domenica 15 settembre 2024

POESIA = RICCARDO RENZI

***=
"Inverno spaccato"
Cade
dipingendo grandi manti bianchi,
cade lenta,
quasi svolazzando,
come carezza in viso,
la neve di febbraio,
la neve dell’inverno spezzato,
a metà tra mancate fioriture
e brina mattutina.
=
"Paura"
Un freddo sole
bacia l’erba,
un soffio gelido
lungo la valle;
un urlo
in fondo all’anima
rimbomba nel cor,
la paura,
la morte
di chi fu
ed ora non è più.
=
"Il cuore"
Dell’immensità
il cuor mio
si tinge,
di quel
meschino sentimento
del tempo passato,
per mari e monti
ello si strugge,
alla perpetua ricerca
di pace,
come peregrino
nel deserto,
come forestiero metropolitano.
=
"Cronos"
Per gli irti colli,
per le cime tempestose,
per le valli,
per le ripe,
ovunque il sentimento
del tempo
si strugge,
brevemente
tutto distrugge,
tutto sgretola
quel Cronos funesto,
tutto appara,
ogni vita
logora,
ogni sentimento spezza,
i ricordi e la memoria tua
sgretola,
come fosse roccia
su per la cava,
come rivolo
fa col fosso,
come il fiore
diventa rosso.
=
RUCCARDO RENZI

