceci e le funzioni della
dirigenza erano rette da Francesco Carnevali, anche lui, come del resto Castellani,
impegnato come usa o usava dire “in utroque” cioè a dire in due campi, arti
plastiche e narrativa.
Ora, di Angelini, è appena uscito un libro di poesie, “Il filo perduto di Arianna” per le
Edizioni Helicon e con introduzione di Paolo Rocco, ma non è questa la prima volta
che il nostro si cimenta con l’impegno dei versi. Nei quali, da artista figurativo, viene
inevitabilmente a trasporsi un bagaglio di immagini e figurazioni che appartengono
al suo universo espressivo, ma dove vanno anche a rastremarsi segmenti e tratteggi
per qualche parte geometrizzanti e dunque ben percepibili in questa ottica, per altra
parte vagamente astratti o meglio astraenti da una realtà misurabile e riconoscibile.
Non però sciolti da una referenza al concreto che diviene nondimeno a un certo
punto estensivamente mentale. Ed è questo uno dei tratti di arrivo di un lavoro di
scrittura, o di puntualizzazioni verbali per accenni e suggestioni, che va ascritto al
positivo dell’esperienza di Angelini, secondo una poetica e una pratica che da
emozionale e fantastica diviene formale e in questo senso ben trascende una
tensione memoriale che fatalmente riposa al fondo dei versi dei quali è alla fine
l’inevadibile appoggiatura.
Rilevanti in questo processo sono i grappoli tematici che compaiono nei testi:
l’affacciarsi di questioni e concetti ora resi con sobrietà e appena appena accennati,
appena pennellati, ora al contrario volti in enunciazioni essenziali, sgrovigliati dalle
strettoie del richiamo all’esterno e dunque, sul piano espressivo, resi quasi icastici
dall’assenza dell’articolo, in una ancora ritornante sopravvenienza di conati di
poesia pura o ermetizzante, che però qui ne “Il filo perduto di Arianna” va a
compitarsi sotto l’egida di una tensione che coniuga il giudizio con la storia, il
naturale o l’immediato con qualcosa che aspiri a una rilevanza di pensiero, di
prospettiva culturale e morale.
Il bello o comunque il positivo di questi versi in ciò che appare la loro impalcatura
profonda è che essi cedano in più di un tratto a un disegno dentro cui la ricerca
formale si orienta verso una unità e semplicità del moto espressivo, con cadenze e
ritmi, dati dall’alternarsi di luci e ombre, tenuti sulla lunghezza delle strofe, delle
intere composizioni e a volte di lacerti di versi. Tanto quanto si ascolta nella lirica in
explicit, “Di luce si colora l’aria”, dove si espandono immagini colorate lievi e
malinconiose, o meglio esse vengono enunciate fondando il senso sull’intuizione,
sulla sensazione o anche a volte sulle contingenze della vita e della propria
esperienza.
Questo nei presentimenti del colore e degli aloni che la scrittura trasporta nel
proprio incedere. Ciò che è al tempo stesso stato d’animo ed esperienza fattiva,
cultura e vibrazione misteriosa, penombra e stato intermedio o d’attesa. Un “niente
senza parole” scrive il nostro, che è però già in sé qualcosa, e dove va a collocarsi
l’origine (“qualcosa come l’universo”) e trova anche origine la poesia di Angelini.
GUALTIERO DE SANTI

SEGNALAZIONE VOLUMI = SILVIA CECCHI

SILVIA CECCHI: “STAGIONI” – Quaderni di Vivarte, Urbino (dicembre 2018) – disegni
di Oliviero Gessaroli – pp. 31 – s. i. p.
Un Almanacco delle Stagioni, tanto più se corredato da illustrazioni visive, potrebbe
apparire un’espressione piena in grado di dipingere al naturale gli impasti corposi
dell’universo e dell’ambiente. Un’arte conforme a un’orchestrazione luminosa dei
colori come a valori apprezzati e noti della nostra tradizione, musicale tanto quanto
poetica e insieme figurativa. Negli ultimi due secoli ma ancora avanti, a muovere
dalla prima modernità, si è però addivenuti a un paesaggismo psicologico magari
privato e familiare, capace di esprimere un’idea di bellezza.
Nel caso di Silvia Cecchi e della sua musicale e ben modulata plaquette che appunto
prospetta il titolo di “Stagioni” (con un richiamo sempre pressante ai disegni di
Oliviero Gessaroli con i quali interagisce), non ci si immette in alcuna poetica
realistica e descrittiva, dunque non siamo al primo esempio che s’è sopra indicato.
Ma semmai, tracce esteriori (ad es. il ritorno a una vecchia casa di campagna con la
madia e la tazza di terraglia bianca, il gelsomino ormai inaridito nel portico, le cose
insomma perdute) e soprattutto quel tessuto di trasalimenti e visioni che si
sviluppano su un sottofondo coscienziale, conducono verso evenienze di
sostanziale identificazione tra quel correre del tempo e della natura e il frangersi
ma anche il riformularsi dei sentimenti.
Il corrispettivo non è dunque la perdita della realtà, e neppure l’oblio delle cose. Al
contrario ci si trasporta alle soglie di una rappresentazione interiore e mentale, del
resto rilevata dall’autrice in una breve nota introduttiva. “Non stagioni in versi”,
scrive; neanche proiezioni che profumino di lavanda con belle e correnti figure. Ma
all’opposto, nei riflessi accordati dalla scrittura, il tempo che sfuma il proprio
confine e questo che si accorda a una “festa del sentire” dalla quale viene esclusa
l’astrazione ma insieme ogni cronaca esterna.
Il “diario” personale e lirico che sviluppano i versi, pur sempre inclini a un’immagine
di interezza, alterna infatti le luci alle ombre, la larghezza delle percezioni al senso di
pericolo, o almeno di precarietà, che è appannaggio delle opere moderne – e del
resto lo sguardo offerto dai disegni di Oliviero Gessaroli (pittore e incisore urbinate
di buon valsente, nel mentre che la Cecchi è pesarese) con quella loro originalissima
morfologia di lettere in libertà, o all’opposto di lettere incastonate nella tavola, non
consente nessuna elaborazione sul piano descrittivo. Tuttochè poi i testi di Silvia
Cecchi non siano le illustrazioni delle immagini né quest’ultime lo siano in alcuna
maniera dei versi.
Infine, in Cecchi come in Gessaroli, un qualcerto spirito del mondo supporta le
filigrane esistenziali e morali in un sistema espressivo che entra dentro le cose, le
visibili come le invisibili, le intellettuali all’uguale stregua delle esistenziali. Non
l’eterno viene rivendicato nei versi ma invece una relazione intima, e anche
sensuosa e viva, con le cose daccanto e con gli interlocutori (il tu cui ci si riferisce
nelle liriche, i lettori e i riguardanti delle Figure in libertà), tutti egualmente accolti in
un proprio respiro.
Mai però i versi – e neppure le immagini, ancorché si presentino in una forma più
stilizzata – si chiudono in alcuna autoreferenzialità e meno ancora in una
quintessenziata sostanza, laddove invece manifestano vicinanza e accoglimento. E
se la soggettività, quella dell’io-autore, dell’io che conduce il dettato poetico e la
voce, si estende verso l’interiorità, la forma cui si volge è stare in un mondo di
relazioni interpersonali (secondo si conviene a composizioni che non si chiudono in
una loro unità e che sintomaticamente mai presentano un’interpunzione
conclusiva). Il discorso permane in definitiva aperto, sempre trasportato da quello
slancio vitale che generano l’azione poetica e la forza dell’espressione.
Va infine precisato in chiusura: le 15 composizioni che compaiono in “Stagioni” di
Silvia Cecchi e le 6 Tavole in libertà di Oliviero Gessaroli sono impresse e raccolte in
un Quaderno della rivista urbinate “Vivarte” (dicembre 2018).
GUALTIERO DE SANTI

venerdì 27 settembre 2019

POESIA = DOMENICO CIPRIANO

DOMENICO CIPRIANO – 3 POESIE DA
“L’ORIGINE” (L’Arcolaio, 2017)
*
(per Maria Teresa)
Ti invito a pensare al microcosmo degli eventi
come induzione della vita
e se l’estensione svilisce
reclamane la forma nelle tue azioni giornaliere
e il taglio netto dello sguardo sulle cose.
Hai mura spesse
che ti vincono e proteggono,
tutti i sogni ciclostilati in questi oggetti
(dalle giunture perfette) sbiadiscono
se arrendi i tuoi pensieri e le parole.
Sei noi
scaraventati dal temporale,
la grandine che ha reso i suoi fregi alle piante
e spezzato i fiori.
Cerca – nell’acqua fragile – l’amicizia del sole.
*
La memoria è un cuscino ardente
su cui non si riposa il corpo. Né la mente
sancisce patti di resa
davanti a nuovi accadimenti.
C’è un giorno da cui non possiamo separarci.
Così
fremiti angoscianti seguono ancora e altrove
˗ in altra veste ˗
raschiando la grazia celestiale
da questo grumo sedimentato del cosmo.
Ed eravamo astri lucenti senza voce
a riprenderci la vita, le carezze per chi sarebbe venuto
a consolarci.
(Avellino, 17 novembre 2015)
*
Si accetta la vita ricevendo il latte
e il gesto si rinnova coi pellegrini di ogni tempo
oggi con altri volti
ma con stessi tormenti e stenti di resurrezione.
Non si scordano le rose
a essere distanti giorni dalla propria lingua
se la gente accoglie ripara e nutre.
Tutte le forme e i colori
hanno valore. Il bianco che scorre dal seno nudo
mostra che non c’è vergogna e clamore nell’eternità.
Di ogni gesto di delicatezza o gemito
scegliamo la grazia per ricondurci al mondo.
*
DOMENICO CIPRIANO
*
NOTIZIA
Domenico Cipriano. È nato nel 1970 a Guardia Lombardi (AV), vive e lavora in Irpinia.
Già vincitore, per la poesia inedita, del premio Lerici-Pea 1999, ha pubblicato la raccolta
Il continente perso (Fermenti, Roma, 2000, 2° ed. 2001 – prefazione di Plinio Perilli e
nota del musicista Paolo Fresu) vincitrice del premio Camaiore proposta e segnalata al
Premio Montale. Nel 2010 pubblica Novembre (Transeuropa, Massa, 2010 – prefazione
di Antonio La Penna) libro nella rosa finalista del premio Viareggio-Répaci 2011, riedito
in edizione bilingue con il titolo di November (Gradiva Publications, New York, 2015 –
a cura di Barbara Carle, foto artistica di Eric Toccaceli). Segue Il centro del mondo
(Transeuropa, ivi, 2014 – postfazione di Maurizio Cucchi) premio Giuseppe Pisano,
premio speciale Città di Sant’Anastasia e segnalazione ai premi Pascoli, Frascati,
Camaiore. A fine 2017 è stata pubblicata la raccolta L’Origine (L’arcolaio, Forlì, 2017)
che inaugura la “Collana ɸ”. È in uscita un’antologica delle sue poesie per i 20 anni dalla prima pubblicazione. Ha collaborato con vari artisti, si ricordano gli attori: Alessandro Haber e Sergio Rubini. Ha realizzato il CD di jazz e poesia JPband: Le note richiamano versi (Abeatrecords, Olona, 2004) e guida la formazione di musica e poesia “e.Versi jazzpoetry”. Ha realizzato i testi di #Hirpiniafelix “Pecore, zappa, scalpello e computer” a cura del Festival internazionale di media art FlussiTalk Rurality 2.0, video-performance
presentata a EXPO 2015. Presente con interventi e poesia in riviste e antologie. E' redattore della rivista “Sinestesie”. Da oltre 20 anni propone in Irpinia incontri per la diffusione e la conoscenza della poesia contemporanea.

