**Per la collana "Frontiere della poesia contemporanea" edita da La Valle del tempo
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Una nuova collana di poesie, in questa società consumistica e disattenta, può apparire superflua, ma io invece credo che proprio perché insiste sul mercato una valanga di libercoli che si propongono come creatività contemporanea, sia con l’avallo di una critica non più militante ma venduta, sia con il beneplacito dell’editoria maggiore, proprio per la vacuità di tanti volumetti la presunzione di una nuova serie di sillogi si offre per una scelta severa dei testi e una presentazione di autori che riescono ad incidere nel panorama culturale del momento. Una corona di testi che si oppongono alla vacuità di alcune pubblicazioni che curano soltanto l’aspetto interessato o del fascino del nome o della appartenenza ad una casta privilegiata, lontana dalla vera e sudata cultura umanistica.
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Non si scrive poesia, quella che io definisco Alta nel puro senso della parola e dell’elegiaco, non si scrive poesia per esibizionismo o per vanagloria, ma soltanto perché siamo esseri umani e l’umanità ribolle di sentimenti quasi sempre sopiti nelle intime circonvoluzioni cerebrali.
Nulla cambia nell’inconsapevole rivoluzione dell’inconscio , passo dopo passo nel rigore dell’esplorazione di quelle emozioni che tingono di rosso la parola, e non sopporta limiti o limitazioni, etichette o programmi, là dove viene ricreato l’ideale che aggrega e coinvolge in vertigine. Mentre il corpo nomina la propria presenza, sulla scena del mondo pur sempre densa di ombre, con il calore proprio della carne, la mente evoca il tempo che trascorre, per rincorrere le sfumature di emozioni nell’incrociare il mistero delle pulsioni e sedurre indecisioni e turbamenti. I fantasmi che quotidianamente la memoria insegue sono improvvise illuminazioni che il nostro cervello accetta nel segreto dei ricordi, incasellati disordinatamente nel segreto scrigno del buon senso, o semplici armonie che ripetono il ritmo delle scansioni come coaguli della compartecipazione. Rielaborare delle palpitanti presenze, concrete e vitali, cristallizzate nell’insolubile raffinatezza del disincanto, diviene il magico soffio vitale della illusione in una circolarità infinita che si dissolve soltanto nell’impulso che l’arte, e qui la poesia, percepisce e comunica. Ed è così che la forma poetica, rincorrendo le figure che si affacciano al nostro sguardo misterioso, è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche come suono, un ritmo che si sviluppa in crescendo, per agganciare i profili che ritornano alla mente.
Così incidendo il verso nella pagina bianca il poeta succhia il midollo della vita per immergersi in un’atmosfera enigmatica entro la quale scegliere quelle figurazioni che prevedono in modo assolutamente sistematico la storia dei diritti civili e sociali, la storia di ogni individuo, la confusione delle domande, degli incontri improvvisi, delle esplosioni policromatiche dei sentimenti, che rendono unico il rincorrere del tempo.
Il poeta sprofonda in un’atmosfera di ricerca che porta diritta al cuore di chi vuole raccontare il fruscio dell’istante, per rendersi recettivo ed attento alla parola che possa divenire spoglia da qualsiasi elemento negativo o che possa distogliere il pensiero da ciò che è veramente importante.
Allora la poesia è presente, indissolubile e concreta, da millenni. Non è mai morta, sempre ben vegeta verso dopo verso sulle labbra di cantori sempre pronti a declamare un endecasillabo.
L’assoluto nella sua interezza, nella sua intima coerenza, nella sua unità con il mondo che circonda, variegato e insidioso, nella sua incandescenza giunge a circoscrivere l’esistenza umana nello spazio di un’apparizione, di una emersione momentanea dello spirito, simile alla vita delle foglie che improvvisamente si staccano dal ramo all’improvviso soffio del vento. In quell’istante scocca la scintilla del verso, che offre una vertigine dalla potenza che inebria e coinvolge.
Il poeta in effetti possiede le capacità per un’indagine speculativa che poggia sempre sulle esperienze del vissuto, quasi come ricostruzione del simbolo della rinascita, per sprofondare nelle spire dell’amore, negli inganni dell’illusione, nel terrore della guerra, nel sussurro dell’infinito, nel tentativo rovente di allontanare la morte, individuando in anticipo il rapporto tra eros e thanatos.
Che cos’è Poesia?
Per delineare con precisione l’impalcatura necessaria per giudicare valida la poesia mi piace riproporre ciò che dichiarano questi nuovi pseudo poeti quando si esibiscono in testi che hanno nominato Poesia Kitchen, ossia un elenco che secondo me è perfettamente l’opposto delle nominazioni poetiche.
Un decalogo che annulla passo dopo passo quella che è veramente la concezione di poesia. – Ascoltiamo –
“La poesia kitchen è una poiesis priva di identità, priva di destinatario e priva di mittente, una poesia che si auto sospende, che non vuole essere legittimata, tantomeno da una prefazione, che non chiede niente a nessuno e non dice niente a nessuno. È una poesia di Nessuno, una poesia de-potenziata, dis-locata e questo de-potenziamento che l’autore kitchen ha di mira è qualcosa di simile al «Preferirei di no» dello scrivano Bartleby di Melville: non una mera negazione ma un sottrarsi sia alla negazione che alla affermazione, un autosospendersi. Poesia priva di qualsiasi principio gerarchico, direi che è anarchica in quanto priva di arché, priva di origine e priva di una fine, che si estende in lunghezza (ma non in larghezza) come un elastico con un metro polisillabico spesso in distici che sta lì come una sentinella disarmata a guardia di una zona neutrale del linguaggio. La poesia kitchen è costruita senza alcuna costruzione (costrizione), sembra nata già decostruita, già autosospesa, già rottamata e buona per la pattumiera. Sembra quasi che l’autore kitchen si diverta a produrre scarti non riciclabili, scarti inquinanti ma non tossici, scarti di materiali inerti e ipoveritativi che aggiungono inquinamento a inquinamento; così, l’autore kitchen «gioca» spensierato e alleggerito da tutti i pesi ontologici, perché l’importanza delle cose (non) è misurabile né ponderabile a priori o sulla base di un calcolo, l’homo sapiens di oggi se ne sta lì con la sua coorte di oggetti, a far nulla.”