sabato 14 settembre 2024

SAGGIO = GOZZANO CREPUSCOLARE


**Gozzano e la poesia crepuscolare
Di
Riccardo Renzi - (1
Su Gozzano in questi è stato scritto molto, anzi moltissimo, cosa si può ancora aggiungere su tale Poeta tanto rivoluzionario? Non sarà in questa sede che ci occuperemo della sua biografia, ma forniremo solo alcuni dati essenziali. Guido Gustavo Gozzano nacque a Torino il 19 dicembre 1883. Gozzano proveniva da una famiglia agiata. Dopo aver ottenuto la licenza elementare a Torino presso la sezione Moncenisio - la scuola del Cuore di E. De Amicis - nell'autunno del '95 si iscrisse al ginnasio Cavour, frequentandovi le prime due classi e trasferendosi per la terza a Chivasso. Lì conobbe Ettore Colla, anch'egli di Agliè (1883-1936). Attraverso i loro scambi epistolari è possibile scoprire il carattere del giovane poeta. Nell’aprile del 1900 perse il padre per una polmonite doppia. In questo periodo, probabilmente per il grave lutto, poco eccelse a scuola. L'anno dopo, infatti, non avendo superato a ottobre l'esame di greco, passò a un istituto privato specializzato in corsi di recupero. Nel 1902 si presentò per l'ammissione alla terza presso il liceo d'Azeglio, per concludere poi gli studi a Savigliano, nel 1903, ospite del locale convitto civico. Nel 1904 si iscrisse alla torinese facoltà di legge, senza mai conseguire il titolo.
Morì giovanissimo, senza aver compiuto neanche 33 anni. La tisi gli si manifestò per la prima volta nel 1907 e lo accompagnò per il resto della vita. Ma questo male albergava in lui ormai da anni, tant’è vero che alla visita militare per il servizio di leva, egli fu riformato(2 . Il giudizio sulla sua opera non può assolutamente prescindere da tutte queste significative premesse. Le fotografie dell’epoca ci restituiscono un Gozzano dal volto ossuto e dolente, una pelle sottile e tesa, un naso sottilissimo e affilato, un collo assai esile, sempre racchiuso in un alto colletto. Anche la sua immagine sul letto di morte lo rispecchia pienamente. Quella di Gozzano è una magrezza dolorante e dolente, causata dalla malattia. Le uniche foto che lo ritraggono differente sono quelle relative al periodo infantile, prima che la malattia lo colpisse.
Carducci, Pascoli e D’Annunzio segnano il punto di partenza da cui origina la lirica gozzaniana, che però, in beve tempo, evolverà in altro . Lessico, stile e linguaggio del poeta riecheggiano un passato vicino a Carducci, Pascoli e D’Annunzio. Segnatamente nelle prose, D’Annunzio è quantomai presente. Ma Gozzano fu in primis l’emblema della poesia crepuscolare. Andando a scomodare il grande Gianfranco Contini, egli di Gozzano (4 e la poesia crepuscolare scrisse: «Attualmente con “crepuscolare” non si allude più a una situazione storica, ma a una tonalità, e in sostanza a un inventario di oggetti poetici. Modalità, questa, introdotta da Gozzano» . Gozzano non fu però da solo in tale esperienza, fu accompagnato da Marino Moretti, Sergio Corazzini, Aldo Palazzeschi, Fausto Maria Martini e Corrado Govoni . Va però sottolineato, come anche accennato in precedenza, che la prima parte della produzione gozzaniana è caratterizzata da testi pienamente ascrivibili alla più autentica atmosfera decadentista. In tal senso, non possiamo non sottolineare titoli emblematici di molte liriche, dalla raffinata tinta latineggiante, come Suprema Quies. Il Poeta però si rese ben presto conto dell’ormai avvenuta rottura di quel fortunato connubio tra vita e letteratura che in passato aveva garantito una continua spirale sublimante e per l’una e per l’altra. A tal proposito ci sovvengono in ausilio le parole di Sanguineti: «Egli prende coscienza della separazione tra la vita e la letteratura, del divorzio tra la prosaica realtà attuale e il sublime artistico del passato, quale è patita, a giudizio del poeta, nel mondo moderno. Senza più illusione e senza più speranza, ormai sappiamo che la vita è una cosa e la letteratura un’altra, e dobbiamo saperlo […].la coscienza del distacco da ogni forma di passata bellezza, che è poi il distacco da una vita bella e autenticamente appassionata, che l’arte poteva onestamente rappresentare nei suoi modi nobili e sinceri» .
Fu proprio questa presa di coscienza, di cui ci parla il grande critico letterario, a permettere la nascita di un altro Gozzano, quello crepuscolare e tenacemente antidannunziano. A questo punto si rivela necessario chiamare in causa alcuni dei versi tratti da una poesia non presente in alcuna raccolta, ma fondamentale per capire quanto Gozzano fosse consapevole dell’avvenuta metamorfosi da pedissequo imitatore e discepolo dannunziano in qualcosa di diverso, non ancora pienamente formato :
«L’Iddio che a tutto provvede
poteva farmi poeta
di fede; l’anima queta
avrebbe cantata la Fede.
Mi è strano l’odore d’incenso,
ma pur ti perdono l’aiuto
che non mi desti se penso
che avresti anche potuto,
invece di farmi gozzano,
un po’ scimunito, ma greggio,
farmi gabrieldannunziano:
sarebbe stato ben peggio!» .
Il Poeta comprende immediatamente di non far più parte delle fila dei decadenti, di non essere più discepolo del Vate, ma di esser divenuto qualcosa di altro. Con l’allontanamento da D’Annunzio, Gozzano inizio a saggiare più massivamente altre fonti, quali Dante, Petrarca e Leopardi, ma anche molti nomi al di fuori dalla nazione, Laforgue, Rodenbach, Maeterlinck, Verhaeren, Verlaine e Baudelaire.
Gozzano con il suo allontanamento dalla poesia decadentista e la sterzata crepuscolare sancì un punto di non ritorno per la lirica italiana. Ed allora ecco, dopo la parentesi gozzaniana, l’ondata misteriosa, i ritmi scarni, la lirica dolente della grande poesia di Cardarelli, Saba, Ungaretti, Quasimodo e Montale. Senza Gozzano sarebbe impossibile contestualizzare la loro poetica.
== RICCARDO RENZI
***
1-Istruttore direttivo della Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo.
2-L. Lugnani, Guido Gozzano, Firenze, La nuova Italia, 1973, p. 32.
3-A. crepuscolare: saggi sulla poesia italiana del '900, Firenze, La Nuova Italia, 1977, p. 21.
4 E. Sanguineti, Guido Gozzano: indagini e letture, Torino, Einaudi M. De Luca, Guido Gozzano e le origini della lirica crepuscolare, in Irpinia, rassegna di cultura: rivista mensile illustrata del Corriere dell'Irpinia, Anno 2, n. 6 (giu. 1930), pp. 39-54.
5- G. Contini, Letteratura dell’Italia unita 1861-1968, Firenze, Sansoni, 1968, p. 635.
6- N. Tedesco, La condizione crepuscolare: saggi sulla poesia italiana del '900, Firenze, La Nuova Italia, 1977, p. 21.
7- E. Sanguineti, Guido Gozzano: indagini e letture, Torino, Einaudi, 1975, p. 67.

venerdì 13 settembre 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROBERTO CASATI