mercoledì 25 settembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALBERTO BERTONI

Alberto Bertoni: “Poesia italiana dal Novecento a oggi” – Ed. Marietti – 2019 – pagg. 232 - € 20,00
Tentare una mappatura della poesia contemporanea è impresa pressoché impossibile oggi che il popolo dei poeti, o dei presunti tali, è in continuo aumento ed in perpetuo vano fermento. Alberto Bertoni, professore ordinario di Letteratura italiana all’università di Bologna, riesce invece ad offrire uno spaccato a ventaglio del panorama attuale nella limpida e severa visione che si apre alla sua interpretazione di studioso e di impegnato addetto ai lavori. Una scrittura compatta e qualitativamente elevata incide nel tempo e negli spazi che si organizzano in questo alternarsi di voci e di presenze che hanno ricamato pagine e pagine intorno all’atto caleidoscopico della parola.
Dalla linguistica alla metrica il testo fiorisce nei suo incantamenti, tra i passaggi dell’oralità all’incanto del verso, per quell’esercizio che avviene in apparenze di un valore che riesca a produrre energie creative. Le pagine si inseguono “fra metro e ritmo” , “la metrica e la musica”, “ai confini del verso” nella ricerca con la quale si colloca il vivo della identificazione originale. Il pensiero allora sofferma la sua indagine nel capitolo “Poesia e non poesia” partendo dalla consapevolezza che un Leopardi riuscì a incidere la “tenace necessità di vita scaturita da un mondo interiore, malgrado e dopo la caduta di ogni sistema teologico e metafisico”. Realizzando a ripresa il racconto di Croce Bertoni conduce il suo discorso nell’intreccio tra realtà e non realtà, in un concreto apporto di notizie che rendono la lettura di queste pagine particolarmente coinvolgente.
I capitoli si susseguono dalla “poesia lirica” di Pascoli, Carducci, D’Annunzio a Saba, a Marinetti, a Ungaretti e Montale, per giungere al tentativo di una “Mappa nel novecento e oltre”, iniziando da Quasimodo e immergersi nell’ermetismo, fenomeno tipicamente italiano, e nella varianti con Mario Luzi, Piero Bigongiari, Alfonso Gatto, Diego Valeri.
I poeti sono presenti serrati nelle vicende che vanno dalla cultura fascista al dopoguerra ricco di sorprese: Giudici e Zanzotto, Pasolini e Rosselli, il Verri e la neoavanguardia, Nanni Balestrini, Adriano Spatola e la linea sperimentale. Il paradigma infine si amplifica e si avvicendano i nuovi epigoni da Giovanni Raboni a Giampiero Neri, da Majorino alla Merini, da Mussapi e De Angeli in una girandola vertiginosa che vede apparire i testi dei nati tra gli anni 40 ed oltre. Purtroppo le “assenze” sono numerose, oserei dire molte. Forse perché gli approfondimenti non sono perseguibili con la necessaria indagine quotidiana. Così se Bertoni avesse soltanto sfogliato il volume “L’evoluzione delle forme poetiche” (a cura di Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo- Edito da Kairòs) avrebbe incontrato i nomi di Eugenio Lucrezi , Raffaele Urraro, Corrado Calabrò, o se avesse letto il libro di Giorgio Moio “Da Documento Sud a Oltranza” (edito da Oedipus) avrebbe intercettato Franco Capasso, Franco Cavallo e Felice Piemontese, nomi di spicco nella poesia sperimentale degli anni 70, o se avesse soffermato attenzione alle pagine di Carlangelo Mauro “Liberi di dire” (Biblioteca di Sinestesie) avrebbe avuto l’opportunità di approfondire i testi del sottoscritto o di Mario Fresa, ed ancora se avesse indagato nella collana “SUD-i poeti” curata da Bonifacio Vincenzi per le edizioni Macabor avrebbe potuto spendere una parola per Rocco Scotellaro, Raffaele Carrieri, Giammario Sgatoni. Le illusioni che la poesia ricama sono infinite e turbinosamente trasportano il poeta verso quella luminosità che acceca a volte e stordisce, nella meravigliosa attesa di giungere infine al “Parnaso”.
Alberto Bertoni chiude il suo lavoro con il capitolo “Poesia 2.0” (domande e risposte sul futuro), per interpretare con il risvolto della critica militante quale potrà essere la “lirica” dopo le ultime svolte di ricerca e di scrittura. Un panorama sociologico e linguistico si propone proliferando in rete , attraversando il computer in tutte le sue possibili evoluzioni acrobatiche, e senza alcun freno di cernita sembra esplodere in uno spettacolare arcobaleno. Egli scrive: “La conclusione è che è molto più facile, emotivo e forse conveniente scrivere poesia che leggerla. E i moltissimi che di poesia continuano ad ave bisogno per provare a vivere meglio, a dialogare meglio con se stessi e con gli altri, a provare a seguire virtù e conoscenza invece che edonismo e distrazione, finiscono troppo spesso per adeguarsi a questa tendenza ormai diffusa. Ma la poesia rimane viva, nonostante tutto, e disposta a sperimentare forme sempre nuove di espressione e di contaminazione.”
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 24 settembre 2019

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Ripetere”
Il flusso di ogni istante mi avviluppa
nel guizzo delle strane utopie corrotte,
e si ripete il segno della inutile armonia
che copre senza tregua i rigurgiti
del passato.
Sono le storie interrotte della ripetizione
capaci di brandelli e di fermenti,
di contorni a colori per l’improvvisa illusione.
Ricostruire o inventare l’abbandono
senza una traccia da tramandare al sogno,
cercando di ripetere il tremore
che attraversava spazi e arcobaleni.
Avremo successioni se crediamo
ancora una volta nel tempo che ci stringe,
cercando il sasso levigato dalle acque
del ruscello nel solco.
*



"Onde"

Per incredibili rime l’attacco alla deriva
è un tocco da disperdere,
sforma il destino la veglia che rende tutto diverso.
L’impazienza ha stazioni di rivolta
e l’accusa ha la sua luce forsennata.
Vorrei inseguire l’onda che riflette
ogni tentennamento, ogni sospiro
che il verso attinge
dalle meningi infocate per il sole.
Nulla corregge l’incerto spumeggiare
ed avvolgo memorie senza incanti
per dissolvere un segmento dolce
capace di ripetere incoscienze.
Vorrei tornare ragazzo impertinente
fra cuscini e trapunte da sfilare
nel lampo dei colori
e le labbra socchiuse dell’amante.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


"Si affida Alessia al sentiero"

Dà la mano a Dio Alessia
la sua sottile in quella forte
e calda di Lui. Non ha paura
Alessia nell’incamminarsi
nel fiume azzurro di Cielo
che porta alla villa di Mirta
e crede Alessia anche
nell’amuleto in attesa di
entrare nel letto di Mirta
a riposare. L’accoglierà
di Mirta la madre anima felice
e tranquillizzerà Alessia
tra i latrati spontanei di Frida.
*

"Alessia sulle ali del sogno"

Nel panneggiare di ali di angeli
e delle tende della camera
librata ragazza Alessia sulle ali
del sogno soave da tenere segreto.
Il presente ha l’afrore della
rigenerazione e vede Alessia
Mirta portare ceste di fortuna.
Al maneggio l’ostacolo lo salta
del cavallo il bianco e non Alessia
che l’ha messo in posizione.
Poi viene il tempo prima della felicità.
*

"Alessia balla il flamenco"

Dopo la vertigine del cielo
così azzurro da turbare il corpo
si distende Alessia prima
dello spettacolo. Vestita
per la festa della danza
bellissima gli amici saluta,
il poeta e l’avvocato.
Poi sotto la luce di settembre
balla Alessia con le altre
e del pubblico si dimentica
nerovestita dove ha danzato
Mirta e poi va nello
spogliatoio dell’anima.
*

"Alessia e la bella giornata"

Si distende immensa l’azzurrità
a vestire Alessia nell’incanto
occhi azzurri e capelli biondi
dono di natura e il tempo passa.
Felice Alessia per il sole
nell’iridarsi dell’anima e ieri
ha fatto l’amore con Giovanni.
Vitrea aria di settembre mentre
la benedizione del coraggio
Alessia nella gioia invade
e sta infinitamente e non ha
paura Alessia nel sostare
con la mente verde nella
villa di Mirta nel ripetere
la visita oltre le parole.
*
Raffaele Piazza