Come si evince da queste dichiarazioni siamo proprio nel panorama contrario di quella che è poesia Alta.
Viviamo tempi in cui il tradizionale narcisismo indicato da Freud come malattia del secolo ha raggiunto preoccupanti livelli di bulimia, di autocelebrazione e di rischio di morte.
I social hanno contribuito all’ingrossarsi di questo male, sbandierando un’idea di comunità fatta di presenze che in realtà sono fantasmi, nomi cancellabili, memorie diroccate e fragili senza neanche la possibilità di un’archeologia, di una musealizzazione. Si può dedurre che questo tipo di poetica dichiara deceduto il classico impegno del poeta.
La poesia ha sempre avuto e deve avere un interlocutore il quale leggendola riesce a fruire di quell’imput che accende sentimenti, perplessità, dubbi, certezze, illuminazioni, ansie, immaginazioni, vertigini.
Il poeta segue una strada accidentata, perché l’intero percorso del passato alberga nel suo animo ed egli si piega a meditare per esprimersi alla ricerca di un’indagine, alla ricerca di una forma espressiva che potrebbe apparire come un appello che richiede ascolto. Ed è questo ascolto che fa della poesia un contatto elettrico per energie diverse, un evolversi di pensiero che intacca le ore e scorre diventando oggetto della memoria e bagaglio che imprigiona la parola.
Io sono sicuro che la poesia nel suo germoglio è legata all’inconscio e l’inconscio è esso stesso il luogo della poesia, perché meraviglioso serbatoio di dettagli capaci di venire alla luce al solo accostamento del pensiero attivo. Luogo che attende il simbolo per urlare l’emersione di una serie indefinita di soggiacenze ed aggregare affioramenti che possono proiettare emozioni multicolori.
La poesia diviene nel ritmo delle sue sillabe, contate in scansioni ben precise, la tappa dell’informe che cerca la forma, del caos che cerca l’ordine, della speranza che cerca l’esperienza, dell’impossibile che cerca il possibile, semplicemente un messaggio in bottiglia che vive nella speranza di un possibile dialogo differito nel tempo.
Il richiamo allora vuole una creazione, tanto da essere oggetto di confronto, capace di far sbocciare una rosa dal nulla, di evidenziare un’emozione per tradurla in canto, per ritrovare una dimensione totalmente disimpegnata ed immersa in un trascendente universalismo che scopre la lirica, resa verbalmente e libera da ogni vincolo di astrazione.
“Se la nostra vita fosse in ogni momento piena di senso, se il mondo fosse un giardino dove gli uomini, godendosi il sole, conversassero tutti amichevolmente, non ci siederemmo in un angolo a scrivere”. Questa è la semplice considerazione del narratore de Il primo libro di Li Po – il poeta vissuto 1200 anni fa (701-762 dopo Cristo) che costituisce uno dei massimi classici della poesia cinese e potrebbe bastare a dare un’idea del senso della letteratura e della poesia in particolare.
Ma la poesia è un’oasi, nel bel mezzo del deserto intellettuale che circonda. La bellezza, è un’oasi, nel bel mezzo dell’incuria che circonda. La preghiera (per chi crede), è un’oasi. Essere nel deserto poeta è come una sfida contro la sordità che invade la moltitudine. Ecco il compito profondamente etico e civile che ha, secondo me, il poeta. Oggi più che mai. Farsi cercatore di ciò che sopravvive della bellezza, della luce, del canto, farsi portavoce di questi spazi in cui nasce e cresce la vita; luoghi interiori (ed esteriori) che non fanno rumore, che passano del tutto inosservati, travolti dal caos, dalle guerre, dal dolore che trasforma ormai ogni fiore in rovo. Sono convinto che il senso profondo ed indispensabile che la poesia (e l’arte, più in generale) custodiscono, specie in questi tempi, sia esattamente questo: disvelare, far l’asfissia che sta intorno, il ritmo sincopato dell’amore, il ricamare degli incontri, ma anche in grado di intravedere i fiori emergere quella sete che abita ogni uomo, accompagnandolo poi, attraverso il sentiero della bellezza, alla fontana che disseta. Una volta effettuato questo percorso, la sete tornerà, magari più intensa ed esigente di prima. Nel cammino che va dalla sete alla fontana (e viceversa) è racchiuso, secondo me, quel tratto di strada su cui ancora può attecchire la speranza, la non accettazione di una realtà composta esclusivamente dalla violenza, dall’inganno, dal dolore che uccide ogni anelito di domani. Lungo questo sentiero, ci attende e ci conduce la poesia. Capace di dire il dolore, toccare le erbe che crescono a strapiombo sul ciglio della strada, la pioggia che concima e conserva la vita, il raggio di sole che illumina il cammino.
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ANTONIO SPAGNUOLO