**Roberto Casati: “Come armonie disattese” – Ed. Miano – 2024 – pag. 168 - € 16,00
(prefazione di Enzo Concardi)
Il rapporto che vincola l’afflato delicato del poeta con la natura ed i vari sentimenti, che scorrono vorticosamente nel nostro sub conscio, diviene scomposizione dell’esistenza e ricomposizione delle tracce di un ronzio, che vorrebbe manifestare i brandelli di qualche sogno.
Le poesie strappano il quotidiano per lacerazioni che tracciano il segno del velo che avvolge la vita e in un ritmo cadenzato concedono il sussurro leggero delle apparizioni. Le quattro sezioni nelle quali è suddiviso il volume (“Ho rubato i tuoi occhi”, “Corrotti sguardi”, “Rose nel vento” e “Scivola il tempo della luna”) sembrano costruire un rosario che sfiora con delicatezza ombre e bagliori, portando, con un tocco leggero ed inquieto, tra il racconto della meraviglia e la pretesa assurda dell’infinito.
“Lasciamo tracce del nostro passaggio/ senza renderci conto di quanto sia breve/ e senza alcuna pretesa il nostro tempo./ Guardiamo il vento trasportare le nuvole, senza renderci conto di quanto sia fragile/ e senza alcuna pretesa il nostro passo./ Incrociamo per qualche attimo i nostri occhi, senza renderci conto di quanto sia unico/ e senza alcuna pretesa il nostro sguardo.” Il verso ribollente si incarna nel presente immediato divenendo melodia dell’istante, che anela rapida a realizzarsi con il tutto che circonda.
"Abbondano nel soliloquio poetico - scrive Concardi - nel viaggio per avventure interiori e geografiche, nelle oscillazioni sentimentali dell'amore vissuto e ricercato, negli sguardi addolorati suelle tragedie del nostro mondo,le incessanti autointerrogazioni sul senso delle cose, delle memorie, del tempo che passa, dei messaggi del mare-mito."
Da “una carezza fragile/ sulle corde tese del violino” a “una sera inquieta che/ copre le spalle di un velo leggero”, da “nel silenzio della strada,/ in lontananza,/ una voce di bimbo chiede” a “mi perdo nell’assenza/ che morde forte la carne”, da “ pregando sottovoce che finisca presto/ questa strage inaspettata” a “ l’intreccio di parole/ preziose nell’intimità del grido” il percorso del poeta si decanta nell’estasi del canto, puro e totalizzante, tra sussulti e slanci improvvisi, che rendono più che valida la garanzia del tracciato ideale.
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 10 settembre 2024

POETI DA RICORDARE = CARLO FELICE COLUCCI


CARLO FELICE COLUCCI (1927) - dal volume "Io per le strade" del 2004

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


**Tesse una musica**
=
Tesse una musica il marino
fluire senza tempo, l’onda verde
che trasparente vola nella forma
di donna, di conchiglia che scolora
sulla spiaggia dalle felici trame
dove nella tua notte posi l’ombra
tra la sabbia dei passi che riveli
un moto precedente di parole
presunto tra l’argento che ti sfiora
di una luna a pochi tiri
di sasso levigato dall’attesa.
*
Raffaele Piazza

lunedì 9 settembre 2024

RIVISTA = KENAVO'

**KENAVO'**
Dopo due mesi dalla spedizione, esattamente 62 giorni, le Regie Poste Italiane mi hanno conegnato copia (mese di luglio) della elegante e scintillante rivista Kenavo', realizzata e diretta dalla infaticabile Fausta Genziana Le Piane.
Firmano questo numero: William Butler Georges Simenon,Roberto Casati, Riccardo Renzi, Fausta Genziana Le Piane, Iole Chessa Olivares, Paolo Ruffilli, Maria Rosa Catalano, Pasqualina Di Blasio, Antonio Spagnuolo, Paolo Carlucci, Giuseppe Tacconelli, Clara Di Stefano, Lidia Popa, Monica Martinelli, Alex Cardinali, Lena Morelli, Moniza Alvi, Enrico Finocchiaro, Eugenia Serafini, Elio Camilleri, Francesco Dell'Apa, Silvia Mazza, Alessandro Clementi.
***

sabato 7 settembre 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALFREDO ALESSIO CONTI


***Alfredo Alessio Conti: “Liriche scelte” – Ed. Miano 2024 – pag. 104 - € 16,00
Liriche scelte dai vari volumi pubblicati negli anni trascorsi si offrono in un panorama poetico ricco di sorprese e di genuina creatività. Ogni capitolo si apre con la prefazione di Enzo Coccardi per il primo, di Gabriella Veschi per il secondo e di Floriano Romboli per il terzo.
Un filo conduttore fluisce soffice tra le incisioni del tempo che scorre sempre veloce e le vertigini della memoria, tra le figure stagliate con la semplicità di una pennellata e le speranze metafisiche pronte al bagliore dell’illusione.
La semplicità di alcuni accenti dimostrano il carattere di un poeta che cela con delicatezza alcuni sobbalzi dei sentimenti, tra la dolcezza di un amore nel quale perdersi o nell’inquieta incertezza di un credo, tra il timore di scomporre il tempo in ritagli incandescenti e l’affievolirsi della luce lunare che si infrange sui sassi, tra la preghiera di un “povero mortale” e il desiderio che spettina i capelli.
Le immagini, i paesaggi, le circostanze, i simboli, le allegorie, diventano materia di un pulsare profondo per il quale l’attesa è voce che si rafforza e si organizza nel ritmo dei versi. Linguaggio limpido, che si plasma nel viaggio di auto osservazione di rivestimenti atti a sorreggere quell’energia necessaria a risolvere l’interagire del subconscio.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 5 settembre 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI : LORETTO MATTONAI