lunedì 23 settembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

Raffaele Piazza, "Alessia e Mirta" , Ibiskos Ulivieri, Empoli, 2019 -

- IL CORAGGIO DELLE EMOZIONI -

La poesia di Raffaele Piazza ha il coraggio delle emozioni. Questa raccolta è centrata su due figure
femminili. Della prima, Alessia, il poeta ci offre una sorta di canzoniere esistenziale trascinandoci,
passo dopo passo, dentro la vita , per molti versi misteriosa , di questa donna che diventa familiare
proprio nella condivisione progressiva di esperienze, situazioni, momenti di crescita, l’amore per il
suo uomo Giovanni, difficoltà, speranze. Piazza riesce ad equilibrare i registri di questo percorso che
ha anche il gusto della narrazione di una storia di formazione. Infatti i testi si susseguono come
immagini di un album di ricordi: non a caso lo stile è essenziale, fatto di annotazioni, di passaggi
diaristici. Ma dentro questo tono piano di stile narrativo si annida la sorpresa della poesia. Certo, fatta
anche di stilemi e termini evocativi, ma soprattutto costruita sull’impatto emotivo della risoluzione
dei versi. Dietro l’apparente semplicità del quadro si nasconde il mistero del verso, della poesia che
sa stupire rendendo unico ciò che è comune. A questo processo contribuisce un altro accorgimento
del poeta: la sua capacità di spiazzare il lettore con una sorta di sovrapposizione dei piani temporali.
Nella silloge, specie a proposito di “Alessia”, c’è uno sfasamento spazio-temporale che non permette
al lettore di stabilire un tempo-spazio preciso. Solo avanzando nella lettura si comprende il disegno
del poeta, che qui non sveleremo. Ci basti dire che qui la poesia gioca come un cannocchiale
rovesciato allontanando ciò che è vicino e avvicinando ciò che è lontano. In questo modo, il senso
della nostalgia che permea inevitabilmente i testi è come mitigato, in ogni caso reso più originale e
imprevedibile. La stessa cosa accade per il linguaggio che, come detto, ha un tono piano, vicino alla
prosa, diretto, che procede però per notazioni, salti, appunti che generano stati di sospensioni, di
attesa, che fissano lo sguardo del lettore sul nucleo poetico che l’autore voleva illuminare. Non solo,
Piazza sa individuare e persino forgiare un lessico inatteso che rende più mosso il testo: “azzurrità”,
“bellezza acquorea”, “selenica Alessia lucelunavestita”, “mistico prealbare licore” “attimi
rosapesca”, “cielo serico”… questi alcuni esempi che intarsiano il testo. E’ come se Piazza sentisse
il bisogno interiore di cogliere dietro l’apparente calma della sua descrizione il sussulto di un gesto
poetico, il fragore di una coloratura emotiva in maniera da restituire al lettore un’emozione che è
pittorica, ma soprattutto capace di dare il senso dell’istante attraversato dallo sguardo della poesia. Il
“racconto” poetico di Piazza sa così mescolare le carte e, come detto, spiazzare il lettore, facendolo
sentire ora distante ora come presente alla scena fissata sulla pagina. Resta il mistero di una vita
sfiorata, di una donna immaginata o reale, di un diario poetico a metà tra ricordo e voyerismo
letterario che rende il libro intrigante. L’altra protagonista della silloge è Mirta alla quale Raffaele
Piazza dedica un numero minore di poesie (8 contro 33). Ma non è figura meno importante.
Certamente è un personaggio diverso. Qui nostalgia, rimpianti, racconti assumono un tono più
spirituale, dolente, tragico. Mirta è una “ragazzina di 44/ anni dai molti amanti”, un’amica del poeta
immaginiamo che non ha retto alla durezza della vita, che la scelto il suicidio. E il poeta ci coinvolge
nel suo dolore, nel rammarico lirico, persino tratteggiato da toni elegiaci come per lenire il vuoto
della dipartita. Qui è il racconto dell’amicizia, dello sgomento dinnanzi ad un altro mistero, quello
della morte, che scuote il poeta. “Amicizia fiore raro hai ancor/ per me dall’oltrecielo ora che/non sei
più carne ma solo anima/ Il tuo suicidio mi turba…” Mirta è specchio scuro della poesia “donna dei
boschi e prigioniera/ del tuo film”, Mirta “resta nell’anima”, donna che col suo gesto ha spezzato il
cuore del poeta. Che, anche in questo caso, ha il coraggio delle sue emozioni.
Raffaele Piazza è quindi capace di accompagnarci, con questa silloge, nelle pieghe di storie di donne,
di rivitalizzare l’antico dualismo di amore e morte con la cura e la discrezione di un poeta attento e
misurato, capace di un linguaggio asciutto quanto ricco di colori, e bravo nel creare il necessario
spaesamento e straniamento letterario in grado di tenere a distanza i demoni della propria vita
interiore.
*
Stefano Vitale

domenica 22 settembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = CRISTINA ANNINO

Cristina Annino – Magnificat (poesie 1969-2009)-- Puntoacapo Editrice – Pasturana (Al)- 2019 – pag. 205 - € 18,00

Cristina Annino è nata ad Arezzo e vive e lavora a Roma. La poeta ha iniziato a scrivere fin dalla più verde età, suscitando precocissimi consensi da parte di poeti e critici, come Corrado Govoni e Giuseppe Ungaretti. Cristina Annino ha frequentato numerosi centri di aggregazione tra poeti, come i caffè letterari Pavskoski e il caffè San Marco, sede dei giovani del gruppo ’70. In quegli anni è entrata in contatto con Franco Fortini, Giovanni Raboni, Elio Pagliarani e altri. Come scrive Stefano Guglielmin nella prefazione, in un contesto in cui veniva elaborata una teoria critica intorno ai codici verbali e visivi che fosse conflittuale con la società tardo capitalistica, sfruttando tuttavia le risorse semantiche e iconiche, la Annino ha sempre attinto al proprio talento naturale, nelle pieghe di un vissuto portato alla luce, con la vanga o la piuma, strappato alle viscere o inciso nella pelle, con occhio disincantato e la mano ferma, indifferente al dibattito letterario, alle pratiche della militanza e ai compromessi con il potere editoriale. Il testo dell’Annino, che prendiamo in considerazione in questa sede, comprende poesie dell’autrice tratte da molte delle sue numerose raccolte: Non me lo dire non posso crederci (1969), Ritratto di un amico paziente (1977), Il cane dei miracoli (1980), L’udito cronico (1984), Madrid (1987), Gemello carnivoro (2002), Casa d’Aquila (2008), e Magnificat (2009). Come scrive Luca Benassi nella sua Nota del curatore, la scelta delle poesie ha cercato di rendere ragione del determinato clima di scrittura di ogni singolo libro, fornendo contemporaneamente al lettore una visione il più possibile unitaria sul percorso poetico complessivo della poetessa toscana, tragitto che, è stato segnato da varie tappe e mutamenti stilistici, formali e contenutistici della poetica dell’autrice. La produzione di Cristina Annino parte da una scrittura caratterizzata da un andamento narrativo, con immagini che molto spesso si sviluppano da occasioni della vita quotidiana: queste caratteristiche sono particolarmente evidenti nella raccolta Non me lo dire, non posso crederci, costituita da componimenti senza titolo, tutti numerati, quasi costituissero un poemetto. Il primo componimento di questo libro inizia con i versi:-“Accendere/ prendere una sigaretta,/ non approfittate della voglia di parlare/ che ho oggi/,,,”: sembrerebbe di intravedere una vena minimalistica in questi versi iniziali, nel gesto di accendere una sigaretta; poi la poeta parla della sua vena di parlare, che potrebbe essere il suo stesso desiderio di scrivere versi, di comunicare, elemento sotteso alla pratica della poesia: il dettato qui è del tutto antilirico ed è presente una forte compattezza formale nei versi nitidi e nei periodi ben risolti. E’ ben diverso il componimento eponimo di questa raccolta, che ha un taglio politico, sociologico e psicoanalitico e che è caratterizzato da una dizione molto avvertita e dal ritmo incalzante:-“Non me lo dire non posso crederci/ nell’aprile del ’14 a Londra,/ il bombardamento più grave ha fatto liberi/ i giovani d’oggi anche nella sfera dei rapporti sessuali./ Siamo espulsi per atti d’indegnità e d’indisciplina,/ per i fatti economici insolvibili,/ per rendere popolari i poeti di solida ideologia…/; si tratta di versi lapidari e incisivi nei quali viene detto il peggio, la descrizione di un bombardamento e la poeta dice che quelli come lei sono stati espulsi per atti giudicati dalla dittatura indegni, mentre i poeti di solida ideologia, asserviti al regime, sono divenuti popolari. In Ritratto di un amico impaziente incontriamo la poesia Medeo, tutta giocata sull’analisi introspettiva in versi del personaggio Medeo, che, emerge dai versi dell’Annino come una figura tormentata da elementi non precisati:-“/Ecco. Medeo pensa alla maturazione/ sa che non è una cosa semplice né logica,/ si interessa persino di botanica/ Medeo ha un cane tutto defilato,/ si muovono insieme fino all’alba:/ ai giardini, sul terrazzo della casa/-” Medeo, quindi, sembra, nelle sue notti bianche, cercare qualcosa d’indefinito, forse il senso della vita, pur sapendo, probabilmente che non riuscirà mai a trovarlo:-“/ Ed è tremendo sentirlo parlare, somiglia/ a chi crede, a chi deve ancora/ bruciare qualcosa; si stacca da sé/ come l’ombra che gli assale la testa ogni sera/ e l’allunga per terra./-”: l’io poetante ci dà alcune coordinate su questa persona indefinita, affermando che è tremendo sentirlo parlare (in questo c’è tutto il dramma dell’impossibilità della comunicazione tramite la parola, elemento di perdita che riguarda anche la parola scritta e la poesia stessa). Potrebbe essere proprio Medeo quell’amico paziente che viene detto nel titolo. Si può affermare che in tutta la produzione di Cristina Annino domini la più completa libertà a livello stilistico e concettuale; la libertà nel poiein di questa poetessa può far pensare al miglior automatismo, che era alla base della poetica dei surrealisti. Tuttavia, mentre per i surrealisti esisteva una poetica dell’onirismo, in Cristina Annino c’è un esplicito riferimento al delirio, a una fantasia realistica:-“/Follia, mia/ madre folle e magra tra due// euforie da cui nacqui; mi fece/ stendere i piedi./ Finalmente tutto già/ scritto. Ho spalle/ di tritato aglio più ancora di/ salvezza che è dolore guardiano. Quando/ lei ride, chi vive più di me, che ho/ il biglietto di via per lo spazio?-/”. Follia mista ad una forte imprescindibile visionarietà, in questi versi, icastici, taglienti, affilati, tratti da Gemello carnivoro; inoltre qui viene affrontato il tema della madre come forza generatrice, tema che si ritrova anche in molte altre poesie dell’Annino. Il discorso sulla poesia di Cristina Annino è complesso e articolato e merita una spazio ampio di riflessioni su una poetica profonda, su una ricerca che spazia da un trentennio nel panorama della poesia italiana: si rimanda, quindi, il lettore, alla lettura del testo che abbiamo preso in considerazione in questa sede.
*
Raffaele Piazza

sabato 21 settembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = SANDRO PIGNOTTI

Sandro Pignotti – L’irriverenza del ripensare---puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pag. 93 - € 11,00
Sandro Pignotti (Sanremo 1953) ha pubblicato varie raccolte di poesia e ha vinto
numerosi premi nazionali.
È presente nell’antologia del “Premio Astrolabio 2009” edita da puntoacapo
Editrice.
L’irriverenza del ripensare, la raccolta di poesie di Sandro Pignotti che
prendiamo in considerazione in questa sede, è preceduta da una nota dell’autore sulla
poesia in generale e sulla propria poetica.
Nel suddetto scritto il Nostro afferma l’interessante concetto consistente nel fatto
che gli incroci di parole devono evocare e mai voler affermare una situazione.
A proposito di questo assunto si può dire che sia in sintonia con le parole di
Maria Luisa Spaziani che affermava che in poesia tutto è presunto.
Inoltre Sandro dichiara che i titoli delle sei parti di questo lavoro costituiscono
una lirica: In attesa/ dell’irriverente discussione/ si chiudono gli occhi/ e fischia tutto
intorno/ infine cala il silenzio/ sull’inquinamento dovizioso.
Le scansioni sono precedute dalla poesia Ripensare che ha un carattere
vagamente programmatico.
In questo testo antilirico e intellettualistico e a tratti visionario e dalla struttura
anarchica il poeta proponendosi con una forma fluttuante ci emoziona.
È presente una vena alogica in un avvicendarsi di strofe irrelate tra loro che
producono un clima intrigante e ricco di magia in un’atmosfera carica di onirismo
purgatoriale.
L’io – poetante è molto autocentrato e produce un poiein tutto mentale e il poeta
scrive che sulla banchina dell’unione dove va a trottare attraccano le porta – containers
colme d’idee avverse.
Quindi un solipsistico ripiegarsi su sé stesso, il pensiero che riflette sul pensiero
stesso fino alla chiusa dove il poeta scoprendosi dice con urgenza che non è fantasia la
cortese irriverenza del ripensare rifacendosi al titolo.
Da notare che i componimenti sono scritti con versi irregolari tutti sfalsati sulla
pagina o centrati cosa che accentua incontrovertibilmente un effetto
d’indeterminatezza.
Rispetto alla composizione suddetta tutti gli altri testi sono chiari pur nella loro
forte densità metaforica e sinestesica.
Un tono epigrammatico e assertivo connota le poesie in molti casi come in
Adesso è nella quale il poeta afferma che se la sofferenza (per cause imprecisate) è al
culmine e se resterà ad osservare quella che gli altri additano come sua follia tuttavia
supererà queste affannose giornate.
E in questo componimento è stigmatizzata la condizione del poeta in generale
che soffre più di tutti e viene spesso considerato pazzo ma che tuttavia è conscio del
fatto che dopo il travaglio ritroverà luce e forza proprio scrivendo poesie come
cosciente atto salvifico.
E l’animo può essere sorridente come scrive Pignotti con un’ottimistica e
bellissima ripresa.
La cifra essenziale della raccolta è quella della realizzazione di un continuo
esercizio sia che dica di sogni sia che parli d’obbedienza o disubbidienza.
*
Raffaele Piazza

venerdì 20 settembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ELIO GRASSO

Elio Grasso: E giorno si ostina-- Puntoacapo - Pasturana (Al) - 2019 - pag. 71, € 10,00

Elio Grasso è nato a Genova nel 1951. Poeta e critico, ha pubblicato numerose raccolte di poesia. E giorno si ostina è suddiviso in cinque sezioni: ed è preceduto da una prefazione di Carlo Alberto Sitta, intitolata Circolarità del senso. Le scansioni nelle quali il libro è suddiviso sono: Il sangue è questo, La realtà cresce, Il lavoro della donna, Ogni volta la poesia, E giorno si ostina.
La raccolta è composita e ben strutturata architettonicamente Tutte le poesie sono formate da una, due o tre strofe, sempre molto compatte. I versi di ogni singola strofa procedono sempre in lunga ed ininterrotta sequenza, senza punteggiatura. È presente, in tutto il tessuto linguistico complessivo, una forte densità metaforica e sinestesica.
I componimenti sono vagamente alogici e caratterizzati da una certa forma anarchica. C’è un tono di magia e sospensione e l’aggettivazione è piuttosto frequente.
Cifra dominante pare essere l’eleganza dello stile e tutte le poesie sono ben risolte. C’è una vaga tendenza verso una forma neo orfica e i sintagmi sono caratterizzati da mistero e oscurità.
Poetica complessa quella di Elio Grasso, nella quale è difficile rintracciare dei contenuti. I versi sono tesi, scattanti e luminosi e fortemente icastici e non sembra che l’autore produca delle tematiche precise e ben delineate.
Fattore importante è la forma ed è presente una forte dose di corporeità e fisicità. Si prova fortemente l’impressione che, nelle immagini sempre molto icastiche, che il poeta ci presenta, ci sia una certa dose di interdipendenza tra una figura e l’altra, quasi che da ogni visione evocata da Grasso, scaturisca quella successiva; si tratta, insomma di uno sgorgare di frasi, sempre molto ben calibrate l’una dall’altra e sembra, appunto, che si realizzi quella Circolarità di senso, della quale parla, nella prefazione, Carlo Alberto Sitta.
Nei versi c’è sempre un rigoroso controllo, nel loro dipanarsi sulla pagina e c’è una grande compattezza espressiva.
Si può senza ombra di dubbio affermare che Elio Grasso sia uno di quei poeti che non aderiscono minimamente alle tendenze neoliriche o elegiache, tipiche ti tanta poesia oggi prodotta in Italia; ciò deve essere visto necessariamente come un elemento positivo, perché l’autore riesce a produrre una scrittura originalissima e caratterizzata da un forte senso di bellezza spesso ambigua e intrigante.
Le immagini che l’autore ci presenta sono connotate da una forte carica di sensualità e i versi non sono mai debordanti, ma sempre sottesi ad una grande armonia, pur presentando costantemente le caratteristiche alogiche e anarchiche di cui si parlava.
Nel panorama della poesia odierna, il nostro si stacca completamente da quello stabile appiattimento, che si realizza in lirismi statici e in contenuti ripetitivi.
Il poeta riesce ad elaborare una poetica che, di raccolta in raccolta, diviene sempre più caratterizzata da una originale bellezza.
Nella sezione eponima, pur non raggiungendo una indiscutibile chiarezza, Grasso produce immagini meno criptiche e oscure e, in questa sezione,, nella composizione numero uno, l’autore, partendo dall’incipit E giorno si ostina costruisce un tessuto sinuoso nel quale vengono dette febbri ardenti, la casa, l’incastellato silenzio e altre immagini molto evocative, fino ad arrivare alla chiusa nella quale si parla del gran potere del giorno e, nominando di nuovo il giorno, si chiude il cerchio, iniziato nelle prime parole della composizione, con il ridondante E giorno si ostina.
Poetica, quella di Grasso, caratterizzata da improvvisi accensioni e spegnimenti, una forma, quella elaborata dall’autore, che, mirando essenzialmente ad una riuscita compresenza di bellezza e limite, ci porta a territori che il giorno non sembra conoscere, ma che sembrano scaturire da un inconscio ben controllato.
Come scrive Carlo Alberto Sitta in Circolarità del senso, l’attenzione alla forma porta, in poesia, ad esiti talvolta irrepetibili. La forma include praticamente tutto, anche l’informale, quasi sempre le esigenti pretese dei contenuti.
La forma è una necessità che s’intromette come uno steccato invisibile, ma in grado di condizionare il testo fino al punto in cui chi scrive o domina o inciampa.
Veramente alta la forma di questi testi, nei quali magia e stupore si uniscono per produrre un tessuto luminoso e plastico.
*
Raffaele Piazza

martedì 17 settembre 2019

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Onde”
Vorrei inseguire l’onda che riflette
ogni tentennamento, ogni sospiro
che il verso attinge
dalle meningi infocate per il sole.
Nulla corregge l’incerto spumeggiare
ed avvolgo memorie senza incanti
per dissolvere un segmento dolce
capace di ripetere incoscienze.
Vorrei tornare ragazzo impertinente
fra cuscini e trapunte da sfilare
nel lampo dei colori
e le labbra socchiuse dell’amante.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA TERESA LIUZZO

Maria Teresa Liuzzo - …E adesso parlo!--A.G.A.R. Editrice – Reggio Calabria – 2019 – pag. 179 -

…E adesso parlo! l’opera di Maria Teresa Liuzzo che prendiamo in considerazione in questa sede, ha per protagonista Mary che nelle prime pagine incontriamo bambina.
Il libro è spiazzante per i suoi contenuti, prima di tutti quello dell’infanzia negata di Mary stessa.
La scrittura dalla prima all’ultima pagina è carica di suspense e carica di tensione emotiva e il lettore ha la sensazione di affondare nel testo che presenta un’esauriente prefazione di Mauro Decastelli ricca di acribia.
Il libro può essere definito tout-court un romanzo di formazione che verte sulla travagliatissima vita di Mary, esistenza che la mette a dura prova tanto che tenterà due volte il suicidio.
La scrittura della Liuzzo ha un tono realistico e nello stesso tempo sognante e intriso di misticismo e protagonista insieme alla nostra eroina è il male dal quale ella viene perseguitata incarnato da suo padre innanzitutto, da sua madre, da tutti i parenti, tranne la nonna, e perfino dalla figlia Priscilla.
Non a caso Priscilla, traviata da una storia con un malavitoso, tratta malissimo la madre nel momento in cui è inferma e ha bisogno di una badante.
La prosa della Liuzzo precisa, icastica e nello stesso tempo leggera si fa spesso poetica con accensioni e spegnimenti subitanei lirici ed efficacissimi ed è sottesa ad una grandissima cultura non solo per le frequenti citazioni.
Per il padre Mary era biblicamente la figlia della colpa e fin da piccola viene dal genitore malmenata con feroce violenza e poi quando cresce diviene preda anche dei suoi perversi istinti sessuali ai quali si ribella energicamente per poi essere ulteriormente percossa.
Per difendersi dal suo contorno di persone malefiche neanche il matrimonio che poteva sembrare salvifico per la donna riesce a regalarle gioia; invece avvilimento e ulteriore dolore le vengono elargiti da suo marito che è l’amante di Fiamma la sorella di Mary che glielo aveva fatto conoscere.
Due potenti armi ha Mary per difendersi dal suo baratro, la Fede in Dio e la scrittura e nonostante tutto diviene una scrittrice affermata, poesia che salva e Mary in questo può essere paragonata ad una donna scampata ai campi di sterminio nazisti che ha testimoniato che durante l’atroce prigionia scriveva.
Non mancano le figure nel plot che sono alleate di Mary, uomini e donne che l’aiutano ad uscire dal suo disagio come il secondo marito che però muore tragicamente in un incidente.
Anche il tema del misticismo come si accennava è fondamentale nel libro insieme a quello del sogno che può essere anche ad occhi aperti.
Ed ecco entrare qui in scena la presenza-assenza della figura di Raf che risulta essere l’unico vero amore per Mary.
Vaghe e affascinanti sono le parti del romanzo che narrano i dialoghi tra Mary e Raf che sembra essere un angelo anche se l’amore tra i due ha anche una forte carica di vaghissima sensualità ed erotismo.
Altra figura è quella del labrador, il cane affezionatissimo di Mary ormai matura e la morte dell’animale provoca in essa un fortissimo dolore.
Libro alto e originale, carico di pathos, eros e thanatos e altissimo è il risultato raggiunto da Maria Teresa nel creare un personaggio fragile e al tempo stesso fortissimo nel quale tutti noi potremmo identificarci.
*
Raffaele Piazza

lunedì 16 settembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = FEDERICO MONTANARI

FEDERICO MONTANARI : "L'educatore turbato" - Ed. Biblioteca dei leoni - 2019 - pagg.208 - € 15,00
Il lungo racconto che Franco, docente liceale di lettere da poco in pensione, snoda attraverso quarantatrè capitoli, delicatamente cesellati nella multicolore rappresentazione di un quotidiano privo di illusioni avventate e generosamente ricamato da ricordi ed esperienze, sicuramente avvolge un algoritmo poetico che lo distingue per metafore ed ammiccamenti. Le memorie, stilate in pagine calde per quel suggestivo incanto di un fraseggio familiare ed ancestrale, si alternano a incontri e scontri del momento in cui i personaggi accennano ad un loro parlare tra smanettamenti e preferenze. Gli interrogativi si affacciano allorchè Franco chiude il televisore per discutere sul comportamento di familiari o conoscenti, o dopo lunghe attese riesce a parlare con il medico che ha praticato una TAC al vecchio genitore, o aggancia tentennamenti con l'amica, moglie di Ughetto. Traspare nel suo ottimo tocco la speranza e l'impegno di riuscire a maturare i nipotini per un avventura umana degna di essere vissuta nella migliore educazione possibile.Federico Montanari in alcune pagine si rispecchia come un protagonista e sembra convincersi e tenta ambiziosamente di convincere che la storia narrata sia proprio vera, quasi il resoconto di un esame finale che cerca perdono e augurio.
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 12 settembre 2019

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia non ha paura di nulla"

Felicità a pervadere di Alessia
di 18 grammi di ragazza l’anima
e non ha paura di nulla Alessia.
Cielo azzurrissimo a fare una veste
ad Alessia che sa di mare dopo
una nuotata nel fresco di settembre
liquido elemento e vuole fare
così l’amore Alessia senza farsi
una doccia nel pregustare
più intenso il piacere a contatto
con la natura acquorea.
*

"Alessia vede Mirta all’arenile di Bagnoli"

Guida Alessia come una donna
16 anni contati come semi
(Alessia dai seni rotondi).
Strada libera pari a fiume
nel compiacersene Alessia
che crede alla fortuna.
Gioia di guidare di Alessia
l’auto elettrica e passa
alla felicità nel vedere
all’arenile di Bagnoli
l’ombra di Mirta sorridente.
Se Mirta mi sorride come
quando in vita il flamenco
m’insegnava è buon segno.
Poi le squilla il telefonino
è lui!!! è lui!!! è lui!!!