**Loretto Mattonai: “Bucce di mandarini” – pag. 72 -2024 – s.i.p.
Cento ottanta Haiku incastonati elegantemente in un volume che offre una lettura dove intenti ed approcci non sono altro che l’ininterrotto dialogo tra il poeta e le vertigini della quotidianità e della creatività.
Le immagini ritraggono policromaticamente figurazioni dell’illusorio, tra le architetture storiche e le ombre del destino umano, il tutto nello scorrere veloce del verso, che non si interrompe facilmente per una probabile reificazione del soggetto, ed è spesso fuori dalle severe regole formali, in cui si rintracciano anche forti realizzazioni di tono personale.
Le scelte allora sono oculate: dall’improvvisa brezza di una vela all’ingorgo denso di una città che sviene, tra rondini con formiche in becco e lucciole allo sbando, da nubi grigie al vento a voci arse per inutili bla bla, tra una panchina sedotta dalla brina alla luce di Dio presente ovunque, dalle cicale in coro al nido di un’infanzia come pesco fiorito.
Uno dopo l’altro i flash fluiscono senza mai incepparsi e la stesura dimostra con arguzia le risorse di un bagaglio culturale di notevole spessore.
Nel mentre “borbotta il vino/ ricci nella cantina/ casa in letargo” eccoci al “febbrile inchino/ di folle al principino/ Megalovirus”, o storditi dalla curiosità: “una borsa piena/ di nuvole se l’apri/ uscirà il sole.”
Scrittura che esonda dai limiti corporei e si intreccia nelle possibilità di esplosioni ed affermazioni, che sintetizzano e racchiudono formule per variopinte idee o capricciosi messaggi in diversi accenti.
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 3 settembre 2024