"Alessia e l’arte di disegnare la vita"

Fiorevole di Alessia il risveglio
(ha sognato la sorgente
d’acque fresche a refrigerare
l’anima e nel sogno le beveva).
Felice del presagio squilla il telefono
ad angolo con il mondo ed è Evelina
l’amica ritrovata tornata dalle
vacanze a Vico Equense nel
raccontare escursioni e passeggiate
nell’amenità dell’animo e del
sorgivo luogo e le ha portato
in dono una conchiglia. E tu
dove sei stata, Alessia? Sono
stata a Barcellona con i miei
perché Giovanni è in Olanda
per lavoro. Affabili gli spagnoli
dice Alessia ma di lui solo
la foto avevo e un mese è lungo
e solo a ottobre ci vedremo
e la storia dei baci si è interrotta.
Allora stasera vieni a casa mia,
Alessia, dice Evelina, verrà
anche Caterina e poi ricomincerà
la scuola. Tre ragazze sedicenni
possono fare una società dice Alessia
e stasera da te studieremo
l’arte di disegnare la vita
e la metteremo da parte.
*

"Alessia trasfigurata dall’amore"

Ti vediamo più bella e radiosa
oggi Alessia, dicono Tiziana
e Veronica, dicci il tuo segreto
del lume dei tuoi occhi
Alessia non risponde e ride
(ieri ha fatto l’amore e ha
paura di avere fatto peccato
perché Padre Camillo ha detto
che può solo baciarlo e Alessia
gli ha dato tutto)
Piacere creato da Dio e mentre
cerca le amiche occhi negli occhi
prega la Vergine che Giovanni
non la lasci.
*

"Alessia guarda il firmamento"

Notte di luna piena a specchiarsi
sulle acque del golfo a farsi mistico
di Napoli che ancora esiste e
sta Alessia infinitamente a contemplare
in quel nero d’inchiostro stelle
infiorate come rose e dedica un pensiero
a Mirta che è scesa nella camera
a dirle di non avere paura e il soffitto
è più basso e non pareti ma alberi
per ragazza Alessia al colmo della grazia.
S’incielano di Alessia i cavalli scalpitanti
dei pensieri per Alessia
nel tempo prima della felicità
*

"Alessia nel sole velato di settembre"

Abbronzatissima Alessia come Mirta
nel sole velato di settembre sottesa
alla bellezza del paesaggio
nell’anima a iridarsi in sette tinte
e sta infinitamente nel prato del Parco
Virgiliano nell’appartarsi con Giovanni
senza reggiseno ad amoreggiare
tra i cani dei passanti a giocare
sottilmente alla vita che dà senso
e sentimento perché sinceramente
lui l’ama ragazza Alessia al colmo
della grazia nel rimembrare la luna
alonata di ieri sera.
*

"Pianto per Sergio"

Andavamo nei locali
per conquistare ragazze
scendevamo dal verde
della tua Golf e la consumazione
l’offrivi tu e dicevi ragazza
bellissima o bruttissima.
I tuoi 30 e lode a Medicina
li hai gettati in quell’auto
con te stesso dal Molo
Beverello e ti sei tolto
la vita. Ti sei portato
ovunque tu sia della mia anima
un pezzo e ti piacevano
le Ferrari. Piango dopo 30
anni la tua morte, fedele amico,
di footing e di sogni.
Tua sorella ha chiamato
il secondo figlio Sergio
perché tu ti chiamavi Sergio.
*

"Alessia attrice nel suo film"

Vita nova di Alessia
rigenerata dall’amore
e ha recitato la scena
dell’amante al posto
delle fragole dove
ha fatto ieri l’amore
con Giovanni. Ha la
Madonna al collo Alessia
e la prega di non essere
lasciata nell’aria polita
e un jet disegna la
speranza prima della
felicità e attrice Alessia
recita la scena della corsa
sulla spiaggia per il bacio
ad aggiungersi alla storia
e di lui arrivano le labbra
sulle sue nell’incantesimo
primevo di settembre
consecutivo nella mente.
*

"Nell’incamminarmi per il sentiero"

Porto di Capri e il mio pensiero
mi ha portato all’isola e non il battello.
Un rumore di ancora spezza
dei gabbiani il silenzio e approdo.
Nell’incamminarmi con Sergio
che ha un filo d’erba in bocca
la fiorevole meta è la villa con giardino
sottesa alle maree dell’anima
per scrivere sotto i pini dell’albereto
poesie. Sergio ed io non parliamo
e la contadina cordiale ci saluta.
La meta è raggiunta e ci sono
carta e penna e questo basta.
*
Raffaele Piazza

mercoledì 11 settembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIUSEPPE IULIANO

Giuseppe Iuliano : “Via Crucis” – Ed. Delta 3 – 2019 – pagg. 24 - € 4,00
Emozione e particolare coinvolgimento conduce la lettura silenziosa intorno alla via Crucis, così come il poeta la traduce in segmenti ritmici di eccellente connotazione.
La violenza sofferta è il tema portante del nuovo e colorito corridoio che Gesù ebbe a vivere negli ultimi momenti della sua vita terrena. Il messaggio, linguaggio che riflette i nostri sentimenti più immediati di rabbia, rivalsa, volontà di perdono, che è anche strumento dialettico e persuasivo, arma di incursione e di ripresa quasi proibita, è alla base di questi componimenti che ad uno ad uno si inseguono nel percorso flagellato e flagellante. Attingendo a quanto di nascosto c’è nel nostro immaginario e nelle sue funzioni per renderle oggetto di preghiera, rifulgono le vere gemme del racconto nelle tredici stazioni ripercorse con attenta sospensione.
“Questo mondo terra-cielo ostile estraneo/ è prigione di febbre freddo e tanta fame./ Eppure Ti cerco Signore vivo e prossimo/ rifugio e nicchia nel segreto e nel silenzio/ compagno invocato di ogni ascolto, amen” scrive Giuseppe Iuliano nella introduzione, quasi a voler offrire una preghiera nel tentativo di affrontare un particolare timbro adatto alla stagione senza ritorni. Gesù infine ci cammina accanto, con la sua Croce , con i suoi abbattimenti, con la sua fratellanza, con la sua umiliazione , per sussurrare delicatamente tra questa pagine, cesellate con sapienza e grande lacerazione.
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = CLAUDIA MANUELA TURCO