VOLPONI = RITRATTO DI UN INTELLETTUALE


**Paolo Volponi tra narrativa, poesia e collezionismo: ritratto di un intellettuale
=
Di - Riccardo Renzi
Paolo Volponi si affacciò con prepotenza sul panorama letterario italiano di fine prima metà del Novecento, a soli 24 anni, con la raccolta Il ramarro (1948). Si tratta di quaranta componimenti scritti nell’immediato dopoguerra seguendo la moda ermetica del frammento lirico paratattico. Lo spazio poetico delineato per successivi bozzetti e frammenti è un microcosmo naturale che si confonde, specchio del macrocosmo dell’io poetico. A tal proposito estremamente interessanti risultano essere le parole di Volponi sulla genesi della sua poesia in A lezione da Paolo Volponi: Perché scrivevo poesie allora, non ancora ventenne? Perché ero incerto, perché avevo paura. Ero folgorato da certe immagini, da certe visioni, filtrate attraverso il ricordo delle letture incerte e frammentarie della scuola, che mi portavano ad avere un rapporto con fatti lontani magici perenni quali gli astri, il paesaggio, le stagioni, le tempeste o le ragazze; o certe durezze della vita di allora, anche se già toccata dalle grandi speranze della libertà e poco dopo esaltata dagli effetti della liberazione.
La poesia per Volponi fu il mezzo tramite il quale riuscì a dare una forma alle sue irrefrenabili pulsioni, si trae dunque una forma da un magma cosmico di sensazioni giovanili. È infatti notevole, e non privo delle ingenuità e della meccanicità dell’apprendistato letterario, lo sforzo di appropriarsi di alcune costanti stilistiche e linguistiche tipiche dell’usus dei poeti più maturi. Nella poesia giovanile volponiana domina il sostantivo assoluto, con sospensione dell’articolo (il tipo: «Vastità che soffro», R, 59), l’analogismo sviluppato mediante coppie inconsuete di aggettivo e sostantivo ed epiteti di tipo sinestetico.
La poesia fu per Volponi cosa naturale, approccio ordinario d’espressione, prima forma letteraria. Egli stesso ha sempre affermato di averla sentita come ordinarietà linguistica, mentre l’approdo alla narrativa fu evoluzione stilistica e tecnica. La poesia per il giovane Volponi però è anche un rifugio sicuro. «Nello stesso Liceo “Raffaello”, dove Giovanni Pascoli studiò ed eccelse, suscitando il vivo entusiasmo dei suoi docenti, Volponi si sente estraneo, oppresso da un senso di claustrofobia». E ancora dallo stesso Volponi: «Ho passato anni di terrore in quel ginnasio, di vero dolore; anche perché non capivo nulla e nulla diventava mio». Volponi è proprio in quegli anni che inizia ad affidarsi ad un’altra scuola, quella della strada, quella della vita, fatta di piazze, mercati, botteghe, caffè, fabbriche, macellerie, ecc. Divine così un acuto osservatore della realtà, diviene così un poeta. La poesia, come già detto, costituì il suo primo approdo alla letteratura, ma fu anche un intermezzo alla narrativa che lo accompagnò per tutta la vita. Parentesi liriche squarciano gli ampi scenari narrativi dei romanzi; e una pellicola narrativa si dispiega, a sua volta, nei versi che prendono una forma poematica sin dalle Porte dell’Appennino. Proprio di questa raccolta fanno parte i tre componimenti che seguono, dove chiaramente emerge l’occhio da osservatore dell’urbinate e tutto il suo legame e attaccamento alla sua terra, che ancor più forte ritornerà in La strada per Roma:
"D’autunno è con noi"
D’autunno è con noi
ogni foglia e ghianda
ed è raggiunto il cielo.
Fra le avellane svolazza
la palomba ferita,
freme il sottobosco
agli scoppi
dei ricci di castagna.
Dolcissima è l’ultima uva
celata fra i pampini rossi,
sul fianco dei monti sale
il fumo delle carbonaie.
A sera
io provo il caldo smemorato
delle castagne,
del torbido vino,
il più nudo corpo
della mia donna.
=
"La vergine"
I sassi bianchi
sono le tue spalle
gli alberi la tua statura;
è la tua gola che batte
se una rosa si muove
non vista nel giardino.
Dì pure al vento
di perdere il tuo canto
nella voce dei fossi,
al rosmarino
di chiudere i sentieri.
L’innocente starna
si leva alta sul bosco
e m’indica il tuo cammino.
=
"Ramarro"
Nelle vastissime notti
io sento
U rumore dellessatura delle cose
gli alberi che battono sulle strade.
La terra tesa con spasimo
che potrehbe schiantarsi
come u ghiaccio di un lago.
lo debbo reagire
per non farmi sovrastare
dal rumore del mio corpo
per non farmi tendere
come la pche della terra.
Cerco di spezzare le corde
che stirane ogni cosa.
=
Tutta l’opera letteraria volponiana deve essere concepita come un continuo divenire, una continua maturazione. A tal proposito è necessario ricordare quanto sia stato faticoso e gestatorio l’approdo alla narrativa per lo scrittore urbinate. Spesso si confidava con gli amici Pasolini e Calvino sul fatto che non fosse in grado di produrre un’opera narrativa. Volponi spesso si confessa con Pier Paolo:
Caro Pier Paolo,
scrivo a te come guardandomi allo specchio, tremo dalla paura. […] Non credo di essere uno scrittore capace di un programma di produzione.
Per Volponi il passaggio dalla poesia alla narrativa non fu così immediato come per molti altri scrittori, per lui fu quasi un travaglio infinito. Memoriale fu il primo romanzo dello scrittore urbinate, pubblicato per la prima volta nel 1962 per Garzanti. Nell’opera risuona forte ancora il tema bellico. Il protagonista, Albino Saluggia, è un reduce della seconda guerra mondiale, assunto come operaio in una grande fabbrica del Nord Italia. Il protagonista è un uomo solitario e nevrotico, un narratore inattendibile. I suoi disturbi e comportamenti perversi sono segni, semi-cicatrizzati, delle ferite lasciate dalle brutture belliche. Allo shock bellico si aggiunge quello legato all’estraniazione, provocato dal duro lavoro in fabbrica, che riduce l’uomo a un mero macchinario.
I temi sociali nel Volponi narratore sono sempre molto forti, la scrittura è sempre specchio della realtà vissuta.
Il successo internazionale, lo raggiunse con la sua seconda prova narrativa, La macchina mondiale, edita da Garzanti nel 1965. L’opera venne tradotta in francese, tedesco e inglese, inoltre in Italia gli valse il Premio strega. Protagonista dell’opera è Anteo Crocioni, che vive a San Saiano, frazione di Frontone in provincia di Pesaro Urbino. La storia si svolge nel secondo dopoguerra, Anteo è un giovane curioso ma di poca scolarità che si pone molte domande sull’origine del mondo e degli esseri viventi, giungendo ad una concezione insieme meccanicistica e idealistica dell’esistente che presuppone la sua creazione da parte di quelli che chiama automi autori. Secondo Anteo, se le sue teorie fossero conosciute nel mondo, si farebbero dei passi in avanti verso l'amicizia tra i popoli e la pace universale. Esse lasciano invece perplesso suo padre, piccolo coltivatore che vede nel figlio un perdigiorno e un pericoloso contestatore (per le sue inclinazioni verso il comunismo) dell’ordine economico e sociale rappresentato dai proprietari terrieri, dalla Democrazia Cristiana e dalla Chiesa cattolica. Tuttavia, è proprio con un giovane seminarista di nome Liborio che Anteo instaura un rapporto d’amicizia, trovando nel ragazzo una mente disposta ad ascoltare e a comprendere la sua concezione del mondo, per quanto non a condividerla. Successivamente Anteo conosce Massimina, una ragazza di un paese vicino, e la sposa. Per migliorare la propria condizione economica egli acquista, sulla scia della sua fascinazione per i mezzi meccanici, diverse macchine agricole con le quali avvia un’attività di contoterzista, malgrado il parere contrario del padre e della moglie, restii ad ogni idea d’innovazione. Il suo lavoro lo tiene lontano da casa per lunghi periodi, e quando vi ritorna non vi ritrova più Massimina. Scopre che la moglie, non più decisa a sopportare i suoi repentini scatti d’ira, si è trasferita a Roma per cercare lavoro come donna di servizio, contando sull’appoggio della cospicua comunità marchigiana emigrata colà. Anteo vende le macchine e si reca anch’egli nella capitale, per riportare a casa la moglie cogliendo nel frattempo l’occasione di mostrare a docenti e studenti dell’università le proprie teorie e il trattato che sta scrivendo, che però non riscuotono presso di loro il minimo successo. Dopo aver finito i soldi, esercita diversi mestieri per mantenersi, tra i quali quello di pulitore delle gabbie dei leoni in un circo, e riesce rintracciare Massimina grazie ad una denuncia per abbandono del tetto coniugale che sporge contro di lei. La giovane lavora ora come serva in una casa signorile e, per tutelarsi contro il marito, lo denuncia per percosse. Anteo è così costretto dall’autorità giudiziaria ad abbandonare Roma e torna a San Savino in attesa del processo. Ritrova Liberio, che nel frattempo è stato ordinato prete e nominato parroco di Acquaviva, e lo aiuta a sistemarsi nella casa canonica. Un giorno incontra per caso la moglie, venuta in visita ai suoi luoghi d'origine; questa non si nega alla consumazione di un rapporto sessuale col marito, ma si rifiuta di tornare a casa. Alcuni mesi dopo, Anteo apprende dai giornali che Massimina ha di nascosto dato alla luce un bambino, concepito dal rapporto avuto quel giorno, lasciandolo morire per mancanza di cure; la donna viene quindi arrestata per infanticidio. Anteo decide allora di porre fine alla propria esistenza riempiendo la propria casa di esplosivo e facendola saltare in aria dopo esservisi chiuso dentro.