CLAUDIA MANUELA TURCO / BRINA MAURER, "Il Centauro malato", Torino, Robin Edizioni, 2018, pp. 264,- € 15,00
Il Centauro esiste: la poesia di Claudia Manuela Turco, tra immaginario e reale.
Le parole con cui veniamo accolti sulla soglia d’ingresso di questo libro
sono un’indicazione spaziale, le coordinate di un luogo, “Nella Vallata dei
Mughetti”, e una dedica in lingua inglese “A Mughy, Lily of the Valley,
from glen to glen”. È un esordio adeguato, lo si capisce leggendo il libro
ma anche pensando ad altri lavori di Claudia Manuela Turco, alias Brina
Maurer. Dire (e dirsi) che, a dispetto di tutto, esiste ancora in qualche
luogo del mondo e del tempo una simile Vallata, non vuol dire chiamarsi
fuori dagli slings and arrows of outrageous fortune, per dirla in modo
amleticamente sintetico, né cercare un’Arcadia tanto bella quanto
improbabile. Piuttosto, come una tenace Alice, significa sapere guardare al
di là di tutti gli specchi, i trucchi, gli enigmi, gli inganni, i conigli e i
cappellai, per cercare ancora lo stupore di ciò che è semplice e naturale, la
meraviglia, immensa, che a volte è racchiusa nelle piccole cose.
Il titolo del libro, Il Centauro malato, è, di per sé, un segnale che non solo
indica una strada ma conferisce il sapore e la sostanza di ciò che troveremo
lungo il cammino. Mitologia, fantasia, immaginazione, ma anche realtà,
dolore, e, dall’interazione di tutti gli elementi, la tenacia di volere scrivere
di sé, tramite una poesia che si estende nell’arco di una vita intera. Il
sottotitolo del libro è secco e sintetico: “Poesie 1998-2010”. Una parola e
due cifre. Scorrono via in un fiato o con uno sguardo. Ma se si scrutano
bene, danno il senso di un rapporto ininterrotto con il proprio fare ed
essere poesia. Ossia tra l’immedesimazione costante e schietta, senza
infingimenti, tra il proprio mondo e il mondo esterno, visto, percepito e
registrato tramite lo strumento della parola.
Si inizia con una silloge scritta lo scorso millennio, nel 1999, quando
imperava non solo il terrore dei bug in grado di bloccare i computer ma
anche di qualcosa che fermasse qualcosa di ben più ampio, l’esistenza
stessa del genere umano. Una paura atavica, eppure presente. Si inizia,
quindi, e forse non è un caso, con una fine. Una fine potenziale, una sorta
di bacillo del pensiero, una paura globale, diffusa come un contagio, una
malattia. Ma la danza degli ossimori è tempistica e altrettanto puntuale. Il
titolo della prima Sezione (o silloge) è “Frecce di luce”. Una possente,
vitalistica sinestesia. Linguistica e tematica. La vita, nonostante tutto,
sfreccia oltre, supera i confini, anche dei millenni. E, poiché nulla sembra
casuale in questo libro e nelle tessere che ne compongono il mosaico, le
prime parole sono una sorta di chiave ulteriore, per il passaggio specifico e
per il volume nel suo insieme: “La scienza può spiegare il meccanismo che
regola la natura/ ma non il fascino che essa emana”. Poco oltre, al lato
opposto della stessa pagina, versi che, nell’atto di negare l’assunto, in
realtà lo confermano, o confermandolo lo negano, aggiungendo una nota
umanissima, schietta e rivelatrice: “Sorprendimi cuore/ lascia che io erri./
Non temo i tuoi tetri misteri”.
L’ho scritto in altre occasioni e lo confermo anche qui ed ora: Claudia
Manuela Turco è un’autrice, che, nella sua scrittura, sa mostrare il suo
cuore nudo, trova il coraggio di superare pudori e timidezze per poter
esprimere davvero ciò che sente. Non per fare sfoggio di sé, atteggiamento
contrario al suo modo di essere, ma, piuttosto, per mostrare ciò che sente,
il suo schierarsi con ciò che ritiene giusto, pagando anche di persona per le
cause in cui crede. “Poesia, raccontami!”, scrive a pagina 13. La frase può
essere letta in due modi. Come un invito alla poesia a raccontare storie e
mondi, oppure, sul versante opposto, come una richiesta alla poesia
affinché faccia da tramite e le consenta (come niente altro può fare) di
raccontare se stessa, ciò che davvero è, al di là di ogni filtro protettivo e di
ogni maschera pirandelliana indossata per sopravvivere alle pressioni del
vero.
Ma il punto, è giusto e opportuno ribadirlo, è che la sostanza di questo
volume, così come accade per i vari libri della Turco, anche in prosa, non è
mai fuga dal reale. Si tratta, piuttosto, di un paziente, accurato ed accorato
lavorio interiore: un dialogo ininterrotto tra ciò che è esterno e ciò che è
interiore, tra la pena e la tenacia del sogno. L’invocazione alla poesia
perché possa raccontare e raccontarsi, prosegue immediatamente dopo con
questi versi: “Solo in brevi sprazzi,/ affinché tu possa rendere sopportabile/
il dolore che nutre questa bellezza”.
Al di là del valore estetico di questi versi, in particolar modo dell’ultimo,
ritengo si possa individuare qui un primo, essenziale, irrinunciabile, codice
di accesso all’universo variegato di questo libro e più in generale della
produzione dell’autrice. Da un lato il dolore dall’altro la bellezza. La
disfida è questa. La posta in gioco è la vita, o meglio la “vivibilità”. Perché
il dolore c’è, ineluttabile, in attesa come un sicario. Ma altrettanto presente
è la bellezza. Si potrebbe dire che sono elementi antitetici. Oppure che la
bellezza è la cura. Ma sarebbe troppo bello, o più esattamente troppo
semplice. Perché l’errore è considerare la sfida simile ad una partita di
tennis in cui ciascun contendente resta dal suo lato del campo. In realtà si
tratta di qualcosa di molto più simile ad un incontro di boxe, in cui, dopo
essersi massacrati di colpi fino a sfinirsi i due si trovano abbracciati, per
non cadere a terra, e allora scoprono di essere fatti della stessa carne, le
stesse ferite. Accade allora che, nel momento di quell’intuizione, “in uno
spillo di luce/ ritrovi la vita, in un’ombra, un velo del cielo”.
Le armi, o più propriamente le medicine, sono arte e natura: “attraverso
bifore e fughe d’archi/ scorgo/ un bosco rapito/ in un intenso sussurro”.
Moltissime poesie di questo libro sono precedute inoltre da epigrafi tratte
da poetesse e poeti cari all’autrice. In italiano e nel dialetto friulano. Non
si tratta di abbellimenti estetici ma di vere e proprie occasioni di
interazione, confronto e dialogo. Sono troppi gli esempi possibili per
poterli citare o anche solo riassumere. Mi limito a citare la lirica
“Appaganti vuoti avvolgenti” di pagina 40, in cui i versi di Raymond
Carver ben si sposano con il desiderio dell’autrice di contrastare l’horror
vacui, esaltando piuttosto la sensualità di una solitudine densa, pienissima.
A confermare ulteriormente l’interrelazione tra i testi del volume, non
frammenti isolati ma parti di un organismo, si trova a pagina 43 proprio un
riferimento all’orrore del vuoto: “Papaveri/ in verdeggianti ricordi,/
riempiono la mente/ di un anestetico horror vacui./ Ma vincono spigoli e
archi rampanti./ Il lungo pianto di oggi/ varrà/ il breve sorriso di domani.”
“La strada è illuminata dal dolore anche di notte”, scrive Annenskij,
riportato nell’epigrafe della poesia di pagina 54. Partendo da questa
annotazione ineludibile, l’autrice traccia con segni secchi ed essenziali un
ritratto del mondo, anzi della notte del mondo. “Mi allontano da tutto ciò”,
aggiunge. E ancora una volta riesce a farlo solo su un magico puledro, la
poesia, la sola che vive e fa sopravvivere. E il punto è se sia possibile o
meno sovrapporre quel magico puledro con il Centauro del titolo. Forse no
o forse sì. Ma ciò che conta è uscire dal labirinto salvando la carne dei
pensieri.
Il libro si nutre di ossimori e contrappunti. È indicativo in tal senso il titolo
di una delle Sezioni, “Divagazioni intorno a Duetti solisti”. Nella poesia
eponima si osserva che “Allo specchio/ compare sempre/ l’immagine
dell’altro”. Una divagazione su uno dei temi fondamentali di tutta la
filosofia, ma anche dell’arte e più un generale uno dei nodi fondamentali
della mente di ciascun essere umano. Claudia Manuela Turco, coerente
con il suo approccio di donna e di poetessa, non tenta di sciogliere il nodo.
Ne percorre però, con intensa e accurata leggerezza, le traiettorie e le
intersezioni. E tra le numerose variazioni sul tema, alcune si stagliano con
la nitidezza di quadri giapponesi uniti a picassiane descrizione degli effetti
delle battaglie: “La vita/ un battito d’ali bianche/ su una barricata di
fucili.”
Tra i quadri del mondo, non come opera isolata, ma come parte dello
stesso padiglione, in antitesi e allo stesso tempo in simbiosi, compare a
pagina 122 una dedica-autoritratto, quasi alla Van Gogh: “Alle infanzie
non vissute,/ e ai cani eterni bambini/ che mi hanno resa fanciulla per
sempre/ pur non essendolo mai stata”. Di fronte a questo dipinto di parole,
rimaniamo a guardare, e, poiché tutto qui è correlato, ripensiamo ai versi
citati nel paragrafo precedente, quelli in cui si fa riferimento allo specchio
e all’immagine dell’altro. Sì, perché, proprio nel punto del libro in cui
l’autrice parla più schiettamente di sé, finisce per fornire un ritratto anche
di ogni potenziale e reale lettore di questi suoi versi.
E allora diventano inesorabili, e assolutamente nel tempo e nel luogo
giusto, i versi di Majakovskij. “prenderò il mio cuore/ per portarlo/ irrorato
di lacrime/ come un cane/ che porta/ nella sua cuccia/ la zampa stritolata
dal treno.” Eppure, e lo dice Munch, l’autore de L’Urlo, “la gioventù era
una camera di malato/ e la vita una finestra radiosa illuminata dal sole”.
Tra questi estremi si muovono i versi del libro. Non in linea retta ma con
“Traiettorie vaganti”, citando il titolo della lirica di pagina 148, la cui
epigrafe è tratta dai versi Marco Baiotto, compagno dell’autrice, “Se la
musica è variazione di uno fratto effe/ non voglio saperlo/ distinguo da
solo il rumore/ dalla melodia del fiume.”
Questo libro si muove tra riflessione e stupore, e ancora una volta il punto
più intenso si trova nella fusione, non nella contrapposizione. Nella poesia
di pagina 160 l’autrice, partendo dai versi di Montale, parla del profumo
dei limoni. Da quella immagine che è anche aroma e polpa tangibile,
nutrimento per gli occhi e per il corpo, arriva al punto di ispirazione ed
esaltazione che le fa osservare e descrivere l’esplosione di “sorrisi/
incendi/ danze di parole”. La connessione tra i limoni e la poesia stessa
(esplicitata nella pagina a fianco) è tutta in quello scarto, quel salto,
quell’esplosione senza morte, forse, per qualche istante, perfino senza
dolore.
Uno dei punti di forza del libro è nella varietà, nella gamma ampia e
diversificata di accenti, toni e colori. A pagina 173 si parla di cicatrici
nascoste: “il sangue ribolliva; la carne/ emanava odore di polvere da
sparo”. Sembra poesia russa, Pasternak dei momenti del terrore, delle
spade che recidono le braccia. Non molto oltre, a pagina 177: “Cielo di
paillettes/ di pagliette/ cielo di squame luminescenti/ alabastro e rose blu”.
C’è poi, in questo ampio e suggestivo caleidoscopio, anche un omaggio a
Maria Grazia Lenisa e alla sua Ragazza di Arthur, passione e femminilità
che neppure la malattia e il dolore hanno sconfitto del tutto.
C’è “il mare che brucia le maschere” e c’è il rischio ma anche il privilegio
della sincerità, quella a cui si è fatto cenno all’inizio e che ritorna, sempre
vivida, capace di stupire e chiamare a sé.
Questo libro offre un panorama ampio della produzione poetica di
un’autrice che ha saputo crearsi uno spazio espressivo riconoscibile ed
autentico, una voce lontana dai cori e dalle nenie. Con lieve ma
intensissima dolcezza e determinazione, prosegue il suo percorso di autrice
coerente con se stessa e con ciò in cui crede. Anche in questo libro ha
saputo esprimere il coraggio dell’autenticità, parlando del dolore e della
malattia (anche del male di vivere) senza mai cedere alla tentazione del
patetismo, conservando una forza che rifugge dalla violenza ma anche
dalla tentazione della resa. Il Centauro, a dispetto di tutto, esiste, ed è vivo.
Forse è un mito, o forse è realtà, o entrambe le cose insieme. Forse è il
mistero, semplice e imperscrutabile, della vita e della poesia.
*
Ivano Mugnaini
- Recensione pubblicata in “Dedalus: corsi, testi e contesti di volo
letterario”, 8 settembre 2019
https://ivanomugnainidedalus.wordpress.com/2019/09/08/il-centauroesiste/
http://www.ivanomugnaini.it/il-centauro-esiste/