Di nuovo si presenta il problema della sostituzione umana per mezzo delle macchine, l’ossessione per la tecnologia e per un progresso che però sembrerebbe nefasto. Il microcosmo generato da Anteo incorre in un implosione quando il protagonista riprende contatto con la vita reale e scopre di aver avuto un figlio, che però era stato ucciso dalla madre. Il ritorno al macrocosmo della realtà provoca nel protagonista uno shock che lo spinge a porre fine alla sua vita. Le grandi problematiche degli anni Sessanta e Settanta staranno sempre al centro della genesi narrativa di Volponi, da Corporale al Pianeta irritabile, da Le mosche del capitale al Lanciatore di giavellotto. In quest’ultima assume una rilevanza particolare il gesto, l’azione, l’agire all’interno della narrazione. Quando nella lettura volponiana ci si imbatte in gesti, se si procede ad una distinzione in base alla funzione e al ruolo che hanno nella narrazione, questi possono essere di due tipi ben diversi. Alla prima categoria appartengono quelli che dolcemente cullano la narrazione e che in tutta l’opera si ripetono con regolarità. Nel secondo caso si tratta di un gesto che attraversa la narrazione con brutalità e serve a cambiare la direzione di quest’ultima. Questa seconda tipologia di gestualità narrativa può anche sbloccare le situazioni narrative o addirittura concluderle. Si prenda il caso de La macchina mondiale: il gesto estremo e definitivo che chiude il racconto, cioè l’esplosione che Anteo Crocioni preannuncia di voler innescare quando ormai ha terminato di scrivere le sue memorie.
Come però preannunciato precedentemente, il gesto narrativo volponiano risulta preponderante in un’opera in particolare: Il lanciatore di giavellotto. In tale romanzo il ricorso alla gestualità avviene in modo articolato e frequente, tanto da mostrare nello svolgersi della narrazione una rete di gesti diversi che innescano dinamiche di differente natura narrativa. Nel romanzo si presentano entrambe le tipologie di gestualità volponiana, la prima caratterizzata da un agire e un produrre che con continuità e costanza attraversano tutta la narrazione, la seconda messa in evidenza dall’esasperazione della brutalità dell’azione.
Il gesto caratterizza in parte anche il suo ultimo romanzo: La strada per Roma. In questo il momento narrativo è strutturalmente basato sulla percezione e sulla rappresentazione sensoriale, è piuttosto facile e forse non troppo sorprendente trovare che la storia sia come trapuntata da una lunga serie di gesti. Qui le sensazioni del giovane protagonista permeano completamente le emozioni del lettore.
Questo romanzo rappresenta il climax apicale dell’esperienza narrativa volponiana. Il romanzo venne pubblicato per Einaudi nel 1991. L’opera racchiude in sé tutto l’io volponiano, da quello di Memoriale (1962) a quello de Le mosche del capitale (1989). Il romanzo però ci riporta alle origini di Volponi, infatti è caratterizzato, a differenza di tutti gli altri, da una forte matrice autobiografica. L’opera è ambientata nell’Urbino degli anni Cinquanta del Novecento, il protagonista, Guido Corsalini, all’epoca ventitreenne, altro non è che l’alter-ego di Paolo Volponi. Il giovane sta per laurearsi in giurisprudenza, sente in sé l’esigenza di partire, di allontanarsi da quella realtà cittadina che lo sta soffocando, ma allo stesso tempo si sente fortemente legato a quei luoghi che gli hanno dato i natali. Anche qui ritorna il tema del gesto, l’andarsene in opposizione al voler restare. Leggendo il romanzo emergono le doti descrittive dello scrittore, attento a tutte le minuzie sensoriali della narrazione: «Guido uscì la sera tardi, quasi alla fine dell’ora del passeggio. Per tutto il giorno aveva guardato la nebbia e la campagna dalle finestre della stanza da pranzo». Volponi riesce benissimo a trasmettere al lettore le sensazioni e le emozioni vissute dal protagonista. Ciò che sorprende in questo romanzo è proprio la straordinaria capacità descrittiva dell’autore, il lettore può aprire il libro in una pagina a caso e leggendo cinque o sei righe si trova rapidamente travolto dalla vita di Guido Corsalini. Questo è dunque, un romanzo, che raggiunge la compiutezza estetico-formale, ma anche di contenuto. Rappresenta a pieno il percorso di maturazione letteraria volponiana, dalle prime raccolte poetiche, all’ultimo romanzo.
La narrativa e la poesia volponiane sono spesso la celebrazione descrittiva di un paesaggio che sempre ne rispecchia uno interiore. L’estrema attenzione alle minuzie paesistiche, così come a quelle antropologiche e comportamentali, non è un caso. Il paesaggio per lo scrittore urbinate fu quasi un’ossessione. Proprio a tale ossessione si collega il suo collezionismo. A tal proposito Enzo Siciliano scrisse: «non fu il completamento parassitario di una mania: fu un nutrimento necessario del suo essere più intimo». Volponi fu uno scrittore complesso, di quelli difficili da comprendere, in continua evoluzione, in continuo mutamento, e la duttilità e l’ampio spettro di tipologie artistiche collezionate ne sono una prova. Egli iniziò a collezionare quando era già uno scrittore affermato e maturo, il suo collezionismo fu una necessità, un nutrimento, la scrittura non bastava più. L’arte però era sempre stata presente nelle sue opere, sia direttamente che indirettamente. Prendiamo un racconto “minore”. Del 1967, Accingersi all’impresa. Questa è la storia di un antiquario che sta per prendere una decisione fondamentale: cosa fare della propria vita? Il protagonista si trova a un bivio sia nel privato che nella propria professione. Il fallimento annebbia entrambe le vie, lo soffoca, facendolo sentire isolato dal mondo. Alla fine le due scaturigini si fondono e sfociano in una fuga alla ricerca dei rami perduti di acqueforti del Canaletto. In tale racconto, Volponi, non ci parla solo di collezionismo e arte, ma è il testo stesso a divenire tale. La sintassi del racconto si distende elegante e ricca di chiaroscuri, come su una tela barocca, pomposa di particolarismi, ove si stagliano luci e ombre, volti e oggetti.
La presente trattazione ha esordito con la “paura” di scrivere dello scrittore urbinate, per giungere, mediante l’analisi delle sue opere, alla compiutezza estetica e contenutistica. Ciò che caratterizza l’opera volponiana è che questa “paura” non arrestò mai la potenza generatrice della sua scrittura. Di fronte alla “paura” il soggetto non rinuncia ad esperire il mondo, e «intanto cerca il suo buen retiro in una sorta di abisso parlante, che alla fine si avviene».
=
Bibliografia
P. Volponi, Il ramarro, con una presentazione di Carlo Bo, Urbino, Istituto D'arte, 1948.
P. Volponi, A lezione da Paolo Volponi, in «Poesia», n. 2, 1988, p. 47.
S. Ritrovato, All’ombra della memoria. Studi su Paolo Volponi, Pesaro, Metauro Edizioni, 2013, p. 10.
P. Volponi, Introduzione a I. Di Martino, Enciclopedia della gestione della scuola, Milano, Teti, 1977, pp. 4-5.
P. Volponi, Scrivo a te. Come guardandomi allo specchio. Lettere a Pasolini (1954 – 1975), a cura di D. Fioretti, Firenze, Polistampa, 2009, pp. 175 – 176.
S. Ritrovato, All’ombra della memoria, studi su Paolo Volponi, Pesato, Metauro, 2013, p. 75.
P. Volponi, Memoriale, Milano, Mondadori, 2015.
P. Volponi, La macchina mondiale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2012.
P. Volponi, Il lanciatore di giavellotto, Torino, Einaudi, 1981. P. Volponi, La strada per Roma, Torino, Einaudi, 2014, p. 106.
E. Siciliano, Passione per la pittura, in Le due donazioni Volponi alla Galleria Nazionale delle Marche a Urbino, Urbino, Quattro Venti, 2003, pp. 13-16.
P. Volponi, Romanzi e prose, Torino, Einaudi, pp. 1039-1048.
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RICCARDO RENZI