SEGNALAZIONE VOLUMI = VINCENZO GUARRACINO

"Lunario di desideri" – antologia poetica a cura di Vincenzo Guarracino-- Di Felice Edizioni – Martinsicuro (TE) – 2019 – pag. 359 - € 25.00
Vincenzo Guarracino, il curatore dell’antologia poetica che prendiamo in
considerazione in questa sede, poeta, critico letterario e d’arte, è nato a Ceraso (SA)
nel 1948 e vive a Como. Ha pubblicato diverse opere di poesia, narrativa e saggistica.
È stato responsabile della collana dei Classici Tascabili dell’Editore Bompiani.
Collabora, come critico letterario e d’arte, a quotidiani e periodici.
Il volume si apre con lo scritto particolareggiato e ricco di acribia dell’autore
Cuore e amore nello specchio di un grande storia del quale l’autore s’interroga sul
senso e il significato dell’amore stesso che è stato da sempre argomento della
letteratura.
Il libro propone un vasto campionario di poesie di tematica amorosa di poeti e
poetesse contemporanei selezionati dall’autore della curatela, figure tra le più valide
del panorama italiano odierno.
Sull’amore che resta un mistero si è anche teorizzato in importanti saggi come
L’arte di amare di Erich Fromm e Innamoramento e amore di Francesco Alberoni a
conferma della vastissima portata e rilevanza a livello ontologico e affettivo del fenomeno.
Anche L’Ars amandi del poeta latino Ovidio è un’opera notevole sul tema
dell’amore a livello sensuale e spirituale, saggio nel quale il poeta parla dell’approccio
che bisogna avere con la figura femminile e viene per esempio in questo libro affermato
che per essere ricambiati in amore bisogna assecondare in tutto la figura femminile
amata anche a costo di fingere tradendo le proprie opinioni se sono diverse dalle sue,
dato fondante per avere una buona capacità d’amare.
Scrive Guarracino che nelle pagine del “libro infinito” della vita, la parola
“amore” si declina in infiniti modi: abbracci, baci, assedi, assalti, desiderio, fedeltà,
tutto troppo spesso al passato, se non con al presente la minaccia del disamore, quando
non drammaticamente addirittura dell’odio.
Nel migliore dei casi, in una sorte di orientale immobilità, uno “stare assiso” e
immobile, in attesa, che richiama l’atarassia dei bramini.
Su tutto, comunque, la presenza del “cuore”: catturato, prigioniero, dolente,
organo di un immaginario inquieto ma sempre desiderante.
Accanto alla poesia dei vari autori, che procedono in ordine alfabetico, è presente
un’esauriente nota di Guarracino sul singolo testo presentato, un pregevole closereading attraverso il quale il critico sembra accedere in qualche meandro della cifra
poetica del poeta o della poetessa in generale.
Seguono le note biografiche su ciascuno degli autori antologizzati.
Tra le arti la poesia sembra quella che più di tutte rinchiude in sé stessa il
fenomeno “amore” e i poeti greci e latini come Saffo, lo stesso Ovidio, Catullo e Orazio
hanno lasciato nella storia della letteratura poesie erotiche che si possono considerare veramente immortali.
Nel Medio Evo Dante e Petrarca fanno lezione sull’amore platonico e carnale di
figure indimenticabili come Beatrice e Laura, che possono essere viste come archetipi
delle figure di un grandissimo poeta erotico come Neruda.
Ben dunque venga questo prezioso testo che s’innesta nell’alveo della
contemporanea produzione poetica formalmente e stilisticamente sottesa allo spirito
della nostra epoca a livello sociologico.
*
Raffaele Piazza

lunedì 9 settembre 2019

SEGNALAZIONE RIVISTA = NUOVO CONTRAPPUNTO

NUOVO CONTRAPPUNTO - anno XXVIII - N° 2 - aprile-giugno 2019 -
Sommario:
Redazione : Ricordo di Liana de Luca
Carmelo Consoli: Lampedusa ; Vito e Cettina
Manrico Murzi : La sedia ; Quaderno turco
Antonio Spagnuolo : Torture; Pagine; Armonie
Remigio Bertolino: Pare/Padre; Ed neucc/ di notte; Nivol/ Nuvole; Che amor/ che volto
Elio Andriuoli : recensioni per Mario Novaro, Dante Pastorelli
Opere grafiche di Maura Zanardi.
**

mercoledì 4 settembre 2019

SEGNALAZIONE = RIVISTA "POETI E POESIA"

"Poeti e Poesia" – Rivista Internazionale - N. 40 – Roma - Agosto 2019 – PAGINE
Direttore Elio Pecora
Nel panorama contemporaneo delle riviste di poesia italiane Poeti e Poesia,
quadrimestrale, occupa un posto di rilievo per l’alta qualità dei testi critici e poetici
che di numero in numero ospita.
Scorrendo il sommario del numero della rivista, che prendiamo in
considerazione in questa sede, troviamo conferma di quanto suddetto.
Inizialmente incontriamo l’interessante saggio La poesia che si pensa di Noemi
Paolini Giachery, Non azzoppate i versi, per favore.
Segue la sezione Poeti italiani con i testi poetici di Fabrizio Capo, Tommaso
Castellana, Ennio Cavalli, Nadia Chiaverini, Marino Corona, Francesca Maria
Corrao, Francesco Giordani, Monica Martinelli, Daniela Mazzoli, Cristina Micelli,
Giovanni Perrino, Raffaele Piazza, Damiano Scaramella, Raffaella Spera, Lucia
Stefanelli Cervelli e Francesco Tomada.
Poi Poeti stranieri: Ayham Majid Agha nella traduzione di Fatima Sati,
Leopoldo Maria Panero nella traduzione di Francesca Lazzarato, Nicanor Parra nella
traduzione di Francesca Lazzarato e Rui De Moura Ribeiro Belo nella traduzione di
Giulia Lanciani.
Da leggere e rileggere Cesare Vivaldi.
Saggi e recensioni: Gandolfo Cascio La poesia facile e barbara di Roberto
Deidier, Emerico Glachery Una lunga fedeltà, Giulia Lanciani Il cammino di Santiago
nella genesi della poesia medievale galega.
Periscopio di Roberto Deidier. Alessandro Fo, Valerio Magrelli.
Interessante La poesia che si pensa dove la Glachery scrive che la poesia è
suono cioè è fatta di timbri e ritmi. Mai si è affermato con tanta insistenza. La poesia
è un suono che produce senso. La poesia è suono e senso. Un suono senza senso
sarebbe molto povero e limitato rispetto alle possibilità della vera e propria musica.
Un senso senza suono non sarebbe poesia.
Affermava Maria Luisa Spaziani che nella poesia fondante è il ritmo che è
quello che crea la musicalità del verso e si può affermare che con l’adozione, nella
poesia occidentale, del verso libero si è verificata una vera e propria rivoluzione
copernicana nel campo.
Ora, come affermato da Eugenio Montale, bastano una penna e un foglio per
scrivere poesie e salienti sono le testimonianze di bambini che hanno scritto splendide
poesie.
Poeti e Poesia nel suo essere autorevolmente sulla scena della poesia
contemporanea è una delle tante conferme che attualmente la poesia è vivissima e
dalla nascita del fenomeno internet le possibilità dei poeti si sono moltiplicate in modo
esponenziale.
Quindi del tutto contro l’assunto di Adorno sulla fine della poesia dopo la
Seconda Guerra Mondiale e l’Olocausto, in un postmoderno occidentale dominato
dall’incomunicabilità, la poesia è sopravvissuta come forma d’arte e di valore, contro
ogni previsione e questo è un sintomo positivo nella nostra società consumistica e
alienata.
Raffaele Piazza

martedì 3 settembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ENRICO FAGNANO

Enrico Fagnano – "Avvistamenti"-- Ed.La parola abitata coop. Tam Tam Editrice – Napoli – 2019 – pag. 47 - € 10,00
Avvistamento significa il vedere da lontano qualcosa e il titolo "Avvistamenti", che
Fagnano ha dato alla raccolta, dà proprio il senso della vaga bellezza dalla quale sono
connotate le parti di questo libro che raccoglie poesie, aforismi e frammenti di prosa.
Cifra essenziale della poetica di Fagnano pare essere una vena di nonsense e di
sarcasmo che connota tutte le sezioni nella loro eterogeneità.
L’ironia domina in tessuti linguistici chiari e affabulanti e il poiein del Nostro è
tout-court antilirico mentre è evidente una tendenza vagamente intellettualistica ed
esistenziale nel chiedersi continuamente l’autore il senso della vita nel suo approccio
critico e profondo alle cose e all’esistenza.
Enrico sembra affrontare con attenzione la realtà che traduce in versi nei quali
c’è spesso una vena di quotidianità e tutte le parti del testo nella loro leggerezza e
icasticità sembrano avere una parvenza epigrammatica e avvertita nel loro essere
raffinate e ben cesellate nella forma sempre elegante e controllata.
Accensioni e spegnimenti continui sembrano essere congeniali all’autore in tutti
i variegati generi che pratica con sicurezza e scaltrezza che riescono a produrre nel
lettore emozioni nella profondità che riesce a raggiungere.
Metafore e sinestesie folgoranti nelle poesie danno l’impressione di trovarci
davanti ad un autore notevole nella sua vibrante originalità che si coniuga a
compostezza nel creare suspense e fascino attraverso le immagini prodotte sempre
intriganti e imprevedibili.
Particolarmente profondi i frammenti sull’essenza della verità che hanno un
carattere pessimistico e scettico nell’essere detta con urgenza la verità stessa.
Nelle suddette parti il poeta con la sua solita maniera afferma che la verità non
esiste e che però fa male. La verità quindi è vista come categoria negativa, qualcosa di
orribile mentre il poeta dice che milioni di bugie potrebbero darci la felicità.
Si può pensare che il poeta si riferisca alle bugie bianche che nel mare magnum
della vita possono essere una vera salvezza e appunto produrre gioia, bugie bianche
che sono sottese al bene e non al male e che sono indice di prudenza e sono spesso
fondanti per non cadere nell’ingenuità.
A proposito di verità il poeta ironizza anche sulla religione quando afferma che
in una passeggiata domenicale in villa ha visto un uomo che gridava che solo Gesù
salva e suggeriva di comprare il libro dei figli poveri di Gesù. L’autore continua
dicendo che tutti i passanti acquistavano il libro e non sa se qualcuno dei compratori si
sia salvato mentre alla fine con sarcasmo afferma che quell’uomo faceva un sacco di soldi.
Le poesie di Fagnano possono essere anche divertenti anche se serpeggia in esse
una vena di malinconia.
Per esempio in Una cena sofisticata il poeta crea la situazione di una cena
sofisticata al ristorante.
Non manca in questa poesia una vena surreale perché nel menù sono scritte come
pietanze sette chili di lagrime, un serpente dietetico, un cadavere di tibetano farcito e
altre vivande strambe e con il solito stile il poeta afferma che andarono a mangiare in
un altro posto.
Quindi un unicum Avvistamenti per la miscellanea dei generi che si amalgamano
bene insieme e per lo stile e i contenuti che hanno qualcosa dell’Aspettando Godot di
Beckett.
Raffaele Piazza

domenica 1 settembre 2019

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

“Ombra”
Un’ombra appena l’ostaggio delle braccia,
nostalgie dei silenzi alle caviglie,
trasparenze delle tue pupille.
Giocavamo ai papaveri nel brivido annunciato,
il tuo seno delicatamente si offriva
al proscenio , stranito ed improvviso,
e le ombre avvolgevano lenzuola.
Alle pareti il fragore del nostro pentagramma
grottesco infinito di passioni
confuse nel racconto lungo ciglia
per cancellare il richiamo
soffocato nel vuoto .
forse ho incendiato i ricordi
e sono qui a scrivere sciocchezze
per una fanciulla nuda inesistente.
*
ANTONIO SPAGNUOLO
(da "Polveri nell'ombra"- Ed. Oedipus 2019)