POESIA = RICCARDO RENZI


**La festa di San Girolamo**
Sul tavolo sta disteso
un sacchetto di carrube,
ne assaggio una,
un sapore lontano,
ondeggiante,
mi conduce
a quelle feste di paese
fatte di carretti,
di odori,
di sapori,
della ruralità e
ritualità
che ormai
come morti soccombono,
sotto il tintinnio dello scorrere del tempo innaturale.
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**L’amata**
In un cielo teso di nubi,
quando esso, come un
coperchio, pesa greve
il tempo rallenta soffocante,
ma lo sguardo tuo mi sveglia,
dall’oscurità mi salva
e l’ombra non più mi turba.
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**I miei Sibillini**
Una pioggia nebulosa
cade
sui Sibillini,
monti sapienti,
custodi
dei pastori cantori
di Dante,
e del corpo di Pilato;
Montemonaco e
Il suo gemello
Suggestive sensazioni suscitano
nella pioggia,
il ticchettio di essa
ci accompagna
assieme a qualche animaletto
incauto,
al freddo ridente,
le gote tue col duro
inverno
di rosso si accendono,
con passo felpato
ce ne torniamo
nella solitaria caoticità dell’essere.
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RICCARDO RENZI

lunedì 2 settembre 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = VERLUCCA - MIRICI CAPPA