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Attimo soave di Alessia"

E fermo è il tempo per ragazza
Alessia riemersa dalla selva
della notte. Soave è l’aria nel
condominiale giardino e faro
ad Agnano la villa dove
di Mirta l’anima ritorna.
Attimo blu e soave per Alessia
nel pensare agli amici e alle
amiche che le vogliono bene.
Nel tempo prima della felicità
accende Alessia sul bordo
del Mediterraneo una candela.
*

"Alessia beve alla sorgente"

Beve acque di compassione
vera alla sorgente per Mirta
suicida fresco liquido a rinfrescare
di ragazza Alessia l’anima
e sta infinitamente. Stupore
e della felicità paura nell’albereto
a fare l’amore con Giovanni
nuda nell’erba con gli indumenti
sparsi e una coperta sottile
per il caldo. Arriva Alessia
e cerca gli occhi.
*


"Realizzazione di Alessia"

Sono bella, bionda ed ho occhi
azzurri, sinuosa e sensuale
e il nuoto nel mare di settembre
a Napoli che ancora esiste
mi massaggia e leviga come l’amore.
Così pensa Alessia nell’interanimarsi
con l’azzurrità e Mirta le parla.
Sono una perla rara e vado bene
a scuola riflette Alessia
nell’intessersi con dei pensieri
mattinali la marea e tutto resta
uguale nel fondersi con del giardino
condominiale la natura
e l’aria e buona perché volano
farfalle azzurre e rosa
e ieri ha piovuto battesimo dal cielo.
*

"Alessia sorride alla vita in rosa"

Attimi rosa d’alba per Alessia
nell’agglutinarsi nelle galassie
alla stella del libero arbitrio.
Su Giovanni ceste di fortuna
rallegrano Alessia (ha trovato
un posto in banca). E Bianca
Amica leale ha telefonato
a ragazza Alessia e poi Alessia
è entrata nell’immensità
con la preghiera e le hanno
regalato un nuovo motorino
i genitori tinta cielo e va domani
a Praga Alessia.
Festeggia con lui il sedicesimo
compleanno nel fare l’amore
all’Albergo degli Angeli
*

"Alessia e la paura della felicità"

Anima di Alessia librata con
lo sguardo sulle acque del Mediterraneo
sul cui bordo ha acceso Alessia
una candela. Alessia ha paura
della felicità e coglie le fragole
estive senza parlare. Chiostra
di monti fiorevoli e azzurrini
e Alessia teme la gioia a irradiarla.
Si aggrappa a tutto Alessia.
Poi squilla il telefonino
(è lui!!! è lui!!! è lui!!!).
*

"Pianto di Alessia sulle ceneri di Mirta"

Urna a contenere di Mirta le ceneri
e nella cappella s’inginocchia
Alessia ragazza e prega Dio
che Giovanni non la lasci
nel piangere l’amica così bruna
e così donna nella rimembranza
che emerge da quel nulla Mirta
e sorride nella mente azzurra
di Alessia ragazza felice di quel
raggio di speranza. Piange Alessia
di gioia nel fotocopiare quella
di Mirta in vita e non ha paura.
*


"Mercoledì di Alessia"

Poi nell’aria polita nello scendere
Alessia ragazza nel parco condominiale
troverà della posta Alessia la
cassetta incielata e di lui la lettera
azzurra scritta con trepida
d’amore grafia ad angolo della vita.
Capirà Alessia che l’amore è ricambiato
e vivo e che farà l’amore stasera
nel folto del bianco del lenzuolo
del tepore di settembre in scena
pari a fugace comparsa o disturbata
divinità.
*

"Martedì tre settembre di Alessia"

Poi nell’aria polita di tinte
rosa e azzurre di farfalle
ragazza Alessia al colmo
della grazia campita nella
luce a irrorarle di 18 grammi
di ragazza l’anima
e prosegue il cammino
per il Virgiliano Parco
e ci sarà raccolto di redenzione
ad ogni passo agile di Alessia
in limine alla vita pari
a una diurna stella del tre settembre
martedì del sembiante meno caldo.
*

"Settembre di Alessia"

Poi in quell’intensificarsi
della tinta del cielo slavato
nell’interanimarsi con il mare
quinta stagione di Alessia
dove era già stata e ci sarà
raccolto e sete di fabula
in favola. Farà l’amore Alessia
e darà gli esami della vita
che mai finiscono e respirerà
tutta l’aria che c’è nella
resurrezione della luce
vergine del condominiale
giardino dalle piante da
rinominare.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALESSANDRA PAGANARDI

Alessandra Paganardi – Frontiere apparenti-- puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pag. 67 - € 12.00
Alessandra Paganardi vive e lavora a Milano. Ha vinto il Premio Astrolabio
2008 con la silloge Frontiere apparenti. come è scritto nella motivazione delle giurie
dello stesso premio, in pochi anni l’autrice si è imposta all’attenzione della critica
come una delle voci poetiche più intense e originali, per la quale l’aggettivo
“femminile” è del tutto scevro di connotazioni limitative; si tratta, infatti di una
poesia innervata della speculazione critica e filosofica di stampo femminile ma non
solo, più fertile e innovativa. Il testo è costituito da un dittico di poemetti, Città di
mezzo e Museo e parole: il primo poemetto è formato da nove parti, mentre il
secondo da tredici. Bisogna sottolineare che le sezioni, che compongono
rispettivamente i due poemetti, sono entrambe costituite da una singola strofa e che
ogni singola sezione può considerarsi la parte di un complesso più vasto, come il
tassello di un mosaico: le singole poesie sono tutte risolte in una sola strofa in modo
elegante e sorvegliato. Nel primo poemetto si incontrano atmosfere materiche e
suggestive e sembra di percepire, nei suoi versi, sensazioni vive di colori, attraverso
gli elementi naturalistici. A caratterizzare Città di mezzo è la presenza di una natura
rarefatta che fa da sfondo a luoghi indeterminati, ognuno dei quali diviene
un’occasione. Si tratta di versi irrorati da una forte luce lunare; ogni riferimento, in
queste poesie, viene taciuto è l’unico dato che ci è dato di conoscere è che
l’ambientazione di queste poesie è quella di una città sul mare. Come cifra dominante
in questi poemetti, emerge una natura rarefatta, sullo scenario di atmosfere serali e
notturne e, molto spesso, questa poesia diviene riflessione solipsistica, nella quale
l’io-poetante è autocentrato. La poesia di Alessandra Paganardi è del tutto antilirica e
presenta una forte valenza filosofica ed è caratterizzata da eleganza formale. Il
componimento che apre il libro è una poesia dal carattere programmatico e ha per
oggetto la descrizione di un arrivo in un luogo di mare://- “Quando siamo arrivati
nella sera/ l’aria era una grondaia di promesse-/ teneva in serbo una luna più forte/
più amica. La rampa della strada/ così vicina prolungava il buio/ come un racconto
nuovo e più stanco/ che non si vuole smettere. Il libeccio/ non portava né timo né
limoni-/ un tram di mezzanotte sempre vuoto,/ All’alba diventava una signora/ nel
suo vestito largo// Lo sapevo che il mare non ha mani-“// ; in questa poesia
troviamo una natura materica e una forte densità metaforica e sinestesica: proprio
attraverso un’analisi di questa poesia, si può mettere a fuoco la sua originalità e la sua
forza espressiva: infatti, Alessandra Paganardi riesce a dire efficacemente, una natura
che non è assolutamente pittura né tantomeno oleografia, ma al contrario, in questo
componimento, incontriamo l’urgenza dell’esprimere, attraverso vari sintagmi, una
natura interiorizzata nel suo abitarla e nell’esserne pervasi. In questo contesto l’aria
era una grondaia di promesse, verso in cui efficacemente si coniugano i termini aria
e grondaia, caratterizzati da una connotazione del tutto materiale, con la parola
promesse, che appartiene ad una categoria del tutto immateriale, del tutto legata ad
un’idea astratta; del resto esempi di questo tipo nei poemetti ne incontriamo molti.
C’è una forte vena filosofica in queste poesie, che sottendono un vago
autobiografismo: notiamo. nei componimenti di Frontiere apparenti, un forte
attaccamento alla vita, al suo senso ultimo, una vita che vuol farsi esperienza critica
di ciò che circonda la poetessa, contesto spaziotemporale che viene interiorizzato,
attraverso lo sguardo e poi tradotto in versi; da notare che tutte le poesie sono prive di
titolo://- “Ferragosto, i trent’anni dell’estate. / Non immaginatevi la caduta/ del
frutto colmo sul ramo. Ma, vedi, / la fretta strana del sole che scende/ nel mare come
in un appuntamento/ furtivo. Senti il fresco dell’ombra-/ cresciuto sulla guancia di un
malato/ il cielo ha qualche stella di riserva…/”. Vaghezza e sospensione
caratterizzano questi versi e c’è da notare l’uso frequente della punteggiatura. Molto
originale, in questa poesia, l’immagine del sole che scende sul mare per un
appuntamento furtivo. Insieme ad immagini naturalistiche, la poeta, come ci diceva,
dà spazio a sensazioni che, molto spesso, si riferiscono alla temporalità come nel
verso iniziale della poesia suddetta, che è il nono e ultimo componimento del primo
poemetto. Molto differente, non a livello formale ma contenutistico, il secondo
poemetto intitolato Museo e parola: il museo è di per sé stesso un luogo suggestivo
per la sua bellezza e la forza evocativa di ciò che è in esso contenuto e l’autrice in
questo poemetto, come dal titolo, porta a compimento la descrizione di un museo
fatto di parole. La poeta non parte da un museo preciso, esistente materialmente, ma
da un museo al di fuori dalla realtà storica e logistica. Con versi, nei quali
incontriamo sospensione e mistero, Alessandra Paganardi ci conduce in un contesto
vago e affascinante, dove una delle componenti fondamentali è il mistero: nel museo
dell’autrice la presenza incombente dei quadri alle pareti, viene paragonata ad
un’invasione barbarica e i vasi alle finestre sono finti: la permanenza stessa della
visita al museo pare voler esorcizzare la morte, pare incarnare il desiderio di situarsi
fuori dal tempo. Come afferma Valeria Serofilli nella postfazione a questo testo, il
lavoro di Alessandra Paganardi ha dunque la capacità di muoversi sul filo che collega
il concreto al sublime, il quotidiano a ciò che travalica le epoche , tramite uno
sguardo sincero e attento ed un linguaggio nitido, calibrato in una ricerca di
un’essenzialità ricca e viva, anche in virtù di uno stupore genuino, non costruito,
cercato con tenacia e levità all’interno dei territori della realtà resa parola e della
parola investita del potere di farsi territorio da percorrere, la frontiera e il suo
superamento.
Raffaele Piazza