**“Quando la poesia incontra l'arte...” di Cesare Verlucca e Michela Mirici Cappa (Hever Edizioni, 2024 pp. 88 € 18.00) accorda, con meravigliosa corrispondenza artistica, la vivace e brillante complicità degli autori, nella relazione fortunata di rappresentare e interpretare l'evocazione poetica, nell'intensità delle parole e nell'incantevole scenario dei dipinti. Il libro racchiude poesie molto significative, dettate dalla fervida e appassionata personalità di Cesare Verlucca, animate da un sentire autentico, assiduo, consolidate dalla qualità della gratitudine e della pienezza presente della vita, ancorate all'eco sentimentale dei ricordi e alla libertà irrinunciabile dei desideri. L'incontro felice e propizio tra Cesare e Michela è la solida e luminosa dimostrazione di un percorso favorevole, tratteggiato dalla speciale e accogliente espressione di un'unica mano e un unico pensiero, nella combinazione positiva dell'attività creativa, nel nobile ed esclusivo panorama idilliaco. Cesare Verlucca elogia la preziosa e coinvolgente affinità esistente tra poesia e pittura, abbracciando la natura intimamente connessa delle immagini che rinnovano la scrittura, propone il disegno di una poesia commemorativa, capace di spiegare la raffigurazione dinamica e inquieta dell'anima, di trasmettere l'equilibrio commovente degli affetti, la percezione smarrita e apprensiva della realtà. La poesia di Cesare Verlucca evolve sempre la sua finalità letteraria nello sviluppo stilistico di una colloquiale e familiare confidenza, in cui il verso è sintesi originaria del movimento interiore, intonazione introspettiva, tensione esatta delle corde romantiche. Descrive lo svolgimento della persuasione emotiva, il passaggio esistenziale della conoscenza, adotta la sensazione esplicita della comprensione, suggerisce il dettaglio delle suggestioni, completando l'identità inscindibile tra l'estetica della fantasticheria e la verità delle riflessioni. I dipinti di Michela Mirici Cappa rivestono la poesia silenziosa delle emozioni, traducono l'indelebile capacità celebrativa degli elementi spirituali, arredano, con i colori ricchi di riflesso inconscio e di contenuti delicati e toccanti, la rivelazione della nostalgia, effige dell'impronta malinconica di ogni indugio del cuore. Trasferiscono, con ogni superba pennellata, l'osservazione e fanno emergere la complessità della condizione umana, immedesimando il lettore nello spirito segreto e crepuscolare delle cose, nella dimensione lirica che tinge la sfumatura degli stati d'animo. Cesare Verlucca utilizza ogni metafora elegiaca per comunicare la vocazione di una identità saggia e lungimirante, caratterizzata dal valore dell'esperienza e dei sentimenti, testimonia l'alleanza personale e riservata con l'avventura eccitante della vita, nell'intreccio intimo, privato, autobiografico del proprio attento e meditato pensiero. La poesia di Cesare Verlucca offre un'indagine umanistica del vissuto, contempla la struggente espressione dell'istinto e della passione, si fa portavoce di un sensibile miracolo, nella volontà di andare oltre e superare il confine della speranza. Cesare Verlucca e Michela Mirici Cappa condividono il valore oraziano nella locuzione latina “Ut pictura poesis” (Come nella pittura così nella poesia) nell'essenza divinatrice della sovrapposizione delle arti sorelle, nella loro energia eloquente.
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RITA BOMPADRE-
(centro di lettura "Arturo Piatti")

domenica 1 settembre 2024

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO


= DAL VOLUME "FUTILI ARPEGGI" 2024

POESIA = RAFFAELE PIAZZA


**"Alessia e settembre 2024"
Rara dissolvenza del ramo agli occhi,
settembre di foglie rosse da collezionare
l'erbario con pazienza di stella.
Chiarità di tramonti ad appoggiarvi
malinconie di soli declinanti:
poi in men che non si dice
spicca in volo un gabbiano e l'amica
nerovestita prevede tanta gioia.
Sorride Alessia come la luna
dipinta sulla mattonella della cucina
e ci sarà raccolto, in versi la vita di
Alessia a cercare senso in stabile
luminosità: a poco a poco detersa
la guancia
dalla trasparenza di lama di vento,
nel film liberacome l'aria.
E' il 1984 scivola l'auto per il Parco
Virgiliano in chiave della vaga nebbia
e anche le rondini parleranno.
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RAFFAELE PIAZZA